Il Medoro

Dramatization of the story of Angelica and Medoro adapted from Ariosto

Vertical Tabs

Reader
<?xml version="1.0" encoding="UTF-8"?>
<?xml-model href="http://www.tei-c.org/release/xml/tei/custom/schema/relaxng/tei_all.rng" type="application/xml" schematypens="http://relaxng.org/ns/structure/1.0"?>
<?xml-model href="http://www.tei-c.org/release/xml/tei/custom/schema/relaxng/tei_all.rng" type="application/xml"
	schematypens="http://purl.oclc.org/dsdl/schematron"?>
<TEI xmlns="http://www.tei-c.org/ns/1.0">
   <teiHeader>
      <fileDesc>
         <titleStmt>
            <title>Andrea Salvadori's Medoro (1623): A Basic TEI Edition</title>
            <author>Galileo’s Library Digitization Project</author>
            <respStmt>
		<name>Crystal Hall</name>
		<resp>OCR cleaning</resp>
	    </respStmt>
            <respStmt>
                <name>Jenna Albanese</name>
		<resp>XML file creation</resp>
	    </respStmt>
         </titleStmt>
         <publicationStmt>
            <publisher>
                <orgName>the TEI Archiving, Publishing, and Access Service (TAPAS)</orgName>
            </publisher>
            <address>
              <addrLine>360 Huntington Avenue</addrLine>
              <addrLine>Northeastern University</addrLine>
              <addrLine>Boston, MA 02115</addrLine>
            </address>
            <availability>
                <licence>Creative Commons BY-NC-SA</licence>
            </availability>
         </publicationStmt>
         <notesStmt>
            <note>Based on the copy digitized by Google Books and corrected to the copy in Gallica.</note>
         </notesStmt>
	<sourceDesc>
            <bibl>
               <title>Medoro. Dramma di Andrea Salvadori fiorentino, rappresentato nel palazzo del Gran Duca di Toscana per la elezione dell'Impero di Ferdinando II.</title>
               <author>Salvadori, Andrea</author>
               <pubPlace>Florence</pubPlace>
               <publisher>Cecconcelli, Pietro</publisher>
               <date>1623</date>
            </bibl>
         </sourceDesc>
      </fileDesc>
      <encodingDesc>
         <projectDesc>
            <p>This TEI edition is part of a project to create accurate, machine-readable versions of books known to have been in the library of Galileo Galilei (1563-1642).</p>
         </projectDesc>
         <samplingDecl>
            <p>This work was chosen to maintain a balance in the corpus of works by Galileo, his opponents, and authors not usually studied in the history of science.</p>
         </samplingDecl>
         <editorialDecl>
            <correction>
               <p>Lists of errata have not been incorporated into the text. Typos have not been corrected.</p>
            </correction>
            <normalization>
               <p>The letters u and v, often interchangeable in early Italian books, are reproduced as found or as interpreted by the OCR algorithm. Punctuation has been maintained. The goal is an unedited late Renaissance text for study.</p>
            </normalization>
            <quotation>
               <p></p>
            </quotation>
            <hyphenation>
               <p>Hyphenation has been maintained unless it pertains to a line break (see "segmentation").</p>
            </hyphenation>
            <segmentation>
               <p>Word breaks across lines have not been maintained. The word appears in the line in which the first letters were printed. Words broken across pages appear on the page on which the first letters appear. Catch words are not included.</p>
            </segmentation>
         </editorialDecl>
      </encodingDesc>
      <profileDesc>
         <textDesc>
            <derivation type="original"></derivation>
         </textDesc>
      </profileDesc>
   </teiHeader>
<titlePage>
 <docTitle>Il Medoro d'Andrea Salvadori rappresentato in musica nel palazzo del Serenissimo G. Duca di Toscana in Fiorenza. Per la Elezione all'Imperio della Sacra Cesarea Maestà dell'Imperatore Ferdinando Secondo. Dedicato al Serenissimo Don Ferdinando Gonzaga Duca di Mantova, e di Monferrato. In Fiorenza, Appresso Pietro Cecconcelli. 1623. Con Licenzia de' Superiori. Alle Stelle Medicee.</docTitle>
 <figure>
  <figDesc></figDesc>
 </figure>
 <docImprint>
  <date>1623</date>
 </docImprint>
</titlePage>
<text>
<body>
<pb n="unnumbered i"/>
<lb/>IL MEDORO
<lb/>D'ANDREA SALVADORI
<lb/>RAPPRESENTATO IN MVSICA
<lb/>NEL PALAZZO DEL SERENISSIMO
<lb/>G. DVCA DI TOSCANA
<lb/>IN FIORENZA.
<lb/>Per la Elezione all' Imperio della Sacra Cesarea Maestà dell'Imperatore
<lb/>FERDINANDO SECONDO.
<lb/>Dedicato al Serenissimo
<lb/>DON FERDINANDO GONZAGA
<lb/>Duca di Mantoua, e di Monferrato.
<lb/>IN FIORENZA,
<lb/>Appresso Pietro Cecconcelli. 1623. Con Licenzia de' Superiori. 
<lb/>ALLE STELLE MEDICEE.
<pb n="unnumbered iii"/>
<lb/>AL SERENISSIMO
<lb/>DON FERDINANDO
<lb/>GONZAGA,
<lb/>DVCA DI MANTOVA, E 
<lb/>DI MONFERRATO. 
<lb/>Signore, e Patron mio Colendissimo.
<lb/>IL Medoro (Serenissimo Signore) ricordeuole 
<lb/>dell'onore al quale l'aueua 
<lb/>destinato V. A. all'ora che nel felicissimo 
<lb/>Maritaggio della Sacra 
<lb/>Cesarea Maestà dell'Imperatrice sua 
<lb/>Sorella, ella lo volse tar degno d'esser 
<lb/>rappresentato in Mantoua; poiche
<lb/>per la subita partita di quella Maestà in Germania, 
<lb/>egli non potè conseguire così segnalata grazia, si contentaua 
<lb/>più tosto di starsi celato appresso il suo Autore, 
<lb/>che comparire in luce con minor ventura. Ora sentendo 
<lb/>io, che essendo stata trascritta vna parte di esso, e 
<lb/>diuulgata in varij luoghi, correua non solamente risico
<pb n="unnumbered iv"/>
<lb/>di esser rappresentato, ma dato ancora alle stampe molto 
<lb/>diuerso da quello, che era appresso di mè, hò giudicato 
<lb/>ben fatto, che egli con publica comparsa, qualunque 
<lb/>egli si sia, venga à rassegnarsi à V. A. per suo. Ella 
<lb/>lo vedrà molto vario da quello, che la prima volta fu 
<lb/>veduto in Scena, e se potrà parer pouero ne miei versi,
<lb/>la veste della Musica, onde l'hà nuouamente arricchito 
<lb/>il Sig. Marco da Gagliano, lo renderà appresso 
<lb/>di lei, e riguardeuole, e grato; Riceua dunque 
<lb/>da me, per douuto obligo di mia seruitù, questa Fauola, 
<lb/>che le fu prima conceduta in dono dalla Serenissima 
<lb/>Arciduchessa mia Signora, e se non vedrà nel mio 
<lb/>Medoro la bellezza, con la quale egli inuaghì quell'antica 
<lb/>Regina, potrà almeno conoscere in lui l'istessa fede, 
<lb/>&amp; osseruanza verso i Principi suoi SS. ond'egli possa 
<lb/>esser fatto degno dell'amore, e protezione di V. A. S. 
<lb/>alla quale baciando vmilissimamente la veste, le prego 
<lb/>dal Cielo il colmo d'ogni felicità. Di Fiorenza il 
<lb/>dì primo di Gennaio 1623.
<lb/>Di V. A. S.
<lb/>Vmiliss. e Deuotiss. Seruo
<lb/>Andrea Saluadori.
<pb n="unnumbered v"/>
<lb/>ARGOMENTO
<lb/>MEDORO nato in Tolomitta, d'oscura 
<lb/>Stirpe, ma dotato d'estrema bellezza, amò
<lb/>con tanta fede Dardinello Rè d'Alzerbe 
<lb/>suo Signore, che essendo questi rimasto morto 
<lb/>in una battaglia sotto Parigi, egli con 
<lb/>mirabil'esempio di fedeltà, passando di 
<lb/>notte per mezzo il campo nemico, andò à 
<lb/>cercare tra innumerabili Cadaueri il corpo 
<lb/>dell'amato Rè, per dar à quello il douuto onore di Sepoltura. 
<lb/>Auendolo felicemente trouato, e con esso in spalla tornando à gl'alloggiamenti, 
<lb/>fù veduto da alcuni Caualieri nemici, i quali ferendolo 
<lb/>con un'asta in mezzo al petto, lo lasciarono in terra per morto. 
<lb/>Giunse, doue il misero Giouine era vicino à perder la vita, Angelica 
<lb/>Regina del Cataio, bellissima sopra tutte le donzelle della sua 
<lb/>età, ma oltremodo altiera, e sprezzatrice d'Amore; questa auendo 
<lb/>da lui inteso il miserabil successo, fatta pietosa della sua disauuentura, 
<lb/>prima con un'erba gl'arrestò il sangue, e poi facendolo condurre 
<lb/>nel vicino albergo d'un Pastore, iui tanto si trattenne, che in tutto 
<lb/>lo rese sano di quella ferita. In questo tempo, auendo veduto nel Giouine 
<lb/>merauigliosa bellezza, e costumi nobilissimi, ella, che aueua 
<lb/>prima sprezzate le nozze del Rè de' Tartari, e del Rè de' Circassi, e 
<lb/>l'amore de' primi Caualieri della Corte di Francia, e di Spagna, vinta 
<lb/>da estremo amore, antepose Medoro ad ogn'altro, e lo prese per 
<lb/>suo Consorte. L'Istoria di questi Amanti è descritta in vniuersale 
<lb/>dall' Ariosto; i particolari accidenti di essa, e come questi peruennero 
<lb/>al fin de loro amori, son propri di questa Fauola, descritti però con 
<lb/>quella breuita, che richiede la Musica, per la quale è stata composta.
<pb n="unnumbered vi"/>
<lb/>INTERLOCVTORI
<lb/>Amore.
<lb/>Venere.
<lb/>Angelica Regina nell'India.
<lb/>Medoro Seruo di Dardinello Rè d'Alzerbe.
<lb/>Sacripante Rè di Circassia.
<lb/>Seluaggio Pastore Ospite d'Angelica, e 
<lb/>di Medoro.
<lb/>Ombra di Dardinello Rè d'Alzerbe. 
<lb/>Coro di Pastori. 
<lb/>Coro di Ninfe.
<lb/>La Scena è nelle Selue di Francia. 
<lb/>La Fortuna fa il Prologo.
<pb n="unnumbered vii"/>
<lb/>LA FORTVNA. 
<lb/>IO, che trionfo à mio talento, e regno 
<lb/>Quì sotto il Ciel della gelata Luna, 
<lb/>Io possente Fortuna
<lb/>Chiari Regi d' Etruria à voi ne vegno, 
<lb/>E fermo in solitari ombrosi Chiostri 
<lb/>Soggetta la mia Rota a' cenni vostri. 
<lb/>Nelle Selue de' Franchi oggi discesa 
<lb/>Nato in pouera sorte, al bel Medoro 
<lb/>Darò corona d'oro, 
<lb/>D'Amor' intenta à secondar l'impresa; 
<lb/>Poscia di quì partendo in altra parte 
<lb/>Andrò le glorie à secondar di Marte. 
<lb/>Là nel Regno German del nuouo Augusto 
<lb/>Inchinerommi alle felici piante, 
<lb/>E sempre à lui costante 
<lb/>Lo seguirò contro lo stuolo ingiusto; 
<lb/>Là mi chiama Giustizia, iui m'aspetta 
<lb/>Virtude, e vuol, ch'io pugni à lei soggetta. 
<lb/>Gioisci auuenturosa Italia, e Roma, 
<lb/>Rinouella Germania i tuoi gran pregi; 
<lb/>Veggio a' domati Regi 
<lb/>Voi di nuouo calcar l'altera chioma, 
<lb/>Ed Austria ogn'or nella famosa Sede 
<lb/>Astrèa posarsi, e trionfar la fede. 
<pb n= "1"/>
<lb/>ATTO PRIMO. 
<lb/>SCENA PRIMA
<lb/>Amore, e Venere.
<lb/>Am. MADRE, ò mio diletto,
<lb/>Nel tuo leggiadro riso,
<lb/>Ne' lumi, e nel bel viso 
<lb/>Tempra nuoue, al tuo figlio, armi fatali,
<lb/>Che saettando un petto,
<lb/>Già tutte ho consumate, e fiamme, e strali.
<lb/>Ven. Qual cor di fredda pietra,
<lb/>Qual fu beltà sì fiera?
<lb/>Per cui vota riman l'aurea faretra ?
<lb/>Am. Nel crudo fen della Regina altera, 
<lb/>A cui l'India soggiace 
<pb n= "2"/>
<lb/>Tutte, Madre, auuentai l'aspre quadrella, 
<lb/>E quasi spensi in van l'ardente face, 
<lb/>Ma pur nelle mie fiamme oggi si sface. 
<lb/>Ven. O s' Angelica bella
<lb/>Arde, da te ferita,
<lb/>Che baci ti prometto
<lb/>Per si nobil vittoria, e si gradita? 
<lb/>Ma dì, bel Pargoletto, 
<lb/>Dimmi per qual de suoi 
<lb/>Famosi Amanti Eroi, 
<lb/>La tua fera nemica oggi sospira? 
<lb/>Fors'al Guerrier d'Anglante, 
<lb/>De' suo' tanti trofei 
<lb/>La darai per mercede? 
