La Melpomene

Fifty elegies and sonnets written for famous individuals that died recently

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            <title>Alessandro Adimari's Melpomene (1640): A Basic TEI Edition</title>
            <author>Galileo’s Library Digitization Project</author>
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                <orgName>the TEI Archiving, Publishing, and Access Service (TAPAS)</orgName>
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              <addrLine>360 Huntington Avenue</addrLine>
              <addrLine>Northeastern University</addrLine>
              <addrLine>Boston, MA 02115</addrLine>
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            <note>Based on the copy digitized by Google Books and held by the Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze</note>
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               <title>La Melpomene overo 50 sonetti funebri con'altrettanti elogij</title>
               <author>Adimari, Alessandro</author>
               <pubPlace>Florence</pubPlace>
               <publisher>Massi, Amador; Landi, Lorenzo</publisher>
               <date>1640</date> 
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            <p>This TEI edition is part of a project to create accurate, machine-readable versions of books known to have been in the library of Galileo Galilei (1563-1642).</p>
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            <p>This work was chosen to maintain a balance in the corpus of works by Galileo, his opponents, and authors not usually studied in the history of science.</p>
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               <p>Lists of errata have not been incorporated into the text. Typos have not been corrected.</p>
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               <p>The letters u and v, often interchangeable in early Italian books, are reproduced as found or as interpreted by the OCR algorithm. Punctuation has been maintained. The goal is an unedited late Renaissance text for study.</p>
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               <p>Word breaks across lines have not been maintained. The word appears in the line in which the first letters were printed. Words broken across pages appear on the page on which the first letters appear. Catch words are not included.</p>
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 <docTitle>La Melpomene overo Cinquanta Sonetti Funebri con altrettanti Elogii Oratorio: Poetici. Opera del Sig: Alessandro Adimari Accademico Svuogliato. Dedicata all'Illustriss. e Rever. Monsig. Dionisio Bussoti Vescovo del Borgo San Sepolcro. In Firenze appresso Massi e Landi con licenza de Superiori 1640.</docTitle>
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  <date></date>
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<pb n="unnumbered i"/>
<lb/>LA
<lb/>MELPOMENE
<lb/>OVERO CINQUANTA
<lb/>SONETTI FUNEBRI
<lb/>Con' altrettanti Elogij
<lb/>ORATORIO: POETICI
<lb/>Opera del Sig:
<lb/>ALESSANDRO ADIMARI
<lb/>Accademico Svegliato
<lb/>Dedicata all Illustris: e Reuer: Monsig.
<lb/>DIONISIO BVUSSOTI
<lb/>Vescouo del Borgo San Sepolcro
<lb/>In Firenze appresso il Massi, e Landi con licenza de Superiori 1640.
<pb n="unnumbered ii"/>
<pb n="unnumbered iii"/>
<lb/>All' Illustriss. et Reuerendiss. Monsig. 
<lb/>DIONISIO BVSSOTTI 
<lb/>Vescouo del Borgo S. Sepolcro. 
<lb/>QVANDO Giasone (Illustriss. &amp; Reuerendiss. Sig.) 
<lb/>spronato dall'acuto stimolo della Gloria, s'accinse 
<lb/>alla nobilissima impresa del Vello d'oro, applicò 
<lb/>l'animo, non tanto à ben corredar quel famoso 
<lb/>legno d'ogni opportuna occorrenza, quanto à 
<lb/>ben prouuederlo di valorosi Guerrieri, che (pari 
<lb/>a' suoi voti) seco fossero della fatica, e dell'honore fedelissimi compagni. 
<lb/>Però con vno scelto drappello de' più chiari personaggi d'Argo 
<lb/>(onde Argonauti furon detti) sopra vi ascese se con vn cuore 
<lb/>veramente cinto d'vn raddoppiato Bronzo, anzi d'vn triplicato, 
<lb/>&amp; indomito Diamante, non pauentò le mobili, &amp; aperte 
<lb/>Simplegadi del Bosforo; non l'incognite Sirti dell'Eusino; non 
<lb/>gli orribili mostri dell'Eurippo; ma giunse intrepido al desiderato 
<lb/>Colco, &amp; al bramato, e faticoso conquisto. 
<lb/>Questo generoso ardimento, parmi, che fa la vera immagine d'
<pb n="unnumbered iv"/>
<lb/>vn animo gentile, che s'ingegni d'arriuare al Porto della vera 
<lb/>felicità: E la riconosco marauigliosamente in quello di V. S. 
<lb/>Illustriss. Perche, postosi in mente fin da' suoi primi Anni (spronato 
<lb/>dal suo Spirito naturale) l'acquisto della Virtù, preparó la 
<lb/>Naue del suo bellissimo ingegno di tutti quegli arredi, ch'à ben 
<lb/>solcar l'onde di questo procelloso Mondo fosser basteuoli; Indi 
<lb/>asceso nel famoso legno della Religione de'SERVI, (Argo Nobiliss. 
<lb/>che fra le Stelle del Cielo, e fra la Corona della Beatiss. 
<lb/>Vergine sua Protettrice fiammeggia) fù non solamente moderator 
<lb/>di quello, ma s'incaminò con gran passo alla subblime impresa 
<lb/>d'vn conquisto maggiore, ciò, è verso l'aureo Vello della 
<lb/>Fama, sù l'ale della quale, dopo yna serie d'altre grandezze, 
<lb/>ascenderà, spero, anch'ella à risplendere frà le chiariss, fedi del 
<lb/>Cielo, come hora fra quelle de' Prelati risiede. 
<lb/>E quì, per aggiustare maggiormente il pensiero, mi si conceda il 
<lb/>dire, Che si come il figliuolo d'Esone fù stimolato all'opere 
<lb/>grandi dall'esempio de suoi maggiori, così ella, à guisa di Soclide 
<lb/>(che stimaua obbligo il non degenerar da gl'antenati) hà 
<lb/>voluto seguitar l'orme de suoi, &amp; in particolare quelle di Monsig. 
<lb/>Bartolommeo Bussotti, il quale vgualmente riguardeuole 
<lb/>per la parentela, che traeua da. Mons. Douizzi Cards del titolo 
<lb/>di S. Maria in Portico, e per la molta prudenza, che dimostrò, 
<lb/>mentre era in abito secolare, ne' tre consolati, fatti per la nostra 
<lb/>Nazione Fiorentina in Roma, fù da Pio Quinto onorato con la 
<lb/>carica di Tesaurier Generale Apostolico: Et quelle di Mons. 
<lb/>Alessandro Mazzi suo nipote di sorella, che per le sue proprie 
<lb/>doti, e per quelle del Zio, fu dal medesimo Pontefice promosso 
<lb/>al Vescouado di Fossombrone. Sol potrebbe chiedere 
<lb/>qualche curioso, Oue è la Compagnia de Valorosi Campioni, 
<lb/>che questo nuouo Argonauta s'hà trascelta? 
<lb/>A questi facilmente potrei rispondere, Che suoi veraci compagni 
<lb/>fossero tutti quei Religiosi Personaggi, che nel suo Ordine 
<lb/>si ritrouano, s'io non riconoscessi tutti costoro essere sicura 
<lb/>materia, ond'è composto questo mistico vascello: Oue altri
<pb n="unnumbered v"/>
<lb/>è Véla distesa al vento della Predicazione, altri Prora volta
<lb/>alla punta delle salubri confessioni; altri Poppa; da cui si succhia 
<lb/>continouo latte d'infinite dottrine, altri Timone con la saldezza 
<lb/>del buon gouernò, &amp; altri Ancore fortissime della nostra 
<lb/>Fede, con la profonda Teologia. 
<lb/>Però, desideroso di contentare chi pur bramasse di vedere effettiuamente 
<lb/>V. S. Illustriss. accompagnata, hò pensato di condurle 
<lb/>auanti vna schiera d'alcuni generosi Guerrieri, ch'imbarcati 
<lb/>nel suo petto, &amp; arrolati in quest'opera, faran conoscere al 
<lb/>Mondo, come ella haurà seco, non la fauolosa nobiltà d'Argo 
<lb/>e di Iolco, má la più florida e la più vera di tutta Europa. Poi 
<lb/>che, se in quell'Armata interuennero Mospo, &amp; Idmone, Sacerdoti 
<lb/>d'Apollo, quì saranno Cardinali, Arciuescoui, &amp; altri Prelati, 
<lb/>Sacerdoti del vero, e viuente Iddio. Se colà figliuoli d' 
<lb/>Eroi, quà figliuoli di Principi, e di Semidei, che adeguano la magnanimità di Giasone, la fortezza d'Ercole, il senno di Periclimene, 
<lb/>la Bellezza di Hilb, &amp; il valor d'ogni altro. Se là 
<lb/>fù Medea Regina di Colco accompagnata (com è da credere) 
<lb/>da nobilissime matrone, quì vna mano di Principesse, seguitate 
<lb/>da leggiadrissime Dame; finalmente s'in quella spedizione 
<lb/>fù Orfeo, quò più d'vn virtuoso Poeta. 
<lb/>Non vorrei già, che trattandosi d'vn piccolo numero fra vna copia 
<lb/>infinita, mi si opponesse parzialità in hauere scelto più vno, che 
<lb/>vn'altro, perche io risponderei, hauer fatto menzione solamente 
<lb/>di quelli, che in qualche maniera hò seruiti, e conosciuti a' 
<lb/>miei giorni, e non hauer voluto trapassare il numero di Cinquanta, 
<lb/>per non trascender il solito Tributo, che fin quì mi son 
<lb/>proposto di dare a ciascuna Musa; oltre che supplirà l'Euteripe, 
<lb/>e l'Apollo, che d'altri patroni cantano in suon funebre. 
<lb/>Mi dispiacerebbe ancora, che nel cercar di persuaderla à gradire 
<lb/>questa mia MELPOMENE (detta come io credo, da 
<lb/>ciò è Celebro vel cano cum mestitia, che perciò forse di lei fù 
<lb/>detto. Melpomene tragico proclamant maesta boatu. 
<lb/>e nel cercar di spiegare in parte il merito di V. S. Illustriss. e la
<pb n="unnumbered vi"/>
<lb/>conuenienza di dedicarle questa mia debol fatica, alcuno s'offendesse 
<lb/>in vedere, che trattandosi di Prelato, e di Cristianissimi 
<lb/>Defunti, io mescolassi illecitamente le cose Sacre con le
<lb/>Profane. Per euitar dunque ogni scoglio, sarà forfe meglio 
<lb/>(tralasciato l'intrapreso Argomento) ricordarle; Come il fortissimo 
<lb/>Giuda Maccabeo (raccolto nella Citta d'Odolla il suo esercito,
<lb/>e numerati i morti) stimò (dopo hauer fatto dar loro sepoltura) 
<lb/>santa, e salutifera cosa il far pregare l'Altissimo per l'anima 
<lb/>di quegli, ch'erano passati all'altra vita con qualche difetto de'lamniti, onde fatta vna colletta di dodici mila dramme, le 
<lb/>mando al sommo Sacerdote di Gerusalem, in offerta per lo peccato: 
<lb/>Perciò, adattando il tutto à mio proposito, dirò così. 
<lb/>Morti son questi 50. Personaggi nel militar sotto il grande stendardo 
<lb/>di CRISTO: Può essere che alcun di loro se ne sia passato 
<lb/>con qualche macchia da scancellarsi nel Purgatorio; Si sono 
<lb/>adunate dalle copiose ricchezze delle virtù, ch'in essi regnarono 
<lb/>(se non dodici mila Dramme, almeno vn abbondante numero 
<lb/>di meriti, posti oggi ne' rozzi sacchi di questi miei versi:
<lb/>Io son dunque l'apportatore di questo Tributo V. S. Illustriss. è il 
<lb/>Sacerdote, che lo riceue; e se non è quello del Tempio di Gierosolima,
<lb/>indubitatamente è quello d'vna Città, che hauendo il nome 
<lb/>dal Glorioso SEPOLCRO del nostro Redentore, misteriosamente 
<lb/>può dirsi da Gerusalem non molto dissimile, ne lontana. 
<lb/>Dunque non altroue, ne ad altri, che a lei si debbono portare quest' 
<lb/>offerte: Le quali anche le son douute, perch'essendo gli estinti, 
<lb/>o la maggior parte di loro, stati notissimi, &amp; amicissimi suoi, o 
<lb/>perche furono Principi viui a' suoi tempi, o furon per lo più 
<lb/>persone graduate nella nostra Patria comune, o diuoti del 
<lb/>Tempio della Santissima Nunziata, e di quel Conuento, di cui 
<lb/>V. S. Illustrissima è stato figliolo, e Padre; è cosa conueniente, 
<lb/>Che i Padri tengan conto delle famiglie loro, Che gli Amici si 
<lb/>ricordino degli Amici, &amp; Che i Principi sieno venerati. 
<lb/>Se poi io hò congiunto la metizia degli Elogivcol suono de’Versi, 
<lb/>anche nell'esequie de' Grandi interueniuano i Tibicini, &amp; i Piangenti; 
<pb n="unnumbered vii"/>
<lb/>ricordisi di quelle della figliuola del Principe della Sinagoga, 
<lb/>oue il benignissimo Saluator nostro, ascoltando gli strepiti, 
<lb/>disse, Non è morta questa Donzella, ma dorme: 'accennandoci
<lb/>non solamente, ch'il pianto dee esser breue, ma che si può 
<lb/>lietamente cantare nella morte di coloro, che per douersi purgare, 
<lb/>scendono in luogo, doue col suono delle preci si possono 
<lb/>sciogliere da'peccati come dal sonno. 
<lb/>Il mio canto, almeno accordatosi con la Pietà, &amp; osseruando in 
<lb/>questa parte il precetto, Che non si lodi veruno in vita sua, haurà 
<lb/>questo di buono, che sarà lontano dall' Adulazione, e dall'Interesse; 
<lb/>E ciò volle, per auuentura, insegnarci il Patriarca Iacob, 
<lb/>quando (conoscendosi vicino a morte) pregò Gioseffe suo figliuolo, 
<lb/>non folo, che seppelir lo facesse presso all'ossa de suoi 
<lb/>maggiori nella Paterna contrada, ma ch'inuerso l'anima sua 
<lb/>vsasse misericordia, e verità; Poi che quella è vera misericordia, 
<lb/>che fanno gli huomini al suo prossimo, quando, non potendo 
<lb/>sperare dalle persone defunte ricompensa mondana, 
<lb/>s'affaticano à dar loro caritatiuo soccorso nell'altra vita con le preghiere. 
<lb/>L'aiuto principale, &amp; la vera misericordia sarà quella dunque, che 
<lb/>come Prelato darà V. S. Illustriss. a questo Drappello estinto, ricordandosi di lui ne'suoi sacrifizi.
<lb/> 
<lb/>Io come persona del secolo, e di poco spirito, se non potrò giouare
<lb/>a'Defunti, giouerò forse in questo a'viuenti. Che rammenterò 
<lb/>loro quel salutifero ricordo, notato fin dal Poeta Lirico 
<lb/>Tebano, che disse φρονεῖν τὸ παρκειμενον. cioè. 
<lb/>Pensa a quel ch'è vicino. 
<lb/>Et come in vno specchio rappresenterò loro, Che la morte con 
<lb/>egual piede tanto percuote le Capanne vmili, quanto l'eccelle 
<lb/>Torri. Dal che ciascuno potrà imparate à non fidarsi nè di Fasto, 
<lb/>nè di Giouentù, nè di Fortuna, nè di Beltà, nè di Ricchezze, 
<lb/>ma solamente a cercare di viuere in questo breue corso in 
<lb/>maniera, Che la morte li sia cagione di perpetua fama in terra, 
<lb/>e d'eterna vita in Cielo. Ma che voglio io dir più? basta ch'ella
<pb n="unnumbered viii"/>
<lb/>gradisca quest vmil dono, perche dalla sua protezione &amp; esempio
<lb/>nasceranno senz'altro gli ammaestramenti, è la stima. 
<lb/>Però Inchinandomi a V. S. Illustrissima &amp; Reuerendissima, 
<lb/>confidato di riceuere vn tanto fauore, le bacio la Sacra Veste, 
<lb/>e resto pregandole dal Sig. Dio ogni vero bene.
<lb/>Di Firenze li 13 di Gennaio 1639 ab Inc.
<lb/>Di V.S. Illustriss &amp; Reuerendiss.
<lb/>Diuotiss. &amp; affezionatiss. Seruidore.
<lb/>Alessandro Adimari. 
<pb n="unnumbered ix"/>
<lb/>TAVOLA
<lb/>De' Nomi de Personaggi contenuti in quest'opera, con 
<lb/>ordine di Alfabeto, e degli anni in che morirono. 
<lb/>A
<lb/>1 ALessandro Orsini Card. Morì nel 1626. Elog. carte 2. 
<lb/>2 Alessandro Marzi Medici Arciu. nel 1629. Elog. c. 4. 
<lb/>3 CARLO di Lorena Princ. di Gioiosa nel 1636. Elo. c. 6. 
<lb/>C
<lb/>4 Cammilla Rossi da San secondo nel 1634. Elog. c. 8.
<lb/>5 Cammillo Guidi Caualiere. nel 1624. Elog. c. 10.
<lb/>6 Cassandra Bardi Cappòni nel 1638. Elog. c. 12.
<lb/>7 Caterina Saluiati Niccolini nel 1633. Elog. c. 16.
<lb/>8 Claudia d'Albon Coppoli nel 1626. Elog. c. 14.
<lb/>9 Cosimo Gran Duca di Toscana nel 1620. Elog. c. 18.
<lb/>10 Cosimo Minorbetti Vescouo nel 1628. Elog. c. 20.
<lb/>11 Costanza Vettori Capponi nel 1632. Elog. c. 22. 
<lb/>12 Cristina di Lorena G. D. di Toscana nel 1636. Elog. c. 24. 
<lb/>D
<lb/>13 Donato dell'Antella Senatore nel 1617. Elog. c. 26.
<lb/>E
<lb/>14 Elisabetta Southuel nel 1631. Elog. c. 28.
<lb/>15 Euandro Piccolomini nel 1638. Elog. c. 30.
<lb/>F
<lb/>16 Ferdinando Imperatore nel 1636. Elog. c. 32. 
<lb/>17 Ferdinando Gonzaga Duca di Mantoua nel 1626. Elog. c. 34. 
<lb/>18 Flauia Mancini Ximenez nel 1626. Elog. c. 36.
<lb/>19 Foresto da Este Principe di Modona nel 1639. Elog. c. 38.
<lb/>20 Francesco Bonciani Arciuescono nel 1619. Elog. c. 40.
<lb/>21 Francesco Maria Card. dal Monte nel 1626. Elog. c. 42.
<lb/>22 Francesco Principe di Toscana nel 1634. Elog. 44.
<lb/>23 Francesco di Lorena Principe di Gianuille nel 1639. Elog. c. 46. 
<pb n="unnumbered x"/>
<lb/>G
<lb/>24 Gabbriel Chiabrera Poeta nel 1638. Elog. c. 48.
<lb/>25 Gio: Batista Altouiti Cau. nel 1629. Elog. c. 50.
<lb/>26 Gio: Batista Marini Cau. e Poeta nel 1625. Elog. c. 52.
<lb/>27 Gio: Batista Rondinelli Cau. nel 1605. Elog. c. 54.
<lb/>28 Gioseppe Caraffa Principe di Stigliano nel 1629. Elog. c. 56.
<lb/>29 Giuliano de' Medici Arciuescouo nel 1634. Elog. c. 58.
<lb/>I
<lb/>30 Iacopo Inghirami Generale nel 1625. Elog. c. 60.
<lb/>31 Ippolito Aldobrandini Card. nel 1638. Elog. c. 62.
<lb/>32 Isabella Infanta di Sauoia nel 1626. Elog. c. 64.
<lb/>L
<lb/>33 Leonora Principessa di Toscana nel 1617. Elog. c. 66.
<lb/>34 Leonora da Este Principessa di Venosa nel 1637. Elog. c. 68.
<lb/>35 Leonora Saluiati nel 1628. Elog. c. 70.
<lb/>36 Lorenzo del Senator Carlo Strozzi nel 1638. Elog. c. 72.
<lb/>M
<lb/>37 Maddalena Strozzi Saluiati nel 1634. Elog. c. 74.
<lb/>38 Margherita Ardinghelli nel 1636. Elog. c. 76.
<lb/>39 Maria Capponi Baglioni nel 1634. Elog. c. 78.
<lb/>40 Marino Caracciolo Princ. d'Auellina nel 1630. Elog. c. 80.
<lb/>O
<lb/>41 Onesta Camerotti Adimari nel 1604. Elog. c. 82.
<lb/>42 Orso d'Elci Conte nel 1636. Elog. c. 84.
<lb/>43 Ottauio Rinuccini nel 1623. Elog. c. 86.
<lb/>P
<lb/>44 Pietro Aldobrandini nel 1629. Elog. c. 88.
<lb/>45 Piero Bonsi Senatore nel 1626. Elog. c. 90.
<lb/>46 Pier Antonio Guadagni nel 1633. Elog. c. 92.
<lb/>47 Piero Guicciardini Marchese nel 1626. Elog. c. 94.
<lb/>R
<lb/>48 Ridolfo della Stufa nel 1624. Elog. c. 96.
<lb/>S
<lb/>49 Sebastiano Ximenez Senatore nel 1633. Elog. c. 98.
<lb/>50 Siluio Piccolimini Cau. nel 1634. Elog. c. 100.
<pb n="1"/>
<lb/>DELLA
<lb/>MELPOMENE
<lb/>D'ALESSANDRO
<lb/>ADIMARI
<lb/>PROEMIO 
<lb/>SPECCHIO da rimirar l'interno humano, 
<lb/>Per compor l'Alma, e far le Menti accorte, 
<lb/>MELPOMENE, il pensiero è della Morte, 
<lb/>Tu me l'additi, io non vi guardo inuano. 
<lb/>Spero in esso veder quanto sia vano
<lb/>L'ardir del Grande, il contrastar del Forte, 
<lb/>La Speranza fallace, aspra la Sorte, 
<lb/>La Bellezza caduca, il senno insano. 
<lb/>Voi, ch'intanto ascoltate il mesto suono, 
<lb/>Che sol misero auanzo è de' passati, 
<lb/>Impetrate a lor pace, a me perdono. 
<lb/>A me, s'al merto egual non van lodati; 
<lb/>A lor, per ch' il pregar pe' Morti è buono, 
<lb/>Che, se moriro in Dio, son hor beati. 
<pb n="2"/>
<lb/>ELOGIO I. 
<lb/>ALESSANDRO ORSINI CARD. 
<lb/>Fú Principe di tanto valor dotato, che alla sua morte 
<lb/>immatura pianse vna gran parte degli huomini 
<lb/>del Mondo, 
<lb/>Et ardirei di dire, che haurebber pianto fin gli Angeli 
<lb/>stessi del Paradiso, 
<lb/>se quei non l'hauessero (come io credo) per l'innocenza 
<lb/>della Vita, e per la santità de' Costumi
<lb/>ne loro beati seggi con interno riso raccolto. 
<lb/>La breuità del Tempo non li tolse il correre lo Stadio 
<lb/>della virtù; 
<lb/>Perche affrettandoui altrettanto il piede, e vestendosi 
<lb/>l'abito dell' onore
<lb/>Prima sul dorso dell' animo, che su gli omeri del Corpo 
<lb/>era di già peruenuto al termine della gloria 
<lb/>quando la cieca, &amp; inuidiosa Parca lo 
<lb/>credeua ancor alle mosse
<pb n="3"/>
<lb/>SONETTO I. 
<lb/>In Morte dell'Eminentiss. Sig. Card. Alessandro
<lb/>Orsino. 
<lb/>QVESTI, che d'ostro il nobil Crin cerchiato
<lb/>Sembrò fiamma gentil, ch'alto sormonte, 
<lb/>Fiamma ben fù, che del gran foco al fonte: 
<lb/>Se ne torn'oggi, a più bell'Orse allato. 
<lb/>Ahi Non se ne pianga hor l'ultimo fato, 
<lb/>S'ammirin l'opre, e le Virtu più conte, 
<lb/>Che nel poggiare al glorioso monte
<lb/>Chi di lui fù pui forte, o più beato? 
<lb/>Parue Cintia in Ortigia, Apollo in Delo, 
<lb/>Al casto affetto, al sacrosanto ardore, 
<lb/>E parue Angelo al fin fotto vman velo. 
<lb/>E così fà, chi del Celeste amore, 
<lb/>Per esser luce, e Cardine del Cielo
<lb/>Si veste pria le Porpore nel core, 
<pb n="4"/>
<lb/>ELOGIO II.
<lb/>ALESSANDRO MARZI MEDICI. 
<lb/>Nato di quella chiarissima Famiglia, che per seruizi fatti
<lb/>alla Sereniss. Casa di Toscana, hebbe vna parte
<lb/>della sua Arme gentilizia, e del Cognome; 
<lb/>Portò se stesso auanti con vna esquifita litteratura, e con
<lb/>vna eccellente Bontà di vita: 
<lb/>Però, dopo essere stato Can. Fiorentino, e Vescouo di
<lb/>Fiesole, fù assunto all'Arciuescouado di Firenze: 
<lb/>Oue multiplicò talmente i talenti, che Dio li diede, che
<lb/>ben possette esser chiamato a godere nella
<lb/>Gloria del suo Signore. 
<lb/>Ma perche non si danno le Corone se non a chi
<lb/>legittimamente combatte: Parue simile al
<lb/>Pio Buglione
<lb/>Poi che, dopo infiniti trauagli, l'anno della Peste
<lb/>del 1630. 
<lb/>visitando con publica Processione per la publica salute
<lb/>il Tempio della Santissima Nunziata di Firenze, 
<lb/>e passando poco dopo all'altra vita, 
<lb/>possette di lui dirsi; che anch'egli entrando nella celeste
<lb/>Gerusalem Adorasse, e sciogliesse il voto
<pb n="5"/>
<lb/>SONETTO II.
<lb/>In Morte di Monsig. Aless. Marzi Medici
<lb/>Arciuescouo di Firenze. 
<lb/>SV buon seruo fedel posa il mortale, 
<lb/>Entra in gloria à goder del tuo signore, 
<lb/>Se piange il gregge tuo senza Pastore, 
<lb/>Piange te suo Pastor, quanto il suo male. 
<lb/>Tu schiui hor d'ogni guerra il crudo strale, 
<lb/>Ei si riman tra'l ferro, e tra'l dolore, 
<lb/>Tu di peste il colpir fuggi, e 'l timore, 
<lb/>Ei resta in parte, oue il fuggir non vale, 
<lb/>Se lice inuidia hauer dell' altrui sorte, 
<lb/>Per te nell' alma mia sent' oggi un moto, 
<lb/>Che la tua vita inuidia, e la tua morte, 
<lb/>Tu, giunto oggi à Sion per fin diuoto
<lb/>(Quasi del Pio Buglione emul più forte)
<lb/>C'insegni il gire al Tempio, e sciorre il voto. 
<pb n="6"/>
<lb/>ELOGIO VI. 
<lb/>OH CARLO LVIGI 
<lb/>Duca di Gioiosa, e Parì di Francia, 
<lb/>Per fiorir Fiorenza di leggiadrissimi fiori 
<lb/>non mancaua altro, che quella nuoua, &amp; aurata corona 
<lb/>di generosi figliuoli, 
<lb/>Che il magnanimo &amp; amabil CARLO Duca di Ghisa 
<lb/>tuo Padre
<lb/>hà ricourati dal freddo Cielo della Senna, su le temperate 
<lb/>riue dell'Arno. 
<lb/>Ma la mutanza dell'vmane cose hà volsuto, che vn’ 
<lb/>improuiso inuerno offenda il candore de'
<lb/>gigli, &amp; il minio del tuo bel volto. 
<lb/>Forse per che l'ordine della temporal Primauera anco in 
<lb/>te si riconosca; 
<lb/>Quella nel colmo delle sue bellezze vien dal calore della 
<lb/>State, e dal desiderio dell'acque oppressa; 
<lb/>Tu nel più bello de' tuoi pregi, e nella copia immensa 
<lb/>d'infinite Grazie, e Virtù, 
<lb/>da fuoco di maligna Febbre, e da sete d'Idropisia assalito,
<lb/>languisci. 
<lb/>Confortati nondimeno, 
<lb/>Perche i Gigli, quanto han più vita, han anco minor 
<lb/>vaghezza, Ma le Rose, quanto han più sete, 
<lb/>hanno anco maggior colore. 
<pb n="7"/>
<lb/>SONETTO VI. 
<lb/>In Morte dell' Illustriss. &amp; Eccellentiss. Carlo Luigi d
<lb/>i Loreno Duca di Gioiosa. 
<lb/>REGIO Garzon, che sul fiorir degli anni
<lb/>Le Rose, e i Gigli tuoi cedi all'Inuerno, 
<lb/>Piangerem forse il tuo finir gli affanni, 
<lb/>O che cerchi alla sete un Riuo eterno? 
<lb/>Piangasi il fin de gli empi, e de' Tiranni, 
<lb/>Non di chi visse in terra Angelo interno, 
<lb/>La Fenice al morir s'inuola a i danni, 
<lb/>Il Mondo ognor fugaci acque ha d' Inferno, 
<lb/>Cadi affetato, è ver, su l'altrui riue, 
<lb/>Giouane, è ver, ma dona incontro à Lete, 
<lb/>Vita il Ben, Patria il Ciel, Diol' Acque viue. 
<lb/>O presagio immortal d'alta quiete, 
<lb/>Il Giglio hà più Candor, quanto men viue. 
<lb/>La Rosa hà più Color, quanto hà più sete. 
<lb/>Per error nella Tauola s'è posto Arrigo per Carlo però deue ire alla lettera C dopo il Sonetto 5.
<pb n="8"/>
<lb/>ELOGIO IV. 
<lb/>CAMMILLA ROSSI de' Conti da San SECONDO, 
<lb/>Vedoua di Fabrizio Barbolani de' Conti di 
<lb/>Montauto, 
<lb/>Meritò per le Grazie, che in lei concorreuano, 
<lb/>Tanta grazia appresso la Sereniss. Cristiana di Loreno 
<lb/>Gran Duchessa di Toscana, 
<lb/>Che, riceuutola per sua Dama maggiore d'onore, 
<lb/>l'amò tenerissimamente. 
<lb/>Ed ella con esatta diligenza, e fede, corrispondendo a gli 
<lb/>obblighi, 
<lb/>Fece acquisti in vita, e meritò giunta à morte, 
<lb/>Vn funerale nobilissimo à costo di quell'Altezza, 
<lb/>Oue il Candore d'vna immensità di Cera ardente, parue, 
<lb/>che rappresentasse
<lb/>la Bianca immagine della sua Pudicizia, 
<lb/>é l'eminente Porpora de' suoi nobilissimi Natali. 
<pb n="9"/>
<lb/>SONETTO IV. 
<lb/>In Morte dell'Illustriss. Sig. Marchesa Cammilla de
<lb/>Rossi, de' Conti da Sansecondo
<lb/>SON queste faci alla tua Pira intorno, 
<lb/>Non insegne di Morte, o di dolore, 
<lb/>Per ch'inuitta virtù già mai non muore
<lb/>Ne muore il Sol, benche s'estingua il giorno. 
<lb/>Ma son, CAMMILLA, un simulacro adorno
<lb/>Delle grandezze tue, del tuo valore, 
<lb/>Quì miro accolto in un luce, e candore; 
<lb/>A te luce, e candor fù sempre attorno. 
<lb/>ROSSO acceso d'onor, BIANCO di fede, 
<lb/>O su ne'MONT' ACVTI, o d' Arno all'onda, 
<lb/>Sempre eguale à scourir mouesti il piede, 
<lb/>Vanne, ò bell' Alma, à niuna altra SECONDA, 
<lb/>CHE de' Giusti in morir l'alta mercede, 
<lb/>Come Palma fiorisce, e Cedro abbonda. 
<pb n="10"/>
<lb/>ELOGIO V.
<lb/>CAMMILLO GVIDI. 
<lb/>Toltosi da Volterra sua Patria, 
<lb/>e datosi alla Relig. de' Cau. di S. Stefano 
<lb/>Picciolo di Corpo, 
<lb/>Di nobiltà grande, 
<lb/>Immenso d'animo, 
<lb/>Passò al seruizio della Sereniss: Casa
<lb/>di Toscana: 
<lb/>Iui con fedeltà, pari all' istessa Fede, 
<lb/>Secretario confidente alla Corona di Ferd. 
<lb/>I. e di Cosimo, II. impiegato in Carichi
<lb/>importantissimi giunse a Morte: 
<lb/>Se morto si può dir colui, 
<lb/>Che morendo nasce ad vno immortale
<lb/>Onore. 
<pb n="11"/>
<lb/>SONETTO V. 
<lb/>In Morte del Sig. Cau Cammillo Guidi
<lb/>Sec. del Sereniss. di Toscana
<lb/>Ha' de' Regi quà giù l'immensa mole
<lb/>Duo presidi all' incarco, il Ferro, e'l Senno, 
<lb/>Ma il Ferro al pondo suo rouinar suole, 
<lb/>Se del consiglio altrui non serue al cenno: 
<lb/>Quindi un Cammillo già, qual nebbia al Sole, 
<lb/>Intrepido fugò l'armi di Brenno. 
<lb/>Et vn nuouo CAMMILLO i pregi hor vuole,
<lb/>Ch'alla parte miglior porger si denno. 
<lb/>Colmo di Fe, pien di Prudenza il petto
<lb/>Lo vide il Re dell' Arno, e'l vide insieme
<lb/>Harpocrate al tacer, Febo al concetto; 
<lb/>O GVIDI, al morir tuo, chi per te geme
<lb/>Le nostre Glorie inuidia, e'l tuo diletto, 
<lb/>CHE chi nasce all'Onor morte non teme. 
<pb n="12"/>
<lb/>ELOGIO VI. 
<lb/>CASSANDRA. 
<lb/>Nata di Cosimo Bardi Conte di Vernio, 
<lb/>e di Lucrezia Guicciardini. 
<lb/>Come Gemma di infinito pregio, per lo splendore d'vna
<lb/>ammirabile, e riuerita bellezza, e d'vna
<lb/>infinita virtù, 
<lb/>Incassata con auuenturose nozze nell'oro purissimo del 
<lb/>generoso Piero di Francesco Capponi Fratello 
<lb/>dell'Eminentiss. Card. Luigi, 
<lb/>Accrebbe i propri splendori, col sereno dell'Abate 
<lb/>Francesco, e del Marchese Scipione suoi 
<lb/>chiarissimi figliuoli, 
<lb/>con la fortezza in sostener la perdita dell'amato marito, 
<lb/>con la prudenza, con la vigilanza, col giudizio 
<lb/>con la Carità, onde innocentissima 
<lb/>conseruò la sua vita, e resse la
<lb/>Casa. 
<lb/>Il perche, sembrando vnica Fenice, fù richiamata dalla
<lb/>caduca Pira della Terra, all' eterna luce del Cielo, 
<lb/>il giorno della gloriosissima Natiuità
<lb/>di GIESV CRISTO N. S. 
<lb/>attestandoci col proprio successo, 
<lb/>Che morendo i Giusti non incontrano la morte; 
<lb/>Ma la Vita d'vn fortunato Natale. 
<pb n="13"/>
<lb/>SONETTO VI. 
<lb/>In morte della Sig. Cassandra Bardi Capponi
<lb/>DICA sul Rogo tuo le voci estreme, 
<lb/>Sparga l'acqua col pianto a te d'intorno, 
<lb/>O CASSANDRA, quei sol, ch'il tuo bel giorno
<lb/>Si crede con la vita estinto insieme: 
<lb/>Ch' io già non piangerò, per che non geme
<lb/>Chi sà, ch' in Ciel più bella hor fai ritorno, 
<lb/>Sprezza la Morte un cuor di pregi adorno, 
<lb/>Che quel ch'in van si fugge, in van si teme, 
<lb/>Deh, come può morir fra cieco oblio
<lb/>Fenice, ch'al finir s'impenna l'ale, 
<lb/>E comincia morendo il dì natío? 
<lb/>O presagio di Gloria alta, e vitale, 
<lb/>Tu mori oggi, che nasce in terra Dio, 
<lb/>Per ch'a chi muore in Dio, Morte è Natale. 
<pb n="14"/>
<lb/>ELOGIO VII. 
<lb/>CLAVDIA
<lb/>Dell' Illustrissima Casa D' Albon franzeze 
<lb/>Cresciuta nella Corte di Toscana accettissima Dama, e 
<lb/>poi Matrona d'onore, 
<lb/>della Sereniss. Cristiana di Loreno. 
<lb/>Fu moglie del valoroso Capitano Cammillo Coppoli, 
<lb/>dalle cui nozze trasse vno splendor maggiore, 
<lb/>Che fu l'effer madre del Marchese Francesco vnico 
<lb/>erede della sua generosa Bontà. 
<lb/>Veramente l'Aquile, e le Colombe non degenerano. 
<lb/>Prouò nondimeno i colpi d'auersa Fortuna, 
<lb/>E per la fresca vedouanza, e per la perdita de' suoi 
<lb/>maggiori: Con tutto ciò, con indicibil fortezza 
<lb/>rabbellì sempre il Candore della sua Fede, 
<lb/>Onde al suo trauaglioso mare, agittato, e biancheggiante 
<lb/>da raddoppiate percosse, 
<lb/>venne a ragione adattato quel motto, Espresso in vna
<lb/>sua proporzionata Impresa, MAS TORMENTA, 
<lb/>MAS CANDOR. 
<pb n="15"/>
<lb/>SONETTO VII. 
<lb/>In Morté di madama Claudia D' Albon
<lb/>CHIVSO, CLAVDIA, il tuo giorno, e 'l varco aperto
<lb/>Al Teatro di Fama alta, e serena, 
<lb/>Chi ben finì la sua mortale scena, 
<lb/>Hà di lagrime in vece applauso, e merto. 
<lb/>Ma qual de pregi tuoi dirò poi certo
<lb/>Penelope a gli affetti, al volto Elena, 
<lb/>Se le virtù d'altrui son ombre appena
<lb/>Di quel, ch'hai meglio oprato, e più sofferto? 
<lb/>Pietà, Fortezza, e Fè, Costanza, Onore
<lb/>Rabbellironsi in te fra le procelle. 
<lb/>Qual Mar, CH' in piu tempesta hà piu candore: 
<lb/>Ite hor Vedoue spoglie, Ite piu belle, 
<lb/>Si scorgon meglio entro al notturno orrore
<lb/>Quando è sparito il giorno anco le stelle, 
<pb n="16"/>
<lb/>ELOGIO VIII
<lb/>Il morire carica d'anni, e d'onore; 
<lb/>Et l'esser sepolta, oue hanno la Tomba i Saluiati di cui
<lb/>nascesti, 
<lb/>&amp; i Niccolini, a cui maritata viuesti, 
<lb/>Fu, ò CATERINA vn ridursi, dopo lunga nauigazione, 
<lb/>felicemente in Porto: 
<lb/>Onde io non saprei nel sasso del tuo sepolcro qual delle 
<lb/>tue venture per la più sublime intagliare, 
<lb/>se non il Titolo d' ONORATA MATRONA, 
<lb/>Perche, hauendoci lasciati il Cau: Francesco Ambasciadore 
<lb/>per il Sereniss. di Toscana a Roma, 
<lb/>et il Marchese Filippo tuoi chiarissimi figliuoli, dimostri, 
<lb/>che alle nobili Cornelie
<lb/>Già mai non mancarono i Gracchi. 
<pb n="17"/>
<lb/>SONETTO VIII. 
<lb/>In Morte della Illustriss. Sig. Caterina Saluiati Niccolini 
<lb/>Madre del Sig. Cau. Franc. Ambas. e del Sig. 
<lb/>Marchese Niccolini. 
<lb/>QVESTA che d'anni carca, e più d'onore, 
<lb/>Per l'Egeo della vita approda in Cielo, 
<lb/>Non lascia, come l'altre, esca al dolore, 
<lb/>Il vederla oggi in Terra ombra di gelo, 
<lb/>Ci lascia ben partendo in dubbio il core
<lb/>Se Virtù, Fede, Amor, Pietade, e zelo
<lb/>In altri, fuor ch'in lei, visse maggiore, 
<lb/>Dal Mondo infante, a che fe bianco il pelo; 
<lb/>Mai piu concludon poi, che non somigli
<lb/>Al suo nessun valor, s'è vero il detto, 
<lb/>CHE si lodan le Madri al suon de' Figli, 
<lb/>O CATERINA, o Madre, o suono, o Petto, 
<lb/>Ch'al Tebro i vanti accresci, all' Arno i Gigli, 
<lb/>Nel dirti Madre, ogni tuo pregio hò detto. 
<pb n="18"/>
<lb/>ELOGIO IX. 
<lb/>COSIMO II. 
<lb/>Sposata la Sereniss. Maria Maddalena 
<lb/>Arciduchessa d' Austria, e successo 
<lb/>nel Dominio di Toscana
<lb/>al Gran Duca Ferdinando suo Padre, 
<lb/>Sarebbe vissuto in vn secolo felicissimo, 
<lb/>se pari al vigore dell'animo, &amp; alla 
<lb/>tranquillità de' Tempi
<lb/>hauesse incontrato la Sanità del Corpo: 
<lb/>Magnanimo, Inuitto, Pio, Religioso, Giusto, 
<lb/>Forte, e Prudente soura ogni credenza 
<lb/>Vmana, 
<lb/>Arricchì la Sereniss. sua Casa di nobilissima 
<lb/>Prole, Vnica speranza, e Conforto 
<lb/>a gli sconsolati suoi sudditi, che per 
<lb/>l'ingenua sua Bontà, non 
<lb/>credeuano
<lb/>(Oh abissi impenetrabili di Dio) 
<lb/>lo douesse toccar sì presto il formidabil 
<lb/>tormento di Morte. 
<pb n="19"/>
<lb/>SONETTO IX. 
<lb/>In Morte del Serenissimo Cosimo II. 
<lb/>Gran Duca di Toscana
<lb/>COSMO se' morto, alla tua vita i voti
<lb/>Consacrai sempre a riuerirti intento, 
<lb/>Ahi, che siam polue, il respirare vn vento, 
<lb/>Siam Bolle d'acqua all'apparenza a' moti: 
<lb/>Ma se non vuole DIO, ch'i suoi diuori
<lb/>Sentin di Morte mai colpo, o tormento, 
<lb/>Se mill'anni appo lui sono un momento
<lb/>Come estinto, o mio RE, vuol ch'io ti noti? 
<lb/>A te, ch'eri pur suo, misero oppresso, 
<lb/>Vn Atomo di vita in quei pochi anni
<lb/>Alla misura sua non hà concesso. 
<lb/>Ah liuida ignoranza, bor non c'inganni, 
<lb/>Più caro è chi gli và più presto appresso, 
<lb/>LA Morte è scala al Ciel per via d'affanni, 
<pb n="20"/>
<lb/>ELOGIO X.
<lb/>COSIMO MINORBETTI. 