<lb/>O del Circasso generoso Amante 
<lb/>Così compenserai la nobil fede? 
<lb/>Am. Poiche Guerrieri, e Regi 
<lb/>Disprezzati mirai 
<lb/>Dalla Beltà superba, 
<lb/>Per lo sol del tuo volto, 
<lb/>Bella Madre. giurai 
<lb/>Far dell'altero cor vendetta acerba, 
<lb/>E grauissimo sdegno in seno accolto 
<lb/>Determinai, che d'amoroso foco 
<pb n= "3"/>
<lb/>Per vmil seruo ardesse,
<lb/>Chi l'amor degl' Eroi si prese in gioco.
<lb/>Ven. Degna di te vendetta,
<lb/>Amato figlio, or fammi noto à pieno 
<lb/>Per chi l'aurea saetta 
<lb/>Colmò di dolce foco il crudo seno. 
<lb/>Am. Tra quelle ombrose piante 
<lb/>Giacea da fiera man trafitto il petto 
<lb/>Medoro il Giouinetto, 
<lb/>E tale ei si dolea, ch'a' suoi lamenti 
<lb/>Piangean le fiere, e l'onde, 
<lb/>Sospirauan le fronde, 
<lb/>E fermauan il volo in aria i venti; 
<lb/>Madre sia con tua pace, 
<lb/>Non mai sì dolce entro l'Idalia riua, 
<lb/>Languì ferito il tuo leggiadro Adone, 
<lb/>Come il vago Garzone iui languiua; 
<lb/>Là dou'egli spargea 
<lb/>Da gl'occhi il pianto, e dalla piaga il sangue, 
<lb/>Giunta la figlia del gran Re de gl'Indi, 
<lb/>Vede l'alma Beltà, ch'à morte langue; 
<lb/>Dalla man di pietade all'ora io prendo 
<lb/>Soauissimo dardo, 
<lb/>Ed al girar del languidetto sguardo,
<pb n= "4"/>
<lb/>Alla cruda Regina il petto accendo. 
<lb/>Ven. Fù saggio auiso ò figlio 
<lb/>Prima, con la pietade, 
<lb/>Arrestare il bel ciglio, 
<lb/>Poi saettarle il cor con la beltade.
<lb/>Am. Per l'Eteree contrade
<lb/>Finito ha Cintia l'immortal suo corso.
<lb/>Da che del Giouinetto
<lb/>Alla salute intenta
<lb/>Ella soggiorna in sì gioconda riua; 
<lb/>In questo tempo, ò Diua 
<lb/>Pietà, Bellezza, il solitario loco, 
<lb/>I verd'anni, e'l mio foco 
<lb/>Han fatto al sen di lei perpetua guerra; 
<lb/>Già crolla, e già per terra 
<lb/>Cade la rupe del gelato core; 
<lb/>Ma superbia reale 
<lb/>Di vano armata in tempestiuo onore, 
<lb/>S'oppone al fulminar di questo strale; 
<lb/>Costei vede in Medoro 
<lb/>Regio cor, nobil fede, alma bellezza; 
<lb/>Arder allor si sente, 
<lb/>Colpa d'empia fortuna: in lui poi vede 
<lb/>Pouertade, e bassezza; 
<pb n= "5"/>
<lb/>D'amare allor si pente, 
<lb/>Così nel core altero 
<lb/>Pugna quinci superbia, e quindi Amore; 
<lb/>Ma l vsata vittoria al fine io spero. 
<lb/>Ven. Amò la Dea che l'Oriente infiora 
<lb/>Cefalo Cacciatore, 
<lb/>Amo la Dea, ch'il primo Cielo indora 
<lb/>Endimion Pastore, 
<lb/>E questa superbetta,
<lb/>Il leggiadro Medoro amar si sdegna, 
<lb/>Medor, che trà mortali è qual tu sei 
<lb/>Figlio, tra gl'altri Dei. 
<lb/>Am. Ma tra le fiamme de' celesti Cori, 
<lb/>Perche bella mia Diua, 
<lb/>Perche mi taci i tuoi sì cari ardori? 
<lb/>Sò pur che nella riua 
<lb/>Del tuo bel Cipro, e per l'Idee contrade 
<lb/>Spesso stringesti al sen mortal beltade. 
<lb/>Ven. Taci, mio figlio, taci,
<lb/>Ch'al fin son le tue faci
<lb/>Colpa de falli miei.
<lb/>Am. Orsu Madre gentil, parlian di lei;
<lb/>Armisi pur d'orgoglio,
<lb/>Induri al foco mio l'alma ritrosa,
<pb n= "6"/>
<lb/>A suo mal grado io voglio, 
<lb/>Che del vago Medor diuenga sposa. 
<lb/>Madre del Regno mio sostegno, e vita; 
<lb/>Tù dalla terza sfera 
<lb/>D'alati pargoletti, 
<lb/>Di gratie, di desiri, e di diletti 
<lb/>Qui mi conduci omai la bella schiera; 
<lb/>Ch'ogni mia forza vnita, 
<lb/>In questo dì, vo' trionfare à pieno 
<lb/>Del superbo rigor di quel bel seno. 
<lb/>Ven. Tosto spiegar il volo
<lb/>A' miei Cigni farò nell'alta reggia 
<lb/>Per tutt'armar le mie vezzose squadre. 
<lb/>Am. Io quinci ascoso, e solo
<lb/>Attenderò, ch'a me ritorni ò Madre.
<lb/>SECONDA.
<lb/>Angelica.
<lb/>AHI, che dolce veleno,
<lb/>Qual incognita fiamma à poco à poco 
<lb/>Con sì grato dolor mi serpe il seno? 
<lb/>Certo quest' è 'l tuo foco,
<pb n= "7"/>
<lb/>O doglia de' mortali ingiusto Amore, 
<lb/>Che ti fà seruo à mio mal grado il core. 
<lb/>Io nel soglio de gl' Indi un tempo auuezza 
<lb/>Le fiamme à disprezzar di Regi Amanti, 
<lb/>Or sotto angusto tetto 
<lb/>Per vmil giouinetto,
<lb/>Spargo dal freddo cor sospiri, e pianti? 
<lb/>O superba bellezza, 
<lb/>Oue son i tuoi pregi, oue i tuoi vanti?
<lb/>Ah non andar altero
<lb/>Ancor di tua vittoria, Amor Tiranno, 
<lb/>Ch'io saprò tormi al tuo crudele Impero;
<lb/>Lascierò queste selue,
<lb/>Oue perdei mia pace,
<lb/>Fuggirò nud' Arcier l'empia tua face. 
<lb/>Ma deh, come qui solo, 
<lb/>Medoro anima mia,
<lb/>Potrò lasciarti, e non morir di duolo ? 
<lb/>O libertà gradita, 
<lb/>O spietata mia sorte,
<lb/>O Medoro, ò ferita,
<lb/>Che sanata da me, mi dai la morte.
<pb n= "8"/>
<lb/>SCENA TERZA.
<lb/>Medoro.
<lb/>SANATA è quella piaga, 
<lb/>Che Barbaro crudel nel sen mi diede, 
<lb/>Ma quella, onde mi fiede 
<lb/>Innocente bellezza, ed omicida, 
<lb/>Chi fia, che mai risani, 
<lb/>Si, che'l fero martire, ahi non m'ancida? 
<lb/>Anima del cor mio, come non miri, 
<lb/>In questo petto ascosa 
<lb/>L'aspra piaga nouella,
<lb/>Come mirasti quella,
<lb/>Di cui tua bella man fù si pietosa? 
<lb/>Che bramo ohimè, che chieggio, 
<lb/>Dou'inalzo il desio 
<lb/>Misero, e non m'auueggio
<lb/>Qual'è questa, che m'arde, e qual son'io? 
<lb/>Riconosci Medoro 
<lb/>La tua pouera sorte,
<lb/>Sai, che per tropp'alzarsi Icaro cadde; 
<lb/>Sai, che di tropp'ardir premio è la morte;
<pb n= "9"/>
<lb/>Ma pure (oh qual lusinga 
<lb/>Soauissima speme il core amante) 
<lb/>Pur veggio, ò veder parmi 
<lb/>Vn conforme desio nel bel sembiante, 
<lb/>Che'l chiuso foco à palesar m'inuita, 
<lb/>Chiedete dunque aita 
<lb/>Alle fiamme del core, 
<lb/>Fidi messi dell'alma, occhi dolenti, 
<lb/>Chiedete aita, ò miei sospiri ardenti, 
<lb/>Ch'ogni disuguaglianza adegua Amore. 
<lb/>CORO. 
<lb/>PER la marina 
<lb/>L'Aura scherzaua, 
<lb/>L'Aura vagaua
<lb/>Per l' Aria rugiadosa, 
<lb/>E in su la spina 
<lb/>De' fior regina 
<lb/>Lieta ridea la rosa, 
<lb/>All'or, ch'in Gnido 
<lb/>Nacque Cupido. 
<lb/>Là dou'ei nacque 
<lb/>D'aurette, e fiori 
<lb/>Di grati odori 
<pb n= "10"/>
<lb/>Nudrillo il bosco, e'l prato; 
<lb/>Poscia gli piacque 
<lb/>Nelle bell'acque, 
<lb/>Bagnar lo strale aurato, 
<lb/>E delle Linfe 
<lb/>Ferir le Ninfe. 
<lb/>Riserba ancora 
<lb/>La selua, e'l fiume 
<lb/>Gentil costume, 
<lb/>Che le sue faci auuiua, 
<lb/>L'onda innamora, 
<lb/>Lusinga l'Ora, 
<lb/>Mossa da fresca riua; 
<lb/>E verde erbetta
<lb/>Il cor saetta. 
<lb/>Quanto cocente 
<lb/>Per le foreste
<lb/>Sia del celeste
<lb/>Arcier la viua face,
<lb/>Nell'alta mente
<lb/>Oggi lo sente
<lb/>Questa, ch'auuampa, e tace; 
<lb/>Questa sì bella 
<lb/>Già sua rubella. 
<pb n= "11"/>
<lb/>Già troppo folle 
<lb/>Nell'alto soglio 
<lb/>Solea d'orgoglio 
<lb/>Armar il core altero.
<lb/>In vmil colle
<lb/>Oggi le tolle
<lb/>Amor di sè l'Impero, 
<lb/>Ed ogni loco 
<lb/>Arma di foco. 
<lb/>Tra fiori, e l'erba 
<lb/>Or sale il monte,
<lb/>Or di bel fonte
<lb/>Cerca l'onda stillante; 
<lb/>Poi disacerba 
<lb/>Sua pena acerba 
<lb/>Con l'aure, e con le piante, 
<lb/>Amor la vede, 
<lb/>E più la fiede. 
<lb/>Aure felici, 
<lb/>Ombrose piagge, 
<lb/>Piante seluagge, 
<lb/>Onde del chiaro rio; 
<lb/>Voi Genetrici, 
<lb/>Voi le Nutrici
<pb n= "12"/>
<lb/>Sete del bel desio.
<lb/>Hà quì sua gloria,
<lb/>Hà quì uittoria.
<pb n= "13"/>
<lb/>ATTO SECONDO.
<lb/>SCENA PRIMA.
<lb/>Sacripante.
<lb/>OR và Rè di Circassi,
<lb/>Del superbo Agrican frena l'orgoglio, 
<lb/>Il combattuto soglio 
<lb/>Di Regina ingratissima difendi, 
<lb/>Inerme, e solo all'aer cieco attendi 
<lb/>Nembi d'aste, e di spade, 
<lb/>Muoui a' cenni di lei dou'il Sol cade,
<lb/>Doue sorge l'Aurora,
<lb/>E di poi qual mercede
<lb/>Hai dall'empia beltà, che 'l core adora? 
<lb/>Ah, che scarca d'un guardo alla tua fede
<pb n= "14"/>
<lb/>Fù la rigida fera,
<lb/>Per cui tanto hai sofferto, 
<lb/>Or porge à nuouo Amante, 
<lb/>Misero Sacripante, 
<lb/>De tuoi sudori, e del tuo sangue il merto. 
<lb/>Qualunque sij, che'n queste selue ascoso 
<lb/>Godi, sempre à me crudo il mio bel sole, 
<lb/>Và nel Ciel luminoso 
<lb/>Fuggi nel centro oscuro,
<lb/>Non sarai mai dall'ira mio sicuro. 
<lb/>Suellerò dal tuo petto 
<lb/>Il troppo audace core,
<lb/>Andando poscia innante
<lb/>Alla fiera cagion del mio dolore,
<lb/>Dirolle; ingrata in questa man ti porto 
<lb/>L'Idolo tuo diletto,
<lb/>Vedi, godi'l tuo bene, il tuo consorto, 
<lb/>E mostrandole espresso 
<lb/>Il mio feruido amore, e'l suo gran torto, 
<lb/>Con questo ferro vcciderò me stesso.
<pb n= "15"/>
<lb/>SCENA SECOND A.
<lb/>Angelica.
<lb/>CHE più volgo dubbiosa 
<lb/>Nell'agitato petto? 
<lb/>Sù Regina degl' Indi 
<lb/>Suelli il mal nato affetto, 
<lb/>Dall' Anima Reale, e generosa. 
<lb/>Vedi il Rè di Circassi 
<lb/>Vanne, seco, al tuo Regno, 
<lb/>E lascia in queste selue 
<lb/>Sepolto del tuo core il foco indegno. 
<lb/>Deh, che nodo tenace? 
<lb/>Stringi all' Anima mia, leggiadro crine? 
<lb/>Belle luci diuine, 
<lb/>Che fiamme minacciate al cor fugace? 
<lb/>Ah, ch'è men graue assai 
<lb/>Occhi, perder' il Sol, ch'i vostri rai.
<pb n= "16"/>
<lb/>SCENA TERZA.
<lb/>Seluaggio Ospite d'Angelica, Angelica.
<lb/>REGINA il bel Medoro 
<lb/>In periglio è di vita. 
<lb/>Ignoto Caualiero, 
<lb/>Segue di lui la traccia,
<lb/>Sì nel sembiante disdegnoso, e fiero, 
<lb/>Che la selua atterrisce, e'l Ciel minaccia. 
<lb/>Ang. Che sento? Ospite mio
<lb/>Deh vanne à lui veloce,
<lb/>Dì ch'in sicura parte,
<lb/>Si tolga all'ira del Guerrier feroce; 
<lb/>In tanto io penserò, fuor d'ogni danno, 
<lb/>Come lui tragga, e tragga me d'affanno. 
<lb/>Selu. Vonne pronto a tuoi cenni. 
<lb/>Misero Giouinetto,
<lb/>Che nuoui rischi alla tua vita aspetto?
<lb/>Ang. Chi vincerà di voi
<lb/>Nel campo del mio core?
<lb/>Real Grandezza, e lusinghiero Amore; 
<lb/>Chi vincerà di voi? 
<pb n= "17"/>
<lb/>SCENA QUARTA.
<lb/>Medoro, Sacripante.
<lb/>Med. O Dell'onde, e del Sole
<lb/>Vezzosissima Prole, Aure gradite, 
<lb/>Fermate il volo, e le mie voci vdite. 
<lb/>Su questo Prato adorno 
<lb/>Viene al nascente giorno il mio bel Sole, 
<lb/>E cinge all aureo crin rose, e viole. 
<lb/>All'or dal suo bel volto 
<lb/>Voland al crin disciolto in questi accenti, 
<lb/>Aure dite il mio foco, e i miei tormenti. 
<lb/>O Donna, ò Sole, ò Diua 
<lb/>Per te sù questa riua vn cor si sface, 
<lb/>Ma riconosce sua bassezza, e tace. 
<lb/>Sacr. Chi sei? che Sol che Diua 
<lb/>Chiami tra queste piante? 
<lb/>Med. Signore io son Medoro
<lb/>Seruo del Re d'Alzerbe,
<lb/>E Dea Celeste in queste selue adoro.
<lb/>Sacr. Tu Medoro? ah vil seruo, il Cielo innante 
<lb/>Al mio giusto furore oggi ti guida, 
<lb/>Dou'è, dou'è l'infida 
<pb n= "18"/>
<lb/>Tiranna del mio petto,
<lb/>Che veggia al fulminar di questo ferro 
<lb/>Le viscere trafitte al suo Diletto?
<lb/>SCENA QVINTA
<lb/>Angelica, Sacripante, Medoro.
<lb/>Ang. VOlgiti à me Signore, 
<lb/>Loco tra tanto sdegno 
<lb/>Habbia tua Gentilezza, e'l nostro Amore.
<lb/>Sacr. O ben che falso, e rio,
<lb/>Par caro al guardo mio leggiadro volto, 
<lb/>S'altri mi t'hà già tolto, 
<lb/>Lasso, se mio non sei,
<lb/>Come tanto sei caro à gl'occhi miei? 
<lb/>Crudel da te schernito, 
<lb/>Da te, crudel, tradito,
<lb/>Sdegnarmi contro te, nè sò, nè voglio, 
<lb/>Ben del mio cor mi doglio, 
<lb/>Ch'à sì perfida Donna, e sì crudele 
<lb/>Si mostri ancor fedele. 
<lb/>Ma perche tanto la vendetta tardo? 
<lb/>Paghi, paghi costui
<pb n= "19"/>
<lb/>I proprij falli, e la perfidia altrui. 
<lb/>Ang. Signore omai t'acqueta, 
<lb/>Troppo vano sospetto 
<lb/>L'innamorato petto à sdegno muove. 
<lb/>Soura'l nudo terreno 
<lb/>Giacea quest' infelice 
<lb/>Da barbarica mano aperto il seno, 
<lb/>Pietosa, e non amante, 
<lb/>Io di lui risanai l'aspra ferita. 
<lb/>Or lascia, che la vita 
<lb/>Goda, che di mia mano è nobil dono; 
<lb/>E se pur quella sono, 
<lb/>Quella sì cara un tempo à gl'occhi tuoi, 
<lb/>Fà, ch'io non chieggia in vano 
<lb/>Aita alla tua mano,
<lb/>O chiaro sol de' più famofi Eroi. 
<lb/>Sacr. Ecco il tuo fido seruo, 
<lb/>Ecco l'istesso petto, 
<lb/>Che già per tua salute
<lb/>Esposi ignudo à tutta Scitia armata. 
<lb/>Di lui, di questa man, di questa spada, 
<lb/>E del core, e dell'alma 
<lb/>Disponi, ò mio bel Sol, come t'aggrada.
<lb/>Ang. Quello, che da te chieggio,
<pb n= "20"/>
<lb/>O magnanimo Rege,
<lb/>E, che l'inuitta destra 
<lb/>Tanto ancor mi difenda, 
<lb/>Ch'in India mi conduca al mio bel Seggio; 
<lb/>Iui sò qual conuiensi, 
<lb/>Degna di me, degna di te mercede. 
<lb/>Onde si ricompensi, 
<lb/>Così nobile amor, così gran fede.
<lb/>Med. Che sento, ohimè, che sento? 
<lb/>Sacr. O dolcissimi detti, ò me beato; 
<lb/>Partiam da queste selue, 
<lb/>Partiamo anima mia,
<lb/>Schiere, Mostri, Giganti, orride Belue, 
<lb/>Lieue, per tua beltà, vincer mi fia. 
<lb/>Ang. Addio Medoro, io parto.
<lb/>O dolore, ò partita,
<lb/>O fin della mia vita.
<lb/>SCENA SESTA.
<lb/>Medoro.
<lb/>COR mio doue ne vai, doue mi lasci? 
<lb/>Come viuer poss'io 
<pb n= "21"/>
<lb/>Senza di te cor mio?
<lb/>Quegli, quegli pur sono,
<lb/>La cui misera sorte
<lb/>Fermò la bella mano à darmi vita, 
<lb/>Ed ora in preda à Morte 
<lb/>Mi lasci in abbandono, 
<lb/>Ahi si rara pietà dou'è sparita? 
<lb/>Cor mio doue ne vai, doue mi lasci? 
<lb/>Come viuer poss'io 
<lb/>Senza di te cor mio? 
<lb/>Deh se di questo seno, 
<lb/>Fermasti il piede in rimirando il sangue, 
<lb/>Del mio cor, che vien meno, 
<lb/>Dell Anima, che langue 
<lb/>Mira l'ultimo sangue, in questo pianto, 
<lb/>E'l piede arresta in tanto. 
<lb/>Ohimè se da me parti,
<lb/>Perche sdegni mirar la mia bassezza, 
<lb/>Arresta, arresta il piede, 
<lb/>E mira poi che pregi, e qual ricchezza, 
<lb/>Spargon' in questo volto Amore, e Fede, 
<lb/>Arresta, arresta il piede, 
<lb/>E di pouero Amante
<lb/>Non prender, ò Regina, il foco à vile,
<pb n= "22"/>
<lb/>Che se bassa è mia sorte, è'l cor gentile, 
<lb/>Cor mio doue ne vai, doue mi lasci, 
<lb/>Come viuer poss'io 
<lb/>Senza di te cor mio?
<lb/>Ah, ch'a ragion mi fuggi,
<lb/>A ragion m'abbandoni, io stesso, io stesso 
<lb/>Son reo della mia morte; 
<lb/>Folle, non solo osai,
<lb/>Il sol della beltà mirar d'appresso, 
<lb/>Ma sperai di gioire al suo bel lume; 
<lb/>Cadi, cadi nel fiume 
<lb/>Delle lagrime tue nuouo Fetonte, 
<lb/>Cadi in un mar di pianti. 
<lb/>Icaro sfortunato, 
<lb/>Nouello esempio a' temerari Amanti: 
<lb/>Di voi, di voi mi doglio 
<lb/>Occhi miei troppo folli, e troppo audaci, 
<lb/>Da voi vien la mia morte, e'l suo disdegno; 
<lb/>Ne' vostri ardenti giri, 
<lb/>Lesse gl'alti desiri;
<lb/>Vide l'alte mie faci, e l'ebbe à sdegno,
<lb/>Che celeste bellezza
<lb/>Non deue, da' mortali, esser amata,
<lb/>Ma nel core adorata,
<pb n= "23"/>
<lb/>Errai mia vita; errai,
<lb/>Troppo ascese il mio core,
<lb/>Troppo volli da te, troppo bramai, 
<lb/>Errai mia vita, errai. 
<lb/>Vanne, vanne pur lieta anima mia 
<lb/>Nella Regia famosa, 
<lb/>Viui di sì gran Rè felice Sposa. 
<lb/>Io se amando t'offesi, 
<lb/>Perche tropp'alto i miei desiri intefsi: 
<lb/>De folli lumi, e del superbo core, 
<lb/>Con questa man vendicherò l'errore. 
<lb/>Addio per sempre, addio 
<lb/>Pura luce un giorno. 
<lb/>Addio per sempre, addio 
<lb/>Solitario soggiorno, erme foreste, 
<lb/>Piante, piante funeste, 
<lb/>A' cui l'incendio del mio core apersi; 
<lb/>Voi tra solinghi orrori 
<lb/>La memoria ascondete 
<lb/>De' miei sì vani amori. 
<lb/>E tu mio Sol perdona 
<lb/>Se troppo amò, se troppo osò Medoro. 
<lb/>Ecco mi passo il petto, ecco ch'io moro.
<pb n= "24"/>
<lb/>SCENA SETTIMA.
<lb/>Ombra di Dardinello, Medoro.
<lb/>CHE fai, la mano arresta, 
<lb/>Ah non troncar con sì spietata morte 
<lb/>Il nobil filo di tua vita acerba, 
<lb/>Ch'à troppo amica sorte, 
<lb/>O mio seruo fedele, il Ciel ti serba.
<lb/>Med. Che veggio, ahi, che sembianza,
<lb/>In un diletta, e inorridisce il core ?
<lb/>Omb Vedi il tuo Rè, Medoro,
<lb/>Vedi il tuo Dardinello.
<lb/>Med. O diletto Signore,
<lb/>A te ne vegno, e le tue piante abbraccio, 
<lb/>Ma deh perche mi fuggi, oue t'ascondi? 
<lb/>Omb Stringer in darno tenti
<lb/>Alma cui più non lega il mortal laccio, 
<lb/>Ombra son io del gran figliol d'Almonte, 
<lb/>Ch'in quest'ameno chiostro 
<lb/>Erro d'intorno alla diletta spoglia, 
<lb/>Ed or tra l'erme piante, 
<lb/>Nell'antica sembianza à te mi mostro
<pb n= "25"/>
<lb/>Vago di consolar l'aspra tua doglia. 
<lb/>Med. Lascia signor, ch'on disperato Amante, 
<lb/>Che non puote tra viui hauer conforto, 
<lb/>Almeno in grembo à morte ottenga pace.
<lb/>Omb Viui, viui Medoro,
<lb/>E vedi qual mercede
<lb/>Attenda il ben oprar d'ogni mortale; 
<lb/>Tu ponesti in non cale, 
<lb/>Per dar sepolcro al mio caduco velo 
<lb/>La propria vita, ora compensa il Cielo 
<lb/>Verso il tuo Rè l'incomparabil fede; 
<lb/>L'alto impero de gl' Indi egli ti porge, 
<lb/>Il suo voler ti scorge 
<lb/>Prima, che scenda in Occidente il Sole
<lb/>A diuenir d'Angelica Consorte; 
<lb/>Godi pur di tua sorte 
<lb/>Fortunato Medoro,
<lb/>Tra l'aure, io mi dileguo à far soggiorno 
<lb/>Alle fredd' ossa intorno. 
<lb/>Med. Veglio? son viuo? ò nel dolor vaneggio? 
<lb/>O sempre à me gradita, e nobil alma, 
<lb/>Sò, che per tua pietade 
<lb/>Per vietarmi il morire,
<lb/>Così lusinghi il feruido desire;
<pb n= "26"/>
<lb/>Viurò, non perch'io creda 
<lb/>Di viuer a' diletti, 
<lb/>Di viuer al conforto 
<lb/>Signor, che mi prometti, 
<lb/>Ma per sempre obbedirti, e viuo, e morto. 
<lb/>CORO.
<lb/>AL pianto di Medoro
<lb/>Piangete, ò valli, ò monti,
<lb/>Piangete al pianto suo ruscelli, e fonti. 
<lb/>Tutto da se diuiso,
<lb/>Nell' aspro duol vien meno, 
<lb/>Batte il candido seno
<lb/>Si lacera il bel viso,
<lb/>Sparge di pianto le dolenti stelle, 
<lb/>E si diuelle 
<lb/>La chioma d'oro.
<lb/>Al pianto di Medoro,
<lb/>Piangete, ò valli,ò monti
<lb/>Piangete al pianto suo ruscelli, e fonti.
<lb/>Chi nell'onda Tirrena
<lb/>Di lusinghiero ciglio,
<lb/>E di perfido core il mostro finse. 
<lb/>Nel nome di Sirena, 
<pb n= "27"/>
<lb/>Dolce del mar periglio,
<lb/>Bellezza feminile, allor dipinse. 
<lb/>Questa d'ogni mortale, 
<lb/>Tormentoso diletto 
<lb/>Amabile dolor, gradito male, 
<lb/>E la fiera crudel di dolce aspetto, 
<lb/>Che co' vezzi d'Amore 
<lb/>Alletta il guardo, e poi dà morte al core. 
<lb/>Splende crinita Stella,
<lb/>Ne' bei campi celesti,
<lb/>Quant'è dolce à mirar sua chioma bella, 
<lb/>Ma da raggi funesti, 
<lb/>Qual discende a mortali aspra procella? 
<lb/>Splende nel ciel d'un volto
<lb/>Bellezza feminile,
<lb/>Quant'è dolce à mirarsi in noi riuolto 
<lb/>Suo bel raggio gentile; 
<lb/>Ma da quel lume, che sì grato splende, 
<lb/>Qual guerra di tormenti al cor discende? 
<lb/>Lusinghiera bellezza,
<lb/>Mostro, ch'ancidi, e piaci,
<lb/>Chi sapesse mirar la tua fierezza 
<lb/>Fuggiria le tue faci; 
<lb/>Ma tu col rio seren d'un bel sembiante
<pb n= "28"/>
<lb/>Promettendo tranquillo il mar di doglia, 
<lb/>Fai, che dietro ti scioglia
<lb/>Le vele del defio credulo amante, 
<lb/>Accioche poi tra pianti, e tra querele 
<lb/>Lo sommerga d'orgoglio onda crudele. 
<lb/>Giouinetto infelice,
<lb/>Tu, ch'al fallace lume,
<lb/>D'incostante bellezza allettatrice, 
<lb/>Spiegasti incauto del tuo cor le piume; 
<lb/>Ora, ch'in preda al duolo, 
<lb/>Tua speranza gentil vedi tradita, 
<lb/>Conosci come solo, 
<lb/>Per tormento dell'alma Amor n'inuita, 
<lb/>E che per dar al cor lungo martire, 
<lb/>Gli fa spesso prouar breue gioire. 
<lb/>Al pianto di Medoro, 
<lb/>Piangete, ò valli, ò monti,
<lb/>Piangete al pianto suo ruscelli, e fonti.
<pb n= "29"/>
<lb/>ATTO TERZO.
<lb/>SCENA PRIMA.
<lb/>Seluaggio, Coro di Pastori.
<lb/>Selu. SV felici Pastori 
<lb/>Di lietissimi gridi 
<lb/>Risuoni il Bosco, e'l Prato; 
<lb/>La sì bella Regina, 
<lb/>Il Sol di questi lidi,
<lb/>Quinci ne riconduce amico fato.
<lb/>Cor. Che narri, ò buon Seluaggio?
<lb/>Partissi in questo giorno
<lb/>Verso l'antico Regno,
<lb/>A queste piagge, or come fa ritorno?
<lb/>Selu. Là sul Prato del Tempio 
<lb/>Io l'ho pur hor lasciata; 
<pb n= "30"/>
<lb/>E quà riuolgo i passi
<lb/>Per ritrouar Medoro.
<lb/>Coro. O qual sarà, di lui, misero scempio, 
<lb/>Se de fieri Circassi 
<lb/>L'ingelosito Rè, quinci lo troua?
<lb/>Selu. Lungi da voi rimuona 
<lb/>Il Cielo ogni timore, 
<lb/>Sola è la bella Donna,
<lb/>E se pur altri è seco, è quegli Amore.
<lb/>Coro. Deh fanne omai palese, 
<lb/>Come partì sì tosto, 
<lb/>Come sì tosto torna, e doue resta 
<lb/>Quel superbo guerrier se non è seco? 
<lb/>Selu. Confusa a' fieri detti, al fiero aspetto 
<lb/>Dell'adirato Amante, 
<lb/>Non seppe in quell'istante 
<lb/>Trouar la bella Donna altro riparo; 
<lb/>Ma visto il Giovinetto 
<lb/>In periglio di vita,
<lb/>A mal grado del cor fece partita. 
<lb/>Partissi, e la maggiore 
<lb/>Fù di tante sue pene
<lb/>Il mostrar lieto in quella doglia il core;
<lb/>Quanti per gl'aspri sassi,
<pb n= "31"/>
<lb/>Moffe languidi passi,
<lb/>Tante sentì ferite in mezzo al petto; 
<lb/>Lasciar il suo diletto, 
<lb/>Il suo core, il suo bene, 
<lb/>Hauer chi s'odia appresso, 
<lb/>E lungi chi s'adora, 
<lb/>Ditel amanti voi se l' Alme accora. 
<lb/>Coro. Ah, che quest' è 'l martir ch'ogn'altro eccede. 
<lb/>Selu. Amor, Amor, cred'io, 
<lb/>Dopp'hauer riso alquanto 
<lb/>Di quel pett'orgoglioso, 
<lb/>Fatto di lei pietoso, 
<lb/>Guidolla in parte, oue con pronto inganno 
<lb/>Si tolse a quell'affanno. 
<lb/>Non lungi à queste riue
<lb/>Sorge d' Atlante, il periglioso Albergo, 
<lb/>Oue chi ferma il piede, 
<lb/>Per mirabil'incanto unqua non riede; 
<lb/>Iui giunta la Donna, 
<lb/>Conobbe tosto il loco,
<lb/>E tosto s'auiso, come potesse
<lb/>Lasciar il Caualiero;
<lb/>Onde, come se voglia
<lb/>Hauesse di saper quel, che si cela
<pb n= "32"/>
<lb/>Entro l'altere Mura,
<lb/>Prego, che quel Guerriero
<lb/>Ponesse il piè sù l'incantata soglia; 
<lb/>Egli pronto obbedì, suo dolce Impero. 
<lb/>All'or da lui sicura 
<lb/>Fece Angelica bella à noi ritorno, 
<lb/>Lasciat'hauendo il troppo incauto amante 
<lb/>Nella piena d'error, Casa d'Atlante. 
<lb/>Cor. A Medoro, à Medoro
<lb/>Corriam, voliam, Compagni,
<lb/>Chi per questa contrada, e chi per quella 
<lb/>A dar di lei nouella. 