<lb/>Eguale nella nobiltà a' Nobili della sua Patria, 
<lb/>Superiore nella Dotrina a molti gran litterati del suo
<lb/>tempo, &amp; a niuno inferiore di Bontà, 
<lb/>Canonico Fiorentino, apparue lo splendore de' Sacerdoti, 
<lb/>Arcidiacono del medesimo Duomo, la norma del viuer
<lb/>Cristiano, 
<lb/>Vescouo di Cortona, la Regola dé perfetti Prelati, 
<lb/>Il Gran Duca Cosimo II. 
<lb/>Che lo conobbe tale, lo propose capo all'educazione 
<lb/>del Principe Ferdinando suo Primogenito, 
<lb/>Et egli nelle morali, nelle politiche, e nelle diuine scienze 
<lb/>ammaestrandolo, 
<lb/>Fù seco nella gita all'Imperadore, quasi Raffaello con vn 
<lb/>generoso Tobbia. In ciò solamente diuerso, 
<lb/>Che quella Angelica scorta
<lb/>Sparí da gli occhi vmani dopo il ritorno, e questi (oh 
<lb/>dolore, oh perdita lacrimosa) nell'istesso viaggio, 
<pb n="21"/>
<lb/>SONETTO X. 
<lb/>In Morte di Monsig. Cosimo Minorbetti Vescouo di
<lb/>Cortona. 
<lb/>FIGLIO mio, caro Amor, che dico, o Dio, 
<lb/>Deuo Padre appellarti, oue ten'vai, 
<lb/>Di morte in sen per non tornar già mai
<lb/>Ne pur l'Ossa rimandi al suol natío; 
<lb/>Quando il Tesbita all'aureo Ciel salío
<lb/>Lasciare almeno il manto a' suoi mirai, 
<lb/>E lasciò Fidia i Marmi, oue tu sai
<lb/>Qual arco ei tese a saettar l'obblío. 
<lb/>Si disse al tuo morir, Gran MINORBETTI, 
<lb/>Flora, ondeggiando in mar d'aspro dolore, 
<lb/>E tu cosí, per acquetar gli affetti: 
<lb/>Taci, ch'or hai da me cosa maggiore, 
<lb/>Ti lascio il Rege tuo, reso a' miei detti, 
<lb/>Teatro di virtù, Tempio d'onore. 
<pb n="22"/>
<lb/>ELOGIO XI
<lb/>OH COSTANZA VETTORI, 
<lb/>Se la Nobiltà del Marchese Luigi tuo Padre, Se la
<lb/>Giouentù de tuoi verdi anni, 
<lb/>Se la bellezza del volto, e dell'animo, Se la felicità della 
<lb/>tua fortuna, 
<lb/>Hauesser potuto ritrouar pietà nella Morte, al sicuro, c
<lb/>he per tante tue prerogatiue
<lb/>le hauresti fatto cadere la falce di mano. Ma ella, sempre 
<lb/>con tutti inesorabile, teco si mostrò 
<lb/>maggiormente crudele; 
<lb/>Poi che, non riguardando a veruno di tanti tuoi pregi, 
<lb/>estinse la tua vita in quell'ora, 
<lb/>Che ad vn figlio col partorire desti la vita Oh ricompensa 
<lb/>del mondo ingrata, 
<lb/>Oh contenti vmani sempre assaliti dal dispiacere, Oh 
<lb/>fortezza inuincibile de gli animi nobili: 
<lb/>Io non sò distinguere, se il Marchese Ruberto Capponi, 
<lb/>tuo sposo, che sostenne così gran colpo, 
<lb/>nel fine della tua vita perdesse, 
<lb/>O nel principio della tua Morte, acquistasse, Vna
<lb/>COSTANZA maggiore. 
<pb n="23"/>
<lb/>SONETTO XI. 
<lb/>In Morte della Sig. Costanza Vettori moglie fù dell'
<lb/>Illustriss. Sig. Marchefe Ruberto Capponi. 
<lb/>LACRIMEVOL pietà, che miro, e sento!
<lb/>S'asconde in terra a mezzo giorno il Sole? 
<lb/>Vn April, su l'aprir Gigli, e Viole
<lb/>Riman di fiori impouerito, e spento? 
<lb/>LA COSTANTE VITTORIA in un momento
<lb/>In mezzo al Trionfar perde, e si duole? 
<lb/>Virtù, Senno, e Bellezze al mondo sole
<lb/>Sono a' colpi di Morte ombra, e spauento? 
<lb/>Così và, Febo ancor s'al colmo ariua
<lb/>Ritorna indietro, e spesso a' rastri accanto
<lb/>Disperde il frutto suo la messe estiua, 
<lb/>Semel, si grata al Ciel, non si diè vanto
<lb/>Di partorire anch'ella, e restar viua, 
<lb/>TANTO è vicino all'allegreza il pianto. 
<pb n="24"/>
<lb/>ELOGIO XII. 
<lb/>CRISTINA Figliuola di CARLO DVCA DI LORENO 
<lb/>Come eletta da Dio a reggere &amp; a produrre chi regga
<lb/>gli Scettri, 
<lb/>Fu nobilmente in Corte di Caterina de' Medici, Regina 
<lb/>di Francia, alleuata. 
<lb/>Indi Sposa di Ferdinando P. Gran Duca di Toscana III. 
<lb/>Come generoso rampollo in ottima pianta inestato, 
<lb/>produsse di Pietà, di Religione, di Magnanimità, 
<lb/>di Fortezza, di Prudenza, e d'ogni altra 
<lb/>eroica virtù frutti marauigliosi. 
<lb/>Feconda di figliuoli, e ricca d'ingegno, e di bontà; restata
<lb/>vedoua, e poscia priua del Gran Duca Cosimo II. 
<lb/>suo Primogenito, attese con tanto giudizio
<lb/>alla cura de gli Stati del Giouanetto Gran
<lb/>Duca Ferdinando suo Nipote, e
<lb/>talmente vnita con
<lb/>MARIA MADDALENA
<lb/>Arciduchessa d'Austria sua Nuora, 
<lb/>Che ben parue a quel tempo la Giustizia, e la Pace essersi
<lb/>di nuouo incontrate, e baciate insieme. 
<lb/>Onde l'Etruria, che la riuerì nel soglio terreno, resta
<lb/>eternamente obbligata a pregarle maggior
<lb/>residenza nel Cielo. 
<pb n="25"/>
<lb/>SONETTO XII. 
<lb/>In Morte della Sereniss. Christina di Loreno, moglia fù 
<lb/>del Sereniss. Ferd: I. Gran Duca di Toscana. 
<lb/>ITE incontro a quest' Alma alta immortale,
<lb/>Ch'in sen l' apre hà di CHRISTO, e'l nome in fronte, 
<lb/>Angeli, o voi, ch'al sempiterno fonte
<lb/>Beuete in Paradiso onda vitale: 
<lb/>Ite non per aita a lei che sale, 
<lb/>Che Dio stesso gli è scala, e'l Ciel gli è ponte, 
<lb/>Ma per alzar di sue virtudi un Monte, 
<lb/>Ite a farle di gloria un Tron Reale, 
<lb/>Incontrila sua fè l'istessa Fede, 
<lb/>Porti il suo Amor la Caritade al Polo, 
<lb/>Sol frà noi la Speranza arresti il piede: 
<lb/>Rimanete ancor voi lacrime, e duolo, 
<lb/>CHE tormento di Morte vnqua non fiede
<lb/>Chi fà col suo valor Vela al suo volo. 
<pb n="26"/>
<lb/>ELOGIO XIII.
<lb/>DONATO dell' ANTELLA 
<lb/>Patritio, e Senatore Fiorentino, fù chiarissimo lume 
<lb/>di Magnanimità, di Fortezza, di Giudizio, 
<lb/>e di singolar Prudenza Ciuile.
<lb/>Con questi arredi ascese a quei più subblimi gradi, 
<lb/>Che al seruizio della sua Patria, e de' suoi
<lb/>Principi, lo potettero innalzare: 
<lb/>Visse Celibe
<lb/>Lasciò morendo emuli, e seguaci del suo valore, 
<lb/>i Nipoti: 
<lb/>Fra quali Niccolò principalissimo Senatore anch'egli;
<lb/>Auditore, e Consigliere di Stato del Sereniss. 
<lb/>Gran Duca di Toscana fù grande; 
<lb/>Onde io non sò, se più il Nestore, che il Catone
<lb/>di Firenze si deua appellare. 
<pb n="27"/>
<lb/>SONETTO XIII
<lb/>In morte dell' Clariss. Sig. Donato dell' Antella
<lb/>Senatore Fiorentino. 
<lb/>CADI ò Nestor dell'Arno, e teco insieme
<lb/>Sembra cader della tua patria il pondo, 
<lb/>E la Vergine Astrea fuggir dal Mondo, 
<lb/>E disperata impalidir la Speme
<lb/>Ma quale Anteo, che Berecintia preme, 
<lb/>E tragge indi valor dalsen profondo, 
<lb/>O quale Augel nel Rogo suo fecondo, 
<lb/>Tal de Grandi il morir, morte non teme.
<lb/>Seme sparso d'onor fin dall' Aurora, 
<lb/>Se pur dianzi il couerse Espero ingrato, 
<lb/>Dal funebre terren germoglia ancora, 
<lb/>Già ne' posteri tuoi, Spirto beato, 
<lb/>Qual Sol, ch'al tramontar le Stelle indora, 
<lb/>Luce radoppi al declinar del Fato. 
<pb n="28"/>
<lb/>ELOGIO XIV. 
<lb/>ELISABET SOVTHVEL
<lb/>Fù moglie di Ruberto Dudleo Conte di Veruich, 
<lb/>e Duca di Nortumbria, 
<lb/>Di tanta religione, e bontà dotata, 
<lb/>Che per mantenere il viuo candore della Cristiana Fede, 
<lb/>Amò piu tosto, come Ermellino, 
<lb/>Esulando col marito frà molti incomodi morire, Che
<lb/>imbrattarsi, viuendo in Inghilterra sua Patria, 
<lb/>in qualche fango d'Eresia. 
<lb/>Bellissima di Corpo, ma piu d'animo. Partori bellissimi
<lb/>figliuoli In Fiorenza, 
<lb/>Oue, per benignità de Sereniss. di Toscana, fù nobilmente 
<lb/>col Consorte raccolta. 
<lb/>Ma in quel mentre, che all'infermità del maggiore assisteua 
<lb/>infermatasi, 
<lb/>Poco dopo il di lui transito anch'ella spirò? 
<lb/>Lasciando improuisamente vedouo, &amp; orbato il marito, 
<lb/>Anzi védoua, &amp; orbata la morte, 
<lb/>Che in vece di vedersela compagna, la scorse, con la 
<lb/>veste nuziale d'infinite buon opere, passare 
<lb/>all'eterno conuito del Cielo. 
<pb n="29"/>
<lb/>SONETTO XIV. 
<lb/>In Morte della Eccellentiss. Sig. Elisabetta Southuel, 
<lb/>Moglie fù dell'Eccellentiss. Sig. Roberto Dudleo, 
<lb/>C. di Veruich, e Duca di Nortumbria. 
<lb/>E CHE fai tu pietà, doue se' gita,
<lb/>A pianger forse in disperato Orrore?
<lb/>O per l'immenso Egeo d'alto dolore
<lb/>T'hà sommersa horamai l'onda infinita? 
<lb/>Di sì gran Madre all'ultima partita
<lb/>Di sì gran Figlio al già defunto amore, 
<lb/>Chi non s' affligge, o chi non perde il Core, 
<lb/>O l'anima hà di sasso, o non hà vita
<lb/>Ben lo fai tu ROBERTO, amante amato, 
<lb/>Che vorresti del Rogo esser consorte, 
<lb/>Se'l permettesse inesorabil Fato, 
<lb/>Ma piangi il danno tuo, non l'altrui sorte, 
<lb/>D'ELISABET, a Dio riposta allato, 
<lb/>E' Sposo il Cielo, e Vedoua la Morte. 
<pb n="30"/>
<lb/>ELOGIO XV. 
<lb/>Le tue lacrime (o CATERINA Adimari) 
<lb/>per la perdita del caro Beniamino delle tue viscere 
<lb/>seguita in Fiandra, quando in vn esercito, che 
<lb/>scorreua si trouò frà pochi esser colpito 
<lb/>Inondano talmente l'altrui Pietà, che non è cuor sì 
<lb/>solleuato, che non s'allaghi, nel tuo dolore: 
<lb/>Tu, dopo la lunga Vedouanza del fortissimo Enea 
<lb/>Piccolomini tuo marito. morto anch'egli in fazione, 
<lb/>Vedi oggi spento il Conte EVANDRO, non sò se dir mi 
<lb/>debba più tuo figliuolo, che tua delizia, 
<lb/>Figliuolo in vero degno del materno Amore per le sue 
<lb/>rare qualità, 
<lb/>Delizia per gli amabili costumi, e per esser l'vltimo pegno 
<lb/>del tuo castissimo letto, e per la copiosa erudizione 
<lb/>in ogni genere di virtú. 
<lb/>Ma per che la militare è propria della sua generosa stirpe, 
<lb/>non Piangere, 
<lb/>Perche lo partoristi all'onore, e l'onore si acquista non
<lb/>meno morendo frà l'armi, che viuendo frà le lettere, 
<lb/>Il valore, e le fortuna del Gloriossimo frà OTTAVIO 
<lb/>la dottrina, e la bontà di Mons: ASCANIO Arciu: di 
<lb/>Siena suoi zij ricompenseranno ogni tua 
<lb/>perdita, sendo verissimo
<lb/>Che il principio de' Grandi concepisce, &amp; il fine de' 
<lb/>medesimi partorisce la Fama. 
<pb n="31"/>
<lb/>SONETTO XV. 
<lb/>In Morte dell'Illustriss. Sig. Conte Euandro Piccolomini
<lb/>SEGVACE del Padre, e del Germano
<lb/>Nell'Onor, nella Vita, enella Morte, 
<lb/>Guerrier fanciullo, insieme, acerbo, e forte, 
<lb/>Chi non piange al tuo fin, sembra inhumano. 
<lb/>Cader nell' Alba il tuo valor sourano, 
<lb/>Mancar quando Vittoria apre le porte, 
<lb/>Toccar fra mille a tè l'infausta sorte, 
<lb/>E duro sì, che si consola in vano. 
<lb/>Pur dourebbe, il membrar frenarci i pianti, 
<lb/>Che de' Titani il fin ferro non ama. 
<lb/>Ma Destre eccelse, e fulmini tonanti. 
<lb/>Ahi, chiunque è Grande, e PICCOLНVOM si Chiama, 
<lb/>Ben deue anco morir come i Giganti, 
<lb/>Mentre anco al suo morir nasce la Fama. 
<pb n="32"/>
<lb/>ELOGIO XVI. 
<lb/>La Maestà dell'Imperio, 
<lb/>E come la Cima del Monte Olimpo, 
<lb/>Soura il quale si può ben da lontano drizzar lo sguardo, 
<lb/>acciò che l'occhio ammiri il Sole, che l'indora, 
<lb/>Ma non portarui il piede, 
<lb/>perche la lingua da vicino narri l'altezza, che lo sollieua. 
<lb/>Gli Imperadori col ginocchio riuerentemente s'onorano, 
<lb/>e col silenzio abbondeuolmente si lodano. 
<lb/>Ma si come è bello il veder quel monte sempre sereno, e
<lb/>soura ogni altro eminente
<lb/>Così ora farebbe tremendo il mirar FERDINANDO
<lb/>Cima eccelsa dell'Imperial Monarchia, atterrato qual
<lb/>Pelio subblime dal fulmine della morte, 
<lb/>Se quell'empia faretra giungesse ad estinguere la
<lb/>memoria de gli huomini eccelsi. 
<lb/>Male Teste Imperiali son coronate d'Alloro, per
<lb/>denotarci, ch'elle son difese dalle ingiurie del
<lb/>Tempos e delle Nubi. 
<lb/>Però a gli occhi degli insipienti sembra questo Princ. estinto
<lb/>Alla vista de' saggi apparisce regnar nella pace del Cielo, 
<lb/>mentre viuendo s'affaticò per la quiete del mondo, 
<lb/>E morendo sostituì ne' medesimi studi, e sudori, l'inuitto
<lb/>FERDINANDO ERNESTO nuouo Imperador
<lb/>suo figliuolo. Perch'vna lunga, e giusta guerra non
<lb/>hà per fine altro, ch'vna perfettissima pace. 
<pb n="33"/>
<lb/>SONETTO XVI. 
<lb/>In Morte della Sacra Maestà dell'Imperador
<lb/>Ferdinando. 
<lb/>O BREVE Onor mortale, o Fasto, o fato, 
<lb/>O Fumo, o Polue, o Vita ombra e dolore, 
<lb/>Dunque FERNANDO, il gran Monarca hor muore
<lb/>Di tanti fregi, e di tant'armi armato? 
<lb/>Ahi, che d'Alloro Imperial cerchiato, 
<lb/>Non sente un Crin già mai funesto orrore, 
<lb/>Pare a gli stolti estinto il suo valore, 
<lb/>Quando in pace egli è posto, anzi è beato. 
<lb/>Così nube talor la cima altera
<lb/>D'Olimpo a gli occhi altrui vela, e contende, 
<lb/>Che poi soura quel verno ha primauera. 
<lb/>Ogni Imperio da Dio qua giu discende, 
<lb/>Ritorna a dominar nella sua sfera
<lb/>Buon Rè, che lascia il Mondo, e in Cielo ascende. 
<pb n="34"/>
<lb/>ELOGIO XVII. 
<lb/>FERDINANDO GONZAGA DVCA
<lb/>DI Mantoua
<lb/>Al suo fine immaturo doueua trarre le lagrime
<lb/>dalle viscere d'ogni mortale, 
<lb/>E se l'vniuerso non pianse, 
<lb/>Fu, perche il mondo allora, 
<lb/>O non intese il suo merito, 
<lb/>O non conobbe le proprie miserie, o ne instupidì. 
<lb/>Le deplorande calamità, che soprastanno all'Italia per la 
<lb/>mancanza della sua Casa,
<lb/>Ne lo faranno (se Dio non prouuede) 
<lb/>facilmente ben tosto accorto. 
<lb/>Ma egli, che viuendo accoppiò le diademe Regali con
<lb/>la Porpora de' Prelati, e con le Corone de gli Allori:
<lb/>E morendo apparue meriteuole delle eterne, si crede
<lb/>asceso oggi in luogo tant'alto, 
<lb/>Che del nostro pianto non curi i nembi, 
<lb/>Del nostro desiderio non pauenti le perdite, 
<lb/>E delle nostre miserie non temi i colpi. 
<pb n="35"/>
<lb/>SONETTO XVII. 
<lb/>In Morte del Sereniss. Ferdinando Gonzaga
<lb/>Duca di Mantoua
<lb/>CHI piangerà di te l'ultimo fato, 
<lb/>Germe Real dell'onorata Manto; 
<lb/>Il Regno, il Saggio, il Seruo, il Giusto, il Santo, 
<lb/>O la Pace togata, o Marte armato? 
<lb/>Sembrasti al Regno vn Numa, al senno un Cato, 
<lb/>A' serui un Tullio, un nuouo Achille al Xanto, 
<lb/>Vn Ottauio alla Pace, un Febo al canto, 
<lb/>A buoni un Porto, al Tebro on Purpurato. 
<lb/>Piangerà dunque amaramente errando
<lb/>All'ombra de' più densi atri Cipressi
<lb/>Quanto hà di bello il Mondo, e d'ammirando, 
<lb/>E piangeriano ancor de' Cieli stessi
<lb/>Gli aurati lumi, al tuo morir, FERNANDO, 
<lb/>Ma pianger non si può doue t'appressi. 
<pb n="36"/>
<lb/>ELOGIO XVIII.
<lb/>FLAVIA MANCINI XIMENEZ. 
<lb/>Superiore nella bellezza ad Elena, 
<lb/>Nella Pudicizia a Penelope, 
<lb/>Nella Grazia all'istesse Grazie, 
<lb/>Mentre purpureggiaua come Rosa 
<lb/>al mattino de' suoi ridenti giorni, 
<lb/>Abbattuta da repentina morte, 
<lb/>Lasciò scompagnato, e dolente Rodrigo 
<lb/>Ximenez suo sposo, 
<lb/>E con orrore il mondo, che in lei
<lb/>(trasformata dal Vaiolo)
<lb/>miseramente conobbe, 
<lb/>Quanto la beltà sia fragile, breue, e caduco 
<lb/>dono. 
<pb n="37"/>
<lb/>SONETTO XVIII. 
<lb/>In Morte della Sig. Flauia Mancini Ximenez
<lb/>In Persona del suo sposo. 
<lb/>ODA mille occhi pianta, e mille cori, 
<lb/>Ben è l'umana vita un ombra un vento, 
<lb/>Dunque del tuo bel sen gli ostri, e gli auori
<lb/>Ci toglie inuida Parca in un momento? 
<lb/>Così mancan nell' Alba i primi fiori? 
<lb/>Così nell' Auge il tuo bel sole è spento? 
<lb/>E'l nido delle grazie, e de gli Amori, 
<lb/>E conuerso in bruttissimo spauento? 
<lb/>Morte, e perche sì deformar quel viso? 
<lb/>Forse perch' al ferir sì bel sembiante
<lb/>Non resti il mondo in un sol colpo vcciso? 
<lb/>Ahi, che temesti a tanto lume auante, 
<lb/>Senza prima oscurar quel Paradiso, 
<lb/>Diuentar viua, o diuenire amante. 
<pb n="38"/>
<lb/>ELOGIO XIX. 
<lb/>Mentre visse FORESTO, chiarissimo figliuolo del
<lb/>Magnanimo D. Cesare da Este Duca di Modona
<lb/>A guisa d'Aquila Generosa
<lb/>Tese il volo per l'ampia foresta del mondo si altamente, 
<lb/>Che ben dimostrò
<lb/>Come il Reale Vccello di Gioue, sua nobilissima insegna, 
<lb/>vestito col candore delle Colombe, non degenera
<lb/>già mai: Se dunque, terminato il bel corso
<lb/>de gli anni, 
<lb/>Trapassati con fortezza, Prudenza, Tolleranza, e
<lb/>Giudizio più che mortale, 
<lb/>Oggi, morendo, s'inalza ad affissarsi ne'Raggi
<lb/>del vero Sole. 
<lb/>E' cosa propria di quelle Penne, e di quegli Occhi 
<lb/>Che poco fà hanno saputo sprezzar la vista, e l'vso degli 
<lb/>scetri, e delle corone della Terra
<lb/>Il solleuarsi a mirare, e godere intrepidamente i Regni, 
<lb/>e le grandezze del Cielo. 
<pb n="39"/>
<lb/>SONETTO XIX. 
<lb/>In Morte dell'Eccellentiss. Sig. Foresto da Este
<lb/>Principe di Modona
<lb/>NON è FORESTO il nostro fin mortale
<lb/>Cosa, qual sebra altrui, dura, e funesta
<lb/>E proprio un trarr'il piè d'empia Foresta
<lb/>Ou'è chi sempre i Peregrini assale. 
<lb/>Al dipartir d'una virtù Reale
<lb/>Con immutabil suon la Fama resta, 
<lb/>E per sublime calle orme calpesta, 
<lb/>Oue d'Ira, o d'Inuidia arco non sale. 
<lb/>Ond'oggi l' Alma iua fuor dell'obblio
<lb/>Non muor, ma cangia albergo, e và sicura
<lb/>Dalla valle del pianto al Ciel natío. 
<lb/>Non si pianga per ciò la tua ventura, 
<lb/>Per ch'in effetto, a quel che muore in Dio
<lb/>LA MORTE E FIN D'VNA PRIGIONE OSCVRA. 
<pb n="40"/>
<lb/>ELOGIO XX. 
<lb/>FRANCESCO BONCIANI.
<lb/>Patrizio Fiorentino. 
<lb/>In cui fiorirono in grado eminente la bontà, e la dottrina, 
<lb/>Applicatosi al seruizio della Chiesa
<lb/>Diuenne della Paterna Metropoli Canonico, 
<lb/>&amp; Arcidiacono: 
<lb/>Indi, scoprendosi in lui mirabile prudenza, e valore, 
<lb/>Fu promesso all'Arciuescouado di Pisa, 
<lb/>E salito in grandissima stima appresso al sommo
<lb/>Pontefice, &amp; a' Sereniss. di Toscana, 
<lb/>Visse impiegato in Ambascerie alla Corona di Francia, 
<lb/>&amp; in altri nobilissimi affari: 
<lb/>Il Tebro facilmente l'haurebbe visto maggiore, 
<lb/>che non lo vidde Arno, 
<lb/>Se morte così presto non s'interponeua al suo
<lb/>felicissimo Corso. 
<pb n="41"/>
<lb/>SONETTO XX. 
<lb/>In Morte di Monsignor Francesco Bonciani
<lb/>Asciuescouo di Pisa
<lb/>QVESTI ch' in mezzo a lacrimoso coro
<lb/>Spento frà viue faci, e sangue hor pende,
<lb/>Altri lumi, altri raggi eterni accende, 
<lb/>Ne' Zaffiri del Ciel temprati in Oro. 
<lb/>E qual seruo fedel doppio il tesoro
<lb/>Così del suo talento oggi a Dio rende
<lb/>Che nell' erario eterno adorno splende
<lb/>Di smeraldi castissimi, e d'alloro, 
<lb/>E vorrem noi col sospirare intanto
<lb/>L'orme impresse alterar del suo valore, 
<lb/>O scancellarle al tempestar del pianto? 
<lb/>Torbido affetto ahi non c'inganni il core, 
<lb/>Giusto è se parte Elia, che lasci il manto. 
<lb/>Il Sol nell' Ocean casca, e non more. 
<pb n="42"/>
<lb/>ELOGIO XXI. 
<lb/>FRANCESCO MARIA BORBONI
<lb/>De' Marchesi del Monte santa Maria, 
<lb/>Non contento dell'eccelso monte de' suoi Natali, 
<lb/>atto a maggior salita; 
<lb/>Per ogni grado di bella Virtu s'inalzò fino alla
<lb/>sacra Romana Porpora. 
<lb/>Grato al mondo, 
<lb/>Gratissimo a Ferdinando I. Gran Duca di Toscana, 
<lb/>Vide finalmente
<lb/>(Cadendo la mole eccelsa del suo corporeo Olimpo 
<lb/>in mezzo alla Città de' sette monti)
<lb/>L'euento dell' vmane cose, e non altro, nel colmo 
<lb/>delle speranze, al suo merito inferiore. 
<pb n="43"/>
<lb/>SONETTO XXI.
<lb/>In Morte dell' Eminentissimo Sig. Cardinale Francesco 
<lb/>Maria Borboni De'Marchesi dal Monte Santa Maria, 
<lb/>NEL Teatro d'onor chi corre altero, 
<lb/>Qual premio haurà del faticar possente?
<lb/>Fallace mondo in te nol veggio, o spero, 
<lb/>Che son le palme tue pouere, e spente. 
<lb/>Frà gli eterni Zaffiri, e'l Sol ridente
<lb/>Cerchisi dunque entro al celeste impero: 
<lb/>Così fe questi, ognor di gloria ardente
<lb/>Porporato di Dio sacro guerriero. 
<lb/>Egli vi ascende, e mi sembrò gigante, 
<lb/>Che di mille bell' opre alzi per ponte
<lb/>Pelio, &amp; Olimpo a solleuar sue piante. 
<lb/>Roma, contuttociò, pianga ogni fronte, 
<lb/>Perche non cade intorno al sacro Atlante
<lb/>Vn de' tuoi Colli no, ma cade vn MONTE. 
<pb n="44"/>
<lb/>ELOGIO XXII.
<lb/>FRANCESCO PRINCIPE DI TOSCANA, 
<lb/>Di Cosimo II. Gran Duca, e di Maddalena d'Austria
<lb/>Arciduchessa figliuolo, 
<lb/>Mentre in Germania, col Principe Mattias suo fratello, 
<lb/>sotto gli Auspicj del Zio FERDINADO Imperadore
<lb/>gloriosamente guerreggiaua, 
<lb/>Magnanimo, Generoso, &amp; Inuitto, 
<lb/>Parue, che non sol Marte, ma l'istessa Morte
<lb/>In campo tremare, &amp; impalidir facesse; 
<lb/>Poi che furtiuamente, non con armi, ma col contagio
<lb/>(diseccandoci vn oceano di speranze)
<lb/>fu da loro assalito. 
<lb/>Solo in questa perdita incomparabile ci è di conforto, 
<lb/>Il vedere, che aʼ nostri tempi ancora, 
<lb/>Se de Tindari cade vn Castore, ci resti vn Polluce, 
<lb/>Et l'esser vero, 
<lb/>Che gli Alcidi, mentre adoprano contro a' Mostri l'arco, e la Claua, 
<lb/>non dal ferro, ma dalla peste caggiono estinti. 
<pb n="45"/>
<lb/>SONETTO XXII.
<lb/>In Morte del Sereniss. D. Franceso Principe 
<lb/>di Toscana, 
<lb/>E PVR cadesti, o generoso, e forte
<lb/>Fra l'armi inerme alla gran Madre in seno,
<lb/>E qual Fato, e qual Sol per vie sì corte
<lb/>Eclissa quasi all' Alba il tuo sereno? 
<lb/>Ahi, che giunge quaà giù con altra forte
<lb/>Il fin d'un huom celeste, e d'un terreno. 
<lb/>Col suo lottare Antèo troua la morte, 
<lb/>Con la peste di Lerna Ercol vien meno. 
<lb/>Non cede al foco un fulmine di guerra; 
<lb/>Per suo contrario Apollo un Fiton vuole,
<lb/>E contro Achille il ferro in van s'afferra. 
<lb/>Breue il tempo de' Grandi esser non suole, 
<lb/>Viue anco, si può dir, sopra la terra
<lb/>Dal sorgere al cader poch'ore il Sole. 
<pb n="46"/>
<lb/>ELOGIO XXIII.
<lb/>Deh potess' io, FRANCESCO, Principe di Gian Ville esprimere 
<lb/>il dolore della tua morte con le parole, 
<lb/>Come si lesse nel volto, e nel cuore dell'inuitto CARLO Duca 
<lb/>di Ghisa tuo Padre, 
<lb/>E di Madama HENRIETA CATERINA Di Gioiosa tua madre 
<lb/>Ch'io farei rinouare il pianto ad ogni ora ad ognuno, che mi 
<lb/>sentisse, Perche io direi. 
<lb/>(A guisa di chi pianse sopra il gentilissimo Ionata) Oime come 
<lb/>son caduti i valorosi, come son caduti i robusti, Veloci più 
<lb/>dell' Aquile, e più magnanimi de' Lioni? 
<lb/>Considerando, 
<lb/>Che nella più fresca, e vigorosa età della tua vita, mainca al mondo 
<lb/>vn Fiore de' Caualieri, vno splendor de Principi. 
<lb/>vna delizia dell' vman genere. 
<lb/>Tu fortissimo in guerra 
<lb/>Prudentissimo in Pace
<lb/>Amabilissimo nell' vmana conuersazione
<lb/>Vedesti troppo anticipatamente cadere i tuoi giorni guerrieri 
<lb/>in mezzo al riposo. 
<lb/>Ma, perche a ciò non vaglio, dirò solo, che perche tu eri vn belliss: fiore, volle nel suo terreno quietamente trapiantarti Fiorenza. 
<lb/>Le secche Rose coperte serban gran tempo, ma non sempre l'odore 
<lb/>onde per mantenere, secondo il merito, quello della 
<lb/>tua virtù, già sparso per tutti i cuori de gli huomini, 
<lb/>era ben douere, che si riferrasse quanto prima,
<lb/>nell'eterno, e pretioso vaso del Cielo. 
<pb n="47"/>
<lb/>SONETTO XXIII. 
<lb/>In Morte dell'Eccellentiss. Sig. Franc. de Loreno
<lb/>Principe di Gian Ville. 
<lb/>SCIOLGASI il Cielo in Nubi, il Sole in Pianto, 
<lb/>A L'Oceano in tempeste, e l'aria in duolo, 
<lb/>Cade FRANCESCO il fior di Ghisa al suolo, 
<lb/>Di Gallia il pregio, e di Loreno il vanto. 
<lb/>O Real figlio, a tante doti accanto
<lb/>Così dunque t'opprime un punto solo? 
<lb/>Ma vanne pure in Paradiso a volo
<lb/>Che chi ben visse in terra, anco muor Santo. 
<lb/>Sol, mentre in alto ascendi, un guardo gira
<lb/>Dell'alta Genitrice al gran dolore
<lb/>Che dal terreno altrui coprir ti mira. 
<lb/>E asciugando il Ciglio al Genitore
<lb/>Digli. A maggior sepolcro in vano aspira
<lb/>Chi, morendo, ha per Tomba oggi ogni core. 
<pb n="48"/>
<lb/>ELOGIO XXIV. 
<lb/>Se fauola non fosse, ma però ordinata a senso verace, 
<lb/>Che il Dio di Delo sia presidente della Poesia, 
<lb/>Alcuno a' nostri tempi, a gran ragione, creduto haurebbe 
<lb/>questi essere
<lb/>GABBRIEL CHIABRERA. 
<lb/>Perche dall'Oriente della sua Patria Sauona, 
<lb/>Da gli Albòri della sua giouentù cantò si soauemente fino a gli Esperi
<lb/>quasi d' vna età decrepita, e quasi per tutto il giro
<lb/>dell'orbe Ecumenico, che parue vn Appollo indefesso. 
<lb/>Ma fauola non fù già, 
<lb/>Gh'egli, erede vniuersale della Pindarica lira, e vita
<lb/>noto, e caro a' primi Principi dell' Europa
<lb/>(Di cui, non il finto valor ne' giuochi, ma la vera Virtù
<lb/>nelle più salde imprese altamente fe risonare)
<lb/>Nobile, costumato, e casto, pien' di giorni, e d'onori
<lb/>frà il coro dell'amate Muse spirasse. 
<lb/>Febo stesso, che lo piange ancora, 
<lb/>Non hà conforto maggiore, ch' il vedere, in vece de' suoi tetti
<lb/>(a guisa dell' editto del gran Macedone) la sua memoria
<lb/>ne' suoi scritti dall'ingiurie del tempo eternamente
<lb/>rotare illesa. 
<pb n="49"/>
<lb/>SONETTO XXIV
<lb/>In Morte del Sig. Gabriel Chiabrera
<lb/>SOSPENDETE oramai la Cetra, e 'l canto
<lb/>Oue han gli atri Cipressi ombra più nera
<lb/>Poeti o voi, ch'in fortunata schiera
<lb/>Già festeggiaui ad Aganippe accanto. 
<lb/>Spento è di Pindo il più subblime vanto
<lb/>E del Cigno Dircéo l'immagin vera, 
<lb/>E' morto, o Muse, è morto il gran CHIABRERA
<lb/>L'istesso Apollo in Ciel si stilla in pianto. 
<lb/>Deh s'il Grande Alessandro al nobil tetto
<lb/>Di Pindaro Teban toruò difesa
<lb/>Faccia un Piccolo ancor non vario effetto
<lb/>Sia questa legge in sul suo sasso stesa
<lb/>,,VN Pindaro nouello è qui ristretto
<lb/>,,L'alta memoria sua si salui illesa
<pb n="50"/>
<lb/>ELOGIO XXV. 
<lb/>Chi vide GIO: BATISTA ALTOVITI. 
<lb/>Giouanetto di grandissima espettazione
<lb/>Estinto nel più bel verde de' suoi freschi anni, 
<lb/>E s'internò nel dolore, che afflisse il Clarissimo
<lb/>Luigi suo Padre, 
<lb/>Fù ripieno di non picciola Compassione. 
<lb/>Si mitigaua in alcuni l'affano, 
<lb/>Perche la grazia del Giouinetto, 
<lb/>(Armato Caualiere del nobilissimo abito
<lb/>di San Iacopo,)
<lb/>Rassembraua quasi vn'altro Angelo, che scorresse
<lb/>con la spada infocata per le delizie
<lb/>di quel volto, 
<lb/>Ma ben presto ognuno s'accorse, 
<lb/>Che, non egli à minacciare ad altri la morte, 
<lb/>ma di lei preda miseramemente
<lb/>n'andaua. 
<pb n="51"/>
<lb/>SONETTO XXV. 
<lb/>In Morte del Sig. Gio: Batista Altouiti, fu del Clar. 
<lb/>Sig. Luigi. Cau. dell'abito di S. Iacopo
<lb/>VEDER nell' Alba il tuo bel sole spento
<lb/>O di Vita, e d'onor degno ALTOVITA, 
<lb/>E troncar la tua tela appena ordita, 
<lb/>Colma il sen di pietade, e di spauento: 
<lb/>Veder seccato in Erba ogni contento, 
<lb/>Che prometteua altrui l'età fiorita. 
<lb/>Ben doppiamente a lacrimar c'inuita
<lb/>Ma di tuo Padre il duol cresce il tormento, 
<lb/>O Padre afflitto, o Padre, Ahi per conforto
<lb/>Sieti il membrar, che del tuo Figlio il gelo
<lb/>Vn aura fu, che lo condusse in in porto, 
<lb/>Angel, con quella spada accesa in zelo, 
<lb/>Gia Croce al Petto, hor è custode accorto
<lb/>Dell' ALTAVITA all' Albero del Cielo. 
<pb n="52"/>
<lb/>ELOGIO XXVI. 
<lb/>GIO: BATISTA MARINI. 
<lb/>Caualiero dell'abito di Sauoia, 
<lb/>Quando vedesse scendere di Parnaso le 
<lb/>noue Muse, &amp; Apollo stesso, 
<lb/>a cantar le sue lodi, 
<lb/>Non serebbe facilmente celebrato a bastanza; 
<lb/>l'vdì Napoli, oue ei nacque, 
<lb/>anzi il Mondo tutto 
<lb/>risonar con si dolce Lira, 
<lb/>Che fù marauiglia non addolcisce, e non 
<lb/>addormentasse l'istessa Morte: 
<lb/>Ma ne fù nondimeno superiore, 
<lb/>Mentre s'impose al Crine così viuo alloro 
<lb/>Che manterrà sempre il suo verde. 
<pb n="53"/>
<lb/>SONETTO XXVI. 
<lb/>In Morte del Sig. Caualier Gio: Batista Marini
<lb/>Poeta
<lb/>CORRE come acqua all' Ocean di Morte
<lb/>Rotta da gli anni suoi l'umana vita, 
<lb/>Ne fregio, o fasto, o giouinezza ardita
<lb/>Rende al rapido piè l'hore men corte. 
<lb/>Sol, Monarca del Tempo, e della Sorte, 
<lb/>Fermo soccorso alta Virtù n'addìta, 
<lb/>Che del mortale Egeo l'onda infinita
<lb/>Non fà men saggio Vlisse, Ettor men forte. 
<lb/>Volga pure, o MARIN, dentro al suo mare
<lb/>Empio Fato il tuo corso accolto in gelo, 
<lb/>Sempre le glorie tue saran più chiare, 
<lb/>Fronda non perde mai l' Alber di Delo, 
<lb/>Anzi, eterni per te, vedrem rotare
<lb/>Doppia la Lira, e doppio il Cigno in Cielo. 
<pb n="54"/>
<lb/>ELOGIO XXVII.
<lb/>Quel Candore, onde la Purità della nostra Fede 
<lb/>sotto il bianco Vessillo della Croce Ierosolimitana s'accresce, 
<lb/>fu nobilmente illustrato
<lb/>DAL CAV. FRA GIOVAMBATISTA RONDINELLI, 
<lb/>Del pari valoroso col senno, e con la mano. Con la mano 
<lb/>Trouandosi l'anno 1565 all'assedio di Malta, 
<lb/>Oue fu di quei Cau. che v'introdussero il soccorso. Col senno, 
<lb/>Mentre sostenne cinque anni con somma sua lode
<lb/>il carico d'Ambasciadore per la sua Religione
<lb/>appresso a Sisto V. e Clemente VIII
<lb/>sommi Pontefici. 
<lb/>Alle sue glorie si potrebbe aggiugnere la sua
<lb/>Pietà, e Magnificenza, 
<lb/>Nell' hauer fondato Chiese, eretto Spedali, dotato
<lb/>Commende, lasciato Rendite per aiuto di Scolari
<lb/>à prò della nobilissima sua famiglia
<lb/>e del prossimo, 
<lb/>Se il far atti di Pietà, di Grandezza, e di Carità
<lb/>non fosse propria Virtù de' suoi natali, 
<lb/>E di quell'inuitta Milizia, 
<lb/>E se non se ne vedesse chiara testimonianza, 
<lb/>In Empoli, in Pisa, in Firenze sua Patria, 
<lb/>e nel Teforo del suo Conuento, 
<lb/>che l'anno 1605 alla sua morte
<lb/>Fece delle sue spoglie vn memorabile acquisto. 
<pb n="55"/>
<lb/>SONETTO XXVII. 
<lb/>In Morte del Sig. Cau. fra Gio: Batista
<lb/>Rondinelli
<lb/>CHI la Croce hà nel cuor candida, e bella, 
<lb/>Bella anco soura il sen l'apre, e palesa, 
<lb/>Che non s'offusca mai raggio di stella 
<lb/>Mentre è dal Sol, che la riguarda, accesa; 
<lb/>Tal quest' alma gentil, qual RONDINELLA, 
<lb/>I lacci dell'obblio rompe, e l'offesa: 
<lb/>Ma qual miracol è, s'in Malta anch'ella
<lb/>Dal Trace, altro Tereo, saluossi illesa? 
<lb/>Indi Nunzia di pace aurea Colomba
<lb/>A duoi gran sucessor del gran Nocchiero
<lb/>Hor Arpocrate apparue, hor Cigno, hor Tromba? 
<lb/>Fondò Commende, Altar, Senno, Oro, Impero: 
<lb/>Il Nido di sua Fama oggi è la Tomba, 
<lb/>CHE lí, mortal' Inuidia, hà vita il Vero. 
<pb n="56"/>
<lb/>ELOGIO XXVIII.
<lb/>GIV SEPPE CARAFFA
<lb/>Principe di Stigliano, 
<lb/>Glorioso per generosi Natali, e per ingenuità di costumii
<lb/>Vide gran tempo a' suoi meriti propizia la sorte; 
<lb/>ma poco dopo
<lb/>altretanto inimica la sua suentura; 
<lb/>Poiche, Padre del Duca di Mondragone, 
<lb/>A cui diede per moglie Elena sorella del Cardinale
<lb/>Ippolito Aldobrandini, 
<lb/>lasciò poco appresso morendo anch'egli
<lb/>a Dogn' Anna Principessa
<lb/>vnica sua Nipote (rimastagli di sì chiari sangui)
<lb/>occasione di piangere in vn punto stesso
<lb/>la perdita del Padre, e dell'Auo.
<lb/>E di verificare l'euento degli auuenimenti vmani
<lb/>figurati ne' due vasi
<lb/>Da' quali, finge Omero, che Gioue mesciesse a' mortali
<lb/>per vn sol bene due volte il male, 
<lb/>Se l'infelicitadi di quella casa non fossero consolate
<lb/>dalla speranza di più prosperi successori, 
<lb/>mercè de' nuoui, e desiderati
<lb/>sponsalizij felici
<pb n="57"/>
<lb/>SONETTO XXVIII.