<lb/>SCENA SECOND A.
<lb/>Amore, Coro della Corte di Venere, Venere.
<lb/>Am. ECCO la bella Madre, 
<lb/>Ecco l'armate squadre. 
<lb/>Nutrite, ò Cipro, ò Gnido 
<lb/>Nouelli Mirti à coronarm' il crine, 
<lb/>Ch'io veggio già dell'alta impresa il fine. 
<lb/>Cor. All'assalto d'un core,
<lb/>Ecco fiamme, ecco strali, ardor, furore. 
<pb n= "33"/>
<lb/>Ven. Quest'è l'inuitto dardo,
<lb/>Che già trafisse il Regnator di Delo, 
<lb/>E nell'onde, e nel Cielo 
<lb/>Costrinse à lagrimar Nettuno, e Gioue; 
<lb/>Prendil, ò figlio, e fa l'usate proue. 
<lb/>Cor. All'assalto d'un core,
<lb/>Ecco fiamme, ecco strali, ardor, furore. 
<lb/>Am. Chi sparso nel bel rio, chi tra le piante, 
<lb/>Quand' Angelica giunge in questo loco, 
<lb/>Auuentate fauille,
<lb/>Auuentate saette, à mille, à mille. 
<lb/>Io nel vago languir d'un bel sembiante 
<lb/>Spargerò, nel suo cor, tutt'il mio foco . 
<lb/>Cor. All'assalto d'un core
<lb/>Ecco fiamme, ecco strali, ardor furore.
<lb/>SCENA TERZA
<lb/>Medoro.
<lb/>O Piante à voi ritorno,
<lb/>A voi ritorno, ò solitari orrori; 
<lb/>Solea quì far soggiorno, 
<lb/>Quì la chioma real cingea di fiori,
<pb n= "34"/>
<lb/>In questi chiari vimori 
<lb/>Bagnò la bella fronte; 
<lb/>O gelid'ombre, ò fonte, 
<lb/>Nel vostro roco mormorar vi sento 
<lb/>Pianger i propri danni, e'l mio tormento. 
<lb/>Quel Sole, amiche piante,
<lb/>Che rese di vostr'ombre il Ciel men chiaro, 
<lb/>Or per destino auaro 
<lb/>Risplende, ad altra riua, ad altro Amante, 
<lb/>Or mentre al bel sembiante 
<lb/>Altri si scalda, e rimangh'io di ghiaccio, 
<lb/>La sua memoria in questi tronchi abbraccio.
<lb/>Prendi doglioso rio
<lb/>Il pianto, ch'io distillo alle tue sponde, 
<lb/>L'unisci poi con l'onde, 
<lb/>Con l'onde, che bagnar l'Idolo mio. 
<lb/>Occhi del van desio 
<lb/>Portate voi la pena,
<lb/>Voi con eterna vena,
<lb/>Occhi priui del Sol, priui di lei,
<lb/>Tutto spargete il cor, ne' pianti miei. 
<lb/>Ohimè, che'l debil fianco
<lb/>Sostener piu non posso.
<lb/>Qual gelido sudor tutto m'ingombra?
<pb n= "35"/>
<lb/>Qual velo i lumi adombra?
<lb/>Lasso da per se stesso
<lb/>Esce di vita il core,
<lb/>Quel, che non fe la mano, opra il dolore.
<lb/>SCENA QVARTA.
<lb/>Angelica, Medoro.
<lb/>Ang. O Seluaggio, ò Seluaggio,
<lb/>Di che nouello stral m'hai tù ferita, 
<lb/>Nel dirmi, che Medoro 
<lb/>Ha lagrimato sì la mia partita? 
<lb/>Ardea quando pensaua 
<lb/>Esser sola ad amar, sola à languire, 
<lb/>Or nell'altrui desio 
<lb/>Sì cresce il foco mio,
<lb/>Che m'è forza scoprirlo, ò pur morire. 
<lb/>Ecco chi m'innamora, ecco chi m'arde; 
<lb/>Non sorge, e non mi vede? 
<lb/>Forse stanco dal pianto
<lb/>Chiude i bei lumi al chiaro fonte à canto.
<lb/>In che leggiadra forma
<lb/>Posa il candido fianco;
<pb n= "36"/>
<lb/>Tal mi credio, che dorma
<lb/>Di saettar già stanco 
<lb/>Soura l'Idalia sponda, 
<lb/>Amor al suon dell'onda. 
<lb/>Medoro; ah tù non dormi, 
<lb/>Tu non dormi, cor mio, languisci à morte.
<lb/>Di che dolenti stille,
<lb/>O mie dolci pupille,
<lb/>Aspersi veggio i due beati giri? 
<lb/>Di che tronchi sospiri 
<lb/>Il mesto suono ascolto? 
<lb/>Ombra d'affanno rio, 
<lb/>Qual discolora il volto? 
<lb/>Ohime son'io, son'io 
<lb/>Cagion del tuo languire, 
<lb/>Cagion, che qui ti giaci in abbandono, 
<lb/>E lo posso soffrire? 
<lb/>E lo posso mirare empia, che sono? 
<lb/>Son vinta Amor, son vinta; 
<lb/>Ohimè, che in questi sguardi, 
<lb/>Quante lagrime son, tanti son dardi. 
<lb/>Son vinta Amor, son vinta, 
<lb/>Godi, trionfa pur di questo core, 
<lb/>Al fin son vinta, al fin ti cedo Amore.
<pb n= "37"/>
<lb/>Deh quando mai sì belle 
<lb/>Vi rimirai nel riso, 
<lb/>Qual nel pianto vi miro 
<lb/>Languidette mie stelle, 
<lb/>Fonti del mio martiro? 
<lb/>Quanto piu m'innamori 
<lb/>Con questi del bel crine 
<lb/>Lacerati tesori, 
<lb/>Con queste del bel volto 
<lb/>Oscurate viole, 
<lb/>Languidetto mio Sole. 
<lb/>Son vinta Amor, son vinta, 
<lb/>Godi, trionfa pur di questo core; 
<lb/>Al fin son vinta, al fin ti cedo Amore. 
<lb/>Med. Misero, ancor son viuo?
<lb/>Che fai dolor? fiero dolor, che fai? 
<lb/>Che non m'ancidi omai? 
<lb/>Ang. O Medoro, ò Medoro.
<lb/>Med. O mia Diua, ò mia luce, ò mio tesoro; 
<lb/>Deh se com'altra volta 
<lb/>Ritorni à darmi aita, 
<lb/>Sappi, sappi mia vita, 
<lb/>Che di tua bella mano 
<lb/>Ogni soccorso è vano, 
<pb n= "38"/>
<lb/>La mia piaga è nel core, 
<lb/>L'istess' Alma è ferita, 
<lb/>E sol morte, ed Amore 
<lb/>Posson dar refrigerio al dolor mio, 
<lb/>Da questo io non lo spero, 
<lb/>Da quella io lo desio. 
<lb/>Ang. Io torno à darti vita, 
<lb/>Vita del viuer mio. 
<lb/>La tua rara bellezza, 
<lb/>I costumi reali, e'l nobil core 
<lb/>Domato han del mio petto ogn'alterezza; 
<lb/>Io ardo se tù ami, 
<lb/>Sel Amor mio tù brami,
<lb/>Io, d' Amor mi consumo, e di desio, 
<lb/>Vita del viuer mio. 
<lb/>Med. Deh non prender à gioco
<lb/>Regina il mio martire;
<lb/>So ben, che ti rassembra 
<lb/>Temerario il mio foco, 
<lb/>Ingiusto il mio desire, 
<lb/>Ma se ben tropp audace è sì costante, 
<lb/>Il tuo Medoro, è sì fedele Amante, 
<lb/>Che senza te non vuole 
<lb/>Goder quest' Aura, e piu mirar' il Sole.
<pb n= "39"/>
<lb/>Ang. Che mio dir sia verace, 
<lb/>Vera del cor la face, 
<lb/>Questa destra reale à te sia pegno; 
<lb/>Con questa mano il Regno 
<lb/>Prendi degl' Indi, e la Beltà famosa 
<lb/>In van bramata innanti 
<lb/>Da mille Eroi, da mille Regi Amanti, 
<lb/>Sia per forza d'Amore oggi tua sposa. 
<lb/>Med. O pietade infinita; 
<lb/>Tù Regina degl'Indi,
<lb/>Tu per sottrarmi à morte
<lb/>Non disdegni à Medoro esser Consorte? 
<lb/>Come tanto diletto, 
<lb/>Come tanto gioire
<lb/>Può chiuder il mio petto?
<lb/>O man, che tante volte à me dai vita 
<lb/>Quel, che tenta la lingua in van ridire, 
<lb/>Dica tacendo, &amp; ammirando il core, 
<lb/>Se, nell'estrema gioia, oggi non more. 
<pb n= "40"/>
<lb/>SCENA QVINTA.
<lb/>Coro di Ninfe, e di Pastori, Seluaggio, 
<lb/>Angelica, Medoro. 
<lb/>Coro 	VIua Amor, viua Amore, e per sua gloria 
<lb/>di N.P 	In Cielo, in Terra, in Mar suoni vittoria. 
<lb/>Coro 	Prendi gentil Medoro
<lb/>di P. 	Ghirlandetta sì vaga,
<lb/>Onde lieto ti cingo il bel crin d'oro; 
<lb/>E sappi, che presaga 
<lb/>L'Alba del fin de vostri lieti amori, 
<lb/>Di sua mano intreccio sì vaghi fiori. 
<lb/>Coro 	Prendi ancor tu Regina
<lb/>di N.	Dalle tue Pastorelle,
<lb/>In quest'humil Ghirlanda, il core in dono. 
<lb/>Gareggia poi col Sole, 
<lb/>Egli cinto di rai, tù di viole.
<lb/>Selu. Gradite, ò lieti Amanti,
<lb/>Pompa maggior della Beltà del Cielo, 
<lb/>Gradite il puro zelo 
<lb/>Di quest'umile schiera;
<lb/>Tempo poscia verrà, che l'India altera,
<pb n= "41"/>
<lb/>Intessuta di gemme aurea Corona 
<lb/>Vi porga, ad onorar la nobil fronte; 
<lb/>All'or tra chiari Duci, e tra Guerrieri, 
<lb/>Riuolgendo i pensieri 
<lb/>A quest' Antro, à quest'Ombre, à questo Fonte, 
<lb/>Con piacer vi souuegna, 
<lb/>Che pure Ninfe, e semplici Pastori 
<lb/>Sposi Reali incoronar di fiori. 
<lb/>Ang. Gradisco il vostro affetto
<lb/>Cortesi amici, e del felice loco,
<lb/>Ou'arsi in sì bel foco,
<lb/>Haurò mai sempre innante 
<lb/>L'Aure, l'Acque, l'Erbette, i Fior, le Piante. 
<lb/>Med. Senti, deh senti 
<lb/>Il chiaro rio, 
<lb/>Ch'i puri argenti 
<lb/>Rimpendo và; 
<lb/>Al pianger mio 
<lb/>Ei pianse già, 
<lb/>Ora ridice: 
<lb/>Anch'ei felice, 
<lb/>Al Bosco, al Prato 
<lb/>Mio lieto stato. 
<lb/>Ang. Senti, deh senti 
<pb n= "42"/>
<lb/>La vaga Auretta, 
<lb/>Ch'i vanni lenti 
<lb/>Dispiega quì; 
<lb/>Ella soletta 
<lb/>Mia doglia udì, 
<lb/>All'aria, all'onde, 
<lb/>Et alle fronde 
<lb/>Or s'ode dire 
<lb/>Il mio gioire. 
<lb/>Med.Mira la Stella 
<lb/>Dell'altre Duce, 
<lb/>Che viè piu bella 
<lb/>Affretta il piè; 
<lb/>Dice sua luce, 
<lb/>Che l'alta fè, 
<lb/>Che i puri ardori 
<lb/>De' nostri cori 
<lb/>Compensar vuole 
<lb/>Partito il Sole. 
<lb/>Ang. Mira la Luna 
<lb/>Dall Oriente 
<lb/>Per l'aria bruna
<lb/>Rotar la sù; 
<lb/>Dice ridente, 
<pb n= "43"/>
<lb/>Che mai non fù, 
<lb/>Nè sia gia mai, 
<lb/>Ch'i suoi bei rai 
<lb/>Veggian' Amanti, 
<lb/>Qual noi costanti. 
<lb/>M.A. Spieghi di Gnido 
<lb/>Le vaghe piume 
<lb/>Il bel Cupido, 
<lb/>Che n'infiammò; 
<lb/>Venga il bel nume, 
<lb/>Che ne legò, 
<lb/>Già parte il giorno 
<lb/>A noi d'intorno, 
<lb/>Fauille, e fiori 
<lb/>Spargan gl' Amori. 
<lb/>Sel. Vedete, Regij Sposi,
<lb/>Vedete il Sol, che nel partir del giorno 
<lb/>Viè più s'auuiua, e piu si rende adorno; 
<lb/>Anzi mi par, che dica, 
<lb/>Ora ne vò contento,
<lb/>Or, ascondo contento i raggi d'oro, 
<lb/>Che per mano d'Amor legati veggio, 
<lb/>In cento nodi, e cento 
<lb/>Angelica,e Medoro.
<pb n= "44"/>
<lb/>Vieni Imeneo, deh vieni, 
<lb/>Stringi con laccio d'oro 
<lb/>Angelica, e Medoro. 
<lb/>Coro Viua Amor, viua Amore, e per sua gloria 
<lb/>In Cielo, in Terra, in Mar suoni vittoria.
<lb/>SCENA SESTA.
<lb/>Amore, Venere.
<lb/>Am. CHe dì, vezzosa Madre? 
<lb/>Sà questa man ferire? 
<lb/>Sà vincer quando vuole huomini, e Dei?
<lb/>Ven. Sì dolcissimo figlio; ò voi mortali, 
<lb/>Imparate à schernire 
<lb/>La face onnipotente, e gl'aurei strali.
<lb/>CORO.
<lb/>BEltà dono del Cielo, 
<lb/>Raggio del Sol piu chiaro, 
<lb/>Quant'in un mortal velo 
<lb/>Anco 'l tuo pregio è caro. 
<lb/>Offriron già nelle foreste Idee, 
<lb/>Al Pastor fortunato, 
<pb n= "45"/>
<lb/>Chi senno, e chi tesor l'Emule Dee, 
<lb/>Tu di farlo beato 
<lb/>Per bellissima Sposa 
<lb/>Giurasti,ò Madre dell' Idalio Arciero, 
<lb/>Sprezzò senno, ed Impero, 
<lb/>All' offerta gentil, tanto gli piacque 
<lb/>Quella beltà famosa, 
<lb/>Che dal Cigno Celeste in Grecia nacque. 
<lb/>Saggio il Troian Pastor, saggia non meno 
<lb/>Questa real donzella, 
<lb/>Ella le pompe, e' pregi 
<lb/>D'innamorati Regi 
<lb/>Sprezzò, d'alma bellezza accesa il seno; 
<lb/>Or fortunata à pieno 
<lb/>Stretta in soaue laccio
<lb/>Stassi à Medoro in braccio, e così dice. 
<lb/>Cercate auari cor, le gemme, e l'oro 
<lb/>Dell' Indica Pendice, 
<lb/>Cercate Tiro, e l'Eritree Marine,
<lb/>A questo vago crine, 
<lb/>Alle labbra, ch'io miro, 
<lb/>A' lumi ond'io sospiro, 
<lb/>Già mai non trouerete egual tesoro, 
<lb/>Ella sì dice, e mentre l'ode Amore, 
<pb n= "46"/>
<lb/>Fa legge al suo bel Regno,
<lb/>Che quanto piace al guardo approui il core. 
<lb/>Beltà dono del Cielo,
<lb/>Raggio del Sol piu chiaro, 
<lb/>Quant'in un mortal velo 
<lb/>Anco 'l tuo pregio è caro. 
<lb/>IL FINE.
</body>
</text>
</TEI>
Andrea Salvadori's Medoro (1623): A Basic TEI Edition Galileo’s Library Digitization Project Crystal Hall OCR cleaning Jenna Albanese XML file creation the TEI Archiving, Publishing, and Access Service (TAPAS)
360 Huntington Avenue Northeastern University Boston, MA 02115
Creative Commons BY-NC-SA
Based on the copy digitized by Google Books and corrected to the copy in Gallica. Medoro. Dramma di Andrea Salvadori fiorentino, rappresentato nel palazzo del Gran Duca di Toscana per la elezione dell'Impero di Ferdinando II. Salvadori, Andrea Florence Cecconcelli, Pietro 1623

This TEI edition is part of a project to create accurate, machine-readable versions of books known to have been in the library of Galileo Galilei (1563-1642).

This work was chosen to maintain a balance in the corpus of works by Galileo, his opponents, and authors not usually studied in the history of science.

Lists of errata have not been incorporated into the text. Typos have not been corrected.

The letters u and v, often interchangeable in early Italian books, are reproduced as found or as interpreted by the OCR algorithm. Punctuation has been maintained. The goal is an unedited late Renaissance text for study.

Hyphenation has been maintained unless it pertains to a line break (see "segmentation").

Word breaks across lines have not been maintained. The word appears in the line in which the first letters were printed. Words broken across pages appear on the page on which the first letters appear. Catch words are not included.

Il Medoro d'Andrea Salvadori rappresentato in musica nel palazzo del Serenissimo G. Duca di Toscana in Fiorenza. Per la Elezione all'Imperio della Sacra Cesarea Maestà dell'Imperatore Ferdinando Secondo. Dedicato al Serenissimo Don Ferdinando Gonzaga Duca di Mantova, e di Monferrato. In Fiorenza, Appresso Pietro Cecconcelli. 1623. Con Licenzia de' Superiori. Alle Stelle Medicee.
1623
IL MEDORO D'ANDREA SALVADORI RAPPRESENTATO IN MVSICA NEL PALAZZO DEL SERENISSIMO G. DVCA DI TOSCANA IN FIORENZA. Per la Elezione all' Imperio della Sacra Cesarea Maestà dell'Imperatore FERDINANDO SECONDO. Dedicato al Serenissimo DON FERDINANDO GONZAGA Duca di Mantoua, e di Monferrato. IN FIORENZA, Appresso Pietro Cecconcelli. 1623. Con Licenzia de' Superiori. ALLE STELLE MEDICEE. AL SERENISSIMO DON FERDINANDO GONZAGA, DVCA DI MANTOVA, E DI MONFERRATO. Signore, e Patron mio Colendissimo. IL Medoro (Serenissimo Signore) ricordeuole dell'onore al quale l'aueua destinato V. A. all'ora che nel felicissimo Maritaggio della Sacra Cesarea Maestà dell'Imperatrice sua Sorella, ella lo volse tar degno d'esser rappresentato in Mantoua; poiche per la subita partita di quella Maestà in Germania, egli non potè conseguire così segnalata grazia, si contentaua più tosto di starsi celato appresso il suo Autore, che comparire in luce con minor ventura. Ora sentendo io, che essendo stata trascritta vna parte di esso, e diuulgata in varij luoghi, correua non solamente risico di esser rappresentato, ma dato ancora alle stampe molto diuerso da quello, che era appresso di mè, hò giudicato ben fatto, che egli con publica comparsa, qualunque egli si sia, venga à rassegnarsi à V. A. per suo. Ella lo vedrà molto vario da quello, che la prima volta fu veduto in Scena, e se potrà parer pouero ne miei versi, la veste della Musica, onde l'hà nuouamente arricchito il Sig. Marco da Gagliano, lo renderà appresso di lei, e riguardeuole, e grato; Riceua dunque da me, per douuto obligo di mia seruitù, questa Fauola, che le fu prima conceduta in dono dalla Serenissima Arciduchessa mia Signora, e se non vedrà nel mio Medoro la bellezza, con la quale egli inuaghì quell'antica Regina, potrà almeno conoscere in lui l'istessa fede, & osseruanza verso i Principi suoi SS. ond'egli possa esser fatto degno dell'amore, e protezione di V. A. S. alla quale baciando vmilissimamente la veste, le prego dal Cielo il colmo d'ogni felicità. Di Fiorenza il dì primo di Gennaio 1623. Di V. A. S. Vmiliss. e Deuotiss. Seruo Andrea Saluadori. ARGOMENTO MEDORO nato in Tolomitta, d'oscura Stirpe, ma dotato d'estrema bellezza, amò con tanta fede Dardinello Rè d'Alzerbe suo Signore, che essendo questi rimasto morto in una battaglia sotto Parigi, egli con mirabil'esempio di fedeltà, passando di notte per mezzo il campo nemico, andò à cercare tra innumerabili Cadaueri il corpo dell'amato Rè, per dar à quello il douuto onore di Sepoltura. Auendolo felicemente trouato, e con esso in spalla tornando à gl'alloggiamenti, fù veduto da alcuni Caualieri nemici, i quali ferendolo con un'asta in mezzo al petto, lo lasciarono in terra per morto. Giunse, doue il misero Giouine era vicino à perder la vita, Angelica Regina del Cataio, bellissima sopra tutte le donzelle della sua età, ma oltremodo altiera, e sprezzatrice d'Amore; questa auendo da lui inteso il miserabil successo, fatta pietosa della sua disauuentura, prima con un'erba gl'arrestò il sangue, e poi facendolo condurre nel vicino albergo d'un Pastore, iui tanto si trattenne, che in tutto lo rese sano di quella ferita. In questo tempo, auendo veduto nel Giouine merauigliosa bellezza, e costumi nobilissimi, ella, che aueua prima sprezzate le nozze del Rè de' Tartari, e del Rè de' Circassi, e l'amore de' primi Caualieri della Corte di Francia, e di Spagna, vinta da estremo amore, antepose Medoro ad ogn'altro, e lo prese per suo Consorte. L'Istoria di questi Amanti è descritta in vniuersale dall' Ariosto; i particolari accidenti di essa, e come questi peruennero al fin de loro amori, son propri di questa Fauola, descritti però con quella breuita, che richiede la Musica, per la quale è stata composta. INTERLOCVTORI Amore. Venere. Angelica Regina nell'India. Medoro Seruo di Dardinello Rè d'Alzerbe. Sacripante Rè di Circassia. Seluaggio Pastore Ospite d'Angelica, e di Medoro. Ombra di Dardinello Rè d'Alzerbe. Coro di Pastori. Coro di Ninfe. La Scena è nelle Selue di Francia. La Fortuna fa il Prologo. LA FORTVNA. IO, che trionfo à mio talento, e regno Quì sotto il Ciel della gelata Luna, Io possente Fortuna Chiari Regi d' Etruria à voi ne vegno, E fermo in solitari ombrosi Chiostri Soggetta la mia Rota a' cenni vostri. Nelle Selue de' Franchi oggi discesa Nato in pouera sorte, al bel Medoro Darò corona d'oro, D'Amor' intenta à secondar l'impresa; Poscia di quì partendo in altra parte Andrò le glorie à secondar di Marte. Là nel Regno German del nuouo Augusto Inchinerommi alle felici piante, E sempre à lui costante Lo seguirò contro lo stuolo ingiusto; Là mi chiama Giustizia, iui m'aspetta Virtude, e vuol, ch'io pugni à lei soggetta. Gioisci auuenturosa Italia, e Roma, Rinouella Germania i tuoi gran pregi; Veggio a' domati Regi Voi di nuouo calcar l'altera chioma, Ed Austria ogn'or nella famosa Sede Astrèa posarsi, e trionfar la fede. ATTO PRIMO. SCENA PRIMA Amore, e Venere. Am. MADRE, ò mio diletto, Nel tuo leggiadro riso, Ne' lumi, e nel bel viso Tempra nuoue, al tuo figlio, armi fatali, Che saettando un petto, Già tutte ho consumate, e fiamme, e strali. Ven. Qual cor di fredda pietra, Qual fu beltà sì fiera? Per cui vota riman l'aurea faretra ? Am. Nel crudo fen della Regina altera, A cui l'India soggiace Tutte, Madre, auuentai l'aspre quadrella, E quasi spensi in van l'ardente face, Ma pur nelle mie fiamme oggi si sface. Ven. O s' Angelica bella Arde, da te ferita, Che baci ti prometto Per si nobil vittoria, e si gradita? Ma dì, bel Pargoletto, Dimmi per qual de suoi Famosi Amanti Eroi, La tua fera nemica oggi sospira? Fors'al Guerrier d'Anglante, De' suo' tanti trofei La darai per mercede? O del Circasso generoso Amante Così compenserai la nobil fede? Am. Poiche Guerrieri, e Regi Disprezzati mirai Dalla Beltà superba, Per lo sol del tuo volto, Bella Madre. giurai Far dell'altero cor vendetta acerba, E grauissimo sdegno in seno accolto Determinai, che d'amoroso foco Per vmil seruo ardesse, Chi l'amor degl' Eroi si prese in gioco. Ven. Degna di te vendetta, Amato figlio, or fammi noto à pieno Per chi l'aurea saetta Colmò di dolce foco il crudo seno. Am. Tra quelle ombrose piante Giacea da fiera man trafitto il petto Medoro il Giouinetto, E tale ei si dolea, ch'a' suoi lamenti Piangean le fiere, e l'onde, Sospirauan le fronde, E fermauan il volo in aria i venti; Madre sia con tua pace, Non mai sì dolce entro l'Idalia riua, Languì ferito il tuo leggiadro Adone, Come il vago Garzone iui languiua; Là dou'egli spargea Da gl'occhi il pianto, e dalla piaga il sangue, Giunta la figlia del gran Re de gl'Indi, Vede l'alma Beltà, ch'à morte langue; Dalla man di pietade all'ora io prendo Soauissimo dardo, Ed al girar del languidetto sguardo, Alla cruda Regina il petto accendo. Ven. Fù saggio auiso ò figlio Prima, con la pietade, Arrestare il bel ciglio, Poi saettarle il cor con la beltade. Am. Per l'Eteree contrade Finito ha Cintia l'immortal suo corso. Da che del Giouinetto Alla salute intenta Ella soggiorna in sì gioconda riua; In questo tempo, ò Diua Pietà, Bellezza, il solitario loco, I verd'anni, e'l mio foco Han fatto al sen di lei perpetua guerra; Già crolla, e già per terra Cade la rupe del gelato core; Ma superbia reale Di vano armata in tempestiuo onore, S'oppone al fulminar di questo strale; Costei vede in Medoro Regio cor, nobil fede, alma bellezza; Arder allor si sente, Colpa d'empia fortuna: in lui poi vede Pouertade, e bassezza; D'amare allor si pente, Così nel core altero Pugna quinci superbia, e quindi Amore; Ma l vsata vittoria al fine io spero. Ven. Amò la Dea che l'Oriente infiora Cefalo Cacciatore, Amo la Dea, ch'il primo Cielo indora Endimion Pastore, E questa superbetta, Il leggiadro Medoro amar si sdegna, Medor, che trà mortali è qual tu sei Figlio, tra gl'altri Dei. Am. Ma tra le fiamme de' celesti Cori, Perche bella mia Diua, Perche mi taci i tuoi sì cari ardori? Sò pur che nella riua Del tuo bel Cipro, e per l'Idee contrade Spesso stringesti al sen mortal beltade. Ven. Taci, mio figlio, taci, Ch'al fin son le tue faci Colpa de falli miei. Am. Orsu Madre gentil, parlian di lei; Armisi pur d'orgoglio, Induri al foco mio l'alma ritrosa, A suo mal grado io voglio, Che del vago Medor diuenga sposa. Madre del Regno mio sostegno, e vita; Tù dalla terza sfera D'alati pargoletti, Di gratie, di desiri, e di diletti Qui mi conduci omai la bella schiera; Ch'ogni mia forza vnita, In questo dì, vo' trionfare à pieno Del superbo rigor di quel bel seno. Ven. Tosto spiegar il volo A' miei Cigni farò nell'alta reggia Per tutt'armar le mie vezzose squadre. Am. Io quinci ascoso, e solo Attenderò, ch'a me ritorni ò Madre. SECONDA. Angelica. AHI, che dolce veleno, Qual incognita fiamma à poco à poco Con sì grato dolor mi serpe il seno? Certo quest' è 'l tuo foco, O doglia de' mortali ingiusto Amore, Che ti fà seruo à mio mal grado il core. Io nel soglio de gl' Indi un tempo auuezza Le fiamme à disprezzar di Regi Amanti, Or sotto angusto tetto Per vmil giouinetto, Spargo dal freddo cor sospiri, e pianti? O superba bellezza, Oue son i tuoi pregi, oue i tuoi vanti? Ah non andar altero Ancor di tua vittoria, Amor Tiranno, Ch'io saprò tormi al tuo crudele Impero; Lascierò queste selue, Oue perdei mia pace, Fuggirò nud' Arcier l'empia tua face. Ma deh, come qui solo, Medoro anima mia, Potrò lasciarti, e non morir di duolo ? O libertà gradita, O spietata mia sorte, O Medoro, ò ferita, Che sanata da me, mi dai la morte. SCENA TERZA. Medoro. SANATA è quella piaga, Che Barbaro crudel nel sen mi diede, Ma quella, onde mi fiede Innocente bellezza, ed omicida, Chi fia, che mai risani, Si, che'l fero martire, ahi non m'ancida? Anima del cor mio, come non miri, In questo petto ascosa L'aspra piaga nouella, Come mirasti quella, Di cui tua bella man fù si pietosa? Che bramo ohimè, che chieggio, Dou'inalzo il desio Misero, e non m'auueggio Qual'è questa, che m'arde, e qual son'io? Riconosci Medoro La tua pouera sorte, Sai, che per tropp'alzarsi Icaro cadde; Sai, che di tropp'ardir premio è la morte; Ma pure (oh qual lusinga Soauissima speme il core amante) Pur veggio, ò veder parmi Vn conforme desio nel bel sembiante, Che'l chiuso foco à palesar m'inuita, Chiedete dunque aita Alle fiamme del core, Fidi messi dell'alma, occhi dolenti, Chiedete aita, ò miei sospiri ardenti, Ch'ogni disuguaglianza adegua Amore. CORO. PER la marina L'Aura scherzaua, L'Aura vagaua Per l' Aria rugiadosa, E in su la spina De' fior regina Lieta ridea la rosa, All'or, ch'in Gnido Nacque Cupido. Là dou'ei nacque D'aurette, e fiori Di grati odori Nudrillo il bosco, e'l prato; Poscia gli piacque Nelle bell'acque, Bagnar lo strale aurato, E delle Linfe Ferir le Ninfe. Riserba ancora La selua, e'l fiume Gentil costume, Che le sue faci auuiua, L'onda innamora, Lusinga l'Ora, Mossa da fresca riua; E verde erbetta Il cor saetta. Quanto cocente Per le foreste Sia del celeste Arcier la viua face, Nell'alta mente Oggi lo sente Questa, ch'auuampa, e tace; Questa sì bella Già sua rubella. Già troppo folle Nell'alto soglio Solea d'orgoglio Armar il core altero. In vmil colle Oggi le tolle Amor di sè l'Impero, Ed ogni loco Arma di foco. Tra fiori, e l'erba Or sale il monte, Or di bel fonte Cerca l'onda stillante; Poi disacerba Sua pena acerba Con l'aure, e con le piante, Amor la vede, E più la fiede. Aure felici, Ombrose piagge, Piante seluagge, Onde del chiaro rio; Voi Genetrici, Voi le Nutrici Sete del bel desio. Hà quì sua gloria, Hà quì uittoria. ATTO SECONDO. SCENA PRIMA. Sacripante. OR và Rè di Circassi, Del superbo Agrican frena l'orgoglio, Il combattuto soglio Di Regina ingratissima difendi, Inerme, e solo all'aer cieco attendi Nembi d'aste, e di spade, Muoui a' cenni di lei dou'il Sol cade, Doue sorge l'Aurora, E di poi qual mercede Hai dall'empia beltà, che 'l core adora? Ah, che scarca d'un guardo alla tua fede Fù la rigida fera, Per cui tanto hai sofferto, Or porge à nuouo Amante, Misero Sacripante, De tuoi sudori, e del tuo sangue il merto. Qualunque sij, che'n queste selue ascoso Godi, sempre à me crudo il mio bel sole, Và nel Ciel luminoso Fuggi nel centro oscuro, Non sarai mai dall'ira mio sicuro. Suellerò dal tuo petto Il troppo audace core, Andando poscia innante Alla fiera cagion del mio dolore, Dirolle; ingrata in questa man ti porto L'Idolo tuo diletto, Vedi, godi'l tuo bene, il tuo consorto, E mostrandole espresso Il mio feruido amore, e'l suo gran torto, Con questo ferro vcciderò me stesso. SCENA SECOND A. Angelica. CHE più volgo dubbiosa Nell'agitato petto? Sù Regina degl' Indi Suelli il mal nato affetto, Dall' Anima Reale, e generosa. Vedi il Rè di Circassi Vanne, seco, al tuo Regno, E lascia in queste selue Sepolto del tuo core il foco indegno. Deh, che nodo tenace? Stringi all' Anima mia, leggiadro crine? Belle luci diuine, Che fiamme minacciate al cor fugace? Ah, ch'è men graue assai Occhi, perder' il Sol, ch'i vostri rai. SCENA TERZA. Seluaggio Ospite d'Angelica, Angelica. REGINA il bel Medoro In periglio è di vita. Ignoto Caualiero, Segue di lui la traccia, Sì nel sembiante disdegnoso, e fiero, Che la selua atterrisce, e'l Ciel minaccia. Ang. Che sento? Ospite mio Deh vanne à lui veloce, Dì ch'in sicura parte, Si tolga all'ira del Guerrier feroce; In tanto io penserò, fuor d'ogni danno, Come lui tragga, e tragga me d'affanno. Selu. Vonne pronto a tuoi cenni. Misero Giouinetto, Che nuoui rischi alla tua vita aspetto? Ang. Chi vincerà di voi Nel campo del mio core? Real Grandezza, e lusinghiero Amore; Chi vincerà di voi? SCENA QUARTA. Medoro, Sacripante. Med. O Dell'onde, e del Sole Vezzosissima Prole, Aure gradite, Fermate il volo, e le mie voci vdite. Su questo Prato adorno Viene al nascente giorno il mio bel Sole, E cinge all aureo crin rose, e viole. All'or dal suo bel volto Voland al crin disciolto in questi accenti, Aure dite il mio foco, e i miei tormenti. O Donna, ò Sole, ò Diua Per te sù questa riua vn cor si sface, Ma riconosce sua bassezza, e tace. Sacr. Chi sei? che Sol che Diua Chiami tra queste piante? Med. Signore io son Medoro Seruo del Re d'Alzerbe, E Dea Celeste in queste selue adoro. Sacr. Tu Medoro? ah vil seruo, il Cielo innante Al mio giusto furore oggi ti guida, Dou'è, dou'è l'infida Tiranna del mio petto, Che veggia al fulminar di questo ferro Le viscere trafitte al suo Diletto? SCENA QVINTA Angelica, Sacripante, Medoro. Ang. VOlgiti à me Signore, Loco tra tanto sdegno Habbia tua Gentilezza, e'l nostro Amore. Sacr. O ben che falso, e rio, Par caro al guardo mio leggiadro volto, S'altri mi t'hà già tolto, Lasso, se mio non sei, Come tanto sei caro à gl'occhi miei? Crudel da te schernito, Da te, crudel, tradito, Sdegnarmi contro te, nè sò, nè voglio, Ben del mio cor mi doglio, Ch'à sì perfida Donna, e sì crudele Si mostri ancor fedele. Ma perche tanto la vendetta tardo? Paghi, paghi costui I proprij falli, e la perfidia altrui. Ang. Signore omai t'acqueta, Troppo vano sospetto L'innamorato petto à sdegno muove. Soura'l nudo terreno Giacea quest' infelice Da barbarica mano aperto il seno, Pietosa, e non amante, Io di lui risanai l'aspra ferita. Or lascia, che la vita Goda, che di mia mano è nobil dono; E se pur quella sono, Quella sì cara un tempo à gl'occhi tuoi, Fà, ch'io non chieggia in vano Aita alla tua mano, O chiaro sol de' più famofi Eroi. Sacr. Ecco il tuo fido seruo, Ecco l'istesso petto, Che già