<lb/>In Morte dell'Eccellentiss. Giosepe Caraffa Principe
<lb/>di Stigliano:
<lb/>SV l'Arco della Cetra Armi fatali 
<lb/>Sempre hà contro all'obblio Pindo guerriero, 
<lb/>Che, tinte di menzogna, aprono il vero
<lb/>All'ingegno di noi pigri mortali;
<lb/>PRINCIPE, io rimembro hor quell' Vrne eguali, 
<lb/>Che finse a piè di Gioue il greco Omero, 
<lb/>Oue in mescer le sorti, il Nume altero, 
<lb/>Misti con un sol ben, mesce due mali. 
<lb/>Ahi, come neʼtuoi tetti, è ciò successo: 
<lb/>Mentre dopo il rotar d'alto fauore
<lb/>Due volte han visto il funeral Cipresso?
<lb/>Ma tempo è d'agitar l'Vrna migliore, 
<lb/>Ch'ogni tempesta hà la bonaccia appresso, 
<lb/>E già spera Imeneo Calma d'Amore. 
<pb n="58"/>
<lb/>ELOGIO XXIX. 
<lb/>Alle Lodi anzi a gli Encomij di GIVLIANO DE MEDICI, 
<lb/>Arciuescouo di Pisa, 
<lb/>Noto per la chiarezza deʼsuoi Natali, 
<lb/>E più per l'incolpata sua vita fino a gli angoli estremi
<lb/>del mondo, 
<lb/>Quando si sciogliessero le lingue de' maggiori Demosteni
<lb/>non sarebbero in veruna parte bastanti: 
<lb/>Poiché, Al valore della sua mente, Alla prudenza de' suoi consigli, 
<lb/>Alla bontà de' suoi costumi, Alla Carità del suo petto, 
<lb/>non ci è facondia, che arriui. 
<lb/>Dillo tu Pisa, che più che Padre in tutte le tue necessità, 
<lb/>e piu in quelle della Peste, ottimamente il vedesti: 
<lb/>Dillo tu Serenissima Casa di Toscana, che più che Oracolo 
<lb/>In tante tue graui occorrenze il sentissi: 
<lb/>Ma poiche il dolore vi fà tacere, e che il Parnaso non ci arriua, 
<lb/>Non mi negate voi sacre carte per ecclesiastica persona 
<lb/>nel seguente sonetto l'Ecclesiastiche voci. 
<pb n="59"/>
<lb/>SONETTO XXIX.
<lb/>In Morte di Monsig. Giuliano deʼMedici Arciuescouo 
<lb/>di Pisa
<lb/>CHI muor, GIVLIANO, in Dio morendo há vita, 
<lb/>Anzi, è beato in quel funesto agone: 
<lb/>Su buon seruo fedel, se'l Ciel t'inuita, 
<lb/>Delle belle opre tue rendi ragione: 
<lb/>Deh, quale il tuo Signor copia infinita
<lb/>Di Talenti in auanzo oggi ti pone? 
<lb/>Entra lieto a goder palma gradita, 
<lb/>E lascia a noi di lacrimar cagione. 
<lb/>Miseri noi, qual trouerrem mercede, 
<lb/>Disperso il Gregge andrà, spento il Pastore, 
<lb/>E ne farà chi rugge auide prede; 
<lb/>Oh Cieli. Ecco in qual forma il buon si more, 
<lb/>Tor via del mezzo i Giusti il mondo vede, 
<lb/>Ne considera alcun tanto dolore. 
<pb n="60"/>
<lb/>ELOGIO XXX.
<lb/>IACOPO INGHIRAMI
<lb/>Patritio di Volterra, 
<lb/>Militando nell'inuitta Religione di Santo
<lb/>Stefano riuscì di tanto valore, 
<lb/>Che alla sua cura, e comando fu commesso
<lb/>il Generalato delle Galere di Toscana, 
<lb/>E l'Inuestitura del Marchesato
<lb/>di Monte Gioue: 
<lb/>Non è popolo, non è clima, che delle sue
<lb/>felici vittorie fin qui non ragioni, 
<lb/>Onde apparue con la bontà del suo spirito, 
<lb/>e col vigore della sua destra
<lb/>essersi congiunta
<lb/>La fortuna d'Alessandro, e la Ventura
<lb/>di Cesare; 
<lb/>anzi che i suoi legni gareggiasser con quei di 
<lb/>Giasone, e che i Mari, e i Venti
<lb/>(pieni oramai del rimbombo del suo gran 
<lb/>nome) a suo piacere l'obbedissero. 
<pb n="61"/>
<lb/>SONETTO XXX. 
<lb/>In Morte dell'Illustriss. Sig. Marchese Iacopo Inghirami 
<lb/>Generale delle Galere del Sereniss. Gran Duca
<lb/>di Toscana. 
<lb/>NON hà più doue stampi orme d'onori
<lb/>L'immortal fama, al tuo gran nome, auanti, 
<lb/>Che del suo corso i pregi tuoi maggiori: 
<lb/>Empion dal Centro al Ciel l'aure volanti, 
<lb/>Quanti spiran quà giù venti cursori, 
<lb/>Quante volge Anfitrite onde sonanti, 
<lb/>Tante son' oggi, e son del ver minori, 
<lb/>Dell' alte glorie tue Trombe tonanti. 
<lb/>Ben hor l'Espero hai tu, ma fermi il piede
<lb/>Grande Inghiramo in quell'eterna Aurora, 
<lb/>Che qual Giasone in Colco in Ciel ti vede.
<lb/>Lì teco hauresti ancor l'armata Prora, 
<lb/>Argo stellata al tuo valor mercede, 
<lb/>Ma DIO quì per la Fe l'adopra ancora. 
<pb n="62"/>
<lb/>ELOGIO XXXI. 
<lb/>Il chiarissimo lume, che fin dal principio del suo natale hebbe
<lb/>IPPOLITO da' suoi nobilissimi Progenitori
<lb/>lo dimostrò vn Sole, 
<lb/>Che solo in breue doueua cadere nell'occaso di morte. 
<lb/>oh Dolore acerbissimo, 
<lb/>Egli, che aperse tanti fiori di speranza nella Casa di Gio: Franc. Aldobrandini suo Padre Generale di S. Chiesa, 
<lb/>mentre vi crebbe infante. 
<lb/>Tanti raggi di virtù nello Studio di Padoua
<lb/>mentre vi fù educato. 
<lb/>Tanto senno, e valore nella Corte di Roma, 
<lb/>mentre vi fu Porporato, 
<lb/>Tanta fedeltà, diligenza, e schiettezza, mentre
<lb/>vi fu Camarlingo fupremo. 
<lb/>Tanto amore, e riuerenza, mentre visse con D. Olimpia sua madre, Principessa di Roffano, e Nipote di CLEMENTE VIII. 
<lb/>anch'ella Aldobrandina, 
<lb/>Oggi, vltimo auanzo d'vna fecondissima Prole, 
<lb/>non hà fuori de' suoi Vassalli, e de' suoi affini
<lb/>veruno, che con lagrime virili
<lb/>pianga il suo fine. 
<lb/>Ma ben finisce la Casa, chi la figilla col morire
<lb/>bonissimo Sacerdote; 
<lb/>e grandissimo Cardinale. 
<pb n="63"/>
<lb/>SONETTO XXXI.
<lb/>In Morte dell'Eminentissimo Signor Card: Ippolito 
<lb/>Aldobrandini.
<lb/>IO piangerei, ma il gran dolore intento
<lb/>Nell' acerbo destin della tua morte
<lb/>Mi fiede il Cor si vigoroso, e forte, 
<lb/>Che asciuga il Ciglio, e mi disecca il senso. 
<lb/>IPPOLITO souran, se bene io penso
<lb/>Che le felicità sempre son corte, 
<lb/>Non hò doue adeguar l'aspra tua sorte
<lb/>Tanto hà del miferando, e dell'immenso
<lb/>Mancar l'Olimpe, i Gianfranceschi, i Pietri, 
<lb/>I Silvestri, i Clementi ire all'occaso
<lb/>Faccia Dio, tutti al fin siam' ombre, e vetri. 
<lb/>Ma, che niun di tua stirpe hor sia rimaso, 
<lb/>Che, capace di duol, pianger t'impetri, 
<lb/>O questo è l'aspro inconsolabil caso.
<lb/> 
<pb n="64"/>
<lb/>ELOGIO XXXII. 
<lb/>Ben doueua finir con Immensa Fama l'Infanta ISABELLA 
<lb/>Poiche grandissimi furono i principij della sua nascita 
<lb/>Deriuanti per Padre da Carlo Emanuel Duca di Sauoia, 
<lb/>Per Madre, da Caterina figliuola di Filippo II. Re di Spagna 
<lb/>Et Serenissimi tutti i giorni della sua religiosa, e santissima vita; 
<lb/>Con la quale comunicò talmente la sua bontà al Principe 
<lb/>D'Alfonfo da Este suo marito, 
<lb/>Che l'indusse, morta ch'ella fu, (o rara marauiglia)
<lb/>a deporre la ricchezza dello Scettro di Modona
<lb/>che, (estinto il Duca Ceseri suo Padre) di già
<lb/>liberamente possedeua, 
<lb/>Per abbracciare la Pouertà della Religione serafica
<lb/>de'Cappuccini. 
<lb/>Ella, che vide nella sua Casa paterna il generalato del mare
<lb/>per la Maestà Cattolica, quasi nuoua Ammiraglia
<lb/>per l'eterna Maestà di Dio, lasciando vna Prole
<lb/>assai copiosa di numero, ma più di
<lb/>virtù, e di valore, 
<lb/>Lasciò ancora a propri figliuoli, Argonauti della gloria, 
<lb/>sotto la guida del Duca Francesco
<lb/>suo Primogenito, 
<lb/>Il fermo acquisto del vello d'oro, cioè
<lb/>d'ogni perfettissimo, e vero bene. 
<pb n="65"/>
<lb/>SONETTO XXXII.
<lb/>In Morte della Sereniss. Infanta D. Isabella di
<lb/>Sauoia
<lb/>PER L'immenso Ocean di questa vita
<lb/>Argonauta del Ciel mouesti il volo, 
<lb/>E prendesti al natal su Regio Molo, 
<lb/>Di pietade, e d'onor carca infinita: 
<lb/>Hor non tempesta a far di quì partita
<lb/>Tua Naue spinge, o la percuote al suolo, 
<lb/>Aura è di DIO, che per tuo porto il Polo
<lb/>Ti prefisse ab Eterno, hor ti c'inuita. 
<lb/>Vattene in Calma adunque, iui discarca
<lb/>Dell'opre eccelle tue l'alto tesoro, 
<lb/>Ammiraglia fedel del gran Monarca: 
<lb/>E se qui lasci i figli, Ah lasci loro, 
<lb/>Con aureo fil di più benigna Parca, 
<lb/>Per la gran tela ESTENSE il Vello d'oro. 
<pb n="66"/>
<lb/>ELOGIO XXXIII.
<lb/>LEONORA DI TOSCANA
<lb/>Principessa
<lb/>Nata del Gran Duca Ferdinando I. e della Gran Duchessa
<lb/>Cristina di Loreno, 
<lb/>Vicina a fortunate, e destinate Nozze Reali, 
<lb/>Del Candore della nascita, e della forma, ch'era
<lb/>vaghissima, 
<lb/>assai piu candida, &amp; elegante per generosi costumi,
<lb/>Pasciuta dalle rugiade d'infiniti fauori celesti, 
<lb/>quasi Vergine Perla, 
<lb/>Superiore a quelle di Cleopatra, 
<lb/>Mentre viueua nell'argentata Conca del Paterno Palazzo
<lb/>D'auara Morte
<lb/>(Che ingemmarne assolutamente ne volle il Cielo))
<lb/>diuenne preda. 
<pb n="67"/>
<lb/>SONETTO XXXIII. 
<lb/>In Morte della Serenis. Principessa di Leonora di Toscana 
<lb/>sorella del Gran Duca Cosimo II. 
<lb/>VIVA perla del Mar, ch'al SOLE ONORA, 
<lb/>La sua, di puro argeto, vrna vezzosa, 
<lb/>Ben che ne' pregi suoi se n'fugga ascosa
<lb/>D'auaro pescator preda è tal ora; 
<lb/>Ma dall'umido suol non prima è fuora. 
<lb/>Che più vaga si mostra, e più pomposa. 
<lb/>E fregiando in bel sen guancia amorosa, 
<lb/>Nelle perdite sue l'alme innamora. 
<lb/>Sì Vergine Real, mentre ancor prendi
<lb/>Sicuro corso in mezzo al mar natío, 
<lb/>Misera preda in man di morte scendi; 
<lb/>Ma tolta appena a questo ondoso obblío, 
<lb/>Pregío di tua bontà, più bella splendi
<lb/>Nel sen del Cielo, e nel Monil di DIO. 
<pb n="68"/>
<lb/>ELOGIO XXXIV.
<lb/>LEONORA
<lb/>Sorella di D. Cesare Duca di Modona.
<lb/>Nati ambedue del Marchese Alfonso da Este, di Giulia
<lb/>della Rouere Principessa d'Vrbino,
<lb/>Fu moglie di Carlo Gesualdo Principe di Venosa. 
<lb/>Dal suo matrimonio, che durò pochi anni, 
<lb/>hebbe vn solo figliuolo; 
<lb/>Ma priua d'esso, e del marito, 
<lb/>Conoscendo la Vanità delle Vanità e che
<lb/>il tutto è qui vano, 
<lb/>Riuolta a' beni sicuri, si riserrò in vn monasterio di Modona, 
<lb/>oue ardendo di Pietà verso Dio, 
<lb/>E di Carità verso i Poueri, 
<lb/>Con le proprie facultadi, e con l'esempio della sua Vita,
<lb/>(Iui lungamente prodotta) spogliando se stessa, 
<lb/>palesò l'infinite virtù dell'anima, 
<lb/>Perciò viuendo, si può dire ch'apparisse vna Dea
<lb/>e morendo, 
<lb/>cadesse atterrata da gli Anni, e non dalla Morte: 
<pb n="69"/>
<lb/>SONETTO XXXIV. 
<lb/>In Morte della Eccellentiss. D. Leonora da Este Giesualda 
<lb/>Principessa di Venosa
<lb/>SANGVE Illustre, Beltà, Porpore, &amp; Oro, 
<lb/>Senno, Fortuna, Amor, Figlioli, e Sposo, 
<lb/>Stima, Onor, Seruitù, Fasto pomposo, 
<lb/>E quanto dona in terra il Ciel tesoro: 
<lb/>Tutto questo hebbe in se, tra Regio alloro
<lb/>L'Estense LEONORA al Dì festoso, 
<lb/>Ma, visto al fin, che qui non è riposo, 
<lb/>Amò le Celle, e si posò tra loro. 
<lb/>E così, lungi al vaneggiar del Mondo, 
<lb/>Nell' Vmiltà serbando alma Reale, 
<lb/>Egual visse al Dì mesto, al Dì giocondo, 
<lb/>Stimò, fuor ch'il suo Dio, tutt' esser frale, 
<lb/>Lieui gli affanni, e le delizie un pondo, 
<lb/>Le tolse esser quì Dea, l'esser mortale, 
<pb n="70"/>
<lb/>ELOGIO XXXV. 
<lb/>O LEONORA SALVIATI
<lb/>Il vedere nel tuo verde Aprile seccarsi il fiore
<lb/>della tua bellezza, 
<lb/>Mentre con intatto candore s'ammiraua quello
<lb/>della tua Virginità, 
<lb/>Fu cosa veramente lacrimeuole: 
<lb/>Ma più doloroso apparue lo spettacolo del tuo cadauero. 
<lb/>Tu nata di chiarissimo sangue, 
<lb/>Cresciuta fra gli splendori del Duca Iacopo tuo fratello, 
<lb/>Arriuata vicino al segno di giocondissime nozze, 
<lb/>ti mostrasti morta così deforme, 
<lb/>Che fosti orribile fino all'istessa morte:
<lb/>Ma quei, che s'affissarono nella tua metamorfosi, 
<lb/>intesero, che dalla fredd'ombra diceui, 
<lb/>Non vogliate considerare, ch'io sia negra, 
<lb/>Perche il Sole della Diuina luce, che mi fu sempre vicino
<lb/>mi hà così scolorita, 
<lb/>Acciò che tutta la mia bianchezza sia nell'interno. 
<pb n="71"/>
<lb/>SONETTO XXXV. 
<lb/>In Morte della Sig. Leonora Saluiati, sorella del
<lb/>Signor Duca, 
<lb/>E PER ornar di tue bellezze il polo, 
<lb/>E per hauere in Ciel sicuro amante, 
<lb/>Cosí, vergine illustre, in mezzo al duolo
<lb/>Vesti d'atro pallor l'aureo sembiante? 
<lb/>E qual de' Numi in rimirarti sole
<lb/>Non fuggirassi a tanto orrore auante? 
<lb/>Aquila a chiuse ciglia adunque il volo
<lb/>Drizzerà senza piume al Ciel tonante? ̧
<lb/>O morti più di lei viui mortali, 
<lb/>Febo, se Cintia sua dritto rimira, 
<lb/>Non l'ecless' ei, co suoi dorati strali? 
<lb/>Viua semele indarno à Gioue aspira, 
<lb/>In Ciel Vergine Astrea cieca apre l'ali, 
<lb/>Questa è negra dal Sol, ch'a se la tira. 
<pb n="72"/>
<lb/>ELOGIO XXXVI.
<lb/>LORENZO del Senatore CARLO STROZZI. 
<lb/>Mouendo fuori delle Paterne contrade la Carriera del suo bel 
<lb/>corso, entrò fanciulletto Paggio nella Corte 
<lb/>dell'Elettore di Bauiera, 
<lb/>Iui, nobilmente seruendo, crebbe in virtù militare, 
<lb/>propria de' suoi gloriosi antenati: 
<lb/>Onde nelle guerre di Germania contro Suezia
<lb/>appena s'allacciò l'Elmo, e l'Vsbergo, 
<lb/>che peruenne al comando d'vna compagnia di Caualli, 
<lb/>e valorosamente
<lb/>si strinse in campo con possente inimico, e ferillo: 
<lb/>Precorreua certamente la Gloria, 
<lb/>Ma non arriuando ancora all'anno vigesimoprimo della
<lb/>sua età, 
<lb/>Parò nel seno d'improuisa morte, da cruda febbre
<lb/>assalito nel caualcare verso l'esercito, 
<lb/>e nel fiore di quei giorni, 
<lb/>Che se più oltre si fossero auanzati, a guisa
<lb/>delle tre Lune crescenti della sua paterna insegna,
<lb/>prometteuano in lui frutti di molt'altri marauigliosi
<lb/>acquisti d'onore. 
<pb n="73"/>
<lb/>SONETTO XXXVI. 
<lb/>In Morte del Signor Lorenzo del Senatore
<lb/>Carlo Strozzi. 
<lb/>DEH qual Aura mi porge esca a' sospiri,
<lb/>Qual Ocean distilla acque al mio pianto, 
<lb/>Poi che, STROZZI, il destin vuol, ch'io rimiri
<lb/>Secca tua messe a Primauera accanto? 
<lb/>Cara mia Patria, e chi sarà ch'aspiri
<lb/>Di giunger mai con Marte al sommo vanto, 
<lb/>Se Morte vuol, ch'il Dì minore io miri. 
<lb/>Hor ne gli Achilli tuoi, ch'in quei del Xanto? 
<lb/>Glorioso Garzon, ch'appena il brando
<lb/>Mouesti all'obbedir, ch'ore opportune
<lb/>D'armati Caualier ti dier comando. 
<lb/>Oh, se viueui più dal Fato immune
<lb/>Con quanto maggior lume è più mirando
<lb/>Empieuan gli Orbi suoi, le tue tre Lune? 
<pb n="74"/>
<lb/>ELOGIO XXXVII. 
<lb/>MADDALENA
<lb/>Figliuola di Lorenzo Strozzi Senatore, 
<lb/>Moglie di Lorenzo Saluiati Marchese, 
<lb/>Madre di Iacopo Saluiati Duca di Giuliana; 
<lb/>A tanti splendori, 
<lb/>Che superarono l'Inuidia, e furono ammirati dal Sole stesso, 
<lb/>Aggiunse, 
<lb/>Vna soauità di costumi, vna grauità di vita, 
<lb/>Vna candidezza di mente, &amp; vn zelo così ardente d'onore, 
<lb/>Che bene apparuero in lei
<lb/>Diluuiati, e non piouuti i celesti fauori. 
<lb/>Onde conosciuta per Matrona subblime, 
<lb/>Fu data per Dama maggiore d'onore Alla sereniss. Vittoria
<lb/>della Rouere, sposa del Sereniss. Ferdinando II: 
<lb/>Gran Duca di Toscana: 
<lb/>Ma il Cielo
<lb/>Anticipando (cred'io) la ricompensa delle onorate sue fatiche, 
<lb/>nella celeste Corte l'accolse. 
<pb n="75"/>
<lb/>SONETTO XXXVII. 
<lb/>In Morte della Illustriss. Sig. Marchesa Maddalena Strozzi, 
<lb/>Madre dell' Eccellentiss. Sig. Duca Saluiati
<lb/>QVAL miro sourastar luce, e splendore 
<lb/>Fra mille facie mille fiamme appresso? 
<lb/>Oue il proprio lor foco, e manca, e more, 
<lb/>Del nuovo lume in paragon già messo? 
<lb/>Veggiolo vscir da tenebroso orrore
<lb/>D'un corpo estinto, e si spuntar con esso,
<lb/>Ch'ei par, ch' ei nasca (o marauiglia) fuore
<lb/>Dal sen di mezza notte il Sole stesso. 
<lb/>O della gran SALVIATA eccelso merto, 
<lb/>Dalla tua fredda spoglia oggi si vede, 
<lb/>Spenta l'Inuidia, il tuo valor più certo, 
<lb/>Tanto Amor, tanto Onor, tal Figlio, e Fede
<lb/>Si ricorda oggi in tè, ch' io dico aperto. 
<lb/>Viua il Sol t'ammirò, morta ti cede. 
<pb n="76"/>
<lb/>ELOGIO XXXVIII.
<lb/>Si come furono in numero Due le figliuole di Luigi Ardinghelli, 
<lb/>cosè Tre fossero state, 
<lb/>Per la grazia, e gentilezza loro, 
<lb/>Si fariano scambiate dalle Tre Grazie. 
<lb/>Nel desiderio del Padre (che non hauendo altra prole
<lb/>abbondando di ricchezze, bramaua d'accompagnarle
<lb/>con principalissimi Caualieri, 
<lb/>e degni della nobiltà della sua Casa, che si pregia di
<lb/>Cardinali, e d'altro) s'incontrò il gentilissimo
<lb/>Filippo del Nero, Barone di Porcigliano. 
<lb/>a cui Margherita fú promessa in Moglie. 
<lb/>Ma Dio preferendola, come Primogenita, 
<lb/>la chiamò, auanti le nozze terrene, 
<lb/>a gli sponsalizi celesti. 
<lb/>Lasciò nondimeno consolato fra sospiri il Giouane sposo, 
<lb/>con la speranza di conseguire Luisa
<lb/>nata minore sicome, auuenne. 
<pb n="77"/>
<lb/>SONETTO XXXVIII. 
<lb/>In Morte della Sig. Margherita Ardinghelli figliuola del 
<lb/>Sig. Luigi e sposa del Sig. Filippo del Nero 
<lb/>Barone di Porcigliano.
<lb/>PERDESTI alla prima Alba (ahi troppo è vero)
<lb/>L'intatta prima tua Sposa amorosa, 
<lb/>Vedesti in boccia inaridir la Rosa, 
<lb/>O di Onore, e di Fe, candido NERO?
<lb/>Ma vide presto ancor da morso fiero
<lb/>Spenta Orfeo la sua bella inclita Sposa, 
<lb/>Che non mancò mai Serpe in terra ascosa
<lb/>Per vccidere in Erba un bel pensiero. 
<lb/>Saggio è chi stà costante, e non trauía
<lb/>Per souerchio agitar d'alte procelle, 
<lb/>Ch'ogn' Onda al fin si posa, e 'l duol s'obblia. 
<lb/>Non mancheranno a tè Spose nouelle, 
<lb/>Padre oggi è qui, che mai non hebbe Lia, 
<lb/>E l'altra ti può dar di Due Racchelle. 
<pb n="78"/>
<lb/>ELOGIO XXXIX. 
<lb/>MARIA
<lb/>La nobiltà de'tuoi natali, 
<lb/>La chiarezza della tua vita, 
<lb/>Le Tenebre della tua morte, 
<lb/>Che nel Diadema della tua Arme, e ne' duoi Campi 
<lb/>di essa, come in cifra, il giorno delle tue 
<lb/>esequie ti scoprirono figliuola del Marchese 
<lb/>Bernardino Capponi, 
<lb/>E moglie del Marchese Cammillo Baglioni: 
<lb/>Scoprirono ancora in quanto amaro dolore
<lb/>si terminassero le tue Nozze: 
<lb/>Però non restò ciglio asciutto in considerare sì 
<lb/>bel corpo, non sò se più vicino al Parto che alla Pira, 
<lb/>spirar due anime quasi in
<lb/>vn punto, 
<lb/>La tua, e quella del figliuolo battezzato nell'
<lb/>istesso limite della vita, 
<lb/>Ambedue, come nel Fine, 
<lb/>simili fra di loro nell'Innocenza. 
<pb n="79"/>
<lb/>SONETTO XXXIX. 
<lb/>In Morte dell'Illustriss. Sig. Maria figliuola del Sig. Marchese 
<lb/>Bernardino Capponi, e moglie del Sig. 
<lb/>Marchese Cammillo Baglioni
<lb/>MISERA Giouinetta, e che ti gioua
<lb/>Chiaro sangue, alto onor, senno, e beltade? 
<lb/>Oh fallo d' Eua, e perche dure strade
<lb/>La pena di tua colpa ancor si troua? 
<lb/>S'ha da morir chi nasce, &amp; perche proua
<lb/>L'huom morte inanzi al cominciar l'etade? 
<lb/>S'una Serpe dal parto estinta cade
<lb/>Il crudo figlio almen vita ritroua. 
<lb/>Ahi, che mirando il negro al bianco appresso, 
<lb/>La tua tempesta insieme, e la tua calma, 
<lb/>Nell'arme tua fatal conosco espresso, 
<lb/>Ma vanne pur, ch'è forse illustre palma
<lb/>Rendere al suo Fattor n'un punto stesso, 
<lb/>Vnico il Corpo, e raddoppiata l'Alma: 
<pb n="80"/>
<lb/>ELOGIO XXXX.
<lb/>MARINO III. CARACCIOLO
<lb/>Della Real famiglia, che Caraccola anticamente si disse
<lb/>discesa (come è fama) da gli Eacidi di Grecia. 
<lb/>Emulo delle virtú di Cammillo suo Padre. 
<lb/>Successe nel Principato d'Auellino, e negli altri Dominj adiacenti, 
<lb/>e imparentatosi con Casa Aldobrandini, 
<lb/>e con Casa d'Aualos, 
<lb/>Fu Gran Cancellier del Regno, Caualiere del Vello d'oro, 
<lb/>&amp; hebbe titolo di Gran mastro de Cau. di S. Giorgio, 
<lb/>Guerreggiò Giouinetto in Fiandra, 
<lb/>Maneggiò negozi grauissimi in Napoli, 
<lb/>S'armò per il suo Re, e per la Patria più volte, 
<lb/>non lontano dal supremo titolo 
<lb/>di Grande di Spagna.
<lb/>Visse nondimeno Grandissimo, per l'Eccellenza della dottrina, 
<lb/>e della bontà di Don Tomaso suo fratello Arciuescouo
<lb/>di Taranto, per la real magnificenza della sua. 
<lb/>propria Casa, e per l'accoppiatura di Marte, e
<lb/>di Minerua, che pose altri in dubbio, 
<lb/>Se in lui più fiorissero l'armi, o le lettere. 
<lb/>Ma la sanità del corpo. 
<lb/>Non gli somministrò continuamente le douute forze
<lb/>Forse perche il bel corso della sua vita, 
<lb/>fra gli impedimenti dell'Infermità
<lb/>più s'ammirasse. 
<pb n="81"/>
<lb/>SONETTO XXXX. 
<lb/>In Morte dell' Illustriss. &amp; Eccellentiss. Sig. Marino Caracciolo Principe d'Auellino. 
<lb/>CHE bisogno hà di Versi un, che rimbomba
<lb/>Nel suo dell'opre sue gloria a se stesso? 
<lb/>Gli anni ben trapassati apron Permesso, 
<lb/>Che l'Oro di Virtù mai non impiomba. 
<lb/>Basta a cadente Sol per chiara Tromba
<lb/>Quello splendor, che se ne và con esso, 
<lb/>Però ben disse vn Cigno a Dirce appresso, 
<lb/>Ch'il nido della Fama era la Tomba. 
<lb/>Così fra me discorsi, o Lume, o Sole, 
<lb/>Ch'illustrassi AVELLIN, quand'io pensai
<lb/>Per tè funebri in Pindo aprir parole; 
<lb/>Che se la Morte eclissa al corpo i Rai, 
<lb/>La Vita all' Alma intorno ombre non vuole, 
<lb/>In dir, che ben viuesti, hò detto assai. 
<pb n="82"/>
<lb/>ELOGIO XXXXI.
<lb/>ONESTA CAMEROTTI
<lb/>Nacque l'anno 1557 Postuma, &amp; vnica Erede
<lb/>d'Alessandro suo Padre. 
<lb/>Visse educata da Onesta Serristori sua Auola
<lb/>E da Geneura Nomi sua Madre
<lb/>E con la protezione della Sereniss. Gio. di Austria
<lb/>Gran Duchessa di Toscana
<lb/>Fu maritata a Bernardo di Tommaso Adimari
<lb/>suo Gentiluomo di Camera
<lb/>Mori l'anno 1604 vltima della sua Casata
<lb/>nobile per centinaia d'Anni, 
<lb/>e ne portò l'Arme alla sepoltura in Cestello
<lb/>Lasciati sei figliuoli, due masti, e quattro femmine; 
<lb/>Il maggiore d'essi Alessandro, 
<lb/>Donna per integrità di Vita, e purità di costumi: 
<lb/>veramente a ragione denominata. 
<pb n="83"/>
<lb/>SONETTO XXXXI. 
<lb/>In Morte della Sig. Onesta Camerotti Adimari
<lb/>Madre dell'Autore. 
<lb/>TV parti, o Madre mia, tu parti, io resto
<lb/>(Oh vicende amarissime del Fato) 
<lb/>Il primo de'tuoi Figli a pianger mesto, 
<lb/>De gli Aui vltima tu, che t'han creato: 
<lb/>Tu la mia stirpe accresci ond'io son nato, 
<lb/>Consegno io la tua Insegna al Dì funesto, 
<lb/>In tre palmi di suol ti poso ingrato, 
<lb/>Tu fai, che de'tuoi Campi, io campo, e vesto: 
<lb/>Tu Latte, Fasce, Amor Vigilie, e Pianto
<lb/>Dolce mi desti in darmi al Dì sereno, 
<lb/>Io cuopro gli occhi tuoi un fosco ammanto. 
<lb/>Ahi, sol per ciò nel duol non vengo meno, 
<lb/>Ch'io viuo corro alla mia Morte accanto, 
<lb/>Tu morta voli alla tua Vita in seno. 
<pb n="84"/>
<lb/>ELOGIO XXXXII.
<lb/>ORSO D'ELCI
<lb/>De' Conti Pannocchieschi, splendore di Siena 
<lb/>Scoprì fin da' primi anni, e conseruò fino al fine 
<lb/>Vna virtuosa modestia, &amp; vna somma prudenza: 
<lb/>Onde, passato lungamente per onoratissimi impieghi,
<lb/>Fu per la Corona di Toscana: 
<lb/>Ambasciatore Residente appresso alla Maestà
<lb/>del Re Cattolico. 
<lb/>I Magistrati, che dimostrano l'huomo, 
<lb/>Lo accreditarono talmente, 
<lb/>Che, morto COSIMO II. 
<lb/>Fu eletto per vno de'sei consiglieri di stato 
<lb/>appresso al Giouanetto Gran Duca FERDINANDO suo 
<lb/>figliuolo, e successore; 
<lb/>Di cui fatto ancora Maestro di Camera, 
<lb/>Fu gloria di quella Corte: 
<lb/>Per ciò, colmo di fama, 
<lb/>Giacque vniuersalmente dagli huomini acclamato 
<lb/>meriteuole d'entrare nel celeste Regno a godere 
<lb/>nel gaudio del suo Signore. 
<pb n="85"/>
<lb/>SONETTO XXXXII. 
<lb/>In Morte dell' Illustriss. Sig. C. Orso d'Elci Pannocchieschi, 
<lb/>Maestro di Camera del Sereniss. Ferdinando 
<lb/>II. Gran Duca di Toscana
<lb/>TV parti Anima grande, e non sò dire 
<lb/>Qual fia più, quel che lasci, o quel che porti, 
<lb/>Bontà, Senno, Valor, Penfieri accorti, 
<lb/>Amor, Giustizia, e Fè porti al partire: 
<lb/>Lasci la Fama tua, lasci al morire, 
<lb/>L'Idea de' Regni, e d'aggrandir le Corti, 
<lb/>E quì, da tè formato, un de più forti
<lb/>Principi lasci a noi, ch'il mondo ammiri. 
<lb/>O gran Nestor dell' Arbia, o gran Chirone, 
<lb/>Hor ch'il Pelide tuo vince ogni obblio, 
<lb/>Non hai più di star quì l'alta cagione. 
<lb/>Dalla Lupa hebbe il Tebro il Re natío, 
<lb/>Da tè l'hebbe ARNO, ond', ORSO, oggi a ragione. 
<lb/>Antro t'è il Cielo, Artofilace è DIO. 
<pb n="86"/>
<lb/>ELOGIO XXXXIII.
<lb/>OTTAVIO RINVCCINI
<lb/>Delizia delle Muse, e de' Fiorentini Caualieri splendore, 
<lb/>Fattosi conoscer per tale nelle prime Corti 
<lb/>d'Italia, e di Francia, 
<lb/>Con la soauità de' suoi costumi, 
<lb/>S'acquistò l'vniuersal beneuolenza &amp; applauso. 
<lb/>Parlano di lui gloriosamente i suoi propri versi, 
<lb/>Onde a noi solo tocca a deplorare la lua Morte, 
<lb/>Et a stupire della sua rara virtù, 
<lb/>Che per non morir gia mai, 
<lb/>Nella Dafne, nell'Euridice, e nell'Arianna
<lb/>suoi Dramatici componimenti, 
<lb/>Che hanno rauuiuato la perduta maniera degli antichi Teatri, 
<lb/>s'è resa immortale. 
<pb n="87"/>
<lb/>SONETTO XXXXIII. 
<lb/>In Morte dell'Illustriss. Sig. Ottauio Rinuccini
<lb/>Poeta
<lb/>PIANSERO al morir tuo, di Cirra appresso, 
<lb/>Vedoue d'ogni onor, l' Aonie Diue, 
<lb/>E dall'Vrne del duol su per le riue, 
<lb/>Sospirò l'Onda, e lacrimò Permesso. 
<lb/>Ogni Lauro diuenne atro Cipresso. 
<lb/>Secche in Pindo apparir l'Erbe più viue. 
<lb/>E, couerto d'Orror, su l'hore estiue
<lb/>Pianse, OTTAVIO, al tuo fato Apollo stesso, 
<lb/>Sol DAFNE tua, col TRACIO amante insieme
<lb/>Non lacrimar, per ch' Ella apriua in Delo
<lb/>Fronda per te, ch'il fulminar non teme: 
<lb/>L'Altro, sparsi, dicea, lacrime, e gelo, 
<lb/>Quando scese all' Inferno ogni mia speme. 
<lb/>Ma pianger non poss'io chi vola al Cielo. 
<pb n="88"/>
<lb/>ELOGIO XXXXII. 
<lb/>PIETRO ALDOBRANDINI. 
<lb/>Nato di Gio. Francesco, e di Olimpia parimente Aldobrandini, 
<lb/>Nipote di Clemente Ottauo, fratello di Siluestro Card. 
<lb/>S. Cesareo, d' Ippolito, Card. S. M. Nuoua, di Aldobrandino
<lb/>Aldobrandini Gran Priore di Roma, e di Gio: Giorgio
<lb/>Principe di Rossano, Duca di Sarsina, 
<lb/>e Sig. di Meldola. 
<lb/>Seguendo l'orme del già defunto suo Padre, 
<lb/>Che Generale di Santa Chiesa guerreggiò nella Germania, 
<lb/>Anch'egli vi militò per seruizio dell'Imperio, &amp; vi fù
<lb/>Generale per la Santità di Gregorio XV. 
<lb/>conquistandoui Onori, Titoli, e Prerogatiue eccelse; 
<lb/>Fu Duca di Carpineto, e Generale ancora di Ferrara, 
<lb/>e di Bologna, per la Santità d'Vrbano VIII. 
<lb/>Ma nel più bel corso de'suoi progressi, 
<lb/>Soppreso da repentina Morte, 
<lb/>Lasciò la sua Casa colma di grandissimo dolore, 
<lb/>per non vi rimaner successori
<lb/>Consolata nondimeno in parte con le speranze
<lb/>della moglie lasciata grauida, 
<lb/>Perche la Fenice, ancorche sola, suol eternarsi; 
<lb/>Se i futuri, &amp; incerti euenti possono esser già mai
<lb/>sicuro fondamento a'conforti. 
<pb n="89"/>
<lb/>SONETTO XXXXIV. 
<lb/>In Morte dell' Eminentiss. Sig. D. Pietro Aldobrandini 
<lb/>Duca di Carpineto, e Generale
<lb/>di Ferrara, e di Bologna
<lb/>CHE piangerò di te prima, o Signore, 
<lb/>Specchio quà giù del valoroso, e forte, 
<lb/>Gli Anni, il Sangue, l'Ardir, l'Opre, o la Morte, 
<lb/>Che suelto hà di tua vita il più bel fiore, 
<lb/>Non già gli Anni ch'andar colmi d'onore, 
<lb/>Non già l'Ardir, che superò la Sorte. 
<lb/>Non del Senno, o del Sen l'opere accorte, 
<lb/>Perch'io sò che Virtù già mai non more. 
<lb/>Piangerò 'l sangue tuo, ch'è quasi spento, 
<lb/>(Oh perdita nel ver troppo infelice)
<lb/>Quand'era il mondo a più goderlo intento. 
<lb/>Ma se graue oggi lasci il sen felice
<lb/>Di tua Sposa gentil men duolo io sento
<lb/>Nasce, quand' vna muor, l'altra FENICE. 
<pb n="90"/>
<lb/>ELOGIO XXXXV.
<lb/>PIERO BONSI. 
<lb/>Come felice augurio della eminentissima dignità 
<lb/>purpurata, che l'anno 1611 ottenne Giouanni 
<lb/>suo fratello
<lb/>Merito l'anno 1606. la Senatoria Fiorentina, 
<lb/>Con la quale, vestitosi l'abito d'ogni bella virtù, 
<lb/>tessutoli dal suo, e dal merito del Celebre 
<lb/>Dottor Domenico suo Padre, 
<lb/>Fu Gentil homo di singular prudenza: 
<lb/>Schermì con essa ogni auuersità di nimica fortuna,
<lb/>vide la sua Casa non meno adorna di ricchezza 
<lb/>e di splendori, che d'ottimi, e religiosi costumi: 
<lb/>Poiche spirarono in Elisabetta sua sorella non
<lb/>mediocri odori di santità: 
<lb/>Morì, lasciando singulare esempio a'suoi posteri,
<lb/>In qual maniera nel Mare del mondo ciascuno 
<lb/>regger dourebbe la naue della sua vita. 
<pb n="91"/>
<lb/>SONETTO XXXXV. 
<lb/>In Morte del Clarissimo Sig. Piero Bonsi
<lb/>Senatore Fiorentino. 
<lb/>QVESTO mar della vita que ogn' vn uarca
<lb/>Hà mille scogli, e mille sirti ascose, 
<lb/>Oue il Seruo se n'và pari al Monarca
<lb/>Solchi nell'alto, o tra le riue algose: 
<lb/>Felice quel, che nel troncar la Parca
<lb/>Il fil, che Cloro alla sua Vela impose, 
<lb/>Resse così per tanto Egeo la Barca, 
<lb/>Che si schermi tra le procelle ondose: 
<lb/>Sapestilo far tu nel falso vetro, 
<lb/>Ma qual miracol fu, spirto onorato, 
<lb/>S'vn Mare è il Mondo, e tu vi fosti un PIETRO? 
<lb/>O di par glorioso, e fortunato, 
<lb/>Corra nell'orme tue, chi resta adietro, 
<lb/>E non tema smarrir Porto beato. 
<pb n="92"/>
<lb/>ELOGIO XXXXVI. 
<lb/>PIERANTONIO GVADAGNI
<lb/>Accrebbe sempre la nobiltà natía con le continue 
<lb/>&amp; onorate azioni della Vita: 
<lb/>Il perche esercitatosi ne' migliori studi, 
<lb/>tornato Ambasciadore dal Sommo Pontefice, 
<lb/>per il Sereniss. di Toscana, 
<lb/>Formatasi la più nobile, e copiosa Libreria, che appresso
<lb/>ad huomo priuato trouar si possa, riuscì
<lb/>di tanta prudenza, 
<lb/>Che da' suoi consigli cominciauano a pendere 
<lb/>gran parte delle publiche, e priuate deliberazioni; 
<lb/>Ma Perche il vaso, oue sì bell'anima si rinchiudeua spargesse 
<lb/>in maggior copia gli odori di tante
<lb/>Virtudi, 
<lb/>Piacque all'occulto giudizio di Dio, che, mentre in Campagna
<lb/>in Compagnia d'vn Principe di Toscana
<lb/>si ritrouaua, 
<lb/>Al cadere d'vna Carrozza (oh miserabil caso)
<lb/>cadesse infranto. 
<pb n="93"/>
<lb/>SONETTO XXXXVI. 
<lb/>In Morte dell'Illustriss. Sig. Pierantonio Guadagni
<lb/>COME esser può ch' in Occidente il Sole
<lb/>Ritorni indietro a serenare il Mondo? 
<lb/>Come esser può, ch'un pèso al Ciel se n' vole
<lb/>Mentre veggiam che se ne piomba al fondo: 
<lb/>E pur con marauiglie uniche, e sole
<lb/>Vn Giusto, che si muor d'opre fecondo, 
<lb/>Il suo Sol nell'Occaso arder più suole: 
<lb/>Equal Palma fiorisce, e sorge al pondo
<lb/>Ecco hor tu PIER ANTON caschi, e ti lagni, 
<lb/>Ma, qual rotto Alabastro oue è l'odore, 
<lb/>Nelle perdite tue vie più GVADAGNI. 
<lb/>Raddoppi in te la gloria oggi, e l'onore, 
<lb/>Il Gran sotto il terren, benche si bagni
<lb/>Non moltiplica mai s'egli non more. 