per tua salute Esposi ignudo à tutta Scitia armata. Di lui, di questa man, di questa spada, E del core, e dell'alma Disponi, ò mio bel Sol, come t'aggrada. Ang. Quello, che da te chieggio, O magnanimo Rege, E, che l'inuitta destra Tanto ancor mi difenda, Ch'in India mi conduca al mio bel Seggio; Iui sò qual conuiensi, Degna di me, degna di te mercede. Onde si ricompensi, Così nobile amor, così gran fede. Med. Che sento, ohimè, che sento? Sacr. O dolcissimi detti, ò me beato; Partiam da queste selue, Partiamo anima mia, Schiere, Mostri, Giganti, orride Belue, Lieue, per tua beltà, vincer mi fia. Ang. Addio Medoro, io parto. O dolore, ò partita, O fin della mia vita. SCENA SESTA. Medoro. COR mio doue ne vai, doue mi lasci? Come viuer poss'io Senza di te cor mio? Quegli, quegli pur sono, La cui misera sorte Fermò la bella mano à darmi vita, Ed ora in preda à Morte Mi lasci in abbandono, Ahi si rara pietà dou'è sparita? Cor mio doue ne vai, doue mi lasci? Come viuer poss'io Senza di te cor mio? Deh se di questo seno, Fermasti il piede in rimirando il sangue, Del mio cor, che vien meno, Dell Anima, che langue Mira l'ultimo sangue, in questo pianto, E'l piede arresta in tanto. Ohimè se da me parti, Perche sdegni mirar la mia bassezza, Arresta, arresta il piede, E mira poi che pregi, e qual ricchezza, Spargon' in questo volto Amore, e Fede, Arresta, arresta il piede, E di pouero Amante Non prender, ò Regina, il foco à vile, Che se bassa è mia sorte, è'l cor gentile, Cor mio doue ne vai, doue mi lasci, Come viuer poss'io Senza di te cor mio? Ah, ch'a ragion mi fuggi, A ragion m'abbandoni, io stesso, io stesso Son reo della mia morte; Folle, non solo osai, Il sol della beltà mirar d'appresso, Ma sperai di gioire al suo bel lume; Cadi, cadi nel fiume Delle lagrime tue nuouo Fetonte, Cadi in un mar di pianti. Icaro sfortunato, Nouello esempio a' temerari Amanti: Di voi, di voi mi doglio Occhi miei troppo folli, e troppo audaci, Da voi vien la mia morte, e'l suo disdegno; Ne' vostri ardenti giri, Lesse gl'alti desiri; Vide l'alte mie faci, e l'ebbe à sdegno, Che celeste bellezza Non deue, da' mortali, esser amata, Ma nel core adorata, Errai mia vita; errai, Troppo ascese il mio core, Troppo volli da te, troppo bramai, Errai mia vita, errai. Vanne, vanne pur lieta anima mia Nella Regia famosa, Viui di sì gran Rè felice Sposa. Io se amando t'offesi, Perche tropp'alto i miei desiri intefsi: De folli lumi, e del superbo core, Con questa man vendicherò l'errore. Addio per sempre, addio Pura luce un giorno. Addio per sempre, addio Solitario soggiorno, erme foreste, Piante, piante funeste, A' cui l'incendio del mio core apersi; Voi tra solinghi orrori La memoria ascondete De' miei sì vani amori. E tu mio Sol perdona Se troppo amò, se troppo osò Medoro. Ecco mi passo il petto, ecco ch'io moro. SCENA SETTIMA. Ombra di Dardinello, Medoro. CHE fai, la mano arresta, Ah non troncar con sì spietata morte Il nobil filo di tua vita acerba, Ch'à troppo amica sorte, O mio seruo fedele, il Ciel ti serba. Med. Che veggio, ahi, che sembianza, In un diletta, e inorridisce il core ? Omb Vedi il tuo Rè, Medoro, Vedi il tuo Dardinello. Med. O diletto Signore, A te ne vegno, e le tue piante abbraccio, Ma deh perche mi fuggi, oue t'ascondi? Omb Stringer in darno tenti Alma cui più non lega il mortal laccio, Ombra son io del gran figliol d'Almonte, Ch'in quest'ameno chiostro Erro d'intorno alla diletta spoglia, Ed or tra l'erme piante, Nell'antica sembianza à te mi mostro Vago di consolar l'aspra tua doglia. Med. Lascia signor, ch'on disperato Amante, Che non puote tra viui hauer conforto, Almeno in grembo à morte ottenga pace. Omb Viui, viui Medoro, E vedi qual mercede Attenda il ben oprar d'ogni mortale; Tu ponesti in non cale, Per dar sepolcro al mio caduco velo La propria vita, ora compensa il Cielo Verso il tuo Rè l'incomparabil fede; L'alto impero de gl' Indi egli ti porge, Il suo voler ti scorge Prima, che scenda in Occidente il Sole A diuenir d'Angelica Consorte; Godi pur di tua sorte Fortunato Medoro, Tra l'aure, io mi dileguo à far soggiorno Alle fredd' ossa intorno. Med. Veglio? son viuo? ò nel dolor vaneggio? O sempre à me gradita, e nobil alma, Sò, che per tua pietade Per vietarmi il morire, Così lusinghi il feruido desire; Viurò, non perch'io creda Di viuer a' diletti, Di viuer al conforto Signor, che mi prometti, Ma per sempre obbedirti, e viuo, e morto. CORO. AL pianto di Medoro Piangete, ò valli, ò monti, Piangete al pianto suo ruscelli, e fonti. Tutto da se diuiso, Nell' aspro duol vien meno, Batte il candido seno Si lacera il bel viso, Sparge di pianto le dolenti stelle, E si diuelle La chioma d'oro. Al pianto di Medoro, Piangete, ò valli,ò monti Piangete al pianto suo ruscelli, e fonti. Chi nell'onda Tirrena Di lusinghiero ciglio, E di perfido core il mostro finse. Nel nome di Sirena, Dolce del mar periglio, Bellezza feminile, allor dipinse. Questa d'ogni mortale, Tormentoso diletto Amabile dolor, gradito male, E la fiera crudel di dolce aspetto, Che co' vezzi d'Amore Alletta il guardo, e poi dà morte al core. Splende crinita Stella, Ne' bei campi celesti, Quant'è dolce à mirar sua chioma bella, Ma da raggi funesti, Qual discende a mortali aspra procella? Splende nel ciel d'un volto Bellezza feminile, Quant'è dolce à mirarsi in noi riuolto Suo bel raggio gentile; Ma da quel lume, che sì grato splende, Qual guerra di tormenti al cor discende? Lusinghiera bellezza, Mostro, ch'ancidi, e piaci, Chi sapesse mirar la tua fierezza Fuggiria le tue faci; Ma tu col rio seren d'un bel sembiante Promettendo tranquillo il mar di doglia, Fai, che dietro ti scioglia Le vele del defio credulo amante, Accioche poi tra pianti, e tra querele Lo sommerga d'orgoglio onda crudele. Giouinetto infelice, Tu, ch'al fallace lume, D'incostante bellezza allettatrice, Spiegasti incauto del tuo cor le piume; Ora, ch'in preda al duolo, Tua speranza gentil vedi tradita, Conosci come solo, Per tormento dell'alma Amor n'inuita, E che per dar al cor lungo martire, Gli fa spesso prouar breue gioire. Al pianto di Medoro, Piangete, ò valli, ò monti, Piangete al pianto suo ruscelli, e fonti. ATTO TERZO. SCENA PRIMA. Seluaggio, Coro di Pastori. Selu. SV felici Pastori Di lietissimi gridi Risuoni il Bosco, e'l Prato; La sì bella Regina, Il Sol di questi lidi, Quinci ne riconduce amico fato. Cor. Che narri, ò buon Seluaggio? Partissi in questo giorno Verso l'antico Regno, A queste piagge, or come fa ritorno? Selu. Là sul Prato del Tempio Io l'ho pur hor lasciata; E quà riuolgo i passi Per ritrouar Medoro. Coro. O qual sarà, di lui, misero scempio, Se de fieri Circassi L'ingelosito Rè, quinci lo troua? Selu. Lungi da voi rimuona Il Cielo ogni timore, Sola è la bella Donna, E se pur altri è seco, è quegli Amore. Coro. Deh fanne omai palese, Come partì sì tosto, Come sì tosto torna, e doue resta Quel superbo guerrier se non è seco? Selu. Confusa a' fieri detti, al fiero aspetto Dell'adirato Amante, Non seppe in quell'istante Trouar la bella Donna altro riparo; Ma visto il Giovinetto In periglio di vita, A mal grado del cor fece partita. Partissi, e la maggiore Fù di tante sue pene Il mostrar lieto in quella doglia il core; Quanti per gl'aspri sassi, Moffe languidi passi, Tante sentì ferite in mezzo al petto; Lasciar il suo diletto, Il suo core, il suo bene, Hauer chi s'odia appresso, E lungi chi s'adora, Ditel amanti voi se l' Alme accora. Coro. Ah, che quest' è 'l martir ch'ogn'altro eccede. Selu. Amor, Amor, cred'io, Dopp'hauer riso alquanto Di quel pett'orgoglioso, Fatto di lei pietoso, Guidolla in parte, oue con pronto inganno Si tolse a quell'affanno. Non lungi à queste riue Sorge d' Atlante, il periglioso Albergo, Oue chi ferma il piede, Per mirabil'incanto unqua non riede; Iui giunta la Donna, Conobbe tosto il loco, E tosto s'auiso, come potesse Lasciar il Caualiero; Onde, come se voglia Hauesse di saper quel, che si cela Entro l'altere Mura, Prego, che quel Guerriero Ponesse il piè sù l'incantata soglia; Egli pronto obbedì, suo dolce Impero. All'or da lui sicura Fece Angelica bella à noi ritorno, Lasciat'hauendo il troppo incauto amante Nella piena d'error, Casa d'Atlante. Cor. A Medoro, à Medoro Corriam, voliam, Compagni, Chi per questa contrada, e chi per quella A dar di lei nouella. SCENA SECOND A. Amore, Coro della Corte di Venere, Venere. Am. ECCO la bella Madre, Ecco l'armate squadre. Nutrite, ò Cipro, ò Gnido Nouelli Mirti à coronarm' il crine, Ch'io veggio già dell'alta impresa il fine. Cor. All'assalto d'un core, Ecco fiamme, ecco strali, ardor, furore. Ven. Quest'è l'inuitto dardo, Che già trafisse il Regnator di Delo, E nell'onde, e nel Cielo Costrinse à lagrimar Nettuno, e Gioue; Prendil, ò figlio, e fa l'usate proue. Cor. All'assalto d'un core, Ecco fiamme, ecco strali, ardor, furore. Am. Chi sparso nel bel rio, chi tra le piante, Quand' Angelica giunge in questo loco, Auuentate fauille, Auuentate saette, à mille, à mille. Io nel vago languir d'un bel sembiante Spargerò, nel suo cor, tutt'il mio foco . Cor. All'assalto d'un core Ecco fiamme, ecco strali, ardor furore. SCENA TERZA Medoro. O Piante à voi ritorno, A voi ritorno, ò solitari orrori; Solea quì far soggiorno, Quì la chioma real cingea di fiori, In questi chiari vimori Bagnò la bella fronte; O gelid'ombre, ò fonte, Nel vostro roco mormorar vi sento Pianger i propri danni, e'l mio tormento. Quel Sole, amiche piante, Che rese di vostr'ombre il Ciel men chiaro, Or per destino auaro Risplende, ad altra riua, ad altro Amante, Or mentre al bel sembiante Altri si scalda, e rimangh'io di ghiaccio, La sua memoria in questi tronchi abbraccio. Prendi doglioso rio Il pianto, ch'io distillo alle tue sponde, L'unisci poi con l'onde, Con l'onde, che bagnar l'Idolo mio. Occhi del van desio Portate voi la pena, Voi con eterna vena, Occhi priui del Sol, priui di lei, Tutto spargete il cor, ne' pianti miei. Ohimè, che'l debil fianco Sostener piu non posso. Qual gelido sudor tutto m'ingombra? Qual velo i lumi adombra? Lasso da per se stesso Esce di vita il core, Quel, che non fe la mano, opra il dolore. SCENA QVARTA. Angelica, Medoro. Ang. O Seluaggio, ò Seluaggio, Di che nouello stral m'hai tù ferita, Nel dirmi, che Medoro Ha lagrimato sì la mia partita? Ardea quando pensaua Esser sola ad amar, sola à languire, Or nell'altrui desio Sì cresce il foco mio, Che m'è forza scoprirlo, ò pur morire. Ecco chi m'innamora, ecco chi m'arde; Non sorge, e non mi vede? Forse stanco dal pianto Chiude i bei lumi al chiaro fonte à canto. In che leggiadra forma Posa il candido fianco; Tal mi credio, che dorma Di saettar già stanco Soura l'Idalia sponda, Amor al suon dell'onda. Medoro; ah tù non dormi, Tu non dormi, cor mio, languisci à morte. Di che dolenti stille, O mie dolci pupille, Aspersi veggio i due beati giri? Di che tronchi sospiri Il mesto suono ascolto? Ombra d'affanno rio, Qual discolora il volto? Ohime son'io, son'io Cagion del tuo languire, Cagion, che qui ti giaci in abbandono, E lo posso soffrire? E lo posso mirare empia, che sono? Son vinta Amor, son vinta; Ohimè, che in questi sguardi, Quante lagrime son, tanti son dardi. Son vinta Amor, son vinta, Godi, trionfa pur di questo core, Al fin son vinta, al fin ti cedo Amore. Deh quando mai sì belle Vi rimirai nel riso, Qual nel pianto vi miro Languidette mie stelle, Fonti del mio martiro? Quanto piu m'innamori Con questi del bel crine Lacerati tesori, Con queste del bel volto Oscurate viole, Languidetto mio Sole. Son vinta Amor, son vinta, Godi, trionfa pur di questo core; Al fin son vinta, al fin ti cedo Amore. Med. Misero, ancor son viuo? Che fai dolor? fiero dolor, che fai? Che non m'ancidi omai? Ang. O Medoro, ò Medoro. Med. O mia Diua, ò mia luce, ò mio tesoro; Deh se com'altra volta Ritorni à darmi aita, Sappi, sappi mia vita, Che di tua bella mano Ogni soccorso è vano, La mia piaga è nel core, L'istess' Alma è ferita, E sol morte, ed Amore Posson dar refrigerio al dolor mio, Da questo io non lo spero, Da quella io lo desio. Ang. Io torno à darti vita, Vita del viuer mio. La tua rara bellezza, I costumi reali, e'l nobil core Domato han del mio petto ogn'alterezza; Io ardo se tù ami, Sel Amor mio tù brami, Io, d' Amor mi consumo, e di desio, Vita del viuer mio. Med. Deh non prender à gioco Regina il mio martire; So ben, che ti rassembra Temerario il mio foco, Ingiusto il mio desire, Ma se ben tropp audace è sì costante, Il tuo Medoro, è sì fedele Amante, Che senza te non vuole Goder quest' Aura, e piu mirar' il Sole. Ang. Che mio dir sia verace, Vera del cor la face, Questa destra reale à te sia pegno; Con questa mano il Regno Prendi degl' Indi, e la Beltà famosa In van bramata innanti Da mille Eroi, da mille Regi Amanti, Sia per forza d'Amore oggi tua sposa. Med. O pietade infinita; Tù Regina degl'Indi, Tu per sottrarmi à morte Non disdegni à Medoro esser Consorte? Come tanto diletto, Come tanto gioire Può chiuder il mio petto? O man, che tante volte à me dai vita Quel, che tenta la lingua in van ridire, Dica tacendo, & ammirando il core, Se, nell'estrema gioia, oggi non more. SCENA QVINTA. Coro di Ninfe, e di Pastori, Seluaggio, Angelica, Medoro. Coro VIua Amor, viua Amore, e per sua gloria di N.P In Cielo, in Terra, in Mar suoni vittoria. Coro Prendi gentil Medoro di P. Ghirlandetta sì vaga, Onde lieto ti cingo il bel crin d'oro; E sappi, che presaga L'Alba del fin de vostri lieti amori, Di sua mano intreccio sì vaghi fiori. Coro Prendi ancor tu Regina di N. Dalle tue Pastorelle, In quest'humil Ghirlanda, il core in dono. Gareggia poi col Sole, Egli cinto di rai, tù di viole. Selu. Gradite, ò lieti Amanti, Pompa maggior della Beltà del Cielo, Gradite il puro zelo Di quest'umile schiera; Tempo poscia verrà, che l'India altera, Intessuta di gemme aurea Corona Vi porga, ad onorar la nobil fronte; All'or tra chiari Duci, e tra Guerrieri, Riuolgendo i pensieri A quest' Antro, à quest'Ombre, à questo Fonte, Con piacer vi souuegna, Che pure Ninfe, e semplici Pastori Sposi Reali incoronar di fiori. Ang. Gradisco il vostro affetto Cortesi amici, e del felice loco, Ou'arsi in sì bel foco, Haurò mai sempre innante L'Aure, l'Acque, l'Erbette, i Fior, le Piante. Med. Senti, deh senti Il chiaro rio, Ch'i puri argenti Rimpendo và; Al pianger mio Ei pianse già, Ora ridice: Anch'ei felice, Al Bosco, al Prato Mio lieto stato. Ang. Senti, deh senti La vaga Auretta, Ch'i vanni lenti Dispiega quì; Ella soletta Mia doglia udì, All'aria, all'onde, Et alle fronde Or s'ode dire Il mio gioire. Med.Mira la Stella Dell'altre Duce, Che viè piu bella Affretta il piè; Dice sua luce, Che l'alta fè, Che i puri ardori De' nostri cori Compensar vuole Partito il Sole. Ang. Mira la Luna Dall Oriente Per l'aria bruna Rotar la sù; Dice ridente, Che mai non fù, Nè sia gia mai, Ch'i suoi bei rai Veggian' Amanti, Qual noi costanti. M.A. Spieghi di Gnido Le vaghe piume Il bel Cupido, Che n'infiammò; Venga il bel nume, Che ne legò, Già parte il giorno A noi d'intorno, Fauille, e fiori Spargan gl' Amori. Sel. Vedete, Regij Sposi, Vedete il Sol, che nel partir del giorno Viè più s'auuiua, e piu si rende adorno; Anzi mi par, che dica, Ora ne vò contento, Or, ascondo contento i raggi d'oro, Che per mano d'Amor legati veggio, In cento nodi, e cento Angelica,e Medoro. Vieni Imeneo, deh vieni, Stringi con laccio d'oro Angelica, e Medoro. Coro Viua Amor, viua Amore, e per sua gloria In Cielo, in Terra, in Mar suoni vittoria. SCENA SESTA. Amore, Venere. Am. CHe dì, vezzosa Madre? Sà questa man ferire? Sà vincer quando vuole huomini, e Dei? Ven. Sì dolcissimo figlio; ò voi mortali, Imparate à schernire La face onnipotente, e gl'aurei strali. CORO. BEltà dono del Cielo, Raggio del Sol piu chiaro, Quant'in un mortal velo Anco 'l tuo pregio è caro. Offriron già nelle foreste Idee, Al Pastor fortunato, Chi senno, e chi tesor l'Emule Dee, Tu di farlo beato Per bellissima Sposa Giurasti,ò Madre dell' Idalio Arciero, Sprezzò senno, ed Impero, All' offerta gentil, tanto gli piacque Quella beltà famosa, Che dal Cigno Celeste in Grecia nacque. Saggio il Troian Pastor, saggia non meno Questa real donzella, Ella le pompe, e' pregi D'innamorati Regi Sprezzò, d'alma bellezza accesa il seno; Or fortunata à pieno Stretta in soaue laccio Stassi à Medoro in braccio, e così dice. Cercate auari cor, le gemme, e l'oro Dell' Indica Pendice, Cercate Tiro, e l'Eritree Marine, A questo vago crine, Alle labbra, ch'io miro, A' lumi ond'io sospiro, Già mai non trouerete egual tesoro, Ella sì dice, e mentre l'ode Amore, Fa legge al suo bel Regno, Che quanto piace al guardo approui il core. Beltà dono del Cielo, Raggio del Sol piu chiaro, Quant'in un mortal velo Anco 'l tuo pregio è caro. IL FINE.

Toolbox

Themes:

Andrea Salvadori's Medoro (1623): A Basic TEI Edition Galileo’s Library Digitization Project Crystal Hall OCR cleaning Jenna Albanese XML file creation the TEI Archiving, Publishing, and Access Service (TAPAS)
360 Huntington Avenue Northeastern University Boston, MA 02115
Creative Commons BY-NC-SA
Based on the copy digitized by Google Books and corrected to the copy in Gallica. Medoro. Dramma di Andrea Salvadori fiorentino, rappresentato nel palazzo del Gran Duca di Toscana per la elezione dell'Impero di Ferdinando II. Salvadori, Andrea Florence Cecconcelli, Pietro 1623

This TEI edition is part of a project to create accurate, machine-readable versions of books known to have been in the library of Galileo Galilei (1563-1642).

This work was chosen to maintain a balance in the corpus of works by Galileo, his opponents, and authors not usually studied in the history of science.

Lists of errata have not been incorporated into the text. Typos have not been corrected.

The letters u and v, often interchangeable in early Italian books, are reproduced as found or as interpreted by the OCR algorithm. Punctuation has been maintained. The goal is an unedited late Renaissance text for study.

Hyphenation has been maintained unless it pertains to a line break (see "segmentation").

Word breaks across lines have not been maintained. The word appears in the line in which the first letters were printed. Words broken across pages appear on the page on which the first letters appear. Catch words are not included.