<pb n="94"/>
<lb/>ELOGIO XXXXVII. 
<lb/>PIERO GVICCIARDINI 
<lb/>Cognito alle prime corone d'Europa, 
<lb/>per lo splendore de' suoi natali, e per il suo, 
<lb/>col nome solo dichiara i suoi pregi. 
<lb/>Si potrebbe aggiugnere, ch'ei fù Marchese, 
<lb/>&amp; ch'ei seruì d'Ambasciatore residente 
<lb/>il Gran Duca di Toscana appresso al sommo Pontefice, 
<lb/>&amp; al Re di Spagna
<lb/>con tanto valore, e prudenza, 
<lb/>Che ben se manifestò l'ottimo giudizio di chi
<lb/>lo promosse, &amp; i requisiti ch'a perfetto
<lb/>oratore si conuengono: 
<lb/>Se non paresse in vn certo modo, ch'egli hauesse 
<lb/>con la solita sua modestia sfuggito quei titoli. 
<lb/>Poiche il giorno, che giunsero di passaggio in Firenze 
<lb/>Il Card. Barberini, &amp; il Card. Sacchetti 
<lb/>da importantissime Legazioni, 
<lb/>quasi cedendo loro il luogo, si spedì da questa vita 
<lb/>per il viaggio del Cielo. 
<pb n="95"/>
<lb/>SONETTO XXXXVII.
<lb/>In Morte dell'Illustriss. Sig. Marchese Piero
<lb/>Guicciardini
<lb/>CHI ben è ver, che peregrina scende
<lb/>Nella valle del pianto alma creata, 
<lb/>E che, qual passaggier, la via varcata, 
<lb/>Dà luogo ad altri, e nuouo albergo prende, 
<lb/>Questa Rota fatal chi non intende, 
<lb/>Miri del GVICCIARDIN l'ora spietata, 
<lb/>Che lo spinse al partir, quando beata
<lb/>Due Porporati Eroi la Patria attende. 
<lb/>Forse è ragion, che chi tra gli ostri, e gli ori
<lb/>Nunzio già fu d'Onor colmo, e d' Ingegno, 
<lb/>Vada spedito a gli stellati chori. 
<lb/>Ch'inuiar non puo Flora all'alto Regno, 
<lb/>Per negoziare il corso a tanti Onori
<lb/>Lingua piu saggia, Ambasciator più degno. 
<pb n="96"/>
<lb/>ELOGIO XXXXVII.
<lb/>RIDOLFO della STVFA
<lb/>Fra i Nobili di Firenze di chiarissima Stirpe, ma di costumi, 
<lb/>e di gentilezza assai più chiaro, 
<lb/>fu congiunto con Alessandro Adimari d'amicizia tale
<lb/>(oltre all'hauer tenuto al sacro Fonte
<lb/>il suo figliuolo maggiore)
<lb/>Che ben parue, che alla sua morte sparisse
<lb/>fra di loro il Sole, 
<lb/>La nostra Patria si pregiò di mirare in esso
<lb/>Vna salda Prudenza, 
<lb/>Vna Esatta Fede, &amp;
<lb/>Vna singolar Pietà Cristiana. 
<lb/>Però non arriuando gl'Inchiostri dell'Autore, 
<lb/>(innacquati dalle Lagrime) a far dal negro loro perfettamente 
<lb/>spiccare il bianco delle sue lodi, non troua 
<lb/>altro conforto, 
<lb/>Che la speranza della sua eterna salute. 
<pb n="97"/>
<lb/>SONETTO XXXXVIII. 
<lb/>In Morte del Sig. Ridolfo della Stufa amico particulare 
<lb/>dell'Autore
<lb/>CARA parte dell'alma, oh di me stesso
<lb/>Non sò qual più ti chiami, o Víta, o Core, 
<lb/>Tu lotti con la Morte, io col Dolore, 
<lb/>Ma pria del tuo cader son quasi oppresso. 
<lb/>Deh, se teco spirar non mi è permesso, 
<lb/>Teco almen se ne venga il nostro ardore, 
<lb/>E con memoria eterna eterno amore
<lb/>Al chiaro spirto tuo mi stringa appresso. 
<lb/>Che s'al Ciel (come spero) oggi te n'vai, 
<lb/>O Giusto, o Forte, o Valoroso, o Santo, 
<lb/>Viurò forse ancor io dentro a' tuoi rai. 
<lb/>Và in pace Amico mio, Và in pace, e in tanto, 
<lb/>Prego Dio con quel zelo ond'io t'amai, 
<lb/>Che sia scala al tuo riso oggi il mio pianto. 
<pb n="98"/>
<lb/>ELOGIO XXXXIX. 
<lb/>SEBASTIANO XIMENEZ. 
<lb/>Disceso di Famiglia nobile di Portugallo, 
<lb/>Per la chiarezza dell'opere pietosissime, 
<lb/>e Cristiane, parue vn Sole; 
<lb/>Ma Sole, che scorresse dall'Occidente verso l'Aurora:
<lb/>Poi che i suoi passi passarono sempre verso vna luce più chiara; 
<lb/>L'acquisto del Titolo di Conte, e della dignità Senatoria, 
<lb/>&amp; l'esser morto Commessario di Pisa
<lb/>ne sono chiarissimi testimonì: 
<lb/>Ma il più durabile è il Coro, dal suo diuoto
<lb/>zelo eretto con Niccolò suo fratel cugino
<lb/>in san Piero Maggiore. 
<lb/>Oue l'istessa insegna sua gentilizia c'insegna, 
<lb/>che alle sue due Colonne, 
<lb/>Auualorate da quelle due spade, starebbe bene
<lb/>il PLVS VITRA, 
<lb/>Possendo noi credere, che la sua Pietà, oltre
<lb/>alle stelle l'habbia inalzato. 
<pb n="99"/>
<lb/>SONETTO XXXXIX. 
<lb/>In Morte del Clariss. Sig. Sebastiano Ximenez Senator 
<lb/>Fiorentino
<lb/>XIMENEZ hor per te si straccia il Crine
<lb/>E Lusitania onde partisti, e Flora, 
<lb/>Che per tue Doti eccelse, e peregrine, 
<lb/>D'esserti Cuna, e Tomba ogn'un s'onora. 
<lb/>Nascesti doue il Dì s'inchina al fine, 
<lb/>Moristi oue ei s'accosta in ver l'Aurora, 
<lb/>Se ciò non distinguea l'orme diuine, 
<lb/>In dubbio il vero Sol sarebbe ancora. 
<lb/>Fauola fu, che per l'ondose strade
<lb/>Ponesse il fren de nauiganti al velo
<lb/>Chi di quei segni armò l'ultima Gade, 
<lb/>Ma vero è ben, che tu con più gran Zelo, 
<lb/>Alzando due Colonne oggi, e due Spade, 
<lb/>Il PLVS VLTRA puoi dir, che passi al Cielo, 
<pb n="100"/>
<lb/>ELOGIO L.
<lb/>SILVIO PICCOLOMINI. 
<lb/>Al cui vanto bastar poteua l'hauer hauuto per
<lb/>Padre Enea Piccolomini, Per Madre. 
<lb/>Caterina Adimari, Per Auolo vn altro Siluio, 
<lb/>Per suoi Antenati infiniti Caualieri
<lb/>di gran merito, e duoi Pontefici. 
<lb/>Per accrescer di giorno in giorno il manto della sua nobiltà, 
<lb/>acciòche il tempo non lo raccosce, se n'andò Giouanetto 
<lb/>a militare in Germania.
<lb/>Ma la Fortuna, inuidiosa di tanti progressi, 
<lb/>il giorno, ch'egli s'auuicinaua con l'esercito
<lb/>imperiale al possesso della promessa
<lb/>terra di Ratispona, 
<lb/>Atterrato da colpo d'Archibuso, gli conuenne
<lb/>a quel tuono manifestare, e terminare
<lb/>tutto in vn tempo, il lampo
<lb/>della gloriosa sua vita. 
<pb n="101"/>
<lb/>SONETTO L
<lb/>In Morte dell' Illustrissimo Signor Conte Siluio del
<lb/>Sig. Cau. Enea Piccolomini. 
<lb/>PIANGO il tuo fine acerbo, o SILVIO, onore
<lb/>Della Selua del Mondo, anzi del Cielo, 
<lb/>E piango il danno mio, non il tuo gelo, 
<lb/>Estinto il nostro ben nel tuo valore. 
<lb/>Non piango tè, perche già mai non more
<lb/>Tra' fulmini qua giù fronda di Delo, 
<lb/>Per coronarti il Crin diede a quel telo
<lb/>Il tuo sangue i Rubin, Perle il sudore. 
<lb/>Piango la Madre tua, Piango il vedere, 
<lb/>Che qual Mosè, la Morte oggi ti pasce, 
<lb/>E che gli acquisti tuoi non puoi godere; 
<lb/>Nel resto, io sò, che benche morto infasce, 
<lb/>Le giornate dell'huom son sempre intere, 
<lb/>Ch'ei comincia a Morir tosto ch’ei nasce. 
<pb n="102"/>
<lb/>Lo Stampatore a' Lettori
<lb/>L'AUTORE per alcuni sinistri accidenti non hà possuto
<lb/>riueder le copie di quest'opera, ne assistere alla stampa,
<lb/>&amp; alle correzioni di essa, per il che ci sono subentrati
<lb/>alcuni errori, non solo d'ommissioni di punti, di virgole,
<lb/>di scambiamenti di numeri, e di lettere, ma di titoli, e d'altro.
<lb/>Però, rimettendo i più leggieri all'altrui discrezione, si rimediano
<lb/>questi pochi come appresso. Auuertendo il cortese Lettore,
<lb/>che per fuggire incontri di precedenze, si son poste le persone celebrate,
<lb/>con un semplice ordine d'Alfabeto: Chi poi saper volesse
<lb/>l'anno in cui morirono, lo trouerrà nella tauola de' nomi loro.
<lb/>Intanto si aspettino in breue l'altre Muse restanti cioè l'Urania,
<lb/>l'Euterpe, l'Erato, la Calliope, e la Talia che sono tutte in ordine
<lb/>con vna mano di Canzoni dedicate ad Apollo, trattenute non
<lb/>da altro, che dal desiderato sereno della sua trauagliosa fortuna.
<lb/>Errori				Correzioni
<lb/>Elog. 3 Riconosce			riconosca
<lb/>Son. 6. morì			muori
<lb/>Son. 10. se n'vai;		te n'vai?
<lb/>Elog. 12. figliuola di...	figliuola di Carlo III
<lb/>Son. 12 Moglia			Moglie
<lb/>Son. 15. gloriosiss.		gloriosiss. Maresciali
<lb/>Son. 25. ALTAVITA			ALTA VITA
<lb/>Son. 28. Eccel. Gioseppe	Eccel. Sig. Gioseppe.
<lb/>Elog. 31. peterna			Paterna
<lb/>Son. 33. di Leonora		Leonora
<lb/>Elog. 34. di Giulia		e di Giulia
<lb/>Elog. 38. Gasa			Casa
<lb/>Son. 44. Eminentiss.		Eccellentiss.
<lb/>Elog. 46. Alcadere		al cadere.
<pb n="103"/>
<lb/>Si stampino le presenti Rime se così piace
<lb/>al Reuerendissimo P. Inquisitore D. il
<lb/>di 28. d'Aprile 1639.
<lb/>Vincentio Rabatta Vic. di Fir.
<lb/>Essendosi compiaciuto il Reuerendiss. P. M.
<lb/>Fanano Inquis. Gener. del Dominio Fiorent.,
<lb/>che io Girolamo Rosati Protonot.
<lb/>Apost., e Consultor del S. Officio veda la
<lb/>Melpomene del non mai a pieno lodato
<lb/>Sig. Alessandro Adimari, e non ci trouando
<lb/>cosa, che repugni alle stampe, io
<lb/>l'approui, però consideratola, la trouo cosa
<lb/>(come tutte le sue bell'opre) degna d'
<lb/>esser vista per commune vtilità. In fede
<lb/>scrissi questo di 4. di Marzo 1640.
<lb/>Idem qui supra:
<lb/>Alessandro Vettori Senat. Aud. di S.A.S.
</body>
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</TEI>
Alessandro Adimari's Melpomene (1640): A Basic TEI Edition Galileo’s Library Digitization Project Crystal Hall Transcription Jenna Albanese XML file creation the TEI Archiving, Publishing, and Access Service (TAPAS)
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La Melpomene overo Cinquanta Sonetti Funebri con altrettanti Elogii Oratorio: Poetici. Opera del Sig: Alessandro Adimari Accademico Svuogliato. Dedicata all'Illustriss. e Rever. Monsig. Dionisio Bussoti Vescovo del Borgo San Sepolcro. In Firenze appresso Massi e Landi con licenza de Superiori 1640.
LA MELPOMENE OVERO CINQUANTA SONETTI FUNEBRI Con' altrettanti Elogij ORATORIO: POETICI Opera del Sig: ALESSANDRO ADIMARI Accademico Svegliato Dedicata all Illustris: e Reuer: Monsig. DIONISIO BVUSSOTI Vescouo del Borgo San Sepolcro In Firenze appresso il Massi, e Landi con licenza de Superiori 1640. All' Illustriss. et Reuerendiss. Monsig. DIONISIO BVSSOTTI Vescouo del Borgo S. Sepolcro. QVANDO Giasone (Illustriss. & Reuerendiss. Sig.) spronato dall'acuto stimolo della Gloria, s'accinse alla nobilissima impresa del Vello d'oro, applicò l'animo, non tanto à ben corredar quel famoso legno d'ogni opportuna occorrenza, quanto à ben prouuederlo di valorosi Guerrieri, che (pari a' suoi voti) seco fossero della fatica, e dell'honore fedelissimi compagni. Però con vno scelto drappello de' più chiari personaggi d'Argo (onde Argonauti furon detti) sopra vi ascese se con vn cuore veramente cinto d'vn raddoppiato Bronzo, anzi d'vn triplicato, & indomito Diamante, non pauentò le mobili, & aperte Simplegadi del Bosforo; non l'incognite Sirti dell'Eusino; non gli orribili mostri dell'Eurippo; ma giunse intrepido al desiderato Colco, & al bramato, e faticoso conquisto. Questo generoso ardimento, parmi, che fa la vera immagine d' vn animo gentile, che s'ingegni d'arriuare al Porto della vera felicità: E la riconosco marauigliosamente in quello di V. S. Illustriss. Perche, postosi in mente fin da' suoi primi Anni (spronato dal suo Spirito naturale) l'acquisto della Virtù, preparó la Naue del suo bellissimo ingegno di tutti quegli arredi, ch'à ben solcar l'onde di questo procelloso Mondo fosser basteuoli; Indi asceso nel famoso legno della Religione de'SERVI, (Argo Nobiliss. che fra le Stelle del Cielo, e fra la Corona della Beatiss. Vergine sua Protettrice fiammeggia) fù non solamente moderator di quello, ma s'incaminò con gran passo alla subblime impresa d'vn conquisto maggiore, ciò, è verso l'aureo Vello della Fama, sù l'ale della quale, dopo yna serie d'altre grandezze, ascenderà, spero, anch'ella à risplendere frà le chiariss, fedi del Cielo, come hora fra quelle de' Prelati risiede. E quì, per aggiustare maggiormente il pensiero, mi si conceda il dire, Che si come il figliuolo d'Esone fù stimolato all'opere grandi dall'esempio de suoi maggiori, così ella, à guisa di Soclide (che stimaua obbligo il non degenerar da gl'antenati) hà voluto seguitar l'orme de suoi, & in particolare quelle di Monsig. Bartolommeo Bussotti, il quale vgualmente riguardeuole per la parentela, che traeua da. Mons. Douizzi Cards del titolo di S. Maria in Portico, e per la molta prudenza, che dimostrò, mentre era in abito secolare, ne' tre consolati, fatti per la nostra Nazione Fiorentina in Roma, fù da Pio Quinto onorato con la carica di Tesaurier Generale Apostolico: Et quelle di Mons. Alessandro Mazzi suo nipote di sorella, che per le sue proprie doti, e per quelle del Zio, fu dal medesimo Pontefice promosso al Vescouado di Fossombrone. Sol potrebbe chiedere qualche curioso, Oue è la Compagnia de Valorosi Campioni, che questo nuouo Argonauta s'hà trascelta? A questi facilmente potrei rispondere, Che suoi veraci compagni fossero tutti quei Religiosi Personaggi, che nel suo Ordine si ritrouano, s'io non riconoscessi tutti costoro essere sicura materia, ond'è composto questo mistico vascello: Oue altri è Véla distesa al vento della Predicazione, altri Prora volta alla punta delle salubri confessioni; altri Poppa; da cui si succhia continouo latte d'infinite dottrine, altri Timone con la saldezza del buon gouernò, & altri Ancore fortissime della nostra Fede, con la profonda Teologia. Però, desideroso di contentare chi pur bramasse di vedere effettiuamente V. S. Illustriss. accompagnata, hò pensato di condurle auanti vna schiera d'alcuni generosi Guerrieri, ch'imbarcati nel suo petto, & arrolati in quest'opera, faran conoscere al Mondo, come ella haurà seco, non la fauolosa nobiltà d'Argo e di Iolco, má la più florida e la più vera di tutta Europa. Poi che, se in quell'Armata interuennero Mospo, & Idmone, Sacerdoti d'Apollo, quì saranno Cardinali, Arciuescoui, & altri Prelati, Sacerdoti del vero, e viuente Iddio. Se colà figliuoli d' Eroi, quà figliuoli di Principi, e di Semidei, che adeguano la magnanimità di Giasone, la fortezza d'Ercole, il senno di Periclimene, la Bellezza di Hilb, & il valor d'ogni altro. Se là fù Medea Regina di Colco accompagnata (com è da credere) da nobilissime matrone, quì vna mano di Principesse, seguitate da leggiadrissime Dame; finalmente s'in quella spedizione fù Orfeo, quò più d'vn virtuoso Poeta. Non vorrei già, che trattandosi d'vn piccolo numero fra vna copia infinita, mi si opponesse parzialità in hauere scelto più vno, che vn'altro, perche io risponderei, hauer fatto menzione solamente di quelli, che in qualche maniera hò seruiti, e conosciuti a' miei giorni, e non hauer voluto trapassare il numero di Cinquanta, per non trascender il solito Tributo, che fin quì mi son proposto di dare a ciascuna Musa; oltre che supplirà l'Euteripe, e l'Apollo, che d'altri patroni cantano in suon funebre. Mi dispiacerebbe ancora, che nel cercar di persuaderla à gradire questa mia MELPOMENE (detta come io credo, da ciò è Celebro vel cano cum mestitia, che perciò forse di lei fù detto. Melpomene tragico proclamant maesta boatu. e nel cercar di spiegare in parte il merito di V. S. Illustriss. e la conuenienza di dedicarle questa mia debol fatica, alcuno s'offendesse in vedere, che trattandosi di Prelato, e di Cristianissimi Defunti, io mescolassi illecitamente le cose Sacre con le Profane. Per euitar dunque ogni scoglio, sarà forfe meglio (tralasciato l'intrapreso Argomento) ricordarle; Come il fortissimo Giuda Maccabeo (raccolto nella Citta d'Odolla il suo esercito, e numerati i morti) stimò (dopo hauer fatto dar loro sepoltura) santa, e salutifera cosa il far pregare l'Altissimo per l'anima di quegli, ch'erano passati all'altra vita con qualche difetto de'lamniti, onde fatta vna colletta di dodici mila dramme, le mando al sommo Sacerdote di Gerusalem, in offerta per lo peccato: Perciò, adattando il tutto à mio proposito, dirò così. Morti son questi 50. Personaggi nel militar sotto il grande stendardo di CRISTO: Può essere che alcun di loro se ne sia passato con qualche macchia da scancellarsi nel Purgatorio; Si sono adunate dalle copiose ricchezze delle virtù, ch'in essi regnarono (se non dodici mila Dramme, almeno vn abbondante numero di meriti, posti oggi ne' rozzi sacchi di questi miei versi: Io son dunque l'apportatore di questo Tributo V. S. Illustriss. è il Sacerdote, che lo riceue; e se non è quello del Tempio di Gierosolima, indubitatamente è quello d'vna Città, che hauendo il nome dal Glorioso SEPOLCRO del nostro Redentore, misteriosamente può dirsi da Gerusalem non molto dissimile, ne lontana. Dunque non altroue, ne ad altri, che a lei si debbono portare quest' offerte: Le quali anche le son douute, perch'essendo gli estinti, o la maggior parte di loro, stati notissimi, & amicissimi suoi, o perche furono Principi viui a' suoi tempi, o furon per lo più persone graduate nella nostra Patria comune, o diuoti del Tempio della Santissima Nunziata, e di quel Conuento, di cui V. S. Illustrissima è stato figliolo, e Padre; è cosa conueniente, Che i Padri tengan conto delle famiglie loro, Che gli Amici si ricordino degli Amici, & Che i Principi sieno venerati. Se poi io hò congiunto la metizia degli Elogivcol suono de’Versi, anche nell'esequie de' Grandi interueniuano i Tibicini, & i Piangenti; ricordisi di quelle della figliuola del Principe della Sinagoga, oue il benignissimo Saluator nostro, ascoltando gli strepiti, disse, Non è morta questa Donzella, ma dorme: 'accennandoci non solamente, ch'il pianto dee esser breue, ma che si può lietamente cantare nella morte di coloro, che per douersi purgare, scendono in luogo, doue col suono delle preci si possono sciogliere da'peccati come dal sonno. Il mio canto, almeno accordatosi con la Pietà, & osseruando in questa parte il precetto, Che non si lodi veruno in vita sua, haurà questo di buono, che sarà lontano dall' Adulazione, e dall'Interesse; E ciò volle, per auuentura, insegnarci il Patriarca Iacob, quando (conoscendosi vicino a morte) pregò Gioseffe suo figliuolo, non folo, che seppelir lo facesse presso all'ossa de suoi maggiori nella Paterna contrada, ma ch'inuerso l'anima sua vsasse misericordia, e verità; Poi che quella è vera misericordia, che fanno gli huomini al suo prossimo, quando, non potendo sperare dalle persone defunte ricompensa mondana, s'affaticano à dar loro caritatiuo soccorso nell'altra vita con le preghiere. L'aiuto principale, & la vera misericordia sarà quella dunque, che come Prelato darà V. S. Illustriss. a questo Drappello estinto, ricordandosi di lui ne'suoi sacrifizi. Io come persona del secolo, e di poco spirito, se non potrò giouare a'Defunti, giouerò forse in questo a'viuenti. Che rammenterò loro quel salutifero ricordo, notato fin dal Poeta Lirico Tebano, che disse φρονεῖν τὸ παρκειμενον. cioè. Pensa a quel ch'è vicino. Et come in vno specchio rappresenterò loro, Che la morte con egual piede tanto percuote le Capanne vmili, quanto l'eccelle Torri. Dal che ciascuno potrà imparate à non fidarsi nè di Fasto, nè di Giouentù, nè di Fortuna, nè di Beltà, nè di Ricchezze, ma solamente a cercare di viuere in questo breue corso in maniera, Che la morte li sia cagione di perpetua fama in terra, e d'eterna vita in Cielo. Ma che voglio io dir più? basta ch'ella gradisca quest vmil dono, perche dalla sua protezione & esempio nasceranno senz'altro gli ammaestramenti, è la stima. Però Inchinandomi a V. S. Illustrissima & Reuerendissima, confidato di riceuere vn tanto fauore, le bacio la Sacra Veste, e resto pregandole dal Sig. Dio ogni vero bene. Di Firenze li 13 di Gennaio 1639 ab Inc. Di V.S. Illustriss & Reuerendiss. Diuotiss. & affezionatiss. Seruidore. Alessandro Adimari. TAVOLA De' Nomi de Personaggi contenuti in quest'opera, con ordine di Alfabeto, e degli anni in che morirono. A 1 ALessandro Orsini Card. Morì nel 1626. Elog. carte 2. 2 Alessandro Marzi Medici Arciu. nel 1629. Elog. c. 4. 3 CARLO di Lorena Princ. di Gioiosa nel 1636. Elo. c. 6. C 4 Cammilla Rossi da San secondo nel 1634. Elog. c. 8. 5 Cammillo Guidi Caualiere. nel 1624. Elog. c. 10. 6 Cassandra Bardi Cappòni nel 1638. Elog. c. 12. 7 Caterina Saluiati Niccolini nel 1633. Elog. c. 16. 8 Claudia d'Albon Coppoli nel 1626. Elog. c. 14. 9 Cosimo Gran Duca di Toscana nel 1620. Elog. c. 18. 10 Cosimo Minorbetti Vescouo nel 1628. Elog. c. 20. 11 Costanza Vettori Capponi nel 1632. Elog. c. 22. 12 Cristina di Lorena G. D. di Toscana nel 1636. Elog. c. 24. D 13 Donato dell'Antella Senatore nel 1617. Elog. c. 26. E 14 Elisabetta Southuel nel 1631. Elog. c. 28. 15 Euandro Piccolomini nel 1638. Elog. c. 30. F 16 Ferdinando Imperatore nel 1636. Elog. c. 32. 17 Ferdinando Gonzaga Duca di Mantoua nel 1626. Elog. c. 34. 18 Flauia Mancini Ximenez nel 1626. Elog. c. 36. 19 Foresto da Este Principe di Modona nel 1639. Elog. c. 38. 20 Francesco Bonciani Arciuescono nel 1619. Elog. c. 40. 21 Francesco Maria Card. dal Monte nel 1626. Elog. c. 42. 22 Francesco Principe di Toscana nel 1634. Elog. 44. 23 Francesco di Lorena Principe di Gianuille nel 1639. Elog. c. 46. G 24 Gabbriel Chiabrera Poeta nel 1638. Elog. c. 48. 25 Gio: Batista Altouiti Cau. nel 1629. Elog. c. 50. 26 Gio: Batista Marini Cau. e Poeta nel 1625. Elog. c. 52. 27 Gio: Batista Rondinelli Cau. nel 1605. Elog. c. 54. 28 Gioseppe Caraffa Principe di Stigliano nel 1629. Elog. c. 56. 29 Giuliano de' Medici Arciuescouo nel 1634. Elog. c. 58. I 30 Iacopo Inghirami Generale nel 1625. Elog. c. 60. 31 Ippolito Aldobrandini Card. nel 1638. Elog. c. 62. 32 Isabella Infanta di Sauoia nel 1626. Elog. c. 64. L 33 Leonora Principessa di Toscana nel 1617. Elog. c. 66. 34 Leonora da Este Principessa di Venosa nel 1637. Elog. c. 68. 35 Leonora Saluiati nel 1628. Elog. c. 70. 36 Lorenzo del Senator Carlo Strozzi nel 1638. Elog. c. 72. M 37 Maddalena Strozzi Saluiati nel 1634. Elog. c. 74. 38 Margherita Ardinghelli nel 1636. Elog. c. 76. 39 Maria Capponi Baglioni nel 1634. Elog. c. 78. 40 Marino Caracciolo Princ. d'Auellina nel 1630. Elog. c. 80. O 41 Onesta Camerotti Adimari nel 1604. Elog. c. 82. 42 Orso d'Elci Conte nel 1636. Elog. c. 84. 43 Ottauio Rinuccini nel 1623. Elog. c. 86. P 44 Pietro Aldobrandini nel 1629. Elog. c. 88. 45 Piero Bonsi Senatore nel 1626. Elog. c. 90. 46 Pier Antonio Guadagni nel 1633. Elog. c. 92. 47 Piero Guicciardini Marchese nel 1626. Elog. c. 94. R 48 Ridolfo della Stufa nel 1624. Elog. c. 96. S 49 Sebastiano Ximenez Senatore nel 1633. Elog. c. 98. 50 Siluio Piccolimini Cau. nel 1634. Elog. c. 100. DELLA MELPOMENE D'ALESSANDRO ADIMARI PROEMIO SPECCHIO da rimirar l'interno humano, Per compor l'Alma, e far le Menti accorte, MELPOMENE, il pensiero è della Morte, Tu me l'additi, io non vi guardo inuano. Spero in esso veder quanto sia vano L'ardir del Grande, il contrastar del Forte, La Speranza fallace, aspra la Sorte, La Bellezza caduca, il senno insano. Voi, ch'intanto ascoltate il mesto suono, Che sol misero auanzo è de' passati, Impetrate a lor pace, a me perdono. A me, s'al merto egual non van lodati; A lor, per ch' il pregar pe' Morti è buono, Che, se moriro in Dio, son hor beati. ELOGIO I. ALESSANDRO ORSINI CARD. Fú Principe di tanto valor dotato, che alla sua morte immatura pianse vna gran parte degli huomini del Mondo, Et ardirei di dire, che haurebber pianto fin gli Angeli stessi del Paradiso, se quei non l'hauessero (come io credo) per l'innocenza della Vita, e per la santità de' Costumi ne loro beati seggi con interno riso raccolto. La breuità del Tempo non li tolse il correre lo Stadio della virtù; Perche affrettandoui altrettanto il piede, e vestendosi l'abito dell' onore Prima sul dorso dell' animo, che su gli omeri del Corpo era di già peruenuto al termine della gloria quando la cieca, & inuidiosa Parca lo credeua ancor alle mosse SONETTO I. In Morte dell'Eminentiss. Sig. Card. Alessandro Orsino. QVESTI, che d'ostro il nobil Crin cerchiato Sembrò fiamma gentil, ch'alto sormonte, Fiamma ben fù, che del gran foco al fonte: Se ne torn'oggi, a più bell'Orse allato. Ahi Non se ne pianga hor l'ultimo fato, S'ammirin l'opre, e le Virtu più conte, Che nel poggiare al glorioso monte Chi di lui fù pui forte, o più beato? Parue Cintia in Ortigia, Apollo in Delo, Al casto affetto, al sacrosanto ardore, E parue Angelo al fin fotto vman velo. E così fà, chi del Celeste amore, Per esser luce, e Cardine del Cielo Si veste pria le Porpore nel core, ELOGIO II. ALESSANDRO MARZI MEDICI. Nato di quella chiarissima Famiglia, che per seruizi fatti alla Sereniss. Casa di Toscana, hebbe vna parte della sua Arme gentilizia, e del Cognome; Portò se stesso auanti con vna esquifita litteratura, e con vna eccellente Bontà di vita: Però, dopo essere stato Can. Fiorentino, e Vescouo di Fiesole, fù assunto all'Arciuescouado di Firenze: Oue multiplicò talmente i talenti, che Dio li diede, che ben possette esser chiamato a godere nella Gloria del suo Signore. Ma perche non si danno le Corone se non a chi legittimamente combatte: Parue simile al Pio Buglione Poi che, dopo infiniti trauagli, l'anno della Peste del 1630. visitando con publica Processione per la publica salute il Tempio della Santissima Nunziata di Firenze, e passando poco dopo all'altra vita, possette di lui dirsi; che anch'egli entrando nella celeste Gerusalem Adorasse, e sciogliesse il voto SONETTO II. In Morte di Monsig. Aless. Marzi Medici Arciuescouo di Firenze. SV buon seruo fedel posa il mortale, Entra in gloria à goder del tuo signore, Se piange il gregge tuo senza Pastore, Piange te suo Pastor, quanto il suo male. Tu schiui hor d'ogni guerra il crudo strale, Ei si riman tra'l ferro, e tra'l dolore, Tu di peste il colpir fuggi, e 'l timore, Ei resta in parte, oue il fuggir non vale, Se lice inuidia hauer dell' altrui sorte, Per te nell' alma mia sent' oggi un moto, Che la tua vita inuidia, e la tua morte, Tu, giunto oggi à Sion per fin diuoto (Quasi del Pio Buglione emul più forte) C'insegni il gire al Tempio, e sciorre il voto. ELOGIO VI. OH CARLO LVIGI Duca di Gioiosa, e Parì di Francia, Per fiorir Fiorenza di leggiadrissimi fiori non mancaua altro, che quella nuoua, & aurata corona di generosi figliuoli, Che il magnanimo & amabil CARLO Duca di Ghisa tuo Padre hà ricourati dal freddo Cielo della Senna, su le temperate riue dell'Arno. Ma la mutanza dell'vmane cose hà volsuto, che vn’ improuiso inuerno offenda il candore de' gigli, & il minio del tuo bel volto. Forse per che l'ordine della temporal Primauera anco in te si riconosca; Quella nel colmo delle sue bellezze vien dal calore della State, e dal desiderio dell'acque oppressa; Tu nel più bello de' tuoi pregi, e nella copia immensa d'infinite Grazie, e Virtù, da fuoco di maligna Febbre, e da sete d'Idropisia assalito, languisci. Confortati nondimeno, Perche i Gigli, quanto han più vita, han anco minor vaghezza, Ma le Rose, quanto han più sete, hanno anco maggior colore. SONETTO VI. In Morte dell' Illustriss. & Eccellentiss. Carlo Luigi d i Loreno Duca di Gioiosa. REGIO Garzon, che sul fiorir degli anni Le Rose, e i Gigli tuoi cedi all'Inuerno, Piangerem forse il tuo finir gli affanni, O che cerchi alla sete un Riuo eterno? Piangasi il fin de gli empi, e de' Tiranni, Non di chi visse in terra Angelo interno, La Fenice al morir s'inuola a i danni, Il Mondo ognor fugaci acque ha d' Inferno, Cadi affetato, è ver, su l'altrui riue, Giouane, è ver, ma dona incontro à Lete, Vita il Ben, Patria il Ciel, Diol' Acque viue. O presagio immortal d'alta quiete, Il Giglio hà più Candor, quanto men viue. La Rosa hà più Color, quanto hà più sete. Per error nella Tauola s'è posto Arrigo per Carlo però deue ire alla lettera C dopo il Sonetto 5. ELOGIO IV. CAMMILLA ROSSI de' Conti da San SECONDO, Vedoua di Fabrizio Barbolani de' Conti di Montauto, Meritò per le Grazie, che in lei concorreuano, Tanta grazia appresso la Sereniss. Cristiana di Loreno Gran Duchessa di Toscana, Che, riceuutola per sua Dama maggiore d'onore, l'amò tenerissimamente. Ed ella con esatta diligenza, e fede, corrispondendo a gli obblighi, Fece acquisti in vita, e meritò giunta à morte, Vn funerale nobilissimo à costo di quell'Altezza, Oue il Candore d'vna immensità di Cera ardente, parue, che rappresentasse la Bianca immagine della sua Pudicizia, é l'eminente Porpora de' suoi nobilissimi Natali. SONETTO IV. In Morte dell'Illustriss. Sig. Marchesa Cammilla de Rossi, de' Conti da Sansecondo SON queste faci alla tua Pira intorno, Non insegne di Morte, o di dolore, Per ch'inuitta virtù già mai non muore Ne muore il Sol, benche s'estingua il giorno. Ma son, CAMMILLA, un simulacro adorno Delle grandezze tue, del tuo valore, Quì miro accolto in un luce, e candore; A te luce, e candor fù sempre attorno. ROSSO acceso d'onor, BIANCO di fede, O su ne'MONT' ACVTI, o d' Arno all'onda, Sempre eguale à scourir mouesti il piede, Vanne, ò bell' Alma, à niuna altra SECONDA, CHE de' Giusti in morir l'alta mercede, Come Palma fiorisce, e Cedro abbonda. ELOGIO V. CAMMILLO GVIDI. Toltosi da Volterra sua Patria, e datosi alla Relig. de' Cau. di S. Stefano Picciolo di Corpo, Di nobiltà grande, Immenso d'animo, Passò al seruizio della Sereniss: Casa di Toscana: Iui con fedeltà, pari all' istessa Fede, Secretario confidente alla Corona di Ferd. I. e di Cosimo, II. impiegato in Carichi importantissimi giunse a Morte: Se morto si può dir colui, Che morendo nasce ad vno immortale Onore. SONETTO V. In Morte del Sig. Cau Cammillo Guidi Sec. del Sereniss. di Toscana Ha' de' Regi quà giù l'immensa mole Duo presidi all' incarco, il Ferro, e'l Senno, Ma il Ferro al pondo suo rouinar suole, Se del consiglio altrui non serue al cenno: Quindi un Cammillo già, qual nebbia al Sole, Intrepido fugò l'armi di Brenno. Et vn nuouo CAMMILLO i pregi hor vuole, Ch'alla parte miglior porger si denno. Colmo di Fe, pien di Prudenza il petto Lo vide il Re dell' Arno, e'l vide insieme Harpocrate al tacer, Febo al concetto; O GVIDI, al morir tuo, chi per te geme Le nostre Glorie inuidia, e'l tuo diletto, CHE chi nasce all'Onor morte non teme. ELOGIO VI. CASSANDRA. Nata di Cosimo Bardi Conte di Vernio, e di Lucrezia Guicciardini. Come Gemma di infinito pregio, per lo splendore d'vna ammirabile, e riuerita bellezza, e d'vna infinita virtù, Incassata con auuenturose nozze nell'oro purissimo del generoso Piero di Francesco Capponi Fratello dell'Eminentiss. Card. Luigi, Accrebbe i propri splendori, col sereno dell'Abate Francesco, e del Marchese Scipione suoi chiarissimi figliuoli, con la fortezza in sostener la perdita dell'amato marito, con la prudenza, con la vigilanza, col giudizio con la Carità, onde innocentissima conseruò la sua vita, e resse la Casa. Il perche, sembrando vnica Fenice, fù richiamata dalla caduca Pira della Terra, all' eterna luce del Cielo, il giorno della gloriosissima Natiuità di GIESV CRISTO N. S. attestandoci col proprio successo, Che morendo i Giusti non incontrano la morte; Ma la Vita d'vn fortunato Natale. SONETTO VI. In morte della Sig. Cassandra Bardi Capponi DICA sul Rogo tuo le voci estreme, Sparga l'acqua col pianto a te d'intorno, O CASSANDRA, quei sol, ch'il tuo bel giorno Si crede con la vita estinto insieme: Ch' io già non piangerò, per che non geme Chi sà, ch' in Ciel più bella hor fai ritorno, Sprezza la Morte un cuor di pregi adorno, Che quel ch'in van si fugge, in van si teme, Deh, come può morir fra cieco oblio Fenice, ch'al finir s'impenna l'ale, E comincia morendo il dì natío? O presagio di Gloria alta, e vitale, Tu mori oggi, che nasce in terra Dio, Per ch'a chi muore in Dio, Morte è Natale. ELOGIO VII. CLAVDIA Dell' Illustrissima Casa D' Albon franzeze Cresciuta nella Corte di Toscana accettissima Dama, e poi Matrona d'onore, della Sereniss. Cristiana di Loreno. Fu moglie del valoroso Capitano Cammillo Coppoli, dalle cui nozze trasse vno splendor maggiore, Che fu l'effer madre del Marchese Francesco vnico erede della sua generosa Bontà. Veramente l'Aquile, e le Colombe non degenerano. Prouò nondimeno i colpi d'auersa Fortuna, E per la fresca vedouanza, e per la perdita de' suoi maggiori: Con tutto ciò, con indicibil fortezza rabbellì sempre il Candore della sua Fede, Onde al suo trauaglioso mare, agittato, e biancheggiante da raddoppiate percosse, venne a ragione adattato quel motto, Espresso in vna sua proporzionata Impresa, MAS TORMENTA, MAS CANDOR. SONETTO VII. In Morté di madama Claudia D' Albon CHIVSO, CLAVDIA, il tuo giorno, e 'l varco aperto Al Teatro di Fama alta, e serena, Chi ben finì la sua mortale scena, Hà di lagrime in vece applauso, e merto. Ma qual de pregi tuoi dirò poi certo Penelope a gli affetti, al volto Elena, Se le virtù d'altrui son ombre appena Di quel, ch'hai meglio oprato, e più sofferto? Pietà, Fortezza, e Fè, Costanza, Onore Rabbellironsi in te fra le procelle. Qual Mar, CH' in piu tempesta hà piu candore: Ite hor Vedoue spoglie, Ite piu belle, Si scorgon meglio entro al notturno orrore Quando è sparito il giorno anco le stelle, ELOGIO VIII Il morire carica d'anni, e d'onore; Et l'esser sepolta, oue hanno la Tomba i Saluiati di cui nascesti, & i Niccolini, a cui maritata viuesti, Fu, ò CATERINA vn ridursi, dopo lunga nauigazione, felicemente in Porto: Onde io non saprei nel sasso del tuo sepolcro qual delle tue venture per la più sublime intagliare, se non il Titolo d' ONORATA MATRONA, Perche, hauendoci lasciati il Cau: Francesco Ambasciadore per il Sereniss. di Toscana a Roma, et il Marchese Filippo tuoi chiarissimi figliuoli, dimostri, che alle nobili Cornelie Già mai non mancarono i Gracchi. SONETTO VIII. In Morte della Illustriss. Sig. Caterina Saluiati Niccolini Madre del Sig. Cau. Franc. Ambas. e del Sig. Marchese Niccolini. QVESTA che d'anni carca, e più d'onore, Per l'Egeo della vita approda in Cielo, Non lascia, come l'altre, esca al dolore, Il vederla oggi in Terra ombra di gelo, Ci lascia ben partendo in dubbio il core Se Virtù, Fede, Amor, Pietade, e zelo In altri, fuor ch'in lei, visse maggiore, Dal Mondo infante, a che fe bianco il pelo; Mai piu concludon poi, che non somigli Al suo nessun valor, s'è vero il detto, CHE si lodan le Madri al suon de' Figli, O CATERINA, o Madre, o suono, o Petto, Ch'al Tebro i vanti accresci, all' Arno i Gigli, Nel dirti Madre, ogni tuo pregio hò detto. ELOGIO IX. COSIMO II. Sposata la Sereniss. Maria Maddalena Arciduchessa d' Austria, e successo nel Dominio di Toscana al Gran Duca Ferdinando suo Padre, Sarebbe vissuto in vn secolo felicissimo, se pari al vigore dell'animo, & alla tranquillità de' Tempi hauesse incontrato la Sanità del Corpo: Magnanimo, Inuitto, Pio, Religioso, Giusto, Forte, e Prudente soura ogni credenza Vmana, Arricchì la Sereniss. sua Casa di nobilissima Prole, Vnica speranza, e Conforto a gli sconsolati suoi sudditi, che per l'ingenua sua Bontà, non credeuano (Oh abissi impenetrabili di Dio) lo douesse toccar sì presto il formidabil tormento di Morte. SONETTO IX. In Morte del Serenissimo Cosimo II. Gran Duca di Toscana COSMO se' morto, alla tua vita i voti Consacrai sempre a riuerirti intento, Ahi, che siam polue, il respirare vn vento, Siam Bolle d'acqua all'apparenza a' moti: Ma se non vuole DIO, ch'i suoi diuori Sentin di Morte mai colpo, o tormento, Se mill'anni appo lui sono un momento Come estinto, o mio RE, vuol ch'io ti noti? A te, ch'eri pur suo, misero oppresso, Vn Atomo di vita in quei pochi anni Alla misura sua non hà concesso. Ah liuida ignoranza, bor non c'inganni, Più caro è chi gli và più presto appresso, LA Morte è scala al Ciel per via d'affanni, ELOGIO X. COSIMO MINORBETTI. Eguale nella nobiltà a' Nobili della sua Patria, Superiore nella Dotrina a molti gran litterati del suo tempo, & a niuno inferiore di Bontà, Canonico Fiorentino, apparue lo splendore de' Sacerdoti, Arcidiacono del medesimo Duomo, la norma del viuer Cristiano, Vescouo di Cortona, la Regola dé perfetti Prelati, Il Gran Duca Cosimo II. Che lo conobbe tale, lo propose capo all'educazione del Principe Ferdinando suo Primogenito, Et egli nelle morali, nelle politiche, e nelle diuine scienze ammaestrandolo, Fù seco nella gita all'Imperadore, quasi Raffaello con vn generoso Tobbia. In ciò solamente diuerso, Che quella Angelica scorta Sparí da gli occhi vmani dopo il ritorno, e questi (oh dolore, oh perdita lacrimosa) nell'istesso viaggio, SONETTO X. In Morte di Monsig. Cosimo Minorbetti Vescouo di Cortona. FIGLIO mio, caro Amor, che dico, o Dio, Deuo Padre appellarti, oue ten'vai, Di morte in sen per non tornar già mai Ne pur l'Ossa rimandi al suol natío; Quando il Tesbita all'aureo Ciel salío Lasciare almeno il manto a' suoi mirai, E lasciò Fidia i Marmi, oue tu sai Qual arco ei tese a saettar l'obblío. Si disse al tuo morir, Gran MINORBETTI, Flora, ondeggiando in mar d'aspro dolore, E tu cosí, per acquetar gli affetti: Taci, ch'or hai da me cosa maggiore, Ti lascio il Rege tuo, reso a' miei detti, Teatro di virtù, Tempio d'onore. ELOGIO XI OH COSTANZA VETTORI, Se la Nobiltà del Marchese Luigi tuo Padre, Se la Giouentù de tuoi verdi anni, Se la bellezza del volto, e dell'animo, Se la felicità della tua fortuna, Hauesser potuto ritrouar pietà nella Morte, al sicuro, c he per tante tue prerogatiue le hauresti fatto cadere la falce di mano. Ma ella, sempre con tutti inesorabile, teco si mostrò maggiormente crudele; Poi che, non riguardando a veruno di tanti tuoi pregi, estinse la tua vita in quell'ora, Che ad vn figlio col partorire desti la vita Oh ricompensa del mondo ingrata, Oh contenti vmani sempre assaliti dal dispiacere, Oh fortezza inuincibile de gli animi nobili: Io non sò distinguere, se il Marchese Ruberto Capponi, tuo sposo, che sostenne così gran colpo, nel fine della tua vita perdesse, O nel principio della tua Morte, acquistasse, Vna COSTANZA maggiore. SONETTO XI. In Morte della Sig. Costanza Vettori moglie fù dell' Illustriss. Sig. Marchefe Ruberto Capponi. LACRIMEVOL pietà, che miro, e sento! S'asconde in terra a mezzo giorno il Sole? Vn April, su l'aprir Gigli, e Viole Riman di fiori impouerito, e spento? LA COSTANTE VITTORIA in un momento In mezzo al Trionfar perde, e si duole? Virtù, Senno, e Bellezze al mondo sole Sono a' colpi di Morte ombra, e spauento? Così và, Febo ancor s'al colmo ariua Ritorna indietro, e spesso a' rastri accanto Disperde il frutto suo la messe estiua, Semel, si grata al Ciel, non si diè vanto Di partorire anch'ella, e restar viua, TANTO è vicino all'allegreza il pianto. ELOGIO XII. CRISTINA Figliuola di CARLO DVCA DI LORENO Come eletta da Dio a reggere & a produrre chi regga gli Scettri, Fu nobilmente in Corte di Caterina de' Medici, Regina di Francia, alleuata. Indi Sposa di Ferdinando P. Gran Duca di Toscana III. Come generoso rampollo in ottima pianta inestato, produsse di Pietà, di Religione, di Magnanimità, di Fortezza, di Prudenza, e d'ogni altra eroica virtù frutti marauigliosi. Feconda di figliuoli, e ricca d'ingegno, e di bontà; restata vedoua, e poscia priua del Gran Duca Cosimo II. suo Primogenito, attese con tanto giudizio alla cura de gli Stati del Giouanetto Gran Duca Ferdinando suo Nipote, e talmente vnita con MARIA MADDALENA Arciduchessa d'Austria sua Nuora, Che ben parue a quel tempo la Giustizia, e la Pace essersi di nuouo incontrate, e baciate insieme. Onde l'Etruria, che la riuerì nel soglio terreno, resta eternamente obbligata a pregarle maggior residenza nel Cielo. SONETTO XII. In Morte della Sereniss. Christina di Loreno, moglia fù del Sereniss. Ferd: I. Gran Duca di Toscana. ITE incontro a quest' Alma alta immortale, Ch'in sen l' apre hà di CHRISTO, e'l nome in fronte, Angeli, o voi, ch'al sempiterno fonte Beuete in Paradiso onda vitale: Ite non per aita a lei che sale, Che Dio stesso gli è scala, e'l Ciel gli è ponte, Ma per alzar di sue virtudi un Monte, Ite a farle di gloria un Tron Reale, Incontrila sua fè l'istessa Fede, Porti il suo Amor la Caritade al Polo, Sol frà noi la Speranza arresti il piede: Rimanete ancor voi lacrime, e duolo, CHE tormento di Morte vnqua non fiede Chi fà col suo valor Vela al suo volo. ELOGIO XIII. DONATO dell' ANTELLA Patritio, e Senatore Fiorentino, fù chiarissimo lume di Magnanimità, di Fortezza, di Giudizio, e di singolar Prudenza Ciuile. Con questi arredi ascese a quei più subblimi gradi, Che al seruizio della sua Patria, e de' suoi Principi, lo potettero innalzare: Visse Celibe Lasciò morendo emuli, e seguaci del suo valore, i Nipoti: Fra quali Niccolò principalissimo Senatore anch'egli; Auditore, e Consigliere di Stato del Sereniss. Gran Duca di Toscana fù grande; Onde io non sò, se più il Nestore, che il Catone di Firenze si deua appellare. SONETTO XIII In morte dell' Clariss. Sig. Donato dell' Antella Senatore Fiorentino. CADI ò Nestor dell'Arno, e teco insieme Sembra cader della tua patria il pondo, E la Vergine Astrea fuggir dal Mondo, E disperata impalidir la Speme Ma quale Anteo, che Berecintia preme, E tragge indi valor dalsen profondo, O quale Augel nel Rogo suo fecondo, Tal de Grandi il morir, morte non teme. Seme sparso d'onor fin dall' Aurora, Se pur dianzi il couerse Espero ingrato, Dal funebre terren germoglia ancora, Già ne' posteri tuoi, Spirto beato, Qual Sol, ch'al tramontar le Stelle indora, Luce radoppi al declinar del Fato. ELOGIO XIV. ELISABET SOVTHVEL Fù moglie di Ruberto Dudleo Conte di Veruich, e Duca di Nortumbria, Di tanta religione, e bontà dotata, Che per mantenere il viuo candore della Cristiana Fede, Amò piu tosto, come Ermellino, Esulando col marito frà molti incomodi morire, Che imbrattarsi, viuendo in Inghilterra sua Patria, in qualche fango d'Eresia. Bellissima di Corpo, ma piu d'animo. Partori bellissimi figliuoli In Fiorenza, Oue, per benignità de Sereniss. di Toscana, fù nobilmente col Consorte raccolta. Ma in quel mentre, che all'infermità del maggiore assisteua infermatasi, Poco dopo il di lui transito anch'ella spirò? Lasciando improuisamente vedouo, & orbato il marito, Anzi védoua, & orbata la morte, Che in vece di vedersela compagna, la scorse, con la veste nuziale d'infinite buon opere, passare all'eterno conuito del Cielo. SONETTO XIV. In Morte della Eccellentiss. Sig. Elisabetta Southuel, Moglie fù dell'Eccellentiss. Sig. Roberto Dudleo, C. di Veruich, e Duca di Nortumbria. E CHE fai tu pietà, doue se' gita, A pianger forse in disperato Orrore? O per l'immenso Egeo d'alto dolore T'hà sommersa horamai l'onda infinita? Di sì gran Madre all'ultima partita Di sì gran Figlio al già defunto amore, Chi non s' affligge, o chi non perde il Core, O l'anima hà di sasso, o non hà vita Ben lo fai tu ROBERTO, amante amato, Che vorresti del Rogo esser consorte, Se'l permettesse inesorabil Fato, Ma piangi il danno tuo, non l'altrui sorte, D'ELISABET, a Dio riposta allato, E' Sposo il Cielo, e Vedoua la Morte. ELOGIO XV. Le tue lacrime (o CATERINA Adimari) per la perdita del caro Beniamino delle tue viscere seguita in Fiandra, quando in vn esercito, che scorreua si trouò frà pochi esser colpito Inondano talmente l'altrui Pietà, che non è cuor sì solleuato, che non s'allaghi, nel tuo dolore: Tu, dopo la lunga Vedouanza del fortissimo Enea Piccolomini tuo marito. morto anch'egli in fazione, Vedi oggi spento il Conte EVANDRO, non sò se dir mi debba più tuo figliuolo, che tua delizia, Figliuolo in vero degno del materno Amore per le sue rare qualità, Delizia per gli amabili costumi, e per esser l'vltimo pegno del tuo castissimo letto, e per la copiosa erudizione in ogni genere di virtú. Ma per che la militare è propria della sua generosa stirpe, non Piangere, Perche lo partoristi all'onore, e l'onore si acquista non meno morendo frà l'armi, che viuendo frà le lettere, Il valore, e le fortuna del Gloriossimo frà OTTAVIO la dottrina, e la bontà di Mons: ASCANIO Arciu: di Siena suoi zij ricompenseranno ogni tua perdita, sendo verissimo Che il principio de' Grandi concepisce, & il fine de' medesimi partorisce la Fama. SONETTO XV. In Morte dell'Illustriss. Sig. Conte Euandro Piccolomini SEGVACE del Padre, e del Germano Nell'Onor, nella Vita, enella Morte, Guerrier fanciullo, insieme, acerbo, e forte, Chi non piange al tuo fin, sembra inhumano. Cader nell' Alba il tuo valor sourano, Mancar quando Vittoria apre le porte, Toccar fra mille a tè l'infausta sorte, E duro sì, che si consola in vano. Pur dourebbe, il membrar frenarci i pianti, Che de' Titani il fin ferro non ama. Ma Destre eccelse, e fulmini tonanti. Ahi, chiunque è Grande, e PICCOLНVOM si Chiama, Ben deue anco morir come i Giganti, Mentre anco al suo morir nasce la Fama. ELOGIO XVI. La Maestà dell'Imperio, E come la Cima del Monte Olimpo, Soura il quale si può ben da lontano drizzar lo sguardo, acciò che l'occhio ammiri il Sole, che l'indora, Ma non portarui il piede, perche la lingua da vicino narri l'altezza, che lo sollieua. Gli Imperadori col ginocchio riuerentemente s'onorano, e col silenzio abbondeuolmente si lodano. Ma si come è bello il veder quel monte sempre sereno, e soura ogni altro eminente Così ora farebbe tremendo il mirar FERDINANDO Cima eccelsa dell'Imperial Monarchia, atterrato qual Pelio subblime dal fulmine della morte, Se quell'empia faretra giungesse ad estinguere la memoria de gli huomini eccelsi. Male Teste Imperiali son coronate d'Alloro, per denotarci, ch'elle son difese dalle ingiurie del Tempos e delle Nubi. Però a gli occhi degli insipienti sembra questo Princ. estinto Alla vista de' saggi apparisce regnar nella pace del Cielo, mentre viuendo s'affaticò per la quiete del mondo, E morendo sostituì ne' medesimi studi, e sudori, l'inuitto FERDINANDO ERNESTO nuouo Imperador suo figliuolo. Perch'vna lunga, e giusta guerra non hà per fine altro, ch'vna perfettissima pace. SONETTO XVI. In Morte della Sacra Maestà dell'Imperador Ferdinando. O BREVE Onor mortale, o Fasto, o fato, O Fumo, o Polue, o Vita ombra e dolore, Dunque FERNANDO, il gran Monarca hor muore Di tanti fregi, e di tant'armi armato? Ahi, che d'Alloro Imperial cerchiato, Non sente un Crin già mai funesto orrore, Pare a gli stolti estinto il suo valore, Quando in pace egli è posto, anzi è beato. Così nube talor la cima altera D'Olimpo a gli occhi altrui vela, e contende, Che poi soura quel verno ha primauera. Ogni Imperio da Dio qua giu discende, Ritorna a dominar nella sua sfera Buon Rè, che lascia il Mondo, e in Cielo ascende. ELOGIO XVII. FERDINANDO GONZAGA DVCA DI Mantoua Al suo fine immaturo doueua trarre le lagrime dalle viscere d'ogni mortale, E se l'vniuerso non pianse, Fu, perche il mondo allora, O non intese il suo merito, O non conobbe le proprie miserie, o ne instupidì. Le deplorande calamità, che soprastanno all'Italia per la mancanza della sua Casa, Ne lo faranno (se Dio non prouuede) facilmente ben tosto accorto. Ma egli, che viuendo accoppiò le diademe Regali con la Porpora de' Prelati, e con le Corone de gli Allori: E morendo apparue meriteuole delle eterne, si crede asceso oggi in luogo tant'alto, Che del nostro pianto non curi i nembi, Del nostro desiderio non pauenti le perdite, E delle nostre miserie non temi i colpi. SONETTO XVII. In Morte del Sereniss. Ferdinando Gonzaga Duca di Mantoua CHI piangerà di te l'ultimo fato, Germe Real dell'onorata Manto; Il Regno, il Saggio, il Seruo, il Giusto, il Santo, O la Pace togata, o Marte armato? Sembrasti al Regno vn Numa, al senno un Cato, A' serui un Tullio, un nuouo Achille al Xanto, Vn Ottauio alla Pace, un Febo al canto, A buoni un Porto, al Tebro on Purpurato. Piangerà dunque amaramente errando All'ombra de' più densi atri Cipressi Quanto hà di bello il Mondo, e d'ammirando, E piangeriano ancor de' Cieli stessi Gli aurati lumi, al tuo morir, FERNANDO, Ma pianger non si può doue t'appressi. ELOGIO XVIII. FLAVIA MANCINI XIMENEZ. Superiore nella bellezza ad Elena, Nella Pudicizia a Penelope, Nella Grazia all'istesse Grazie, Mentre purpureggiaua come Rosa al mattino de' suoi ridenti giorni, Abbattuta da repentina morte, Lasciò scompagnato, e dolente Rodrigo Ximenez suo sposo, E con orrore il mondo, che in lei (trasformata dal Vaiolo) miseramente conobbe, Quanto la beltà sia fragile, breue, e caduco dono. SONETTO XVIII. In Morte della Sig. Flauia Mancini Ximenez In Persona del suo sposo. ODA mille occhi pianta, e mille cori, Ben è l'umana vita un ombra un vento, Dunque del tuo bel sen gli ostri, e gli auori Ci toglie inuida Parca in un momento? Così mancan nell' Alba i primi fiori? Così nell' Auge il tuo bel sole è spento? E'l nido delle grazie, e de gli Amori, E conuerso in bruttissimo spauento? Morte, e perche sì deformar quel viso? Forse perch' al ferir sì bel sembiante Non resti il mondo in un sol colpo vcciso? Ahi, che temesti a tanto lume auante, Senza prima oscurar quel Paradiso, Diuentar viua, o diuenire amante. ELOGIO XIX. Mentre visse FORESTO, chiarissimo figliuolo del Magnanimo D. Cesare da Este Duca di Modona A guisa d'Aquila Generosa Tese il volo per l'ampia foresta del mondo si altamente, Che ben dimostrò Come il Reale Vccello di Gioue, sua nobilissima insegna, vestito col candore delle Colombe, non degenera già mai: Se dunque, terminato il bel corso de gli anni, Trapassati con fortezza, Prudenza, Tolleranza, e Giudizio più che mortale, Oggi, morendo, s'inalza ad affissarsi ne'Raggi del vero Sole. E' cosa propria di quelle Penne, e di quegli Occhi Che poco fà hanno saputo sprezzar la vista, e l'vso degli scetri, e delle corone della Terra Il solleuarsi a mirare, e godere intrepidamente i Regni, e le grandezze del Cielo. SONETTO XIX. In Morte dell'Eccellentiss. Sig. Foresto da Este Principe di Modona NON è FORESTO il nostro fin mortale Cosa, qual sebra altrui, dura, e funesta E proprio un trarr'il piè d'empia Foresta Ou'è chi sempre i Peregrini assale. Al dipartir d'una virtù Reale Con immutabil suon la Fama resta, E per sublime calle orme calpesta, Oue d'Ira, o d'Inuidia arco non sale. Ond'oggi l' Alma iua fuor dell'obblio Non muor, ma cangia albergo, e và sicura Dalla valle del pianto al Ciel natío. Non si pianga per ciò la tua ventura, Per ch'in effetto, a quel che muore in Dio LA MORTE E FIN D'VNA PRIGIONE OSCVRA. ELOGIO XX. FRANCESCO BONCIANI. Patrizio Fiorentino. In cui fiorirono in grado eminente la bontà, e la dottrina, Applicatosi al seruizio della Chiesa Diuenne della Paterna Metropoli Canonico, & Arcidiacono: Indi, scoprendosi in lui mirabile prudenza, e valore, Fu promesso all'Arciuescouado di Pisa, E salito in grandissima stima appresso al sommo Pontefice, & a' Sereniss. di Toscana, Visse impiegato in Ambascerie alla Corona di Francia, & in altri nobilissimi affari: Il Tebro facilmente l'haurebbe visto maggiore, che non lo vidde Arno, Se morte così presto non s'interponeua al suo felicissimo Corso. SONETTO XX. In Morte di Monsignor Francesco Bonciani Asciuescouo di Pisa QVESTI ch' in mezzo a lacrimoso coro Spento frà viue faci, e sangue hor pende, Altri lumi, altri raggi eterni accende, Ne' Zaffiri del Ciel temprati in Oro. E qual seruo fedel doppio il tesoro Così del suo talento oggi a Dio rende Che nell' erario eterno adorno splende Di smeraldi castissimi, e d'alloro, E vorrem noi col sospirare intanto L'orme impresse alterar del suo valore, O scancellarle al tempestar del pianto? Torbido affetto ahi non c'inganni il core, Giusto è se parte Elia, che lasci il manto. Il Sol nell' Ocean casca, e non more. ELOGIO XXI. FRANCESCO MARIA BORBONI De' Marchesi del Monte santa Maria, Non contento dell'eccelso monte de' suoi Natali, atto a maggior salita; Per ogni grado di bella Virtu s'inalzò fino alla sacra Romana Porpora. Grato al mondo, Gratissimo a Ferdinando I. Gran Duca di Toscana, Vide finalmente (Cadendo la mole eccelsa del suo corporeo Olimpo in mezzo alla Città de' sette monti) L'euento dell' vmane cose, e non altro, nel colmo delle speranze, al suo merito inferiore. SONETTO XXI. In Morte dell' Eminentissimo Sig. Cardinale Francesco Maria Borboni De'Marchesi dal Monte Santa Maria, NEL Teatro d'onor chi corre altero, Qual premio haurà del faticar possente? Fallace mondo in te nol veggio, o spero, Che son le palme tue pouere, e spente. Frà gli eterni Zaffiri, e'l Sol ridente Cerchisi dunque entro al celeste impero: Così fe questi, ognor di gloria ardente Porporato di Dio sacro guerriero. Egli vi ascende, e mi sembrò gigante, Che di mille bell' opre alzi per ponte Pelio, & Olimpo a solleuar sue piante. Roma, contuttociò, pianga ogni fronte, Perche non cade intorno al sacro Atlante Vn de' tuoi Colli no, ma cade vn MONTE. ELOGIO XXII. FRANCESCO PRINCIPE DI TOSCANA, Di Cosimo II. Gran Duca, e di Maddalena d'Austria Arciduchessa figliuolo, Mentre in Germania, col Principe Mattias suo fratello, sotto gli Auspicj del Zio FERDINADO Imperadore gloriosamente guerreggiaua, Magnanimo, Generoso, & Inuitto, Parue, che non sol Marte, ma l'istessa Morte In campo tremare, & impalidir facesse; Poi che furtiuamente, non con armi, ma col contagio (diseccandoci vn oceano di speranze) fu da loro assalito. Solo in questa perdita incomparabile ci è di conforto, Il vedere, che aʼ nostri tempi ancora, Se de Tindari cade vn Castore, ci resti vn Polluce, Et l'esser vero, Che gli Alcidi, mentre adoprano contro a' Mostri l'arco, e la Claua, non dal ferro, ma dalla peste caggiono estinti. SONETTO XXII. In Morte del Sereniss. D. Franceso Principe di Toscana, E PVR cadesti, o generoso, e forte Fra l'armi inerme alla gran Madre in seno, E qual Fato, e qual Sol per vie sì corte Eclissa quasi all' Alba il tuo sereno? Ahi, che giunge quaà giù con altra forte Il fin d'un huom celeste, e d'un terreno. Col suo lottare Antèo troua la morte, Con la peste di Lerna Ercol vien meno. Non cede al foco un fulmine di guerra; Per suo contrario Apollo un Fiton vuole, E contro Achille il ferro in van s'afferra. Breue il tempo de' Grandi esser non suole, Viue anco, si può dir, sopra la terra Dal sorgere al cader poch'ore il Sole. ELOGIO XXIII. Deh potess' io, FRANCESCO, Principe di Gian Ville esprimere il dolore della tua morte con le parole, Come si lesse nel volto, e nel cuore dell'inuitto CARLO Duca di Ghisa tuo Padre, E di Madama HENRIETA CATERINA Di Gioiosa tua madre Ch'io farei rinouare il pianto ad ogni ora ad ognuno, che mi sentisse, Perche io direi. (A guisa di chi pianse sopra il gentilissimo Ionata) Oime come son caduti i valorosi, come son caduti i robusti, Veloci più dell' Aquile, e più magnanimi de' Lioni? Considerando, Che nella più fresca, e vigorosa età della tua vita, mainca al mondo vn Fiore de' Caualieri, vno splendor de Principi. vna delizia dell' vman genere. Tu fortissimo in guerra Prudentissimo in Pace Amabilissimo nell' vmana conuersazione Vedesti troppo anticipatamente cadere i tuoi giorni guerrieri in mezzo al riposo. Ma, perche a ciò non vaglio, dirò solo, che perche tu eri vn belliss: fiore, volle nel suo terreno quietamente trapiantarti Fiorenza. Le secche Rose coperte serban gran tempo, ma non sempre l'odore onde per mantenere, secondo il merito, quello della tua virtù, già sparso per tutti i cuori de gli huomini, era ben douere, che si riferrasse quanto prima, nell'eterno, e pretioso vaso del Cielo. SONETTO XXIII. In Morte dell'Eccellentiss. Sig. Franc. de Loreno Principe di Gian Ville. SCIOLGASI il Cielo in Nubi, il Sole in Pianto, A L'Oceano in tempeste, e l'aria in duolo, Cade FRANCESCO il fior di Ghisa al suolo, Di Gallia il pregio, e di Loreno il vanto. O Real figlio, a tante doti accanto Così dunque t'opprime un punto solo? Ma vanne pure in Paradiso a volo Che chi ben visse in terra, anco muor Santo. Sol, mentre in alto ascendi, un guardo gira Dell'alta Genitrice al gran dolore Che dal terreno altrui coprir ti mira. E asciugando il Ciglio al Genitore Digli. A maggior sepolcro in vano aspira Chi, morendo, ha per Tomba oggi ogni core. ELOGIO XXIV. Se fauola non fosse, ma però ordinata a senso verace, Che il Dio di Delo sia presidente della Poesia, Alcuno a' nostri tempi, a gran ragione, creduto haurebbe questi essere GABBRIEL CHIABRERA. Perche dall'Oriente della sua Patria Sauona, Da gli Albòri della sua giouentù cantò si soauemente fino a gli Esperi quasi d' vna età decrepita, e quasi per tutto il giro dell'orbe Ecumenico, che parue vn Appollo indefesso. Ma fauola non fù già, Gh'egli, erede vniuersale della Pindarica lira, e vita noto, e caro a' primi Principi dell' Europa (Di cui, non il finto valor ne' giuochi, ma la vera Virtù nelle più salde imprese altamente fe risonare) Nobile, costumato, e casto, pien' di giorni, e d'onori frà il coro dell'amate Muse spirasse. Febo stesso, che lo piange ancora, Non hà conforto maggiore, ch' il vedere, in vece de' suoi tetti (a guisa dell' editto del gran Macedone) la sua memoria ne' suoi scritti dall'ingiurie del tempo eternamente rotare illesa. SONETTO XXIV In Morte del Sig. Gabriel Chiabrera SOSPENDETE oramai la Cetra, e 'l canto Oue han gli atri Cipressi ombra più nera Poeti o voi, ch'in fortunata schiera Già festeggiaui ad Aganippe accanto. Spento è di Pindo il più subblime vanto E del Cigno Dircéo l'immagin vera, E' morto, o Muse, è morto il gran CHIABRERA L'istesso Apollo in Ciel si stilla in pianto. Deh s'il Grande Alessandro al nobil tetto Di Pindaro Teban toruò difesa Faccia un Piccolo ancor non vario effetto Sia questa legge in sul suo sasso stesa ,,VN Pindaro nouello è qui ristretto ,,L'alta memoria sua si salui illesa ELOGIO XXV. Chi vide GIO: BATISTA ALTOVITI. Giouanetto di grandissima espettazione Estinto nel più bel verde de' suoi freschi anni, E s'internò nel dolore, che afflisse il Clarissimo Luigi suo Padre, Fù ripieno di non picciola Compassione. Si mitigaua in alcuni l'affano, Perche la grazia del Giouinetto, (Armato Caualiere del nobilissimo abito di San Iacopo,) Rassembraua quasi vn'altro Angelo, che scorresse con la spada infocata per le delizie di quel volto, Ma ben presto ognuno s'accorse, Che, non egli à minacciare ad altri la morte, ma di lei preda miseramemente n'andaua. SONETTO XXV. In Morte del Sig. Gio: Batista Altouiti, fu del Clar. Sig. Luigi. Cau. dell'abito di S. Iacopo VEDER nell' Alba il tuo bel sole spento O di Vita, e d'onor degno ALTOVITA, E troncar la tua tela appena ordita, Colma il sen di pietade, e di spauento: Veder seccato in Erba ogni contento, Che prometteua altrui l'età fiorita. Ben doppiamente a lacrimar c'inuita Ma di tuo Padre il duol cresce il tormento, O Padre afflitto, o Padre, Ahi per conforto Sieti il membrar, che del tuo Figlio il gelo Vn aura fu, che lo condusse in in porto, Angel, con quella spada accesa in zelo, Gia Croce al Petto, hor è custode accorto Dell' ALTAVITA all' Albero del Cielo. ELOGIO XXVI. GIO: BATISTA MARINI. Caualiero dell'abito di Sauoia, Quando vedesse scendere di Parnaso le noue Muse, & Apollo stesso, a cantar le sue lodi, Non serebbe facilmente celebrato a bastanza; l'vdì Napoli, oue ei nacque, anzi il Mondo tutto risonar con si dolce Lira, Che fù marauiglia non addolcisce, e non addormentasse l'istessa Morte: Ma ne fù nondimeno superiore, Mentre s'impose al Crine così viuo alloro Che manterrà sempre il suo verde. SONETTO XXVI. In Morte del Sig. Caualier Gio: Batista Marini Poeta CORRE come acqua all' Ocean di Morte Rotta da gli anni suoi l'umana vita, Ne fregio, o fasto, o giouinezza ardita Rende al rapido piè l'hore men corte. Sol, Monarca del Tempo, e della Sorte, Fermo soccorso alta Virtù n'addìta, Che del mortale Egeo l'onda infinita Non fà men saggio Vlisse, Ettor men forte. Volga pure, o MARIN, dentro al suo mare Empio Fato il tuo corso accolto in gelo, Sempre le glorie tue saran più chiare, Fronda non perde mai l' Alber di Delo, Anzi, eterni per te, vedrem rotare Doppia la Lira, e doppio il Cigno in Cielo. ELOGIO XXVII. Quel Candore, onde la Purità della nostra Fede sotto il bianco Vessillo della Croce Ierosolimitana s'accresce, fu nobilmente illustrato DAL CAV. FRA GIOVAMBATISTA RONDINELLI, Del pari valoroso col senno, e con la mano. Con la mano Trouandosi l'anno 1565 all'assedio di Malta, Oue fu di quei Cau. che v'introdussero il soccorso. Col senno, Mentre sostenne cinque anni con somma sua lode il carico d'Ambasciadore per la sua Religione appresso a Sisto V. e Clemente VIII sommi Pontefici. Alle sue glorie si potrebbe aggiugnere la sua Pietà, e Magnificenza, Nell' hauer fondato Chiese, eretto Spedali, dotato Commende, lasciato Rendite per aiuto di Scolari à prò della nobilissima sua famiglia e del prossimo, Se il far atti di Pietà, di Grandezza, e di Carità non fosse propria Virtù de' suoi natali, E di quell'inuitta Milizia, E se non se ne vedesse chiara testimonianza, In Empoli, in Pisa, in Firenze sua Patria, e nel Teforo del suo Conuento, che l'anno 1605 alla sua morte Fece delle sue spoglie vn memorabile acquisto. SONETTO XXVII. In Morte del Sig. Cau. fra Gio: Batista Rondinelli CHI la Croce hà nel cuor candida, e bella, Bella anco soura il sen l'apre, e palesa, Che non s'offusca mai raggio di stella Mentre è dal Sol, che la riguarda, accesa; Tal quest' alma gentil, qual RONDINELLA, I lacci dell'obblio rompe, e l'offesa: Ma qual miracol è, s'in Malta anch'ella Dal Trace, altro Tereo, saluossi illesa? Indi Nunzia di pace aurea Colomba A duoi gran sucessor del gran Nocchiero Hor Arpocrate apparue, hor Cigno, hor Tromba? Fondò Commende, Altar, Senno, Oro, Impero: Il Nido di sua Fama oggi è la Tomba, CHE lí, mortal' Inuidia, hà vita il Vero. ELOGIO XXVIII. GIV SEPPE CARAFFA Principe di Stigliano, Glorioso per generosi Natali, e per ingenuità di costumii Vide gran tempo a' suoi meriti propizia la sorte; ma poco dopo altretanto inimica la sua suentura; Poiche, Padre del Duca di Mondragone, A cui diede per moglie Elena sorella del Cardinale Ippolito Aldobrandini, lasciò poco appresso morendo anch'egli a Dogn' Anna Principessa vnica sua Nipote (rimastagli di sì chiari sangui) occasione di piangere in vn punto stesso la perdita del Padre, e dell'Auo. E di verificare l'euento degli auuenimenti vmani figurati ne' due vasi Da' quali, finge Omero, che Gioue mesciesse a' mortali per vn sol bene due volte il male, Se l'infelicitadi di quella casa non fossero consolate dalla speranza di più prosperi successori, mercè de' nuoui, e desiderati sponsalizij felici SONETTO XXVIII. In Morte dell'Eccellentiss. Giosepe Caraffa Principe di Stigliano: SV l'Arco della Cetra Armi fatali Sempre hà contro all'obblio Pindo guerriero, Che, tinte di menzogna, aprono il vero All'ingegno di noi pigri mortali; PRINCIPE, io rimembro hor quell' Vrne eguali, Che finse a piè di Gioue il greco Omero, Oue in mescer le sorti, il Nume altero, Misti con un sol ben, mesce due mali. Ahi, come neʼtuoi tetti, è ciò successo: Mentre dopo il rotar d'alto fauore Due volte han visto il funeral Cipresso? Ma tempo è d'agitar l'Vrna migliore, Ch'ogni tempesta hà la bonaccia appresso, E già spera Imeneo Calma d'Amore. ELOGIO XXIX. Alle Lodi anzi a gli Encomij di GIVLIANO DE MEDICI, Arciuescouo di Pisa, Noto per la chiarezza deʼsuoi Natali, E più per l'incolpata sua vita fino a gli angoli estremi del mondo, Quando si sciogliessero le lingue de' maggiori Demosteni non sarebbero in veruna parte bastanti: Poiché, Al valore della sua mente, Alla prudenza de' suoi consigli, Alla bontà de' suoi costumi, Alla Carità del suo petto, non ci è facondia, che arriui. Dillo tu Pisa, che più che Padre in tutte le tue necessità, e piu in quelle della Peste, ottimamente il vedesti: Dillo tu Serenissima Casa di Toscana, che più che Oracolo In tante tue graui occorrenze il sentissi: Ma poiche il dolore vi fà tacere, e che il Parnaso non ci arriua, Non mi negate voi sacre carte per ecclesiastica persona nel seguente sonetto l'Ecclesiastiche voci. SONETTO XXIX. In Morte di Monsig. Giuliano deʼMedici Arciuescouo di Pisa CHI muor, GIVLIANO, in Dio morendo há vita, Anzi, è beato in quel funesto agone: Su buon seruo fedel, se'l Ciel t'inuita, Delle belle opre tue rendi ragione: Deh, quale il tuo Signor copia infinita Di Talenti in auanzo oggi ti pone? Entra lieto a goder palma gradita, E lascia a noi di lacrimar cagione. Miseri noi, qual trouerrem mercede, Disperso il Gregge andrà, spento il Pastore, E ne farà chi rugge auide prede; Oh Cieli. Ecco in qual forma il buon si more, Tor via del mezzo i Giusti il mondo vede, Ne considera alcun tanto dolore. ELOGIO XXX. IACOPO INGHIRAMI Patritio di Volterra, Militando nell'inuitta Religione di Santo Stefano riuscì di tanto valore, Che alla sua cura, e comando fu commesso il Generalato delle Galere di Toscana, E l'Inuestitura del Marchesato di Monte Gioue: Non è popolo, non è clima, che delle sue felici vittorie fin qui non ragioni, Onde apparue con la bontà del suo spirito, e col vigore della sua destra essersi congiunta La fortuna d'Alessandro, e la Ventura di Cesare; anzi che i suoi legni gareggiasser con quei di Giasone, e che i Mari, e i Venti (pieni oramai del rimbombo del suo gran nome) a suo piacere l'obbedissero. SONETTO XXX. In Morte dell'Illustriss. Sig. Marchese Iacopo Inghirami Generale delle Galere del Sereniss. Gran Duca di Toscana. NON hà più doue stampi orme d'onori L'immortal fama, al tuo gran nome, auanti, Che del suo corso i pregi tuoi maggiori: Empion dal Centro al Ciel l'aure volanti, Quanti spiran quà giù venti cursori, Quante volge Anfitrite onde sonanti, Tante son' oggi, e son del ver minori, Dell' alte glorie tue Trombe tonanti. Ben hor l'Espero hai tu, ma fermi il piede Grande Inghiramo in quell'eterna Aurora, Che qual Giasone in Colco in Ciel ti vede. Lì teco hauresti ancor l'armata Prora, Argo stellata al tuo valor mercede, Ma DIO quì per la Fe l'adopra ancora. ELOGIO XXXI. Il chiarissimo lume, che fin dal principio del suo natale hebbe IPPOLITO da' suoi nobilissimi Progenitori lo dimostrò vn Sole, Che solo in breue doueua cadere nell'occaso di morte. oh Dolore acerbissimo, Egli, che aperse tanti fiori di speranza nella Casa di Gio: Franc. Aldobrandini suo Padre Generale di S. Chiesa, mentre vi crebbe infante. Tanti raggi di virtù nello Studio di Padoua mentre vi fù educato. Tanto senno, e valore nella Corte di Roma, mentre vi fu Porporato, Tanta fedeltà, diligenza, e schiettezza, mentre vi fu Camarlingo fupremo. Tanto amore, e riuerenza, mentre visse con D. Olimpia sua madre, Principessa di Roffano, e Nipote di CLEMENTE VIII. anch'ella Aldobrandina, Oggi, vltimo auanzo d'vna fecondissima Prole, non hà fuori de' suoi Vassalli, e de' suoi affini veruno, che con lagrime virili pianga il suo fine. Ma ben finisce la Casa, chi la figilla col morire bonissimo Sacerdote; e grandissimo Cardinale. SONETTO XXXI. In Morte dell'Eminentissimo Signor Card: Ippolito Aldobrandini. IO piangerei, ma il gran dolore intento Nell' acerbo destin della tua morte Mi fiede il Cor si vigoroso, e forte, Che asciuga il Ciglio, e mi disecca il senso. IPPOLITO souran, se bene io penso Che le felicità sempre son corte, Non hò doue adeguar l'aspra tua sorte Tanto hà del miferando, e dell'immenso Mancar l'Olimpe, i Gianfranceschi, i Pietri, I Silvestri, i Clementi ire all'occaso Faccia Dio, tutti al fin siam' ombre, e vetri. Ma, che niun di tua stirpe hor sia rimaso, Che, capace di duol, pianger t'impetri, O questo è l'aspro inconsolabil caso. ELOGIO XXXII. Ben doueua finir con Immensa Fama l'Infanta ISABELLA Poiche grandissimi furono i principij della sua nascita Deriuanti per Padre da Carlo Emanuel Duca di Sauoia, Per Madre, da Caterina figliuola di Filippo II. Re di Spagna Et Serenissimi tutti i giorni della sua religiosa, e santissima vita; Con la quale comunicò talmente la sua bontà al Principe D'Alfonfo da Este suo marito, Che l'indusse, morta ch'ella fu, (o rara marauiglia) a deporre la ricchezza dello Scettro di Modona che, (estinto il Duca Ceseri suo Padre) di già liberamente possedeua, Per abbracciare la Pouertà della Religione serafica de'Cappuccini. Ella, che vide nella sua Casa paterna il generalato del mare per la Maestà Cattolica, quasi nuoua Ammiraglia per l'eterna Maestà di Dio, lasciando vna Prole assai copiosa di numero, ma più di virtù, e di valore, Lasciò ancora a propri figliuoli, Argonauti della gloria, sotto la guida del Duca Francesco suo Primogenito, Il fermo acquisto del vello d'oro, cioè d'ogni perfettissimo, e vero bene. SONETTO XXXII. In Morte della Sereniss. Infanta D. Isabella di Sauoia PER L'immenso Ocean di questa vita Argonauta del Ciel mouesti il volo, E prendesti al natal su Regio Molo, Di pietade, e d'onor carca infinita: Hor non tempesta a far di quì partita Tua Naue spinge, o la percuote al suolo, Aura è di DIO, che per tuo porto il Polo Ti prefisse ab Eterno, hor ti c'inuita. Vattene in Calma adunque, iui discarca Dell'opre eccelle tue l'alto tesoro, Ammiraglia fedel del gran Monarca: E se qui lasci i figli, Ah lasci loro, Con aureo fil di più benigna Parca, Per la gran tela ESTENSE il Vello d'oro. ELOGIO XXXIII. LEONORA DI TOSCANA Principessa Nata del Gran Duca Ferdinando I. e della Gran Duchessa Cristina di Loreno, Vicina a fortunate, e destinate Nozze Reali, Del Candore della nascita, e della forma, ch'era vaghissima, assai piu candida, & elegante per generosi costumi, Pasciuta dalle rugiade d'infiniti fauori celesti, quasi Vergine Perla, Superiore a quelle di Cleopatra, Mentre viueua nell'argentata Conca del Paterno Palazzo D'auara Morte (Che ingemmarne assolutamente ne volle il Cielo)) diuenne preda. SONETTO XXXIII. In Morte della Serenis. Principessa di Leonora di Toscana sorella del Gran Duca Cosimo II. VIVA perla del Mar, ch'al SOLE ONORA, La sua, di puro argeto, vrna vezzosa, Ben che ne' pregi suoi se n'fugga ascosa D'auaro pescator preda è tal ora; Ma dall'umido suol non prima è fuora. Che più vaga si mostra, e più pomposa. E fregiando in bel sen guancia amorosa, Nelle perdite sue l'alme innamora. Sì Vergine Real, mentre ancor prendi Sicuro corso in mezzo al mar natío, Misera preda in man di morte scendi; Ma tolta appena a questo ondoso obblío, Pregío di tua bontà, più bella splendi Nel sen del Cielo, e nel Monil di DIO. ELOGIO XXXIV. LEONORA Sorella di D. Cesare Duca di Modona. Nati ambedue del Marchese Alfonso da Este, di Giulia della Rouere Principessa d'Vrbino, Fu moglie di Carlo Gesualdo Principe di Venosa. Dal suo matrimonio, che durò pochi anni, hebbe vn solo figliuolo; Ma priua d'esso, e del marito, Conoscendo la Vanità delle Vanità e che il tutto è qui vano, Riuolta a' beni sicuri, si riserrò in vn monasterio di Modona, oue ardendo di Pietà verso Dio, E di Carità verso i Poueri, Con le proprie facultadi, e con l'esempio della sua Vita, (Iui lungamente prodotta) spogliando se stessa, palesò l'infinite virtù dell'anima, Perciò viuendo, si può dire ch'apparisse vna Dea e morendo, cadesse atterrata da gli Anni, e non dalla Morte: SONETTO XXXIV. In Morte della Eccellentiss. D. Leonora da Este Giesualda Principessa di Venosa SANGVE Illustre, Beltà, Porpore, & Oro, Senno, Fortuna, Amor, Figlioli, e Sposo, Stima, Onor, Seruitù, Fasto pomposo, E quanto dona in terra il Ciel tesoro: Tutto questo hebbe in se, tra Regio alloro L'Estense LEONORA al Dì festoso, Ma, visto al fin, che qui non è riposo, Amò le Celle, e si posò tra loro. E così, lungi al vaneggiar del Mondo, Nell' Vmiltà serbando alma Reale, Egual visse al Dì mesto, al Dì giocondo, Stimò, fuor ch'il suo Dio, tutt' esser frale, Lieui gli affanni, e le delizie un pondo, Le tolse esser quì Dea, l'esser mortale, ELOGIO XXXV. O LEONORA SALVIATI Il vedere nel tuo verde Aprile seccarsi il fiore della tua bellezza, Mentre con intatto candore s'ammiraua quello della tua Virginità, Fu cosa veramente lacrimeuole: Ma più doloroso apparue lo spettacolo del tuo cadauero. Tu nata di chiarissimo sangue, Cresciuta fra gli splendori del Duca Iacopo tuo fratello, Arriuata vicino al segno di giocondissime nozze, ti mostrasti morta così deforme, Che fosti orribile fino all'istessa morte: Ma quei, che s'affissarono nella tua metamorfosi, intesero, che dalla fredd'ombra diceui, Non vogliate considerare, ch'io sia negra, Perche il Sole della Diuina luce, che mi fu sempre vicino mi hà così scolorita, Acciò che tutta la mia bianchezza sia nell'interno. SONETTO XXXV. In Morte della Sig. Leonora Saluiati, sorella del Signor Duca, E PER ornar di tue bellezze il polo, E per hauere in Ciel sicuro amante, Cosí, vergine illustre, in mezzo al duolo Vesti d'atro pallor l'aureo sembiante? E qual de' Numi in rimirarti sole Non fuggirassi a tanto orrore auante? Aquila a chiuse ciglia adunque il volo Drizzerà senza piume al Ciel tonante? ̧ O morti più di lei viui mortali, Febo, se Cintia sua dritto rimira, Non l'ecless' ei, co suoi dorati strali? Viua semele indarno à Gioue aspira, In Ciel Vergine Astrea cieca apre l'ali, Questa è negra dal Sol, ch'a se la tira. ELOGIO XXXVI. LORENZO del Senatore CARLO STROZZI. Mouendo fuori delle Paterne contrade la Carriera del suo bel corso, entrò fanciulletto Paggio nella Corte dell'Elettore di Bauiera, Iui, nobilmente seruendo, crebbe in virtù militare, propria de' suoi gloriosi antenati: Onde nelle guerre di Germania contro Suezia appena s'allacciò l'Elmo, e l'Vsbergo, che peruenne al comando d'vna compagnia di Caualli, e valorosamente si strinse in campo con possente inimico, e ferillo: Precorreua certamente la Gloria, Ma non arriuando ancora all'anno vigesimoprimo della sua età, Parò nel seno d'improuisa morte, da cruda febbre assalito nel caualcare verso l'esercito, e nel fiore di quei giorni, Che se più oltre si fossero auanzati, a guisa delle tre Lune crescenti della sua paterna insegna, prometteuano in lui frutti di molt'altri marauigliosi acquisti d'onore. SONETTO XXXVI. In Morte del Signor Lorenzo del Senatore Carlo Strozzi. DEH qual Aura mi porge esca a' sospiri, Qual Ocean distilla acque al mio pianto, Poi che, STROZZI, il destin vuol, ch'io rimiri Secca tua messe a Primauera accanto? Cara mia Patria, e chi sarà ch'aspiri Di giunger mai con Marte al sommo vanto, Se Morte vuol, ch'il Dì minore io miri. Hor ne gli Achilli tuoi, ch'in quei del Xanto? Glorioso Garzon, ch'appena il brando Mouesti all'obbedir, ch'ore opportune D'armati Caualier ti dier comando. Oh, se viueui più dal Fato immune Con quanto maggior lume è più mirando Empieuan gli Orbi suoi, le tue tre Lune? ELOGIO XXXVII. MADDALENA Figliuola di Lorenzo Strozzi Senatore, Moglie di Lorenzo Saluiati Marchese, Madre di Iacopo Saluiati Duca di Giuliana; A tanti splendori, Che superarono l'Inuidia, e furono ammirati dal Sole stesso, Aggiunse, Vna soauità di costumi, vna grauità di vita, Vna candidezza di mente, & vn zelo così ardente d'onore, Che bene apparuero in lei Diluuiati, e non piouuti i celesti fauori. Onde conosciuta per Matrona subblime, Fu data per Dama maggiore d'onore Alla sereniss. Vittoria della Rouere, sposa del Sereniss. Ferdinando II: Gran Duca di Toscana: Ma il Cielo Anticipando (cred'io) la ricompensa delle onorate sue fatiche, nella celeste Corte l'accolse. SONETTO XXXVII. In Morte della Illustriss. Sig. Marchesa Maddalena Strozzi, Madre dell' Eccellentiss. Sig. Duca Saluiati QVAL miro sourastar luce, e splendore Fra mille facie mille fiamme appresso? Oue il proprio lor foco, e manca, e more, Del nuovo lume in paragon già messo? Veggiolo vscir da tenebroso orrore D'un corpo estinto, e si spuntar con esso, Ch'ei par, ch' ei nasca (o marauiglia) fuore Dal sen di mezza notte il Sole stesso. O della gran SALVIATA eccelso merto, Dalla tua fredda spoglia oggi si vede, Spenta l'Inuidia, il tuo valor più certo, Tanto Amor, tanto Onor, tal Figlio, e Fede Si ricorda oggi in tè, ch' io dico aperto. Viua il Sol t'ammirò, morta ti cede. ELOGIO XXXVIII. Si come furono in numero Due le figliuole di Luigi Ardinghelli, cosè Tre fossero state, Per la grazia, e gentilezza loro, Si fariano scambiate dalle Tre Grazie. Nel desiderio del Padre (che non hauendo altra prole abbondando di ricchezze, bramaua d'accompagnarle con principalissimi Caualieri, e degni della nobiltà della sua Casa, che si pregia di Cardinali, e d'altro) s'incontrò il gentilissimo Filippo del Nero, Barone di Porcigliano. a cui Margherita fú promessa in Moglie. Ma Dio preferendola, come Primogenita, la chiamò, auanti le nozze terrene, a gli sponsalizi celesti. Lasciò nondimeno consolato fra sospiri il Giouane sposo, con la speranza di conseguire Luisa nata minore sicome, auuenne. SONETTO XXXVIII. In Morte della Sig. Margherita Ardinghelli figliuola del Sig. Luigi e sposa del Sig. Filippo del Nero Barone di Porcigliano. PERDESTI alla prima Alba (ahi troppo è vero) L'intatta prima tua Sposa amorosa, Vedesti in boccia inaridir la Rosa, O di Onore, e di Fe, candido NERO? Ma vide presto ancor da morso fiero Spenta Orfeo la sua bella inclita Sposa, Che non mancò mai Serpe in terra ascosa Per vccidere in Erba un bel pensiero. Saggio è chi stà costante, e non trauía Per souerchio agitar d'alte procelle, Ch'ogn' Onda al fin si posa, e 'l duol s'obblia. Non mancheranno a tè Spose nouelle, Padre oggi è qui, che mai non hebbe Lia, E l'altra ti può dar di Due Racchelle. ELOGIO XXXIX. MARIA La nobiltà de'tuoi natali, La chiarezza della tua vita, Le Tenebre della tua morte, Che nel Diadema della tua Arme, e ne' duoi Campi di essa, come in cifra, il giorno delle tue esequie ti scoprirono figliuola del Marchese Bernardino Capponi, E moglie del Marchese Cammillo Baglioni: Scoprirono ancora in quanto amaro dolore si terminassero le tue Nozze: Però non restò ciglio asciutto in considerare sì bel corpo, non sò se più vicino al Parto che alla Pira, spirar due anime quasi in vn punto, La tua, e quella del figliuolo battezzato nell' istesso limite della vita, Ambedue, come nel Fine, simili fra di loro nell'Innocenza. SONETTO XXXIX. In Morte dell'Illustriss. Sig. Maria figliuola del Sig. Marchese Bernardino Capponi, e moglie del Sig. Marchese Cammillo Baglioni MISERA Giouinetta, e che ti gioua Chiaro sangue, alto onor, senno, e beltade? Oh fallo d' Eua, e perche dure strade La pena di tua colpa ancor si troua? S'ha da morir chi nasce, & perche proua L'huom morte inanzi al cominciar l'etade? S'una Serpe dal parto estinta cade Il crudo figlio almen vita ritroua. Ahi, che mirando il negro al bianco appresso, La tua tempesta insieme, e la tua calma, Nell'arme tua fatal conosco espresso, Ma vanne pur, ch'è forse illustre palma Rendere al suo Fattor n'un punto stesso, Vnico il Corpo, e raddoppiata l'Alma: ELOGIO XXXX. MARINO III. CARACCIOLO Della Real famiglia, che Caraccola anticamente si disse discesa (come è fama) da gli Eacidi di Grecia. Emulo delle virtú di Cammillo suo Padre. Successe nel Principato d'Auellino, e negli altri Dominj adiacenti, e imparentatosi con Casa Aldobrandini, e con Casa d'Aualos, Fu Gran Cancellier del Regno, Caualiere del Vello d'oro, & hebbe titolo di Gran mastro de Cau. di S. Giorgio, Guerreggiò Giouinetto in Fiandra, Maneggiò negozi grauissimi in Napoli, S'armò per il suo Re, e per la Patria più volte, non lontano dal supremo titolo di Grande di Spagna. Visse nondimeno Grandissimo, per l'Eccellenza della dottrina, e della bontà di Don Tomaso suo fratello Arciuescouo di Taranto, per la real magnificenza della sua. propria Casa, e per l'accoppiatura di Marte, e di Minerua, che pose altri in dubbio, Se in lui più fiorissero l'armi, o le lettere. Ma la sanità del corpo. Non gli somministrò continuamente le douute forze Forse perche il bel corso della sua vita, fra gli impedimenti dell'Infermità più s'ammirasse. SONETTO XXXX. In Morte dell' Illustriss. & Eccellentiss. Sig. Marino Caracciolo Principe d'Auellino. CHE bisogno hà di Versi un, che rimbomba Nel suo dell'opre sue gloria a se stesso? Gli anni ben trapassati apron Permesso, Che l'Oro di Virtù mai non impiomba. Basta a cadente Sol per chiara Tromba Quello splendor, che se ne và con esso, Però ben disse vn Cigno a Dirce appresso, Ch'il nido della Fama era la Tomba. Così fra me discorsi, o Lume, o Sole, Ch'illustrassi AVELLIN, quand'io pensai Per tè funebri in Pindo aprir parole; Che se la Morte eclissa al corpo i Rai, La Vita all' Alma intorno ombre non vuole, In dir, che ben viuesti, hò detto assai. ELOGIO XXXXI. ONESTA CAMEROTTI Nacque l'anno 1557 Postuma, & vnica Erede d'Alessandro suo Padre. Visse educata da Onesta Serristori sua Auola E da Geneura Nomi sua Madre E con la protezione della Sereniss. Gio. di Austria Gran Duchessa di Toscana Fu maritata a Bernardo di Tommaso Adimari suo Gentiluomo di Camera Mori l'anno 1604 vltima della sua Casata nobile per centinaia d'Anni, e ne portò l'Arme alla sepoltura in Cestello Lasciati sei figliuoli, due masti, e quattro femmine; Il maggiore d'essi Alessandro, Donna per integrità di Vita, e purità di costumi: veramente a ragione denominata. SONETTO XXXXI. In Morte della Sig. Onesta Camerotti Adimari Madre dell'Autore. TV parti, o Madre mia, tu parti, io resto (Oh vicende amarissime del Fato) Il primo de'tuoi Figli a pianger mesto, De gli Aui vltima tu, che t'han creato: Tu la mia stirpe accresci ond'io son nato, Consegno io la tua Insegna al Dì funesto, In tre palmi di suol ti poso ingrato, Tu fai, che de'tuoi Campi, io campo, e vesto: Tu Latte, Fasce, Amor Vigilie, e Pianto Dolce mi desti in darmi al Dì sereno, Io cuopro gli occhi tuoi un fosco ammanto. Ahi, sol per ciò nel duol non vengo meno, Ch'io viuo corro alla mia Morte accanto, Tu morta voli alla tua Vita in seno. ELOGIO XXXXII. ORSO D'ELCI De' Conti Pannocchieschi, splendore di Siena Scoprì fin da' primi anni, e conseruò fino al fine Vna virtuosa modestia, & vna somma prudenza: Onde, passato lungamente per onoratissimi impieghi, Fu per la Corona di Toscana: Ambasciatore Residente appresso alla Maestà del Re Cattolico. I Magistrati, che dimostrano l'huomo, Lo accreditarono talmente, Che, morto COSIMO II. Fu eletto per vno de'sei consiglieri di stato appresso al Giouanetto Gran Duca FERDINANDO suo figliuolo, e successore; Di cui fatto ancora Maestro di Camera, Fu gloria di quella Corte: Per ciò, colmo di fama, Giacque vniuersalmente dagli huomini acclamato meriteuole d'entrare nel celeste Regno a godere nel gaudio del suo Signore. SONETTO XXXXII. In Morte dell' Illustriss. Sig. C. Orso d'Elci Pannocchieschi, Maestro di Camera del Sereniss. Ferdinando II. Gran Duca di Toscana TV parti Anima grande, e non sò dire Qual fia più, quel che lasci, o quel che porti, Bontà, Senno, Valor, Penfieri accorti, Amor, Giustizia, e Fè porti al partire: Lasci la Fama tua, lasci al morire, L'Idea de' Regni, e d'aggrandir le Corti, E quì, da tè formato, un de più forti Principi lasci a noi, ch'il mondo ammiri. O gran Nestor dell' Arbia, o gran Chirone, Hor ch'il Pelide tuo vince ogni obblio, Non hai più di star quì l'alta cagione. Dalla Lupa hebbe il Tebro il Re natío, Da tè l'hebbe ARNO, ond', ORSO, oggi a ragione. Antro t'è il Cielo, Artofilace è DIO. ELOGIO XXXXIII. OTTAVIO RINVCCINI Delizia delle Muse, e de' Fiorentini Caualieri splendore, Fattosi conoscer per tale nelle prime Corti d'Italia, e di Francia, Con la soauità de' suoi costumi, S'acquistò l'vniuersal beneuolenza & applauso. Parlano di lui gloriosamente i suoi propri versi, Onde a noi solo tocca a deplorare la lua Morte, Et a stupire della sua rara virtù, Che per non morir gia mai, Nella Dafne, nell'Euridice, e nell'Arianna suoi Dramatici componimenti, Che hanno rauuiuato la perduta maniera degli antichi Teatri, s'è resa immortale. SONETTO XXXXIII. In Morte dell'Illustriss. Sig. Ottauio Rinuccini Poeta PIANSERO al morir tuo, di Cirra appresso, Vedoue d'ogni onor, l' Aonie Diue, E dall'Vrne del duol su per le riue, Sospirò l'Onda, e lacrimò Permesso. Ogni Lauro diuenne atro Cipresso. Secche in Pindo apparir l'Erbe più viue. E, couerto d'Orror, su l'hore estiue Pianse, OTTAVIO, al tuo fato Apollo stesso, Sol DAFNE tua, col TRACIO amante insieme Non lacrimar, per ch' Ella apriua in Delo Fronda per te, ch'il fulminar non teme: L'Altro, sparsi, dicea, lacrime, e gelo, Quando scese all' Inferno ogni mia speme. Ma pianger non poss'io chi vola al Cielo. ELOGIO XXXXII. PIETRO ALDOBRANDINI. Nato di Gio. Francesco, e di Olimpia parimente Aldobrandini, Nipote di Clemente Ottauo, fratello di Siluestro Card. S. Cesareo, d' Ippolito, Card. S. M. Nuoua, di Aldobrandino Aldobrandini Gran Priore di Roma, e di Gio: Giorgio Principe di Rossano, Duca di Sarsina, e Sig. di Meldola. Seguendo l'orme del già defunto suo Padre, Che Generale di Santa Chiesa guerreggiò nella Germania, Anch'egli vi militò per seruizio dell'Imperio, & vi fù Generale per la Santità di Gregorio XV. conquistandoui Onori, Titoli, e Prerogatiue eccelse; Fu Duca di Carpineto, e Generale ancora di Ferrara, e di Bologna, per la Santità d'Vrbano VIII. Ma nel più bel corso de'suoi progressi, Soppreso da repentina Morte, Lasciò la sua Casa colma di grandissimo dolore, per non vi rimaner successori Consolata nondimeno in parte con le speranze della moglie lasciata grauida, Perche la Fenice, ancorche sola, suol eternarsi; Se i futuri, & incerti euenti possono esser già mai sicuro fondamento a'conforti. SONETTO XXXXIV. In Morte dell' Eminentiss. Sig. D. Pietro Aldobrandini Duca di Carpineto, e Generale di Ferrara, e di Bologna CHE piangerò di te prima, o Signore, Specchio quà giù del valoroso, e forte, Gli Anni, il Sangue, l'Ardir, l'Opre, o la Morte, Che suelto hà di tua vita il più bel fiore, Non già gli Anni ch'andar colmi d'onore, Non già l'Ardir, che superò la Sorte. Non del Senno, o del Sen l'opere accorte, Perch'io sò che Virtù già mai non more. Piangerò 'l sangue tuo, ch'è quasi spento, (Oh perdita nel ver troppo infelice) Quand'era il mondo a più goderlo intento. Ma se graue oggi lasci il sen felice Di tua Sposa gentil men duolo io sento Nasce, quand' vna muor, l'altra FENICE. ELOGIO XXXXV. PIERO BONSI. Come felice augurio della eminentissima dignità purpurata, che l'anno 1611 ottenne Giouanni suo fratello Merito l'anno 1606. la Senatoria Fiorentina, Con la quale, vestitosi l'abito d'ogni bella virtù, tessutoli dal suo, e dal merito del Celebre Dottor Domenico suo Padre, Fu Gentil homo di singular prudenza: Schermì con essa ogni auuersità di nimica fortuna, vide la sua Casa non meno adorna di ricchezza e di splendori, che d'ottimi, e religiosi costumi: Poiche spirarono in Elisabetta sua sorella non mediocri odori di santità: Morì, lasciando singulare esempio a'suoi posteri, In qual maniera nel Mare del mondo ciascuno regger dourebbe la naue della sua vita. SONETTO XXXXV. In Morte del Clarissimo Sig. Piero Bonsi Senatore Fiorentino. QVESTO mar della vita que ogn' vn uarca Hà mille scogli, e mille sirti ascose, Oue il Seruo se n'và pari al Monarca Solchi nell'alto, o tra le riue algose: Felice quel, che nel troncar la Parca Il fil, che Cloro alla sua Vela impose, Resse così per tanto Egeo la Barca, Che si schermi tra le procelle ondose: Sapestilo far tu nel falso vetro, Ma qual miracol fu, spirto onorato, S'vn Mare è il Mondo, e tu vi fosti un PIETRO? O di par glorioso, e fortunato, Corra nell'orme tue, chi resta adietro, E non tema smarrir Porto beato. ELOGIO XXXXVI. PIERANTONIO GVADAGNI Accrebbe sempre la nobiltà natía con le continue & onorate azioni della Vita: Il perche esercitatosi ne' migliori studi, tornato Ambasciadore dal Sommo Pontefice, per il Sereniss. di Toscana, Formatasi la più nobile, e copiosa Libreria, che appresso ad huomo priuato trouar si possa, riuscì di tanta prudenza, Che da' suoi consigli cominciauano a pendere gran parte delle publiche, e priuate deliberazioni; Ma Perche il vaso, oue sì bell'anima si rinchiudeua spargesse in maggior copia gli odori di tante Virtudi, Piacque all'occulto giudizio di Dio, che, mentre in Campagna in Compagnia d'vn Principe di Toscana si ritrouaua, Al cadere d'vna Carrozza (oh miserabil caso) cadesse infranto. SONETTO XXXXVI. In Morte dell'Illustriss. Sig. Pierantonio Guadagni COME esser può ch' in Occidente il Sole Ritorni indietro a serenare il Mondo? Come esser può, ch'un pèso al Ciel se n' vole Mentre veggiam che se ne piomba al fondo: E pur con marauiglie uniche, e sole Vn Giusto, che si muor d'opre fecondo, Il suo Sol nell'Occaso arder più suole: Equal Palma fiorisce, e sorge al pondo Ecco hor tu PIER ANTON caschi, e ti lagni, Ma, qual rotto Alabastro oue è l'odore, Nelle perdite tue vie più GVADAGNI. Raddoppi in te la gloria oggi, e l'onore, Il Gran sotto il terren, benche si bagni Non moltiplica mai s'egli non more. ELOGIO XXXXVII. PIERO GVICCIARDINI Cognito alle prime corone d'Europa, per lo splendore de' suoi natali, e per il suo, col nome solo dichiara i suoi pregi. Si potrebbe aggiugnere, ch'ei fù Marchese, & ch'ei seruì d'Ambasciatore residente il Gran Duca di Toscana appresso al sommo Pontefice, & al Re di Spagna con tanto valore, e prudenza, Che ben se manifestò l'ottimo giudizio di chi lo promosse, & i requisiti ch'a perfetto oratore si conuengono: Se non paresse in vn certo modo, ch'egli hauesse con la solita sua modestia sfuggito quei titoli. Poiche il giorno, che giunsero di passaggio in Firenze Il Card. Barberini, & il Card. Sacchetti da importantissime Legazioni, quasi cedendo loro il luogo, si spedì da questa vita per il viaggio del Cielo. SONETTO XXXXVII. In Morte dell'Illustriss. Sig. Marchese Piero Guicciardini CHI ben è ver, che peregrina scende Nella valle del pianto alma creata, E che, qual passaggier, la via varcata, Dà luogo ad altri, e nuouo albergo prende, Questa Rota fatal chi non intende, Miri del GVICCIARDIN l'ora spietata, Che lo spinse al partir, quando beata Due Porporati Eroi la Patria attende. Forse è ragion, che chi tra gli ostri, e gli ori Nunzio già fu d'Onor colmo, e d' Ingegno, Vada spedito a gli stellati chori. Ch'inuiar non puo Flora all'alto Regno, Per negoziare il corso a tanti Onori Lingua piu saggia, Ambasciator più degno. ELOGIO XXXXVII. RIDOLFO della STVFA Fra i Nobili di Firenze di chiarissima Stirpe, ma di costumi, e di gentilezza assai più chiaro, fu congiunto con Alessandro Adimari d'amicizia tale (oltre all'hauer tenuto al sacro Fonte il suo figliuolo maggiore) Che ben parue, che alla sua morte sparisse fra di loro il Sole, La nostra Patria si pregiò di mirare in esso Vna salda Prudenza, Vna Esatta Fede, & Vna singolar Pietà Cristiana. Però non arriuando gl'Inchiostri dell'Autore, (innacquati dalle Lagrime) a far dal negro loro perfettamente spiccare il bianco delle sue lodi, non troua altro conforto, Che la speranza della sua eterna salute. SONETTO XXXXVIII. In Morte del Sig. Ridolfo della Stufa amico particulare dell'Autore CARA parte dell'alma, oh di me stesso Non sò qual più ti chiami, o Víta, o Core, Tu lotti con la Morte, io col Dolore, Ma pria del tuo cader son quasi oppresso. Deh, se teco spirar non mi è permesso, Teco almen se ne venga il nostro ardore, E con memoria eterna eterno amore Al chiaro spirto tuo mi stringa appresso. Che s'al Ciel (come spero) oggi te n'vai, O Giusto, o Forte, o Valoroso, o Santo, Viurò forse ancor io dentro a' tuoi rai. Và in pace Amico mio, Và in pace, e in tanto, Prego Dio con quel zelo ond'io t'amai, Che sia scala al tuo riso oggi il mio pianto. ELOGIO XXXXIX. SEBASTIANO XIMENEZ. Disceso di Famiglia nobile di Portugallo, Per la chiarezza dell'opere pietosissime, e Cristiane, parue vn Sole; Ma Sole, che scorresse dall'Occidente verso l'Aurora: Poi che i suoi passi passarono sempre verso vna luce più chiara; L'acquisto del Titolo di Conte, e della dignità Senatoria, & l'esser morto Commessario di Pisa ne sono chiarissimi testimonì: Ma il più durabile è il Coro, dal suo diuoto zelo eretto con Niccolò suo fratel cugino in san Piero Maggiore. Oue l'istessa insegna sua gentilizia c'insegna, che alle sue due Colonne, Auualorate da quelle due spade, starebbe bene il PLVS VITRA, Possendo noi credere, che la sua Pietà, oltre alle stelle l'habbia inalzato. SONETTO XXXXIX. In Morte del Clariss. Sig. Sebastiano Ximenez Senator Fiorentino XIMENEZ hor per te si straccia il Crine E Lusitania onde partisti, e Flora, Che per tue Doti eccelse, e peregrine, D'esserti Cuna, e Tomba ogn'un s'onora. Nascesti doue il Dì s'inchina al fine, Moristi oue ei s'accosta in ver l'Aurora, Se ciò non distinguea l'orme diuine, In dubbio il vero Sol sarebbe ancora. Fauola fu, che per l'ondose strade Ponesse il fren de nauiganti al velo Chi di quei segni armò l'ultima Gade, Ma vero è ben, che tu con più gran Zelo, Alzando due Colonne oggi, e due Spade, Il PLVS VLTRA puoi dir, che passi al Cielo, ELOGIO L. SILVIO PICCOLOMINI. Al cui vanto bastar poteua l'hauer hauuto per Padre Enea Piccolomini, Per Madre. Caterina Adimari, Per Auolo vn altro Siluio, Per suoi Antenati infiniti Caualieri di gran merito, e duoi Pontefici. Per accrescer di giorno in giorno il manto della sua nobiltà, acciòche il tempo non lo raccosce, se n'andò Giouanetto a militare in Germania. Ma la Fortuna, inuidiosa di tanti progressi, il giorno, ch'egli s'auuicinaua con l'esercito imperiale al possesso della promessa terra di Ratispona, Atterrato da colpo d'Archibuso, gli conuenne a quel tuono manifestare, e terminare tutto in vn tempo, il lampo della gloriosa sua vita. SONETTO L In Morte dell' Illustrissimo Signor Conte Siluio del Sig. Cau. Enea Piccolomini. PIANGO il tuo fine acerbo, o SILVIO, onore Della Selua del Mondo, anzi del Cielo, E piango il danno mio, non il tuo gelo, Estinto il nostro ben nel tuo valore. Non piango tè, perche già mai non more Tra' fulmini qua giù fronda di Delo, Per coronarti il Crin diede a quel telo Il tuo sangue i Rubin, Perle il sudore. Piango la Madre tua, Piango il vedere, Che qual Mosè, la Morte oggi ti pasce, E che gli acquisti tuoi non puoi godere; Nel resto, io sò, che benche morto infasce, Le giornate dell'huom son sempre intere, Ch'ei comincia a Morir tosto ch’ei nasce. Lo Stampatore a' Lettori L'AUTORE per alcuni sinistri accidenti non hà possuto riueder le copie di quest'opera, ne assistere alla stampa, & alle correzioni di essa, per il che ci sono subentrati alcuni errori, non solo d'ommissioni di punti, di virgole, di scambiamenti di numeri, e di lettere, ma di titoli, e d'altro. Però, rimettendo i più leggieri all'altrui discrezione, si rimediano questi pochi come appresso. Auuertendo il cortese Lettore, che per fuggire incontri di precedenze, si son poste le persone celebrate, con un semplice ordine d'Alfabeto: Chi poi saper volesse l'anno in cui morirono, lo trouerrà nella tauola de' nomi loro. Intanto si aspettino in breue l'altre Muse restanti cioè l'Urania, l'Euterpe, l'Erato, la Calliope, e la Talia che sono tutte in ordine con vna mano di Canzoni dedicate ad Apollo, trattenute non da altro, che dal desiderato sereno della sua trauagliosa fortuna. Errori Correzioni Elog. 3 Riconosce riconosca Son. 6. morì muori Son. 10. se n'vai; te n'vai? Elog. 12. figliuola di... figliuola di Carlo III Son. 12 Moglia Moglie Son. 15. gloriosiss. gloriosiss. Maresciali Son. 25. ALTAVITA ALTA VITA Son. 28. Eccel. Gioseppe Eccel. Sig. Gioseppe. Elog. 31. peterna Paterna Son. 33. di Leonora Leonora Elog. 34. di Giulia e di Giulia Elog. 38. Gasa Casa Son. 44. Eminentiss. Eccellentiss. Elog. 46. Alcadere al cadere. Si stampino le presenti Rime se così piace al Reuerendissimo P. Inquisitore D. il di 28. d'Aprile 1639. Vincentio Rabatta Vic. di Fir. Essendosi compiaciuto il Reuerendiss. P. M. Fanano Inquis. Gener. del Dominio Fiorent., che io Girolamo Rosati Protonot. Apost., e Consultor del S. Officio veda la Melpomene del non mai a pieno lodato Sig. Alessandro Adimari, e non ci trouando cosa, che repugni alle stampe, io l'approui, però consideratola, la trouo cosa (come tutte le sue bell'opre) degna d' esser vista per commune vtilità. In fede scrissi questo di 4. di Marzo 1640. Idem qui supra: Alessandro Vettori Senat. Aud. di S.A.S.

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La Melpomene overo Cinquanta Sonetti Funebri con altrettanti Elogii Oratorio: Poetici. Opera del Sig: Alessandro Adimari Accademico Svuogliato. Dedicata all'Illustriss. e Rever. Monsig. Dionisio Bussoti Vescovo del Borgo San Sepolcro. In Firenze appresso Massi e Landi con licenza de Superiori 1640.
LA MELPOMENE OVERO CINQUANTA SONETTI FUNEBRI Con' altrettanti Elogij ORATORIO: POETICI Opera del Sig: ALESSANDRO ADIMARI Accademico Svegliato Dedicata all Illustris: e Reuer: Monsig. DIONISIO BVUSSOTI Vescouo del Borgo San Sepolcro In Firenze appresso il Massi, e Landi con licenza de Superiori 1640. All' Illustriss. et Reuerendiss. Monsig. DIONISIO BVSSOTTI Vescouo del Borgo S. Sepolcro. QVANDO Giasone (Illustriss. & Reuerendiss. Sig.) spronato dall'acuto stimolo della Gloria, s'accinse alla nobilissima impresa del Vello d'oro, applicò l'animo, non tanto à ben corredar quel famoso legno d'ogni opportuna occorrenza, quanto à ben prouuederlo di valorosi Guerrieri, che (pari a' suoi voti) seco fossero della fatica, e dell'honore fedelissimi compagni. Però con vno scelto drappello de' più chiari personaggi d'Argo (onde Argonauti furon detti) sopra vi ascese se con vn cuore veramente cinto d'vn raddoppiato Bronzo, anzi d'vn triplicato, & indomito Diamante, non pauentò le mobili, & aperte Simplegadi del Bosforo; non l'incognite Sirti dell'Eusino; non gli orribili mostri dell'Eurippo; ma giunse intrepido al desiderato Colco, & al bramato, e faticoso conquisto. Questo generoso ardimento, parmi, che fa la vera immagine d' vn animo gentile, che s'ingegni d'arriuare al Porto della vera felicità: E la riconosco marauigliosamente in quello di V. S. Illustriss. Perche, postosi in mente fin da' suoi primi Anni (spronato dal suo Spirito naturale) l'acquisto della Virtù, preparó la Naue del suo bellissimo ingegno di tutti quegli arredi, ch'à ben solcar l'onde di questo procelloso Mondo fosser basteuoli; Indi asceso nel famoso legno della Religione de'SERVI, (Argo Nobiliss. che fra le Stelle del Cielo, e fra la Corona della Beatiss. Vergine sua Protettrice fiammeggia) fù non solamente moderator di quello, ma s'incaminò con gran passo alla subblime impresa d'vn conquisto maggiore, ciò, è verso l'aureo Vello della Fama, sù l'ale della quale, dopo yna serie d'altre grandezze, ascenderà, spero, anch'ella à risplendere frà le chiariss, fedi del Cielo, come hora fra quelle de' Prelati risiede. E quì, per aggiustare maggiormente il pensiero, mi si conceda il dire, Che si come il figliuolo d'Esone fù stimolato all'opere grandi dall'esempio de suoi maggiori, così ella, à guisa di Soclide (che stimaua obbligo il non degenerar da gl'antenati) hà voluto seguitar l'orme de suoi, & in particolare quelle di Monsig. Bartolommeo Bussotti, il quale vgualmente riguardeuole per la parentela, che traeua da. Mons. Douizzi Cards del titolo di S. Maria in Portico, e per la molta prudenza, che dimostrò, mentre era in abito secolare, ne' tre consolati, fatti per la nostra Nazione Fiorentina in Roma, fù da Pio Quinto onorato con la carica di Tesaurier Generale Apostolico: Et quelle di Mons. Alessandro Mazzi suo nipote di sorella, che per le sue proprie doti, e per quelle del Zio, fu dal medesimo Pontefice promosso al Vescouado di Fossombrone. Sol potrebbe chiedere qualche curioso, Oue è la Compagnia de Valorosi Campioni, che questo nuouo Argonauta s'hà trascelta? A questi facilmente potrei rispondere, Che suoi veraci compagni fossero tutti quei Religiosi Personaggi, che nel suo Ordine si ritrouano, s'io non riconoscessi tutti costoro essere sicura materia, ond'è composto questo mistico vascello: Oue altri è Véla distesa al vento della Predicazione, altri Prora volta alla punta delle salubri confessioni; altri Poppa; da cui si succhia continouo latte d'infinite dottrine, altri Timone con la saldezza del buon gouernò, & altri Ancore fortissime della nostra Fede, con la profonda Teologia. Però, desideroso di contentare chi pur bramasse di vedere effettiuamente V. S. Illustriss. accompagnata, hò pensato di condurle auanti vna schiera d'alcuni generosi Guerrieri, ch'imbarcati nel suo petto, & arrolati in quest'opera, faran conoscere al Mondo, come ella haurà seco, non la fauolosa nobiltà d'Argo e di Iolco, má la più florida e la più vera di tutta Europa. Poi che, se in quell'Armata interuennero Mospo, & Idmone, Sacerdoti d'Apollo, quì saranno Cardinali, Arciuescoui, & altri Prelati, Sacerdoti del vero, e viuente Iddio. Se colà figliuoli d' Eroi, quà figliuoli di Principi, e di Semidei, che adeguano la magnanimità di Giasone, la fortezza d'Ercole, il senno di Periclimene, la Bellezza di Hilb, & il valor d'ogni altro. Se là fù Medea Regina di Colco accompagnata (com è da credere) da nobilissime matrone, quì vna mano di Principesse, seguitate da leggiadrissime Dame; finalmente s'in quella spedizione fù Orfeo, quò più d'vn virtuoso Poeta. Non vorrei già, che trattandosi d'vn piccolo numero fra vna copia infinita, mi si opponesse parzialità in hauere scelto più vno, che vn'altro, perche io risponderei, hauer fatto menzione solamente di quelli, che in qualche maniera hò seruiti, e conosciuti a' miei giorni, e non hauer voluto trapassare il numero di Cinquanta, per non trascender il solito Tributo, che fin quì mi son proposto di dare a ciascuna Musa; oltre che supplirà l'Euteripe, e l'Apollo, che d'altri patroni cantano in suon funebre. Mi dispiacerebbe ancora, che nel cercar di persuaderla à gradire questa mia MELPOMENE (detta come io credo, da ciò è Celebro vel cano cum mestitia, che perciò forse di lei fù detto. Melpomene tragico proclamant maesta boatu. e nel cercar di spiegare in parte il merito di V. S. Illustriss. e la conuenienza di dedicarle questa mia debol fatica, alcuno s'offendesse in vedere, che trattandosi di Prelato, e di Cristianissimi Defunti, io mescolassi illecitamente le cose Sacre con le Profane. Per euitar dunque ogni scoglio, sarà forfe meglio (tralasciato l'intrapreso Argomento) ricordarle; Come il fortissimo Giuda Maccabeo (raccolto nella Citta d'Odolla il suo esercito, e numerati i morti) stimò (dopo hauer fatto dar loro sepoltura) santa, e salutifera cosa il far pregare l'Altissimo per l'anima di quegli, ch'erano passati all'altra vita con qualche difetto de'lamniti, onde fatta vna colletta di dodici mila dramme, le mando al sommo Sacerdote di Gerusalem, in offerta per lo peccato: Perciò, adattando il tutto à mio proposito, dirò così. Morti son questi 50. Personaggi nel militar sotto il grande stendardo di CRISTO: Può essere che alcun di loro se ne sia passato con qualche macchia da scancellarsi nel Purgatorio; Si sono adunate dalle copiose ricchezze delle virtù, ch'in essi regnarono (se non dodici mila Dramme, almeno vn abbondante numero di meriti, posti oggi ne' rozzi sacchi di questi miei versi: Io son dunque l'apportatore di questo Tributo V. S. Illustriss. è il Sacerdote, che lo riceue; e se non è quello del Tempio di Gierosolima, indubitatamente è quello d'vna Città, che hauendo il nome dal Glorioso SEPOLCRO del nostro Redentore, misteriosamente può dirsi da Gerusalem non molto dissimile, ne lontana. Dunque non altroue, ne ad altri, che a lei si debbono portare quest' offerte: Le quali anche le son douute, perch'essendo gli estinti, o la maggior parte di loro, stati notissimi, & amicissimi suoi, o perche furono Principi viui a' suoi tempi, o furon per lo più persone graduate nella nostra Patria comune, o diuoti del Tempio della Santissima Nunziata, e di quel Conuento, di cui V. S. Illustrissima è stato figliolo, e Padre; è cosa conueniente, Che i Padri tengan conto delle famiglie loro, Che gli Amici si ricordino degli Amici, & Che i Principi sieno venerati. Se poi io hò congiunto la metizia degli Elogivcol suono de’Versi, anche nell'esequie de' Grandi interueniuano i Tibicini, & i Piangenti; ricordisi di quelle della figliuola del Principe della Sinagoga, oue il benignissimo Saluator nostro, ascoltando gli strepiti, disse, Non è morta questa Donzella, ma dorme: 'accennandoci non solamente, ch'il pianto dee esser breue, ma che si può lietamente cantare nella morte di coloro, che per douersi purgare, scendono in luogo, doue col suono delle preci si possono sciogliere da'peccati come dal sonno. Il mio canto, almeno accordatosi con la Pietà, & osseruando in questa parte il precetto, Che non si lodi veruno in vita sua, haurà questo di buono, che sarà lontano dall' Adulazione, e dall'Interesse; E ciò volle, per auuentura, insegnarci il Patriarca Iacob, quando (conoscendosi vicino a morte) pregò Gioseffe suo figliuolo, non folo, che seppelir lo facesse presso all'ossa de suoi maggiori nella Paterna contrada, ma ch'inuerso l'anima sua vsasse misericordia, e verità; Poi che quella è vera misericordia, che fanno gli huomini al suo prossimo, quando, non potendo sperare dalle persone defunte ricompensa mondana, s'affaticano à dar loro caritatiuo soccorso nell'altra vita con le preghiere. L'aiuto principale, & la vera misericordia sarà quella dunque, che come Prelato darà V. S. Illustriss. a questo Drappello estinto, ricordandosi di lui ne'suoi sacrifizi. Io come persona del secolo, e di poco spirito, se non potrò giouare a'Defunti, giouerò forse in questo a'viuenti. Che rammenterò loro quel salutifero ricordo, notato fin dal Poeta Lirico Tebano, che disse φρονεῖν τὸ παρκειμενον. cioè. Pensa a quel ch'è vicino. Et come in vno specchio rappresenterò loro, Che la morte con egual piede tanto percuote le Capanne vmili, quanto l'eccelle Torri. Dal che ciascuno potrà imparate à non fidarsi nè di Fasto, nè di Giouentù, nè di Fortuna, nè di Beltà, nè di Ricchezze, ma solamente a cercare di viuere in questo breue corso in maniera, Che la morte li sia cagione di perpetua fama in terra, e d'eterna vita in Cielo. Ma che voglio io dir più? basta ch'ella gradisca quest vmil dono, perche dalla sua protezione & esempio nasceranno senz'altro gli ammaestramenti, è la stima. Però Inchinandomi a V. S. Illustrissima & Reuerendissima, confidato di riceuere vn tanto fauore, le bacio la Sacra Veste, e resto pregandole dal Sig. Dio ogni vero bene. Di Firenze li 13 di Gennaio 1639 ab Inc. Di V.S. Illustriss & Reuerendiss. Diuotiss. & affezionatiss. Seruidore. Alessandro Adimari. TAVOLA De' Nomi de Personaggi contenuti in quest'opera, con ordine di Alfabeto, e degli anni in che morirono. A 1 ALessandro Orsini Card. Morì nel 1626. Elog. carte 2. 2 Alessandro Marzi Medici Arciu. nel 1629. Elog. c. 4. 3 CARLO di Lorena Princ. di Gioiosa nel 1636. Elo. c. 6. C 4 Cammilla Rossi da San secondo nel 1634. Elog. c. 8. 5 Cammillo Guidi Caualiere. nel 1624. Elog. c. 10. 6 Cassandra Bardi Cappòni nel 1638. Elog. c. 12. 7 Caterina Saluiati Niccolini nel 1633. Elog. c. 16. 8 Claudia d'Albon Coppoli nel 1626. Elog. c. 14. 9 Cosimo Gran Duca di Toscana nel 1620. Elog. c. 18. 10 Cosimo Minorbetti Vescouo nel 1628. Elog. c. 20. 11 Costanza Vettori Capponi nel 1632. Elog. c. 22. 12 Cristina di Lorena G. D. di Toscana nel 1636. Elog. c. 24. D 13 Donato dell'Antella Senatore nel 1617. Elog. c. 26. E 14 Elisabetta Southuel nel 1631. Elog. c. 28. 15 Euandro Piccolomini nel 1638. Elog. c. 30. F 16 Ferdinando Imperatore nel 1636. Elog. c. 32. 17 Ferdinando Gonzaga Duca di Mantoua nel 1626. Elog. c. 34. 18 Flauia Mancini Ximenez nel 1626. Elog. c. 36. 19 Foresto da Este Principe di Modona nel 1639. Elog. c. 38. 20 Francesco Bonciani Arciuescono nel 1619. Elog. c. 40. 21 Francesco Maria Card. dal Monte nel 1626. Elog. c. 42. 22 Francesco Principe di Toscana nel 1634. Elog. 44. 23 Francesco di Lorena Principe di Gianuille nel 1639. Elog. c. 46. G 24 Gabbriel Chiabrera Poeta nel 1638. Elog. c. 48. 25 Gio: Batista Altouiti Cau. nel 1629. Elog. c. 50. 26 Gio: Batista Marini Cau. e Poeta nel 1625. Elog. c. 52. 27 Gio: Batista Rondinelli Cau. nel 1605. Elog. c. 54. 28 Gioseppe Caraffa Principe di Stigliano nel 1629. Elog. c. 56. 29 Giuliano de' Medici Arciuescouo nel 1634. Elog. c. 58. I 30 Iacopo Inghirami Generale nel 1625. Elog. c. 60. 31 Ippolito Aldobrandini Card. nel 1638. Elog. c. 62. 32 Isabella Infanta di Sauoia nel 1626. Elog. c. 64. L 33 Leonora Principessa di Toscana nel 1617. Elog. c. 66. 34 Leonora da Este Principessa di Venosa nel 1637. Elog. c. 68. 35 Leonora Saluiati nel 1628. Elog. c. 70. 36 Lorenzo del Senator Carlo Strozzi nel 1638. Elog. c. 72. M 37 Maddalena Strozzi Saluiati nel 1634. Elog. c. 74. 38 Margherita Ardinghelli nel 1636. Elog. c. 76. 39 Maria Capponi Baglioni nel 1634. Elog. c. 78. 40 Marino Caracciolo Princ. d'Auellina nel 1630. Elog. c. 80. O 41 Onesta Camerotti Adimari nel 1604. Elog. c. 82. 42 Orso d'Elci Conte nel 1636. Elog. c. 84. 43 Ottauio Rinuccini nel 1623. Elog. c. 86. P 44 Pietro Aldobrandini nel 1629. Elog. c. 88. 45 Piero Bonsi Senatore nel 1626. Elog. c. 90. 46 Pier Antonio Guadagni nel 1633. Elog. c. 92. 47 Piero Guicciardini Marchese nel 1626. Elog. c. 94. R 48 Ridolfo della Stufa nel 1624. Elog. c. 96. S 49 Sebastiano Ximenez Senatore nel 1633. Elog. c. 98. 50 Siluio Piccolimini Cau. nel 1634. Elog. c. 100. DELLA MELPOMENE D'ALESSANDRO ADIMARI PROEMIO SPECCHIO da rimirar l'interno humano, Per compor l'Alma, e far le Menti accorte, MELPOMENE, il pensiero è della Morte, Tu me l'additi, io non vi guardo inuano. Spero in esso veder quanto sia vano L'ardir del Grande, il contrastar del Forte, La Speranza fallace, aspra la Sorte, La Bellezza caduca, il senno insano. Voi, ch'intanto ascoltate il mesto suono, Che sol misero auanzo è de' passati, Impetrate a lor pace, a me perdono. A me, s'al merto egual non van lodati; A lor, per ch' il pregar pe' Morti è buono, Che, se moriro in Dio, son hor beati. ELOGIO I. ALESSANDRO ORSINI CARD. Fú Principe di tanto valor dotato, che alla sua morte immatura pianse vna gran parte degli huomini del Mondo, Et ardirei di dire, che haurebber pianto fin gli Angeli stessi del Paradiso, se quei non l'hauessero (come io credo) per l'innocenza della Vita, e per la santità de' Costumi ne loro beati seggi con interno riso raccolto. La breuità del Tempo non li tolse il correre lo Stadio della virtù; Perche affrettandoui altrettanto il piede, e vestendosi l'abito dell' onore Prima sul dorso dell' animo, che su gli omeri del Corpo era di già peruenuto al termine della gloria quando la cieca, & inuidiosa Parca lo credeua ancor alle mosse SONETTO I. In Morte dell'Eminentiss. Sig. Card. Alessandro Orsino. QVESTI, che d'ostro il nobil Crin cerchiato Sembrò fiamma gentil, ch'alto sormonte, Fiamma ben fù, che del gran foco al fonte: Se ne torn'oggi, a più bell'Orse allato. Ahi Non se ne pianga hor l'ultimo fato, S'ammirin l'opre, e le Virtu più conte, Che nel poggiare al glorioso monte Chi di lui fù pui forte, o più beato? Parue Cintia in Ortigia, Apollo in Delo, Al casto affetto, al sacrosanto ardore, E parue Angelo al fin fotto vman velo. E così fà, chi del Celeste amore, Per esser luce, e Cardine del Cielo Si veste pria le Porpore nel core, ELOGIO II. ALESSANDRO MARZI MEDICI. Nato di quella chiarissima Famiglia, che per seruizi fatti alla Sereniss. Casa di Toscana, hebbe vna parte della sua Arme gentilizia, e del Cognome; Portò se stesso auanti con vna esquifita litteratura, e con vna eccellente Bontà di vita: Però, dopo essere stato Can. Fiorentino, e Vescouo di Fiesole, fù assunto all'Arciuescouado di Firenze: Oue multiplicò talmente i talenti, che Dio li diede, che ben possette esser chiamato a godere nella Gloria del suo Signore. Ma perche non si danno le Corone se non a chi legittimamente combatte: Parue simile al Pio Buglione Poi che, dopo infiniti trauagli, l'anno della Peste del 1630. visitando con publica Processione per la publica salute il Tempio della Santissima Nunziata di Firenze, e passando poco dopo all'altra vita, possette di lui dirsi; che anch'egli entrando nella celeste Gerusalem Adorasse, e sciogliesse il voto SONETTO II. In Morte di Monsig. Aless. Marzi Medici Arciuescouo di Firenze. SV buon seruo fedel posa il mortale, Entra in gloria à goder del tuo signore, Se piange il gregge tuo senza Pastore, Piange te suo Pastor, quanto il suo male. Tu schiui hor d'ogni guerra il crudo strale, Ei si riman tra'l ferro, e tra'l dolore, Tu di peste il colpir fuggi, e 'l timore, Ei resta in parte, oue il fuggir non vale, Se lice inuidia hauer dell' altrui sorte, Per te nell' alma mia sent' oggi un moto, Che la tua vita inuidia, e la tua morte, Tu, giunto oggi à Sion per fin diuoto (Quasi del Pio Buglione emul più forte) C'insegni il gire al Tempio, e sciorre il voto. ELOGIO VI. OH CARLO LVIGI Duca di Gioiosa, e Parì di Francia, Per fiorir Fiorenza di leggiadrissimi fiori non mancaua altro, che quella nuoua, & aurata corona di generosi figliuoli, Che il magnanimo & amabil CARLO Duca di Ghisa tuo Padre hà ricourati dal freddo Cielo della Senna, su le temperate riue dell'Arno. Ma la mutanza dell'vmane cose hà volsuto, che vn’ improuiso inuerno offenda il candore de' gigli, & il minio del tuo bel volto. Forse per che l'ordine della temporal Primauera anco in te si riconosca; Quella nel colmo delle sue bellezze vien dal calore della State, e dal desiderio dell'acque oppressa; Tu nel più bello de' tuoi pregi, e nella copia immensa d'infinite Grazie, e Virtù, da fuoco di maligna Febbre, e da sete d'Idropisia assalito, languisci. Confortati nondimeno, Perche i Gigli, quanto han più vita, han anco minor vaghezza, Ma le Rose, quanto han più sete, hanno anco maggior colore. SONETTO VI. In Morte dell' Illustriss. & Eccellentiss. Carlo Luigi d i Loreno Duca di Gioiosa. REGIO Garzon, che sul fiorir degli anni Le Rose, e i Gigli tuoi cedi all'Inuerno, Piangerem forse il tuo finir gli affanni, O che cerchi alla sete un Riuo eterno? Piangasi il fin de gli empi, e de' Tiranni, Non di chi visse in terra Angelo interno, La Fenice al morir s'inuola a i danni, Il Mondo ognor fugaci acque ha d' Inferno, Cadi affetato, è ver, su l'altrui riue, Giouane, è ver, ma dona incontro à Lete, Vita il Ben, Patria il Ciel, Diol' Acque viue. O presagio immortal d'alta quiete, Il Giglio hà più Candor, quanto men viue. La Rosa hà più Color, quanto hà più sete. Per error nella Tauola s'è posto Arrigo per Carlo però deue ire alla lettera C dopo il Sonetto 5. ELOGIO IV. CAMMILLA ROSSI de' Conti da San SECONDO, Vedoua di Fabrizio Barbolani de' Conti di Montauto, Meritò per le Grazie, che in lei concorreuano, Tanta grazia appresso la Sereniss. Cristiana di Loreno Gran Duchessa di Toscana, Che, riceuutola per sua Dama maggiore d'onore, l'amò tenerissimamente. Ed ella con esatta diligenza, e fede, corrispondendo a gli obblighi, Fece acquisti in vita, e meritò giunta à morte, Vn funerale nobilissimo à costo di quell'Altezza, Oue il Candore d'vna immensità di Cera ardente, parue, che rappresentasse la Bianca immagine della sua Pudicizia, é l'eminente Porpora de' suoi nobilissimi Natali. SONETTO IV. In Morte dell'Illustriss. Sig. Marchesa Cammilla de Rossi, de' Conti da Sansecondo SON queste faci alla tua Pira intorno, Non insegne di Morte, o di dolore, Per ch'inuitta virtù già mai non muore Ne muore il Sol, benche s'estingua il giorno. Ma son, CAMMILLA, un simulacro adorno Delle grandezze tue, del tuo valore, Quì miro accolto in un luce, e candore; A te luce, e candor fù sempre attorno. ROSSO acceso d'onor, BIANCO di fede, O su ne'MONT' ACVTI, o d' Arno all'onda, Sempre eguale à scourir mouesti il piede, Vanne, ò bell' Alma, à niuna altra SECONDA, CHE de' Giusti in morir l'alta mercede, Come Palma fiorisce, e Cedro abbonda. ELOGIO V. CAMMILLO GVIDI. Toltosi da Volterra sua Patria, e datosi alla Relig. de' Cau. di S. Stefano Picciolo di Corpo, Di nobiltà grande, Immenso d'animo, Passò al seruizio della Sereniss: Casa di Toscana: Iui con fedeltà, pari all' istessa Fede, Secretario confidente alla Corona di Ferd. I. e di Cosimo, II. impiegato in Carichi importantissimi giunse a Morte: Se morto si può dir colui, Che morendo nasce ad vno immortale Onore. SONETTO V. In Morte del Sig. Cau Cammillo Guidi Sec. del Sereniss. di Toscana Ha' de' Regi quà giù l'immensa mole Duo presidi all' incarco, il Ferro, e'l Senno, Ma il Ferro al pondo suo rouinar suole, Se del consiglio altrui non serue al cenno: Quindi un Cammillo già, qual nebbia al Sole, Intrepido fugò l'armi di Brenno. Et vn nuouo CAMMILLO i pregi hor vuole, Ch'alla parte miglior porger si denno. Colmo di Fe, pien di Prudenza il petto Lo vide il Re dell' Arno, e'l vide insieme Harpocrate al tacer, Febo al concetto; O GVIDI, al morir tuo, chi per te geme Le nostre Glorie inuidia, e'l tuo diletto, CHE chi nasce all'Onor morte non teme. ELOGIO VI. CASSANDRA. Nata di Cosimo Bardi Conte di Vernio, e di Lucrezia Guicciardini. Come Gemma di infinito pregio, per lo splendore d'vna ammirabile, e riuerita bellezza, e d'vna infinita virtù, Incassata con auuenturose nozze nell'oro purissimo del generoso Piero di Francesco Capponi Fratello dell'Eminentiss. Card. Luigi, Accrebbe i propri splendori, col sereno dell'Abate Francesco, e del Marchese Scipione suoi chiarissimi figliuoli, con la fortezza in sostener la perdita dell'amato marito, con la prudenza, con la vigilanza, col giudizio con la Carità, onde innocentissima conseruò la sua vita, e resse la Casa. Il perche, sembrando vnica Fenice, fù richiamata dalla caduca Pira della Terra, all' eterna luce del Cielo, il giorno della gloriosissima Natiuità di GIESV CRISTO N. S. attestandoci col proprio successo, Che morendo i Giusti non incontrano la morte; Ma la Vita d'vn fortunato Natale. SONETTO VI. In morte della Sig. Cassandra Bardi Capponi DICA sul Rogo tuo le voci estreme, Sparga l'acqua col pianto a te d'intorno, O CASSANDRA, quei sol, ch'il tuo bel giorno Si crede con la vita estinto insieme: Ch' io già non piangerò, per che non geme Chi sà, ch' in Ciel più bella hor fai ritorno, Sprezza la Morte un cuor di pregi adorno, Che quel ch'in van si fugge, in van si teme, Deh, come può morir fra cieco oblio Fenice, ch'al finir s'impenna l'ale, E comincia morendo il dì natío? O presagio di Gloria alta, e vitale, Tu mori oggi, che nasce in terra Dio, Per ch'a chi muore in Dio, Morte è Natale. ELOGIO VII. CLAVDIA Dell' Illustrissima Casa D' Albon franzeze Cresciuta nella Corte di Toscana accettissima Dama, e poi Matrona d'onore, della Sereniss. Cristiana di Loreno. Fu moglie del valoroso Capitano Cammillo Coppoli, dalle cui nozze trasse vno splendor maggiore, Che fu l'effer madre del Marchese Francesco vnico erede della sua generosa Bontà. Veramente l'Aquile, e le Colombe non degenerano. Prouò nondimeno i colpi d'auersa Fortuna, E per la fresca vedouanza, e per la perdita de' suoi maggiori: Con tutto ciò, con indicibil fortezza rabbellì sempre il Candore della sua Fede, Onde al suo trauaglioso mare, agittato, e biancheggiante da raddoppiate percosse, venne a ragione adattato quel motto, Espresso in vna sua proporzionata Impresa, MAS TORMENTA, MAS CANDOR. SONETTO VII. In Morté di madama Claudia D' Albon CHIVSO, CLAVDIA, il tuo giorno, e 'l varco aperto Al Teatro di Fama alta, e serena, Chi ben finì la sua mortale scena, Hà di lagrime in vece applauso, e merto. Ma qual de pregi tuoi dirò poi certo Penelope a gli affetti, al volto Elena, Se le virtù d'altrui son ombre appena Di quel, ch'hai meglio oprato, e più sofferto? Pietà, Fortezza, e Fè, Costanza, Onore Rabbellironsi in te fra le procelle. Qual Mar, CH' in piu tempesta hà piu candore: Ite hor Vedoue spoglie, Ite piu belle, Si scorgon meglio entro al notturno orrore Quando è sparito il giorno anco le stelle, ELOGIO VIII Il morire carica d'anni, e d'onore; Et l'esser sepolta, oue hanno la Tomba i Saluiati di cui nascesti, & i Niccolini, a cui maritata viuesti, Fu, ò CATERINA vn ridursi, dopo lunga nauigazione, felicemente in Porto: Onde io non saprei nel sasso del tuo sepolcro qual delle tue venture per la più sublime intagliare, se non il Titolo d' ONORATA MATRONA, Perche, hauendoci lasciati il Cau: Francesco Ambasciadore per il Sereniss. di Toscana a Roma, et il Marchese Filippo tuoi chiarissimi figliuoli, dimostri, che alle nobili Cornelie Già mai non mancarono i Gracchi. SONETTO VIII. In Morte della Illustriss. Sig. Caterina Saluiati Niccolini Madre del Sig. Cau. Franc. Ambas. e del Sig. Marchese Niccolini. QVESTA che d'anni carca, e più d'onore, Per l'Egeo della vita approda in Cielo, Non lascia, come l'altre, esca al dolore, Il vederla oggi in Terra ombra di gelo, Ci lascia ben partendo in dubbio il core Se Virtù, Fede, Amor, Pietade, e zelo In altri, fuor ch'in lei, visse maggiore, Dal Mondo infante, a che fe bianco il pelo; Mai piu concludon poi, che non somigli Al suo nessun valor, s'è vero il detto, CHE si lodan le Madri al suon de' Figli, O CATERINA, o Madre, o suono, o Petto, Ch'al Tebro i vanti accresci, all' Arno i Gigli, Nel dirti Madre, ogni tuo pregio hò detto. ELOGIO IX. COSIMO II. Sposata la Sereniss. Maria Maddalena Arciduchessa d' Austria, e successo nel Dominio di Toscana al Gran Duca Ferdinando suo Padre, Sarebbe vissuto in vn secolo felicissimo, se pari al vigore dell'animo, & alla tranquillità de' Tempi hauesse incontrato la Sanità del Corpo: Magnanimo, Inuitto, Pio, Religioso, Giusto, Forte, e Prudente soura ogni credenza Vmana, Arricchì la Sereniss. sua Casa di nobilissima Prole, Vnica speranza, e Conforto a gli sconsolati suoi sudditi, che per l'ingenua sua Bontà, non credeuano (Oh abissi impenetrabili di Dio) lo douesse toccar sì presto il formidabil tormento di Morte. SONETTO IX. In Morte del Serenissimo Cosimo II. Gran Duca di Toscana COSMO se' morto, alla tua vita i voti Consacrai sempre a riuerirti intento, Ahi, che siam polue, il respirare vn vento, Siam Bolle d'acqua all'apparenza a' moti: Ma se non vuole DIO, ch'i suoi diuori Sentin di Morte mai colpo, o tormento, Se mill'anni appo lui sono un momento Come estinto, o mio RE, vuol ch'io ti noti? A te, ch'eri pur suo, misero oppresso, Vn Atomo di vita in quei pochi anni Alla misura sua non hà concesso. Ah liuida ignoranza, bor non c'inganni, Più caro è chi gli và più presto appresso, LA Morte è scala al Ciel per via d'affanni, ELOGIO X. COSIMO MINORBETTI. Eguale nella nobiltà a' Nobili della sua Patria, Superiore nella Dotrina a molti gran litterati del suo tempo, & a niuno inferiore di Bontà, Canonico Fiorentino, apparue lo splendore de' Sacerdoti, Arcidiacono del medesimo Duomo, la norma del viuer Cristiano, Vescouo di Cortona, la Regola dé perfetti Prelati, Il Gran Duca Cosimo II. Che lo conobbe tale, lo propose capo all'educazione del Principe Ferdinando suo Primogenito, Et egli nelle morali, nelle politiche, e nelle diuine scienze ammaestrandolo, Fù seco nella gita all'Imperadore, quasi Raffaello con vn generoso Tobbia. In ciò solamente diuerso, Che quella Angelica scorta Sparí da gli occhi vmani dopo il ritorno, e questi (oh dolore, oh perdita lacrimosa) nell'istesso viaggio, SONETTO X. In Morte di Monsig. Cosimo Minorbetti Vescouo di Cortona. FIGLIO mio, caro Amor, che dico, o Dio, Deuo Padre appellarti, oue ten'vai, Di morte in sen per non tornar già mai Ne pur l'Ossa rimandi al suol natío; Quando il Tesbita all'aureo Ciel salío Lasciare almeno il manto a' suoi mirai, E lasciò Fidia i Marmi, oue tu sai Qual arco ei tese a saettar l'obblío. Si disse al tuo morir, Gran MINORBETTI, Flora, ondeggiando in mar d'aspro dolore, E tu cosí, per acquetar gli affetti: Taci, ch'or hai da me cosa maggiore, Ti lascio il Rege tuo, reso a' miei detti, Teatro di virtù, Tempio d'onore. ELOGIO XI OH COSTANZA VETTORI, Se la Nobiltà del Marchese Luigi tuo Padre, Se la Giouentù de tuoi verdi anni, Se la bellezza del volto, e dell'animo, Se la felicità della tua fortuna, Hauesser potuto ritrouar pietà nella Morte, al sicuro, c he per tante tue prerogatiue le hauresti fatto cadere la falce di mano. Ma ella, sempre con tutti inesorabile, teco si mostrò maggiormente crudele; Poi che, non riguardando a veruno di tanti tuoi pregi, estinse la tua vita in quell'ora, Che ad vn figlio col partorire desti la vita Oh ricompensa del mondo ingrata, Oh contenti vmani sempre assaliti dal dispiacere, Oh fortezza inuincibile de gli animi nobili: Io non sò distinguere, se il Marchese Ruberto Capponi, tuo sposo, che sostenne così gran colpo, nel fine della tua vita perdesse, O nel principio della tua Morte, acquistasse, Vna COSTANZA maggiore. SONETTO XI. In Morte della Sig. Costanza Vettori moglie fù dell' Illustriss. Sig. Marchefe Ruberto Capponi. LACRIMEVOL pietà, che miro, e sento! S'asconde in terra a mezzo giorno il Sole? Vn April, su l'aprir Gigli, e Viole Riman di fiori impouerito, e spento? LA COSTANTE VITTORIA in un momento In mezzo al Trionfar perde, e si duole? Virtù, Senno, e Bellezze al mondo sole Sono a' colpi di Morte ombra, e spauento? Così và, Febo ancor s'al colmo ariua Ritorna indietro, e spesso a' rastri accanto Disperde il frutto suo la messe estiua, Semel, si grata al Ciel, non si diè vanto Di partorire anch'ella, e restar viua, TANTO è vicino all'allegreza il pianto. ELOGIO XII. CRISTINA Figliuola di CARLO DVCA DI LORENO Come eletta da Dio a reggere & a produrre chi regga gli Scettri, Fu nobilmente in Corte di Caterina de' Medici, Regina di Francia, alleuata. Indi Sposa di Ferdinando P. Gran Duca di Toscana III. Come generoso rampollo in ottima pianta inestato, produsse di Pietà, di Religione, di Magnanimità, di Fortezza, di Prudenza, e d'ogni altra eroica virtù frutti marauigliosi. Feconda di figliuoli, e ricca d'ingegno, e di bontà; restata vedoua, e poscia priua del Gran Duca Cosimo II. suo Primogenito, attese con tanto giudizio alla cura de gli Stati del Giouanetto Gran Duca Ferdinando suo Nipote, e talmente vnita con MARIA MADDALENA Arciduchessa d'Austria sua Nuora, Che ben parue a quel tempo la Giustizia, e la Pace essersi di nuouo incontrate, e baciate insieme. Onde l'Etruria, che la riuerì nel soglio terreno, resta eternamente obbligata a pregarle maggior residenza nel Cielo. SONETTO XII. In Morte della Sereniss. Christina di Loreno, moglia fù del Sereniss. Ferd: I. Gran Duca di Toscana. ITE incontro a quest' Alma alta immortale, Ch'in sen l' apre hà di CHRISTO, e'l nome in fronte, Angeli, o voi, ch'al sempiterno fonte Beuete in Paradiso onda vitale: Ite non per aita a lei che sale, Che Dio stesso gli è scala, e'l Ciel gli è ponte, Ma per alzar di sue virtudi un Monte, Ite a farle di gloria un Tron Reale, Incontrila sua fè l'istessa Fede, Porti il suo Amor la Caritade al Polo, Sol frà noi la Speranza arresti il piede: Rimanete ancor voi lacrime, e duolo, CHE tormento di Morte vnqua non fiede Chi fà col suo valor Vela al suo volo. ELOGIO XIII. DONATO dell' ANTELLA Patritio, e Senatore Fiorentino, fù chiarissimo lume di Magnanimità, di Fortezza, di Giudizio, e di singolar Prudenza Ciuile. Con questi arredi ascese a quei più subblimi gradi, Che al seruizio della sua Patria, e de' suoi Principi, lo potettero innalzare: Visse Celibe Lasciò morendo emuli, e seguaci del suo valore, i Nipoti: Fra quali Niccolò principalissimo Senatore anch'egli; Auditore, e Consigliere di Stato del Sereniss. Gran Duca di Toscana fù grande; Onde io non sò, se più il Nestore, che il Catone di Firenze si deua appellare. SONETTO XIII In morte dell' Clariss. Sig. Donato dell' Antella Senatore Fiorentino. CADI ò Nestor dell'Arno, e teco insieme Sembra cader della tua patria il pondo, E la Vergine Astrea fuggir dal Mondo, E disperata impalidir la Speme Ma quale Anteo, che Berecintia preme, E tragge indi valor dalsen profondo, O quale Augel nel Rogo suo fecondo, Tal de Grandi il morir, morte non teme. Seme sparso d'onor fin dall' Aurora, Se pur dianzi il couerse Espero ingrato, Dal funebre terren germoglia ancora, Già ne' posteri tuoi, Spirto beato, Qual Sol, ch'al tramontar le Stelle indora, Luce radoppi al declinar del Fato. ELOGIO XIV. ELISABET SOVTHVEL Fù moglie di Ruberto Dudleo Conte di Veruich, e Duca di Nortumbria, Di tanta religione, e bontà dotata, Che per mantenere il viuo candore della Cristiana Fede, Amò piu tosto, come Ermellino, Esulando col marito frà molti incomodi morire, Che imbrattarsi, viuendo in Inghilterra sua Patria, in qualche fango d'Eresia. Bellissima di Corpo, ma piu d'animo. Partori bellissimi figliuoli In Fiorenza, Oue, per benignità de Sereniss. di Toscana, fù nobilmente col Consorte raccolta. Ma in quel mentre, che all'infermità del maggiore assisteua infermatasi, Poco dopo il di lui transito anch'ella spirò? Lasciando improuisamente vedouo, & orbato il marito, Anzi védoua, & orbata la morte, Che in vece di vedersela compagna, la scorse, con la veste nuziale d'infinite buon opere, passare all'eterno conuito del Cielo. SONETTO XIV. In Morte della Eccellentiss. Sig. Elisabetta Southuel, Moglie fù dell'Eccellentiss. Sig. Roberto Dudleo, C. di Veruich, e Duca di Nortumbria. E CHE fai tu pietà, doue se' gita, A pianger forse in disperato Orrore? O per l'immenso Egeo d'alto dolore T'hà sommersa horamai l'onda infinita? Di sì gran Madre all'ultima partita Di sì gran Figlio al già defunto amore, Chi non s' affligge, o chi non perde il Core, O l'anima hà di sasso, o non hà vita Ben lo fai tu ROBERTO, amante amato, Che vorresti del Rogo esser consorte, Se'l permettesse inesorabil Fato, Ma piangi il danno tuo, non l'altrui sorte, D'ELISABET, a Dio riposta allato, E' Sposo il Cielo, e Vedoua la Morte. ELOGIO XV. Le tue lacrime (o CATERINA Adimari) per la perdita del caro Beniamino delle tue viscere seguita in Fiandra, quando in vn esercito, che scorreua si trouò frà pochi esser colpito Inondano talmente l'altrui Pietà, che non è cuor sì solleuato, che non s'allaghi, nel tuo dolore: Tu, dopo la lunga Vedouanza del fortissimo Enea Piccolomini tuo marito. morto anch'egli in fazione, Vedi oggi spento il Conte EVANDRO, non sò se dir mi debba più tuo figliuolo, che tua delizia, Figliuolo in vero degno del materno Amore per le sue rare qualità, Delizia per gli amabili costumi, e per esser l'vltimo pegno del tuo castissimo letto, e per la copiosa erudizione in ogni genere di virtú. Ma per che la militare è propria della sua generosa stirpe, non Piangere, Perche lo partoristi all'onore, e l'onore si acquista non meno morendo frà l'armi, che viuendo frà le lettere, Il valore, e le fortuna del Gloriossimo frà OTTAVIO la dottrina, e la bontà di Mons: ASCANIO Arciu: di Siena suoi zij ricompenseranno ogni tua perdita, sendo verissimo Che il principio de' Grandi concepisce, & il fine de' medesimi partorisce la Fama. SONETTO XV. In Morte dell'Illustriss. Sig. Conte Euandro Piccolomini SEGVACE del Padre, e del Germano Nell'Onor, nella Vita, enella Morte, Guerrier fanciullo, insieme, acerbo, e forte, Chi non piange al tuo fin, sembra inhumano. Cader nell' Alba il tuo valor sourano, Mancar quando Vittoria apre le porte, Toccar fra mille a tè l'infausta sorte, E duro sì, che si consola in vano. Pur dourebbe, il membrar frenarci i pianti, Che de' Titani il fin ferro non ama. Ma Destre eccelse, e fulmini tonanti. Ahi, chiunque è Grande, e PICCOLНVOM si Chiama, Ben deue anco morir come i Giganti, Mentre anco al suo morir nasce la Fama. ELOGIO XVI. La Maestà dell'Imperio, E come la Cima del Monte Olimpo, Soura il quale si può ben da lontano drizzar lo sguardo, acciò che l'occhio ammiri il Sole, che l'indora, Ma non portarui il piede, perche la lingua da vicino narri l'altezza, che lo sollieua. Gli Imperadori col ginocchio riuerentemente s'onorano, e col silenzio abbondeuolmente si lodano. Ma si come è bello il veder quel monte sempre sereno, e soura ogni altro eminente Così ora farebbe tremendo il mirar FERDINANDO Cima eccelsa dell'Imperial Monarchia, atterrato qual Pelio subblime dal fulmine della morte, Se quell'empia faretra giungesse ad estinguere la memoria de gli huomini eccelsi. Male Teste Imperiali son coronate d'Alloro, per denotarci, ch'elle son difese dalle ingiurie del Tempos e delle Nubi. Però a gli occhi degli insipienti sembra questo Princ. estinto Alla vista de' saggi apparisce regnar nella pace del Cielo, mentre viuendo s'affaticò per la quiete del mondo, E morendo sostituì ne' medesimi studi, e sudori, l'inuitto FERDINANDO ERNESTO nuouo Imperador suo figliuolo. Perch'vna lunga, e giusta guerra non hà per fine altro, ch'vna perfettissima pace. SONETTO XVI. In Morte della Sacra Maestà dell'Imperador Ferdinando. O BREVE Onor mortale, o Fasto, o fato, O Fumo, o Polue, o Vita ombra e dolore, Dunque FERNANDO, il gran Monarca hor muore Di tanti fregi, e di tant'armi armato? Ahi, che d'Alloro Imperial cerchiato, Non sente un Crin già mai funesto orrore, Pare a gli stolti estinto il suo valore, Quando in pace egli è posto, anzi è beato. Così nube talor la cima altera D'Olimpo a gli occhi altrui vela, e contende, Che poi soura quel verno ha primauera. Ogni Imperio da Dio qua giu discende, Ritorna a dominar nella sua sfera Buon Rè, che lascia il Mondo, e in Cielo ascende. ELOGIO XVII. FERDINANDO GONZAGA DVCA DI Mantoua Al suo fine immaturo doueua trarre le lagrime dalle viscere d'ogni mortale, E se l'vniuerso non pianse, Fu, perche il mondo allora, O non intese il suo merito, O non conobbe le proprie miserie, o ne instupidì. Le deplorande calamità, che soprastanno all'Italia per la mancanza della sua Casa, Ne lo faranno (se Dio non prouuede) facilmente ben tosto accorto. Ma egli, che viuendo accoppiò le diademe Regali con la Porpora de' Prelati, e con le Corone de gli Allori: E morendo apparue meriteuole delle eterne, si crede asceso oggi in luogo tant'alto, Che del nostro pianto non curi i nembi, Del nostro desiderio non pauenti le perdite, E delle nostre miserie non temi i colpi. SONETTO XVII. In Morte del Sereniss. Ferdinando Gonzaga Duca di Mantoua CHI piangerà di te l'ultimo fato, Germe Real dell'onorata Manto; Il Regno, il Saggio, il Seruo, il Giusto, il Santo, O la Pace togata, o Marte armato? Sembrasti al Regno vn Numa, al senno un Cato, A' serui un Tullio, un nuouo Achille al Xanto, Vn Ottauio alla Pace, un Febo al canto, A buoni un Porto, al Tebro on Purpurato. Piangerà dunque amaramente errando All'ombra de' più densi atri Cipressi Quanto hà di bello il Mondo, e d'ammirando, E piangeriano ancor de' Cieli stessi Gli aurati lumi, al tuo morir, FERNANDO, Ma pianger non si può doue t'appressi. ELOGIO XVIII. FLAVIA MANCINI XIMENEZ. Superiore nella bellezza ad Elena, Nella Pudicizia a Penelope, Nella Grazia all'istesse Grazie, Mentre purpureggiaua come Rosa al mattino de' suoi ridenti giorni, Abbattuta da repentina morte, Lasciò scompagnato, e dolente Rodrigo Ximenez suo sposo, E con orrore il mondo, che in lei (trasformata dal Vaiolo) miseramente conobbe, Quanto la beltà sia fragile, breue, e caduco dono. SONETTO XVIII. In Morte della Sig. Flauia Mancini Ximenez In Persona del suo sposo. ODA mille occhi pianta, e mille cori, Ben è l'umana vita un ombra un vento, Dunque del tuo bel sen gli ostri, e gli auori Ci toglie inuida Parca in un momento? Così mancan nell' Alba i primi fiori? Così nell' Auge il tuo bel sole è spento? E'l nido delle grazie, e de gli Amori, E conuerso in bruttissimo spauento? Morte, e perche sì deformar quel viso? Forse perch' al ferir sì bel sembiante Non resti il mondo in un sol colpo vcciso? Ahi, che temesti a tanto lume auante, Senza prima oscurar quel Paradiso, Diuentar viua, o diuenire amante. ELOGIO XIX. Mentre visse FORESTO, chiarissimo figliuolo del Magnanimo D. Cesare da Este Duca di Modona A guisa d'Aquila Generosa Tese il volo per l'ampia foresta del mondo si altamente, Che ben dimostrò Come il Reale Vccello di Gioue, sua nobilissima insegna, vestito col candore delle Colombe, non degenera già mai: Se dunque, terminato il bel corso de gli anni, Trapassati con fortezza, Prudenza, Tolleranza, e Giudizio più che mortale, Oggi, morendo, s'inalza ad affissarsi ne'Raggi del vero Sole. E' cosa propria di quelle Penne, e di quegli Occhi Che poco fà hanno saputo sprezzar la vista, e l'vso degli scetri, e delle corone della Terra Il solleuarsi a mirare, e godere intrepidamente i Regni, e le grandezze del Cielo. SONETTO XIX. In Morte dell'Eccellentiss. Sig. Foresto da Este Principe di Modona NON è FORESTO il nostro fin mortale Cosa, qual sebra altrui, dura, e funesta E proprio un trarr'il piè d'empia Foresta Ou'è chi sempre i Peregrini assale. Al dipartir d'una virtù Reale Con immutabil suon la Fama resta, E per sublime calle orme calpesta, Oue d'Ira, o d'Inuidia arco non sale. Ond'oggi l' Alma iua fuor dell'obblio Non muor, ma cangia albergo, e và sicura Dalla valle del pianto al Ciel natío. Non si pianga per ciò la tua ventura, Per ch'in effetto, a quel che muore in Dio LA MORTE E FIN D'VNA PRIGIONE OSCVRA. ELOGIO XX. FRANCESCO BONCIANI. Patrizio Fiorentino. In cui fiorirono in grado eminente la bontà, e la dottrina, Applicatosi al seruizio della Chiesa Diuenne della Paterna Metropoli Canonico, & Arcidiacono: Indi, scoprendosi in lui mirabile prudenza, e valore, Fu promesso all'Arciuescouado di Pisa, E salito in grandissima stima appresso al sommo Pontefice, & a' Sereniss. di Toscana, Visse impiegato in Ambascerie alla Corona di Francia, & in altri nobilissimi affari: Il Tebro facilmente l'haurebbe visto maggiore, che non lo vidde Arno, Se morte così presto non s'interponeua al suo felicissimo Corso. SONETTO XX. In Morte di Monsignor Francesco Bonciani Asciuescouo di Pisa QVESTI ch' in mezzo a lacrimoso coro Spento frà viue faci, e sangue hor pende, Altri lumi, altri raggi eterni accende, Ne' Zaffiri del Ciel temprati in Oro. E qual seruo fedel doppio il tesoro Così del suo talento oggi a Dio rende Che nell' erario eterno adorno splende Di smeraldi castissimi, e d'alloro, E vorrem noi col sospirare intanto L'orme impresse alterar del suo valore, O scancellarle al tempestar del pianto? Torbido affetto ahi non c'inganni il core, Giusto è se parte Elia, che lasci il manto. Il Sol nell' Ocean casca, e non more. ELOGIO XXI. FRANCESCO MARIA BORBONI De' Marchesi del Monte santa Maria, Non contento dell'eccelso monte de' suoi Natali, atto a maggior salita; Per ogni grado di bella Virtu s'inalzò fino alla sacra Romana Porpora. Grato al mondo, Gratissimo a Ferdinando I. Gran Duca di Toscana, Vide finalmente (Cadendo la mole eccelsa del suo corporeo Olimpo in mezzo alla Città de' sette monti) L'euento dell' vmane cose, e non altro, nel colmo delle speranze, al suo merito inferiore. SONETTO XXI. In Morte dell' Eminentissimo Sig. Cardinale Francesco Maria Borboni De'Marchesi dal Monte Santa Maria, NEL Teatro d'onor chi corre altero, Qual premio haurà del faticar possente? Fallace mondo in te nol veggio, o spero, Che son le palme tue pouere, e spente. Frà gli eterni Zaffiri, e'l Sol ridente Cerchisi dunque entro al celeste impero: Così fe questi, ognor di gloria ardente Porporato di Dio sacro guerriero. Egli vi ascende, e mi sembrò gigante, Che di mille bell' opre alzi per ponte Pelio, & Olimpo a solleuar sue piante. Roma, contuttociò, pianga ogni fronte, Perche non cade intorno al sacro Atlante Vn de' tuoi Colli no, ma cade vn MONTE. ELOGIO XXII. FRANCESCO PRINCIPE DI TOSCANA, Di Cosimo II. Gran Duca, e di Maddalena d'Austria Arciduchessa figliuolo, Mentre in Germania, col Principe Mattias suo fratello, sotto gli Auspicj del Zio FERDINADO Imperadore gloriosamente guerreggiaua, Magnanimo, Generoso, & Inuitto, Parue, che non sol Marte, ma l'istessa Morte In campo tremare, & impalidir facesse; Poi che furtiuamente, non con armi, ma col contagio (diseccandoci vn oceano di speranze) fu da loro assalito. Solo in questa perdita incomparabile ci è di conforto, Il vedere, che aʼ nostri tempi ancora, Se de Tindari cade vn Castore, ci resti vn Polluce, Et l'esser vero, Che gli Alcidi, mentre adoprano contro a' Mostri l'arco, e la Claua, non dal ferro, ma dalla peste caggiono estinti. SONETTO XXII. In Morte del Sereniss. D. Franceso Principe di Toscana, E PVR cadesti, o generoso, e forte Fra l'armi inerme alla gran Madre in seno, E qual Fato, e qual Sol per vie sì corte Eclissa quasi all' Alba il tuo sereno? Ahi, che giunge quaà giù con altra forte Il fin d'un huom celeste, e d'un terreno. Col suo lottare Antèo troua la morte, Con la peste di Lerna Ercol vien meno. Non cede al foco un fulmine di guerra; Per suo contrario Apollo un Fiton vuole, E contro Achille il ferro in van s'afferra. Breue il tempo de' Grandi esser non suole, Viue anco, si può dir, sopra la terra Dal sorgere al cader poch'ore il Sole. ELOGIO XXIII. Deh potess' io, FRANCESCO, Principe di Gian Ville esprimere il dolore della tua morte con le parole, Come si lesse nel volto, e nel cuore dell'inuitto CARLO Duca di Ghisa tuo Padre, E di Madama HENRIETA CATERINA Di Gioiosa tua madre Ch'io farei rinouare il pianto ad ogni ora ad ognuno, che mi sentisse, Perche io direi. (A guisa di chi pianse sopra il gentilissimo Ionata) Oime come son caduti i valorosi, come son caduti i robusti, Veloci più dell' Aquile, e più magnanimi de' Lioni? Considerando, Che nella più fresca, e vigorosa età della tua vita, mainca al mondo vn Fiore de' Caualieri, vno splendor de Principi. vna delizia dell' vman genere. Tu fortissimo in guerra Prudentissimo in Pace Amabilissimo nell' vmana conuersazione Vedesti troppo anticipatamente cadere i tuoi giorni guerrieri in mezzo al riposo. Ma, perche a ciò non vaglio, dirò solo, che perche tu eri vn belliss: fiore, volle nel suo terreno quietamente trapiantarti Fiorenza. Le secche Rose coperte serban gran tempo, ma non sempre l'odore onde per mantenere, secondo il merito, quello della tua virtù, già sparso per tutti i cuori de gli huomini, era ben douere, che si riferrasse quanto prima, nell'eterno, e pretioso vaso del Cielo. SONETTO XXIII. In Morte dell'Eccellentiss. Sig. Franc. de Loreno Principe di Gian Ville. SCIOLGASI il Cielo in Nubi, il Sole in Pianto, A L'Oceano in tempeste, e l'aria in duolo, Cade FRANCESCO il fior di Ghisa al suolo, Di Gallia il pregio, e di Loreno il vanto. O Real figlio, a tante doti accanto Così dunque t'opprime un punto solo? Ma vanne pure in Paradiso a volo Che chi ben visse in terra, anco muor Santo. Sol, mentre in alto ascendi, un guardo gira Dell'alta Genitrice al gran dolore Che dal terreno altrui coprir ti mira. E asciugando il Ciglio al Genitore Digli. A maggior sepolcro in vano aspira Chi, morendo, ha per Tomba oggi ogni core. ELOGIO XXIV. Se fauola non fosse, ma però ordinata a senso verace, Che il Dio di Delo sia presidente della Poesia, Alcuno a' nostri tempi, a gran ragione, creduto haurebbe questi essere GABBRIEL CHIABRERA. Perche dall'Oriente della sua Patria Sauona, Da gli Albòri della sua giouentù cantò si soauemente fino a gli Esperi quasi d' vna età decrepita, e quasi per tutto il giro dell'orbe Ecumenico, che parue vn Appollo indefesso. Ma fauola non fù già, Gh'egli, erede vniuersale della Pindarica lira, e vita noto, e caro a' primi Principi dell' Europa (Di cui, non il finto valor ne' giuochi, ma la vera Virtù nelle più salde imprese altamente fe risonare) Nobile, costumato, e casto, pien' di giorni, e d'onori frà il coro dell'amate Muse spirasse. Febo stesso, che lo piange ancora, Non hà conforto maggiore, ch' il vedere, in vece de' suoi tetti (a guisa dell' editto del gran Macedone) la sua memoria ne' suoi scritti dall'ingiurie del tempo eternamente rotare illesa. SONETTO XXIV In Morte del Sig. Gabriel Chiabrera SOSPENDETE oramai la Cetra, e 'l canto Oue han gli atri Cipressi ombra più nera Poeti o voi, ch'in fortunata schiera Già festeggiaui ad Aganippe accanto. Spento è di Pindo il più subblime vanto E del Cigno Dircéo l'immagin vera, E' morto, o Muse, è morto il gran CHIABRERA L'istesso Apollo in Ciel si stilla in pianto. Deh s'il Grande Alessandro al nobil tetto Di Pindaro Teban toruò difesa Faccia un Piccolo ancor non vario effetto Sia questa legge in sul suo sasso stesa ,,VN Pindaro nouello è qui ristretto ,,L'alta memoria sua si salui illesa ELOGIO XXV. Chi vide GIO: BATISTA ALTOVITI. Giouanetto di grandissima espettazione Estinto nel più bel verde de' suoi freschi anni, E s'internò nel dolore, che afflisse il Clarissimo Luigi suo Padre, Fù ripieno di non picciola Compassione. Si mitigaua in alcuni l'affano, Perche la grazia del Giouinetto, (Armato Caualiere del nobilissimo abito di San Iacopo,) Rassembraua quasi vn'altro Angelo, che scorresse con la spada infocata per le delizie di quel volto, Ma ben presto ognuno s'accorse, Che, non egli à minacciare ad altri la morte, ma di lei preda miseramemente n'andaua. SONETTO XXV. In Morte del Sig. Gio: Batista Altouiti, fu del Clar. Sig. Luigi. Cau. dell'abito di S. Iacopo VEDER nell' Alba il tuo bel sole spento O di Vita, e d'onor degno ALTOVITA, E troncar la tua tela appena ordita, Colma il sen di pietade, e di spauento: Veder seccato in Erba ogni contento, Che prometteua altrui l'età fiorita. Ben doppiamente a lacrimar c'inuita Ma di tuo Padre il duol cresce il tormento, O Padre afflitto, o Padre, Ahi per conforto Sieti il membrar, che del tuo Figlio il gelo Vn aura fu, che lo condusse in in porto, Angel, con quella spada accesa in zelo, Gia Croce al Petto, hor è custode accorto Dell' ALTAVITA all' Albero del Cielo. ELOGIO XXVI. GIO: BATISTA MARINI. Caualiero dell'abito di Sauoia, Quando vedesse scendere di Parnaso le noue Muse, & Apollo stesso, a cantar le sue lodi, Non serebbe facilmente celebrato a bastanza; l'vdì Napoli, oue ei nacque, anzi il Mondo tutto risonar con si dolce Lira, Che fù marauiglia non addolcisce, e non addormentasse l'istessa Morte: Ma ne fù nondimeno superiore, Mentre s'impose al Crine così viuo alloro Che manterrà sempre il suo verde. SONETTO XXVI. In Morte del Sig. Caualier Gio: Batista Marini Poeta CORRE come acqua all' Ocean di Morte Rotta da gli anni suoi l'umana vita, Ne fregio, o fasto, o giouinezza ardita Rende al rapido piè l'hore men corte. Sol, Monarca del Tempo, e della Sorte, Fermo soccorso alta Virtù n'addìta, Che del mortale Egeo l'onda infinita Non fà men saggio Vlisse, Ettor men forte. Volga pure, o MARIN, dentro al suo mare Empio Fato il tuo corso accolto in gelo, Sempre le glorie tue saran più chiare, Fronda non perde mai l' Alber di Delo, Anzi, eterni per te, vedrem rotare Doppia la Lira, e doppio il Cigno in Cielo. ELOGIO XXVII. Quel Candore, onde la Purità della nostra Fede sotto il bianco Vessillo della Croce Ierosolimitana s'accresce, fu nobilmente illustrato DAL CAV. FRA GIOVAMBATISTA RONDINELLI, Del pari valoroso col senno, e con la mano. Con la mano Trouandosi l'anno 1565 all'assedio di Malta, Oue fu di quei Cau. che v'introdussero il soccorso. Col senno, Mentre sostenne cinque anni con somma sua lode il carico d'Ambasciadore per la sua Religione appresso a Sisto V. e Clemente VIII sommi Pontefici. Alle sue glorie si potrebbe aggiugnere la sua Pietà, e Magnificenza, Nell' hauer fondato Chiese, eretto Spedali, dotato Commende, lasciato Rendite per aiuto di Scolari à prò della nobilissima sua famiglia e del prossimo, Se il far atti di Pietà, di Grandezza, e di Carità non fosse propria Virtù de' suoi natali, E di quell'inuitta Milizia, E se non se ne vedesse chiara testimonianza, In Empoli, in Pisa, in Firenze sua Patria, e nel Teforo del suo Conuento, che l'anno 1605 alla sua morte Fece delle sue spoglie vn memorabile acquisto. SONETTO XXVII. In Morte del Sig. Cau. fra Gio: Batista Rondinelli CHI la Croce hà nel cuor candida, e bella, Bella anco soura il sen l'apre, e palesa, Che non s'offusca mai raggio di stella Mentre è dal Sol, che la riguarda, accesa; Tal quest' alma gentil, qual RONDINELLA, I lacci dell'obblio rompe, e l'offesa: Ma qual miracol è, s'in Malta anch'ella Dal Trace, altro Tereo, saluossi illesa? Indi Nunzia di pace aurea Colomba A duoi gran sucessor del gran Nocchiero Hor Arpocrate apparue, hor Cigno, hor Tromba? Fondò Commende, Altar, Senno, Oro, Impero: Il Nido di sua Fama oggi è la Tomba, CHE lí, mortal' Inuidia, hà vita il Vero. ELOGIO XXVIII. GIV SEPPE CARAFFA Principe di Stigliano, Glorioso per generosi Natali, e per ingenuità di costumii Vide gran tempo a' suoi meriti propizia la sorte; ma poco dopo altretanto inimica la sua suentura; Poiche, Padre del Duca di Mondragone, A cui diede per moglie Elena sorella del Cardinale Ippolito Aldobrandini, lasciò poco appresso morendo anch'egli a Dogn' Anna Principessa vnica sua Nipote (rimastagli di sì chiari sangui) occasione di piangere in vn punto stesso la perdita del Padre, e dell'Auo. E di verificare l'euento degli auuenimenti vmani figurati ne' due vasi Da' quali, finge Omero, che Gioue mesciesse a' mortali per vn sol bene due volte il male, Se l'infelicitadi di quella casa non fossero consolate dalla speranza di più prosperi successori, mercè de' nuoui, e desiderati sponsalizij felici SONETTO XXVIII. In Morte dell'Eccellentiss. Giosepe Caraffa Principe di Stigliano: SV l'Arco della Cetra Armi fatali Sempre hà contro all'obblio Pindo guerriero, Che, tinte di menzogna, aprono il vero All'ingegno di noi pigri mortali; PRINCIPE, io rimembro hor quell' Vrne eguali, Che finse a piè di Gioue il greco Omero, Oue in mescer le sorti, il Nume altero, Misti con un sol ben, mesce due mali. Ahi, come neʼtuoi tetti, è ciò successo: Mentre dopo il rotar d'alto fauore Due volte han visto il funeral Cipresso? Ma tempo è d'agitar l'Vrna migliore, Ch'ogni tempesta hà la bonaccia appresso, E già spera Imeneo Calma d'Amore. ELOGIO XXIX. Alle Lodi anzi a gli Encomij di GIVLIANO DE MEDICI, Arciuescouo di Pisa, Noto per la chiarezza deʼsuoi Natali, E più per l'incolpata sua vita fino a gli angoli estremi del mondo, Quando si sciogliessero le lingue de' maggiori Demosteni non sarebbero in veruna parte bastanti: Poiché, Al valore della sua mente, Alla prudenza de' suoi consigli, Alla bontà de' suoi costumi, Alla Carità del suo petto, non ci è facondia, che arriui. Dillo tu Pisa, che più che Padre in tutte le tue necessità, e piu in quelle della Peste, ottimamente il vedesti: Dillo tu Serenissima Casa di Toscana, che più che Oracolo In tante tue graui occorrenze il sentissi: Ma poiche il dolore vi fà tacere, e che il Parnaso non ci arriua, Non mi negate voi sacre carte per ecclesiastica persona nel seguente sonetto l'Ecclesiastiche voci. SONETTO XXIX. In Morte di Monsig. Giuliano deʼMedici Arciuescouo di Pisa CHI muor, GIVLIANO, in Dio morendo há vita, Anzi, è beato in quel funesto agone: Su buon seruo fedel, se'l Ciel t'inuita, Delle belle opre tue rendi ragione: Deh, quale il tuo Signor copia infinita Di Talenti in auanzo oggi ti pone? Entra lieto a goder palma gradita, E lascia a noi di lacrimar cagione. Miseri noi, qual trouerrem mercede, Disperso il Gregge andrà, spento il Pastore, E ne farà chi rugge auide prede; Oh Cieli. Ecco in qual forma il buon si more, Tor via del mezzo i Giusti il mondo vede, Ne considera alcun tanto dolore. ELOGIO XXX. IACOPO INGHIRAMI Patritio di Volterra, Militando nell'inuitta Religione di Santo Stefano riuscì di tanto valore, Che alla sua cura, e comando fu commesso il Generalato delle Galere di Toscana, E l'Inuestitura del Marchesato di Monte Gioue: Non è popolo, non è clima, che delle sue felici vittorie fin qui non ragioni, Onde apparue con la bontà del suo spirito, e col vigore della sua destra essersi congiunta La fortuna d'Alessandro, e la Ventura di Cesare; anzi che i suoi legni gareggiasser con quei di Giasone, e che i Mari, e i Venti (pieni oramai del rimbombo del suo gran nome) a suo piacere l'obbedissero. SONETTO XXX. In Morte dell'Illustriss. Sig. Marchese Iacopo Inghirami Generale delle Galere del Sereniss. Gran Duca di Toscana. NON hà più doue stampi orme d'onori L'immortal fama, al tuo gran nome, auanti, Che del suo corso i pregi tuoi maggiori: Empion dal Centro al Ciel l'aure volanti, Quanti spiran quà giù venti cursori, Quante volge Anfitrite onde sonanti, Tante son' oggi, e son del ver minori, Dell' alte glorie tue Trombe tonanti. Ben hor l'Espero hai tu, ma fermi il piede Grande Inghiramo in quell'eterna Aurora, Che qual Giasone in Colco in Ciel ti vede. Lì teco hauresti ancor l'armata Prora, Argo stellata al tuo valor mercede, Ma DIO quì per la Fe l'adopra ancora. ELOGIO XXXI. Il chiarissimo lume, che fin dal principio del suo natale hebbe IPPOLITO da' suoi nobilissimi Progenitori lo dimostrò vn Sole, Che solo in breue doueua cadere nell'occaso di morte. oh Dolore acerbissimo, Egli, che aperse tanti fiori di speranza nella Casa di Gio: Franc. Aldobrandini suo Padre Generale di S. Chiesa, mentre vi crebbe infante. Tanti raggi di virtù nello Studio di Padoua mentre vi fù educato. Tanto senno, e valore nella Corte di Roma, mentre vi fu Porporato, Tanta fedeltà, diligenza, e schiettezza, mentre vi fu Camarlingo fupremo. Tanto amore, e riuerenza, mentre visse con D. Olimpia sua madre, Principessa di Roffano, e Nipote di CLEMENTE VIII. anch'ella Aldobrandina, Oggi, vltimo auanzo d'vna fecondissima Prole, non hà fuori de' suoi Vassalli, e de' suoi affini veruno, che con lagrime virili pianga il suo fine. Ma ben finisce la Casa, chi la figilla col morire bonissimo Sacerdote; e grandissimo Cardinale. SONETTO XXXI. In Morte dell'Eminentissimo Signor Card: Ippolito Aldobrandini. IO piangerei, ma il gran dolore intento Nell' acerbo destin della tua morte Mi fiede il Cor si vigoroso, e forte, Che asciuga il Ciglio, e mi disecca il senso. IPPOLITO souran, se bene io penso Che le felicità sempre son corte, Non hò doue adeguar l'aspra tua sorte Tanto hà del miferando, e dell'immenso Mancar l'Olimpe, i Gianfranceschi, i Pietri, I Silvestri, i Clementi ire all'occaso Faccia Dio, tutti al fin siam' ombre, e vetri. Ma, che niun di tua stirpe hor sia rimaso, Che, capace di duol, pianger t'impetri, O questo è l'aspro inconsolabil caso. ELOGIO XXXII. Ben doueua finir con Immensa Fama l'Infanta ISABELLA Poiche grandissimi furono i principij della sua nascita Deriuanti per Padre da Carlo Emanuel Duca di Sauoia, Per Madre, da Caterina figliuola di Filippo II. Re di Spagna Et Serenissimi tutti i giorni della sua religiosa, e santissima vita; Con la quale comunicò talmente la sua bontà al Principe D'Alfonfo da Este suo marito, Che l'indusse, morta ch'ella fu, (o rara marauiglia) a deporre la ricchezza dello Scettro di Modona che, (estinto il Duca Ceseri suo Padre) di già liberamente possedeua, Per abbracciare la Pouertà della Religione serafica de'Cappuccini. Ella, che vide nella sua Casa paterna il generalato del mare per la Maestà Cattolica, quasi nuoua Ammiraglia per l'eterna Maestà di Dio, lasciando vna Prole assai copiosa di numero, ma più di virtù, e di valore, Lasciò ancora a propri figliuoli, Argonauti della gloria, sotto la guida del Duca Francesco suo Primogenito, Il fermo acquisto del vello d'oro, cioè d'ogni perfettissimo, e vero bene. SONETTO XXXII. In Morte della Sereniss. Infanta D. Isabella di Sauoia PER L'immenso Ocean di questa vita Argonauta del Ciel mouesti il volo, E prendesti al natal su Regio Molo, Di pietade, e d'onor carca infinita: Hor non tempesta a far di quì partita Tua Naue spinge, o la percuote al suolo, Aura è di DIO, che per tuo porto il Polo Ti prefisse ab Eterno, hor ti c'inuita. Vattene in Calma adunque, iui discarca Dell'opre eccelle tue l'alto tesoro, Ammiraglia fedel del gran Monarca: E se qui lasci i figli, Ah lasci loro, Con aureo fil di più benigna Parca, Per la gran tela ESTENSE il Vello d'oro. ELOGIO XXXIII. LEONORA DI TOSCANA Principessa Nata del Gran Duca Ferdinando I. e della Gran Duchessa Cristina di Loreno, Vicina a fortunate, e destinate Nozze Reali, Del Candore della nascita, e della forma, ch'era vaghissima, assai piu candida, & elegante per generosi costumi, Pasciuta dalle rugiade d'infiniti fauori celesti, quasi Vergine Perla, Superiore a quelle di Cleopatra, Mentre viueua nell'argentata Conca del Paterno Palazzo D'auara Morte (Che ingemmarne assolutamente ne volle il Cielo)) diuenne preda. SONETTO XXXIII. In Morte della Serenis. Principessa di Leonora di Toscana sorella del Gran Duca Cosimo II. VIVA perla del Mar, ch'al SOLE ONORA, La sua, di puro argeto, vrna vezzosa, Ben che ne' pregi suoi se n'fugga ascosa D'auaro pescator preda è tal ora; Ma dall'umido suol non prima è fuora. Che più vaga si mostra, e più pomposa. E fregiando in bel sen guancia amorosa, Nelle perdite sue l'alme innamora. Sì Vergine Real, mentre ancor prendi Sicuro corso in mezzo al mar natío, Misera preda in man di morte scendi; Ma tolta appena a questo ondoso obblío, Pregío di tua bontà, più bella splendi Nel sen del Cielo, e nel Monil di DIO. ELOGIO XXXIV. LEONORA Sorella di D. Cesare Duca di Modona. Nati ambedue del Marchese Alfonso da Este, di Giulia della Rouere Principessa d'Vrbino, Fu moglie di Carlo Gesualdo Principe di Venosa. Dal suo matrimonio, che durò pochi anni, hebbe vn solo figliuolo; Ma priua d'esso, e del marito, Conoscendo la Vanità delle Vanità e che il tutto è qui vano, Riuolta a' beni sicuri, si riserrò in vn monasterio di Modona, oue ardendo di Pietà verso Dio, E di Carità verso i Poueri, Con le proprie facultadi, e con l'esempio della sua Vita, (Iui lungamente prodotta) spogliando se stessa, palesò l'infinite virtù dell'anima, Perciò viuendo, si può dire ch'apparisse vna Dea e morendo, cadesse atterrata da gli Anni, e non dalla Morte: SONETTO XXXIV. In Morte della Eccellentiss. D. Leonora da Este Giesualda Principessa di Venosa SANGVE Illustre, Beltà, Porpore, & Oro, Senno, Fortuna, Amor, Figlioli, e Sposo, Stima, Onor, Seruitù, Fasto pomposo, E quanto dona in terra il Ciel tesoro: Tutto questo hebbe in se, tra Regio alloro L'Estense LEONORA al Dì festoso, Ma, visto al fin, che qui non è riposo, Amò le Celle, e si posò tra loro. E così, lungi al vaneggiar del Mondo, Nell' Vmiltà serbando alma Reale, Egual visse al Dì mesto, al Dì giocondo, Stimò, fuor ch'il suo Dio, tutt' esser frale, Lieui gli affanni, e le delizie un pondo, Le tolse esser quì Dea, l'esser mortale, ELOGIO XXXV. O LEONORA SALVIATI Il vedere nel tuo verde Aprile seccarsi il fiore della tua bellezza, Mentre con intatto candore s'ammiraua quello della tua Virginità, Fu cosa veramente lacrimeuole: Ma più doloroso apparue lo spettacolo del tuo cadauero. Tu nata di chiarissimo sangue, Cresciuta fra gli splendori del Duca Iacopo tuo fratello, Arriuata vicino al segno di giocondissime nozze, ti mostrasti morta così deforme, Che fosti orribile fino all'istessa morte: Ma quei, che s'affissarono nella tua metamorfosi, intesero, che dalla fredd'ombra diceui, Non vogliate considerare, ch'io sia negra, Perche il Sole della Diuina luce, che mi fu sempre vicino mi hà così scolorita, Acciò che tutta la mia bianchezza sia nell'interno. SONETTO XXXV. In Morte della Sig. Leonora Saluiati, sorella del Signor Duca, E PER ornar di tue bellezze il polo, E per hauere in Ciel sicuro amante, Cosí, vergine illustre, in mezzo al duolo Vesti d'atro pallor l'aureo sembiante? E qual de' Numi in rimirarti sole Non fuggirassi a tanto orrore auante? Aquila a chiuse ciglia adunque il volo Drizzerà senza piume al Ciel tonante? ̧ O morti più di lei viui mortali, Febo, se Cintia sua dritto rimira, Non l'ecless' ei, co suoi dorati strali? Viua semele indarno à Gioue aspira, In Ciel Vergine Astrea cieca apre l'ali, Questa è negra dal Sol, ch'a se la tira. ELOGIO XXXVI. LORENZO del Senatore CARLO STROZZI. Mouendo fuori delle Paterne contrade la Carriera del suo bel corso, entrò fanciulletto Paggio nella Corte dell'Elettore di Bauiera, Iui, nobilmente seruendo, crebbe in virtù militare, propria de' suoi gloriosi antenati: Onde nelle guerre di Germania contro Suezia appena s'allacciò l'Elmo, e l'Vsbergo, che peruenne al comando d'vna compagnia di Caualli, e valorosamente si strinse in campo con possente inimico, e ferillo: Precorreua certamente la Gloria, Ma non arriuando ancora all'anno vigesimoprimo della sua età, Parò nel seno d'improuisa morte, da cruda febbre assalito nel caualcare verso l'esercito, e nel fiore di quei giorni, Che se più oltre si fossero auanzati, a guisa delle tre Lune crescenti della sua paterna insegna, prometteuano in lui frutti di molt'altri marauigliosi acquisti d'onore. SONETTO XXXVI. In Morte del Signor Lorenzo del Senatore Carlo Strozzi. DEH qual Aura mi porge esca a' sospiri, Qual Ocean distilla acque al mio pianto, Poi che, STROZZI, il destin vuol, ch'io rimiri Secca tua messe a Primauera accanto? Cara mia Patria, e chi sarà ch'aspiri Di giunger mai con Marte al sommo vanto, Se Morte vuol, ch'il Dì minore io miri. Hor ne gli Achilli tuoi, ch'in quei del Xanto? Glorioso Garzon, ch'appena il brando Mouesti all'obbedir, ch'ore opportune D'armati Caualier ti dier comando. Oh, se viueui più dal Fato immune Con quanto maggior lume è più mirando Empieuan gli Orbi suoi, le tue tre Lune? ELOGIO XXXVII. MADDALENA Figliuola di Lorenzo Strozzi Senatore, Moglie di Lorenzo Saluiati Marchese, Madre di Iacopo Saluiati Duca di Giuliana; A tanti splendori, Che superarono l'Inuidia, e furono ammirati dal Sole stesso, Aggiunse, Vna soauità di costumi, vna grauità di vita, Vna candidezza di mente, & vn zelo così ardente d'onore, Che bene apparuero in lei Diluuiati, e non piouuti i celesti fauori. Onde conosciuta per Matrona subblime, Fu data per Dama maggiore d'onore Alla sereniss. Vittoria della Rouere, sposa del Sereniss. Ferdinando II: Gran Duca di Toscana: Ma il Cielo Anticipando (cred'io) la ricompensa delle onorate sue fatiche, nella celeste Corte l'accolse. SONETTO XXXVII. In Morte della Illustriss. Sig. Marchesa Maddalena Strozzi, Madre dell' Eccellentiss. Sig. Duca Saluiati QVAL miro sourastar luce, e splendore Fra mille facie mille fiamme appresso? Oue il proprio lor foco, e manca, e more, Del nuovo lume in paragon già messo? Veggiolo vscir da tenebroso orrore D'un corpo estinto, e si spuntar con esso, Ch'ei par, ch' ei nasca (o marauiglia) fuore Dal sen di mezza notte il Sole stesso. O della gran SALVIATA eccelso merto, Dalla tua fredda spoglia oggi si vede, Spenta l'Inuidia, il tuo valor più certo, Tanto Amor, tanto Onor, tal Figlio, e Fede Si ricorda oggi in tè, ch' io dico aperto. Viua il Sol t'ammirò, morta ti cede. ELOGIO XXXVIII. Si come furono in numero Due le figliuole di Luigi Ardinghelli, cosè Tre fossero state, Per la grazia, e gentilezza loro, Si fariano scambiate dalle Tre Grazie. Nel desiderio del Padre (che non hauendo altra prole abbondando di ricchezze, bramaua d'accompagnarle con principalissimi Caualieri, e degni della nobiltà della sua Casa, che si pregia di Cardinali, e d'altro) s'incontrò il gentilissimo Filippo del Nero, Barone di Porcigliano. a cui Margherita fú promessa in Moglie. Ma Dio preferendola, come Primogenita, la chiamò, auanti le nozze terrene, a gli sponsalizi celesti. Lasciò nondimeno consolato fra sospiri il Giouane sposo, con la speranza di conseguire Luisa nata minore sicome, auuenne. SONETTO XXXVIII. In Morte della Sig. Margherita Ardinghelli figliuola del Sig. Luigi e sposa del Sig. Filippo del Nero Barone di Porcigliano. PERDESTI alla prima Alba (ahi troppo è vero) L'intatta prima tua Sposa amorosa, Vedesti in boccia inaridir la Rosa, O di Onore, e di Fe, candido NERO? Ma vide presto ancor da morso fiero Spenta Orfeo la sua bella inclita Sposa, Che non mancò mai Serpe in terra ascosa Per vccidere in Erba un bel pensiero. Saggio è chi stà costante, e non trauía Per souerchio agitar d'alte procelle, Ch'ogn' Onda al fin si posa, e 'l duol s'obblia. Non mancheranno a tè Spose nouelle, Padre oggi è qui, che mai non hebbe Lia, E l'altra ti può dar di Due Racchelle. ELOGIO XXXIX. MARIA La nobiltà de'tuoi natali, La chiarezza della tua vita, Le Tenebre della tua morte, Che nel Diadema della tua Arme, e ne' duoi Campi di essa, come in cifra, il giorno delle tue esequie ti scoprirono figliuola del Marchese Bernardino Capponi, E moglie del Marchese Cammillo Baglioni: Scoprirono ancora in quanto amaro dolore si terminassero le tue Nozze: Però non restò ciglio asciutto in considerare sì bel corpo, non sò se più vicino al Parto che alla Pira, spirar due anime quasi in vn punto, La tua, e quella del figliuolo battezzato nell' istesso limite della vita, Ambedue, come nel Fine, simili fra di loro nell'Innocenza. SONETTO XXXIX. In Morte dell'Illustriss. Sig. Maria figliuola del Sig. Marchese Bernardino Capponi, e moglie del Sig. Marchese Cammillo Baglioni MISERA Giouinetta, e che ti gioua Chiaro sangue, alto onor, senno, e beltade? Oh fallo d' Eua, e perche dure strade La pena di tua colpa ancor si troua? S'ha da morir chi nasce, & perche proua L'huom morte inanzi al cominciar l'etade? S'una Serpe dal parto estinta cade Il crudo figlio almen vita ritroua. Ahi, che mirando il negro al bianco appresso, La tua tempesta insieme, e la tua calma, Nell'arme tua fatal conosco espresso, Ma vanne pur, ch'è forse illustre palma Rendere al suo Fattor n'un punto stesso, Vnico il Corpo, e raddoppiata l'Alma: ELOGIO XXXX. MARINO III. CARACCIOLO Della Real famiglia, che Caraccola anticamente si disse discesa (come è fama) da gli Eacidi di Grecia. Emulo delle virtú di Cammillo suo Padre. Successe nel Principato d'Auellino, e negli altri Dominj adiacenti, e imparentatosi con Casa Aldobrandini, e con Casa d'Aualos, Fu Gran Cancellier del Regno, Caualiere del Vello d'oro, & hebbe titolo di Gran mastro de Cau. di S. Giorgio, Guerreggiò Giouinetto in Fiandra, Maneggiò negozi grauissimi in Napoli, S'armò per il suo Re, e per la Patria più volte, non lontano dal supremo titolo di Grande di Spagna. Visse nondimeno Grandissimo, per l'Eccellenza della dottrina, e della bontà di Don Tomaso suo fratello Arciuescouo di Taranto, per la real magnificenza della sua. propria Casa, e per l'accoppiatura di Marte, e di Minerua, che pose altri in dubbio, Se in lui più fiorissero l'armi, o le lettere. Ma la sanità del corpo. Non gli somministrò continuamente le douute forze Forse perche il bel corso della sua vita, fra gli impedimenti dell'Infermità più s'ammirasse. SONETTO XXXX. In Morte dell' Illustriss. & Eccellentiss. Sig. Marino Caracciolo Principe d'Auellino. CHE bisogno hà di Versi un, che rimbomba Nel suo dell'opre sue gloria a se stesso? Gli anni ben trapassati apron Permesso, Che l'Oro di Virtù mai non impiomba. Basta a cadente Sol per chiara Tromba Quello splendor, che se ne và con esso, Però ben disse vn Cigno a Dirce appresso, Ch'il nido della Fama era la Tomba. Così fra me discorsi, o Lume, o Sole, Ch'illustrassi AVELLIN, quand'io pensai Per tè funebri in Pindo aprir parole; Che se la Morte eclissa al corpo i Rai, La Vita all' Alma intorno ombre non vuole, In dir, che ben viuesti, hò detto assai. ELOGIO XXXXI. ONESTA CAMEROTTI Nacque l'anno 1557 Postuma, & vnica Erede d'Alessandro suo Padre. Visse educata da Onesta Serristori sua Auola E da Geneura Nomi sua Madre E con la protezione della Sereniss. Gio. di Austria Gran Duchessa di Toscana Fu maritata a Bernardo di Tommaso Adimari suo Gentiluomo di Camera Mori l'anno 1604 vltima della sua Casata nobile per centinaia d'Anni, e ne portò l'Arme alla sepoltura in Cestello Lasciati sei figliuoli, due masti, e quattro femmine; Il maggiore d'essi Alessandro, Donna per integrità di Vita, e purità di costumi: veramente a ragione denominata. SONETTO XXXXI. In Morte della Sig. Onesta Camerotti Adimari Madre dell'Autore. TV parti, o Madre mia, tu parti, io resto (Oh vicende amarissime del Fato) Il primo de'tuoi Figli a pianger mesto, De gli Aui vltima tu, che t'han creato: Tu la mia stirpe accresci ond'io son nato, Consegno io la tua Insegna al Dì funesto, In tre palmi di suol ti poso ingrato, Tu fai, che de'tuoi Campi, io campo, e vesto: Tu Latte, Fasce, Amor Vigilie, e Pianto Dolce mi desti in darmi al Dì sereno, Io cuopro gli occhi tuoi un fosco ammanto. Ahi, sol per ciò nel duol non vengo meno, Ch'io viuo corro alla mia Morte accanto, Tu morta voli alla tua Vita in seno. ELOGIO XXXXII. ORSO D'ELCI De' Conti Pannocchieschi, splendore di Siena Scoprì fin da' primi anni, e conseruò fino al fine Vna virtuosa modestia, & vna somma prudenza: Onde, passato lungamente per onoratissimi impieghi, Fu per la Corona di Toscana: Ambasciatore Residente appresso alla Maestà del Re Cattolico. I Magistrati, che dimostrano l'huomo, Lo accreditarono talmente, Che, morto COSIMO II. Fu eletto per vno de'sei consiglieri di stato appresso al Giouanetto Gran Duca FERDINANDO suo figliuolo, e successore; Di cui fatto ancora Maestro di Camera, Fu gloria di quella Corte: Per ciò, colmo di fama, Giacque vniuersalmente dagli huomini acclamato meriteuole d'entrare nel celeste Regno a godere nel gaudio del suo Signore. SONETTO XXXXII. In Morte dell' Illustriss. Sig. C. Orso d'Elci Pannocchieschi, Maestro di Camera del Sereniss. Ferdinando II. Gran Duca di Toscana TV parti Anima grande, e non sò dire Qual fia più, quel che lasci, o quel che porti, Bontà, Senno, Valor, Penfieri accorti, Amor, Giustizia, e Fè porti al partire: Lasci la Fama tua, lasci al morire, L'Idea de' Regni, e d'aggrandir le Corti, E quì, da tè formato, un de più forti Principi lasci a noi, ch'il mondo ammiri. O gran Nestor dell' Arbia, o gran Chirone, Hor ch'il Pelide tuo vince ogni obblio, Non hai più di star quì l'alta cagione. Dalla Lupa hebbe il Tebro il Re natío, Da tè l'hebbe ARNO, ond', ORSO, oggi a ragione. Antro t'è il Cielo, Artofilace è DIO. ELOGIO XXXXIII. OTTAVIO RINVCCINI Delizia delle Muse, e de' Fiorentini Caualieri splendore, Fattosi conoscer per tale nelle prime Corti d'Italia, e di Francia, Con la soauità de' suoi costumi, S'acquistò l'vniuersal beneuolenza & applauso. Parlano di lui gloriosamente i suoi propri versi, Onde a noi solo tocca a deplorare la lua Morte, Et a stupire della sua rara virtù, Che per non morir gia mai, Nella Dafne, nell'Euridice, e nell'Arianna suoi Dramatici componimenti, Che hanno rauuiuato la perduta maniera degli antichi Teatri, s'è resa immortale. SONETTO XXXXIII. In Morte dell'Illustriss. Sig. Ottauio Rinuccini Poeta PIANSERO al morir tuo, di Cirra appresso, Vedoue d'ogni onor, l' Aonie Diue, E dall'Vrne del duol su per le riue, Sospirò l'Onda, e lacrimò Permesso. Ogni Lauro diuenne atro Cipresso. Secche in Pindo apparir l'Erbe più viue. E, couerto d'Orror, su l'hore estiue Pianse, OTTAVIO, al tuo fato Apollo stesso, Sol DAFNE tua, col TRACIO amante insieme Non lacrimar, per ch' Ella apriua in Delo Fronda per te, ch'il fulminar non teme: L'Altro, sparsi, dicea, lacrime, e gelo, Quando scese all' Inferno ogni mia speme. Ma pianger non poss'io chi vola al Cielo. ELOGIO XXXXII. PIETRO ALDOBRANDINI. Nato di Gio. Francesco, e di Olimpia parimente Aldobrandini, Nipote di Clemente Ottauo, fratello di Siluestro Card. S. Cesareo, d' Ippolito, Card. S. M. Nuoua, di Aldobrandino Aldobrandini Gran Priore di Roma, e di Gio: Giorgio Principe di Rossano, Duca di Sarsina, e Sig. di Meldola. Seguendo l'orme del già defunto suo Padre, Che Generale di Santa Chiesa guerreggiò nella Germania, Anch'egli vi militò per seruizio dell'Imperio, & vi fù Generale per la Santità di Gregorio XV. conquistandoui Onori, Titoli, e Prerogatiue eccelse; Fu Duca di Carpineto, e Generale ancora di Ferrara, e di Bologna, per la Santità d'Vrbano VIII. Ma nel più bel corso de'suoi progressi, Soppreso da repentina Morte, Lasciò la sua Casa colma di grandissimo dolore, per non vi rimaner successori Consolata nondimeno in parte con le speranze della moglie lasciata grauida, Perche la Fenice, ancorche sola, suol eternarsi; Se i futuri, & incerti euenti possono esser già mai sicuro fondamento a'conforti. SONETTO XXXXIV. In Morte dell' Eminentiss. Sig. D. Pietro Aldobrandini Duca di Carpineto, e Generale di Ferrara, e di Bologna CHE piangerò di te prima, o Signore, Specchio quà giù del valoroso, e forte, Gli Anni, il Sangue, l'Ardir, l'Opre, o la Morte, Che suelto hà di tua vita il più bel fiore, Non già gli Anni ch'andar colmi d'onore, Non già l'Ardir, che superò la Sorte. Non del Senno, o del Sen l'opere accorte, Perch'io sò che Virtù già mai non more. Piangerò 'l sangue tuo, ch'è quasi spento, (Oh perdita nel ver troppo infelice) Quand'era il mondo a più goderlo intento. Ma se graue oggi lasci il sen felice Di tua Sposa gentil men duolo io sento Nasce, quand' vna muor, l'altra FENICE. ELOGIO XXXXV. PIERO BONSI. Come felice augurio della eminentissima dignità purpurata, che l'anno 1611 ottenne Giouanni suo fratello Merito l'anno 1606. la Senatoria Fiorentina, Con la quale, vestitosi l'abito d'ogni bella virtù, tessutoli dal suo, e dal merito del Celebre Dottor Domenico suo Padre, Fu Gentil homo di singular prudenza: Schermì con essa ogni auuersità di nimica fortuna, vide la sua Casa non meno adorna di ricchezza e di splendori, che d'ottimi, e religiosi costumi: Poiche spirarono in Elisabetta sua sorella non mediocri odori di santità: Morì, lasciando singulare esempio a'suoi posteri, In qual maniera nel Mare del mondo ciascuno regger dourebbe la naue della sua vita. SONETTO XXXXV. In Morte del Clarissimo Sig. Piero Bonsi Senatore Fiorentino. QVESTO mar della vita que ogn' vn uarca Hà mille scogli, e mille sirti ascose, Oue il Seruo se n'và pari al Monarca Solchi nell'alto, o tra le riue algose: Felice quel, che nel troncar la Parca Il fil, che Cloro alla sua Vela impose, Resse così per tanto Egeo la Barca, Che si schermi tra le procelle ondose: Sapestilo far tu nel falso vetro, Ma qual miracol fu, spirto onorato, S'vn Mare è il Mondo, e tu vi fosti un PIETRO? O di par glorioso, e fortunato, Corra nell'orme tue, chi resta adietro, E non tema smarrir Porto beato. ELOGIO XXXXVI. PIERANTONIO GVADAGNI Accrebbe sempre la nobiltà natía con le continue & onorate azioni della Vita: Il perche esercitatosi ne' migliori studi, tornato Ambasciadore dal Sommo Pontefice, per il Sereniss. di Toscana, Formatasi la più nobile, e copiosa Libreria, che appresso ad huomo priuato trouar si possa, riuscì di tanta prudenza, Che da' suoi consigli cominciauano a pendere gran parte delle publiche, e priuate deliberazioni; Ma Perche il vaso, oue sì bell'anima si rinchiudeua spargesse in maggior copia gli odori di tante Virtudi, Piacque all'occulto giudizio di Dio, che, mentre in Campagna in Compagnia d'vn Principe di Toscana si ritrouaua, Al cadere d'vna Carrozza (oh miserabil caso) cadesse infranto. SONETTO XXXXVI. In Morte dell'Illustriss. Sig. Pierantonio Guadagni COME esser può ch' in Occidente il Sole Ritorni indietro a serenare il Mondo? Come esser può, ch'un pèso al Ciel se n' vole Mentre veggiam che se ne piomba al fondo: E pur con marauiglie uniche, e sole Vn Giusto, che si muor d'opre fecondo, Il suo Sol nell'Occaso arder più suole: Equal Palma fiorisce, e sorge al pondo Ecco hor tu PIER ANTON caschi, e ti lagni, Ma, qual rotto Alabastro oue è l'odore, Nelle perdite tue vie più GVADAGNI. Raddoppi in te la gloria oggi, e l'onore, Il Gran sotto il terren, benche si bagni Non moltiplica mai s'egli non more. ELOGIO XXXXVII. PIERO GVICCIARDINI Cognito alle prime corone d'Europa, per lo splendore de' suoi natali, e per il suo, col nome solo dichiara i suoi pregi. Si potrebbe aggiugnere, ch'ei fù Marchese, & ch'ei seruì d'Ambasciatore residente il Gran Duca di Toscana appresso al sommo Pontefice, & al Re di Spagna con tanto valore, e prudenza, Che ben se manifestò l'ottimo giudizio di chi lo promosse, & i requisiti ch'a perfetto oratore si conuengono: Se non paresse in vn certo modo, ch'egli hauesse con la solita sua modestia sfuggito quei titoli. Poiche il giorno, che giunsero di passaggio in Firenze Il Card. Barberini, & il Card. Sacchetti da importantissime Legazioni, quasi cedendo loro il luogo, si spedì da questa vita per il viaggio del Cielo. SONETTO XXXXVII. In Morte dell'Illustriss. Sig. Marchese Piero Guicciardini CHI ben è ver, che peregrina scende Nella valle del pianto alma creata, E che, qual passaggier, la via varcata, Dà luogo ad altri, e nuouo albergo prende, Questa Rota fatal chi non intende, Miri del GVICCIARDIN l'ora spietata, Che lo spinse al partir, quando beata Due Porporati Eroi la Patria attende. Forse è ragion, che chi tra gli ostri, e gli ori Nunzio già fu d'Onor colmo, e d' Ingegno, Vada spedito a gli stellati chori. Ch'inuiar non puo Flora all'alto Regno, Per negoziare il corso a tanti Onori Lingua piu saggia, Ambasciator più degno. ELOGIO XXXXVII. RIDOLFO della STVFA Fra i Nobili di Firenze di chiarissima Stirpe, ma di costumi, e di gentilezza assai più chiaro, fu congiunto con Alessandro Adimari d'amicizia tale (oltre all'hauer tenuto al sacro Fonte il suo figliuolo maggiore) Che ben parue, che alla sua morte sparisse fra di loro il Sole, La nostra Patria si pregiò di mirare in esso Vna salda Prudenza, Vna Esatta Fede, & Vna singolar Pietà Cristiana. Però non arriuando gl'Inchiostri dell'Autore, (innacquati dalle Lagrime) a far dal negro loro perfettamente spiccare il bianco delle sue lodi, non troua altro conforto, Che la speranza della sua eterna salute. SONETTO XXXXVIII. In Morte del Sig. Ridolfo della Stufa amico particulare dell'Autore CARA parte dell'alma, oh di me stesso Non sò qual più ti chiami, o Víta, o Core, Tu lotti con la Morte, io col Dolore, Ma pria del tuo cader son quasi oppresso. Deh, se teco spirar non mi è permesso, Teco almen se ne venga il nostro ardore, E con memoria eterna eterno amore Al chiaro spirto tuo mi stringa appresso. Che s'al Ciel (come spero) oggi te n'vai, O Giusto, o Forte, o Valoroso, o Santo, Viurò forse ancor io dentro a' tuoi rai. Và in pace Amico mio, Và in pace, e in tanto, Prego Dio con quel zelo ond'io t'amai, Che sia scala al tuo riso oggi il mio pianto. ELOGIO XXXXIX. SEBASTIANO XIMENEZ. Disceso di Famiglia nobile di Portugallo, Per la chiarezza dell'opere pietosissime, e Cristiane, parue vn Sole; Ma Sole, che scorresse dall'Occidente verso l'Aurora: Poi che i suoi passi passarono sempre verso vna luce più chiara; L'acquisto del Titolo di Conte, e della dignità Senatoria, & l'esser morto Commessario di Pisa ne sono chiarissimi testimonì: Ma il più durabile è il Coro, dal suo diuoto zelo eretto con Niccolò suo fratel cugino in san Piero Maggiore. Oue l'istessa insegna sua gentilizia c'insegna, che alle sue due Colonne, Auualorate da quelle due spade, starebbe bene il PLVS VITRA, Possendo noi credere, che la sua Pietà, oltre alle stelle l'habbia inalzato. SONETTO XXXXIX. In Morte del Clariss. Sig. Sebastiano Ximenez Senator Fiorentino XIMENEZ hor per te si straccia il Crine E Lusitania onde partisti, e Flora, Che per tue Doti eccelse, e peregrine, D'esserti Cuna, e Tomba ogn'un s'onora. Nascesti doue il Dì s'inchina al fine, Moristi oue ei s'accosta in ver l'Aurora, Se ciò non distinguea l'orme diuine, In dubbio il vero Sol sarebbe ancora. Fauola fu, che per l'ondose strade Ponesse il fren de nauiganti al velo Chi di quei segni armò l'ultima Gade, Ma vero è ben, che tu con più gran Zelo, Alzando due Colonne oggi, e due Spade, Il PLVS VLTRA puoi dir, che passi al Cielo, ELOGIO L. SILVIO PICCOLOMINI. Al cui vanto bastar poteua l'hauer hauuto per Padre Enea Piccolomini, Per Madre. Caterina Adimari, Per Auolo vn altro Siluio, Per suoi Antenati infiniti Caualieri di gran merito, e duoi Pontefici. Per accrescer di giorno in giorno il manto della sua nobiltà, acciòche il tempo non lo raccosce, se n'andò Giouanetto a militare in Germania. Ma la Fortuna, inuidiosa di tanti progressi, il giorno, ch'egli s'auuicinaua con l'esercito imperiale al possesso della promessa terra di Ratispona, Atterrato da colpo d'Archibuso, gli conuenne a quel tuono manifestare, e terminare tutto in vn tempo, il lampo della gloriosa sua vita. SONETTO L In Morte dell' Illustrissimo Signor Conte Siluio del Sig. Cau. Enea Piccolomini. PIANGO il tuo fine acerbo, o SILVIO, onore Della Selua del Mondo, anzi del Cielo, E piango il danno mio, non il tuo gelo, Estinto il nostro ben nel tuo valore. Non piango tè, perche già mai non more Tra' fulmini qua giù fronda di Delo, Per coronarti il Crin diede a quel telo Il tuo sangue i Rubin, Perle il sudore. Piango la Madre tua, Piango il vedere, Che qual Mosè, la Morte oggi ti pasce, E che gli acquisti tuoi non puoi godere; Nel resto, io sò, che benche morto infasce, Le giornate dell'huom son sempre intere, Ch'ei comincia a Morir tosto ch’ei nasce. Lo Stampatore a' Lettori L'AUTORE per alcuni sinistri accidenti non hà possuto riueder le copie di quest'opera, ne assistere alla stampa, & alle correzioni di essa, per il che ci sono subentrati alcuni errori, non solo d'ommissioni di punti, di virgole, di scambiamenti di numeri, e di lettere, ma di titoli, e d'altro. Però, rimettendo i più leggieri all'altrui discrezione, si rimediano questi pochi come appresso. Auuertendo il cortese Lettore, che per fuggire incontri di precedenze, si son poste le persone celebrate, con un semplice ordine d'Alfabeto: Chi poi saper volesse l'anno in cui morirono, lo trouerrà nella tauola de' nomi loro. Intanto si aspettino in breue l'altre Muse restanti cioè l'Urania, l'Euterpe, l'Erato, la Calliope, e la Talia che sono tutte in ordine con vna mano di Canzoni dedicate ad Apollo, trattenute non da altro, che dal desiderato sereno della sua trauagliosa fortuna. Errori Correzioni Elog. 3 Riconosce riconosca Son. 6. morì muori Son. 10. se n'vai; te n'vai? Elog. 12. figliuola di... figliuola di Carlo III Son. 12 Moglia Moglie Son. 15. gloriosiss. gloriosiss. Maresciali Son. 25. ALTAVITA ALTA VITA Son. 28. Eccel. Gioseppe Eccel. Sig. Gioseppe. Elog. 31. peterna Paterna Son. 33. di Leonora Leonora Elog. 34. di Giulia e di Giulia Elog. 38. Gasa Casa Son. 44. Eminentiss. Eccellentiss. Elog. 46. Alcadere al cadere. Si stampino le presenti Rime se così piace al Reuerendissimo P. Inquisitore D. il di 28. d'Aprile 1639. Vincentio Rabatta Vic. di Fir. Essendosi compiaciuto il Reuerendiss. P. M. Fanano Inquis. Gener. del Dominio Fiorent., che io Girolamo Rosati Protonot. Apost., e Consultor del S. Officio veda la Melpomene del non mai a pieno lodato Sig. Alessandro Adimari, e non ci trouando cosa, che repugni alle stampe, io l'approui, però consideratola, la trouo cosa (come tutte le sue bell'opre) degna d' esser vista per commune vtilità. In fede scrissi questo di 4. di Marzo 1640. Idem qui supra: Alessandro Vettori Senat. Aud. di S.A.S.