Il Medoro d'Andrea Salvadori rappresentato in musica nel palazzo del Serenissimo G. Duca di Toscana in Fiorenza. Per la Elezione all'Imperio della Sacra Cesarea Maestà dell'Imperatore Ferdinando Secondo. Dedicato al Serenissimo Don Ferdinando Gonzaga Duca di Mantova, e di Monferrato. In Fiorenza, Appresso Pietro Cecconcelli. 1623. Con Licenzia de' Superiori. Alle Stelle Medicee.
1623
IL MEDORO D'ANDREA SALVADORI RAPPRESENTATO IN MVSICA NEL PALAZZO DEL SERENISSIMO G. DVCA DI TOSCANA IN FIORENZA. Per la Elezione all' Imperio della Sacra Cesarea Maestà dell'Imperatore FERDINANDO SECONDO. Dedicato al Serenissimo DON FERDINANDO GONZAGA Duca di Mantoua, e di Monferrato. IN FIORENZA, Appresso Pietro Cecconcelli. 1623. Con Licenzia de' Superiori. ALLE STELLE MEDICEE. AL SERENISSIMO DON FERDINANDO GONZAGA, DVCA DI MANTOVA, E DI MONFERRATO. Signore, e Patron mio Colendissimo. IL Medoro (Serenissimo Signore) ricordeuole dell'onore al quale l'aueua destinato V. A. all'ora che nel felicissimo Maritaggio della Sacra Cesarea Maestà dell'Imperatrice sua Sorella, ella lo volse tar degno d'esser rappresentato in Mantoua; poiche per la subita partita di quella Maestà in Germania, egli non potè conseguire così segnalata grazia, si contentaua più tosto di starsi celato appresso il suo Autore, che comparire in luce con minor ventura. Ora sentendo io, che essendo stata trascritta vna parte di esso, e diuulgata in varij luoghi, correua non solamente risico di esser rappresentato, ma dato ancora alle stampe molto diuerso da quello, che era appresso di mè, hò giudicato ben fatto, che egli con publica comparsa, qualunque egli si sia, venga à rassegnarsi à V. A. per suo. Ella lo vedrà molto vario da quello, che la prima volta fu veduto in Scena, e se potrà parer pouero ne miei versi, la veste della Musica, onde l'hà nuouamente arricchito il Sig. Marco da Gagliano, lo renderà appresso di lei, e riguardeuole, e grato; Riceua dunque da me, per douuto obligo di mia seruitù, questa Fauola, che le fu prima conceduta in dono dalla Serenissima Arciduchessa mia Signora, e se non vedrà nel mio Medoro la bellezza, con la quale egli inuaghì quell'antica Regina, potrà almeno conoscere in lui l'istessa fede, & osseruanza verso i Principi suoi SS. ond'egli possa esser fatto degno dell'amore, e protezione di V. A. S. alla quale baciando vmilissimamente la veste, le prego dal Cielo il colmo d'ogni felicità. Di Fiorenza il dì primo di Gennaio 1623. Di V. A. S. Vmiliss. e Deuotiss. Seruo Andrea Saluadori. ARGOMENTO MEDORO nato in Tolomitta, d'oscura Stirpe, ma dotato d'estrema bellezza, amò con tanta fede Dardinello Rè d'Alzerbe suo Signore, che essendo questi rimasto morto in una battaglia sotto Parigi, egli con mirabil'esempio di fedeltà, passando di notte per mezzo il campo nemico, andò à cercare tra innumerabili Cadaueri il corpo dell'amato Rè, per dar à quello il douuto onore di Sepoltura. Auendolo felicemente trouato, e con esso in spalla tornando à gl'alloggiamenti, fù veduto da alcuni Caualieri nemici, i quali ferendolo con un'asta in mezzo al petto, lo lasciarono in terra per morto. Giunse, doue il misero Giouine era vicino à perder la vita, Angelica Regina del Cataio, bellissima sopra tutte le donzelle della sua età, ma oltremodo altiera, e sprezzatrice d'Amore; questa auendo da lui inteso il miserabil successo, fatta pietosa della sua disauuentura, prima con un'erba gl'arrestò il sangue, e poi facendolo condurre nel vicino albergo d'un Pastore, iui tanto si trattenne, che in tutto lo rese sano di quella ferita. In questo tempo, auendo veduto nel Giouine merauigliosa bellezza, e costumi nobilissimi, ella, che aueua prima sprezzate le nozze del Rè de' Tartari, e del Rè de' Circassi, e l'amore de' primi Caualieri della Corte di Francia, e di Spagna, vinta da estremo amore, antepose Medoro ad ogn'altro, e lo prese per suo Consorte. L'Istoria di questi Amanti è descritta in vniuersale dall' Ariosto; i particolari accidenti di essa, e come questi peruennero al fin de loro amori, son propri di questa Fauola, descritti però con quella breuita, che richiede la Musica, per la quale è stata composta. INTERLOCVTORI Amore. Venere. Angelica Regina nell'India. Medoro Seruo di Dardinello Rè d'Alzerbe. Sacripante Rè di Circassia. Seluaggio Pastore Ospite d'Angelica, e di Medoro. Ombra di Dardinello Rè d'Alzerbe. Coro di Pastori. Coro di Ninfe. La Scena è nelle Selue di Francia. La Fortuna fa il Prologo. LA FORTVNA. IO, che trionfo à mio talento, e regno Quì sotto il Ciel della gelata Luna, Io possente Fortuna Chiari Regi d' Etruria à voi ne vegno, E fermo in solitari ombrosi Chiostri Soggetta la mia Rota a' cenni vostri. Nelle Selue de' Franchi oggi discesa Nato in pouera sorte, al bel Medoro Darò corona d'oro, D'Amor' intenta à secondar l'impresa; Poscia di quì partendo in altra parte Andrò le glorie à secondar di Marte. Là nel Regno German del nuouo Augusto Inchinerommi alle felici piante, E sempre à lui costante Lo seguirò contro lo stuolo ingiusto; Là mi chiama Giustizia, iui m'aspetta Virtude, e vuol, ch'io pugni à lei soggetta. Gioisci auuenturosa Italia, e Roma, Rinouella Germania i tuoi gran pregi; Veggio a' domati Regi Voi di nuouo calcar l'altera chioma, Ed Austria ogn'or nella famosa Sede Astrèa posarsi, e trionfar la fede. ATTO PRIMO. SCENA PRIMA Amore, e Venere. Am. MADRE, ò mio diletto, Nel tuo leggiadro riso, Ne' lumi, e nel bel viso Tempra nuoue, al tuo figlio, armi fatali, Che saettando un petto, Già tutte ho consumate, e fiamme, e strali. Ven. Qual cor di fredda pietra, Qual fu beltà sì fiera? Per cui vota riman l'aurea faretra ? Am. Nel crudo fen della Regina altera, A cui l'India soggiace Tutte, Madre, auuentai l'aspre quadrella, E quasi spensi in van l'ardente face, Ma pur nelle mie fiamme oggi si sface. Ven. O s' Angelica bella Arde, da te ferita, Che baci ti prometto Per si nobil vittoria, e si gradita? Ma dì, bel Pargoletto, Dimmi per qual de suoi Famosi Amanti Eroi, La tua fera nemica oggi sospira? Fors'al Guerrier d'Anglante, De' suo' tanti trofei La darai per mercede? O del Circasso generoso Amante Così compenserai la nobil fede? Am. Poiche Guerrieri, e Regi Disprezzati mirai Dalla Beltà superba, Per lo sol del tuo volto, Bella Madre. giurai Far dell'altero cor vendetta acerba, E grauissimo sdegno in seno accolto Determinai, che d'amoroso foco Per vmil seruo ardesse, Chi l'amor degl' Eroi si prese in gioco. Ven. Degna di te vendetta, Amato figlio, or fammi noto à pieno Per chi l'aurea saetta Colmò di dolce foco il crudo seno. Am. Tra quelle ombrose piante Giacea da fiera man trafitto il petto Medoro il Giouinetto, E tale ei si dolea, ch'a' suoi lamenti Piangean le fiere, e l'onde, Sospirauan le fronde, E fermauan il volo in aria i venti; Madre sia con tua pace, Non mai sì dolce entro l'Idalia riua, Languì ferito il tuo leggiadro Adone, Come il vago Garzone iui languiua; Là dou'egli spargea Da gl'occhi il pianto, e dalla piaga il sangue, Giunta la figlia del gran Re de gl'Indi, Vede l'alma Beltà, ch'à morte langue; Dalla man di pietade all'ora io prendo Soauissimo dardo, Ed al girar del languidetto sguardo, Alla cruda Regina il petto accendo. Ven. Fù saggio auiso ò figlio Prima, con la pietade, Arrestare il bel ciglio, Poi saettarle il cor con la beltade. Am. Per l'Eteree contrade Finito ha Cintia l'immortal suo corso. Da che del Giouinetto Alla salute intenta Ella soggiorna in sì gioconda riua; In questo tempo, ò Diua Pietà, Bellezza, il solitario loco, I verd'anni, e'l mio foco Han fatto al sen di lei perpetua guerra; Già crolla, e già per terra Cade la rupe del gelato core; Ma superbia reale Di vano armata in tempestiuo onore, S'oppone al fulminar di questo strale; Costei vede in Medoro Regio cor, nobil fede, alma bellezza; Arder allor si sente, Colpa d'empia fortuna: in lui poi vede Pouertade, e bassezza; D'amare allor si pente, Così nel core altero Pugna quinci superbia, e quindi Amore; Ma l vsata vittoria al fine io spero. Ven. Amò la Dea che l'Oriente infiora Cefalo Cacciatore, Amo la Dea, ch'il primo Cielo indora Endimion Pastore, E questa superbetta, Il leggiadro Medoro amar si sdegna, Medor, che trà mortali è qual tu sei Figlio, tra gl'altri Dei. Am. Ma tra le fiamme de' celesti Cori, Perche bella mia Diua, Perche mi taci i tuoi sì cari ardori? Sò pur che nella riua Del tuo bel Cipro, e per l'Idee contrade Spesso stringesti al sen mortal beltade. Ven. Taci, mio figlio, taci, Ch'al fin son le tue faci Colpa de falli miei. Am. Orsu Madre gentil, parlian di lei; Armisi pur d'orgoglio, Induri al foco mio l'alma ritrosa, A suo mal grado io voglio, Che del vago Medor diuenga sposa. Madre del Regno mio sostegno, e vita; Tù dalla terza sfera D'alati pargoletti, Di gratie, di desiri, e di diletti Qui mi conduci omai la bella schiera; Ch'ogni mia forza vnita, In questo dì, vo' trionfare à pieno Del superbo rigor di quel bel seno. Ven. Tosto spiegar il volo A' miei Cigni farò nell'alta reggia Per tutt'armar le mie vezzose squadre. Am. Io quinci ascoso, e solo Attenderò, ch'a me ritorni ò Madre. SECONDA. Angelica. AHI, che dolce veleno, Qual incognita fiamma à poco à poco Con sì grato dolor mi serpe il seno? Certo quest' è 'l tuo foco, O doglia de' mortali ingiusto Amore, Che ti fà seruo à mio mal grado il core. Io nel soglio de gl' Indi un tempo auuezza Le fiamme à disprezzar di Regi Amanti, Or sotto angusto tetto Per vmil giouinetto, Spargo dal freddo cor sospiri, e pianti? O superba bellezza, Oue son i tuoi pregi, oue i tuoi vanti? Ah non andar altero Ancor di tua vittoria, Amor Tiranno, Ch'io saprò tormi al tuo crudele Impero; Lascierò queste selue, Oue perdei mia pace, Fuggirò nud' Arcier l'empia tua face. Ma deh, come qui solo, Medoro anima mia, Potrò lasciarti, e non morir di duolo ? O libertà gradita, O spietata mia sorte, O Medoro, ò ferita, Che sanata da me, mi dai la morte. SCENA TERZA. Medoro. SANATA è quella piaga, Che Barbaro crudel nel sen mi diede, Ma quella, onde mi fiede Innocente bellezza, ed omicida, Chi fia, che mai risani, Si, che'l fero martire, ahi non m'ancida? Anima del cor mio, come non miri, In questo petto ascosa L'aspra piaga nouella, Come mirasti quella, Di cui tua bella man fù si pietosa? Che bramo ohimè, che chieggio, Dou'inalzo il desio Misero, e non m'auueggio Qual'è questa, che m'arde, e qual son'io? Riconosci Medoro La tua pouera sorte, Sai, che per tropp'alzarsi Icaro cadde; Sai, che di tropp'ardir premio è la morte; Ma pure (oh qual lusinga Soauissima speme il core amante) Pur veggio, ò veder parmi Vn conforme desio nel bel sembiante, Che'l chiuso foco à palesar m'inuita, Chiedete dunque aita Alle fiamme del core, Fidi messi dell'alma, occhi dolenti, Chiedete aita, ò miei sospiri ardenti, Ch'ogni disuguaglianza adegua Amore. CORO. PER la marina L'Aura scherzaua, L'Aura vagaua Per l' Aria rugiadosa, E in su la spina De' fior regina Lieta ridea la rosa, All'or, ch'in Gnido Nacque Cupido. Là dou'ei nacque D'aurette, e fiori Di grati odori Nudrillo il bosco, e'l prato; Poscia gli piacque Nelle bell'acque, Bagnar lo strale aurato, E delle Linfe Ferir le Ninfe. Riserba ancora La selua, e'l fiume Gentil costume, Che le sue faci auuiua, L'onda innamora, Lusinga l'Ora, Mossa da fresca riua; E verde erbetta Il cor saetta. Quanto cocente Per le foreste Sia del celeste Arcier la viua face, Nell'alta mente Oggi lo sente Questa, ch'auuampa, e tace; Questa sì bella Già sua rubella. Già troppo folle Nell'alto soglio Solea d'orgoglio Armar il core altero. In vmil colle Oggi le tolle Amor di sè l'Impero, Ed ogni loco Arma di foco. Tra fiori, e l'erba Or sale il monte, Or di bel fonte Cerca l'onda stillante; Poi disacerba Sua pena acerba Con l'aure, e con le piante, Amor la vede, E più la fiede. Aure felici, Ombrose piagge, Piante seluagge, Onde del chiaro rio; Voi Genetrici, Voi le Nutrici Sete del bel desio. Hà quì sua gloria, Hà quì uittoria. ATTO SECONDO. SCENA PRIMA. Sacripante. OR và Rè di Circassi, Del superbo Agrican frena l'orgoglio, Il combattuto soglio Di Regina ingratissima difendi, Inerme, e solo all'aer cieco attendi Nembi d'aste, e di spade, Muoui a' cenni di lei dou'il Sol cade, Doue sorge l'Aurora, E di poi qual mercede Hai dall'empia beltà, che 'l core adora? Ah, che scarca d'un guardo alla tua fede Fù la rigida fera, Per cui tanto hai sofferto, Or porge à nuouo Amante, Misero Sacripante, De tuoi sudori, e del tuo sangue il merto. Qualunque sij, che'n queste selue ascoso Godi, sempre à me crudo il mio bel sole, Và nel Ciel luminoso Fuggi nel centro oscuro, Non sarai mai dall'ira mio sicuro. Suellerò dal tuo petto Il troppo audace core, Andando poscia innante Alla fiera cagion del mio dolore, Dirolle; ingrata in questa man ti porto L'Idolo tuo diletto, Vedi, godi'l tuo bene, il tuo consorto, E mostrandole espresso Il mio feruido amore, e'l suo gran torto, Con questo ferro vcciderò me stesso. SCENA SECOND A. Angelica. CHE più volgo dubbiosa Nell'agitato petto? Sù Regina degl' Indi Suelli il mal nato affetto, Dall' Anima Reale, e generosa. Vedi il Rè di Circassi Vanne, seco, al tuo Regno, E lascia in queste selue Sepolto del tuo core il foco indegno. Deh, che nodo tenace? Stringi all' Anima mia, leggiadro crine? Belle luci diuine, Che fiamme minacciate al cor fugace? Ah, ch'è men graue assai Occhi, perder' il Sol, ch'i vostri rai. SCENA TERZA. Seluaggio Ospite d'Angelica, Angelica. REGINA il bel Medoro In periglio è di vita. Ignoto Caualiero, Segue di lui la traccia, Sì nel sembiante disdegnoso, e fiero, Che la selua atterrisce, e'l Ciel minaccia. Ang. Che sento? Ospite mio Deh vanne à lui veloce, Dì ch'in sicura parte, Si tolga all'ira del Guerrier feroce; In tanto io penserò, fuor d'ogni danno, Come lui tragga, e tragga me d'affanno. Selu. Vonne pronto a tuoi cenni. Misero Giouinetto, Che nuoui rischi alla tua vita aspetto? Ang. Chi vincerà di voi Nel campo del mio core? Real Grandezza, e lusinghiero Amore; Chi vincerà di voi? SCENA QUARTA. Medoro, Sacripante. Med. O Dell'onde, e del Sole Vezzosissima Prole, Aure gradite, Fermate il volo, e le mie voci vdite. Su questo Prato adorno Viene al nascente giorno il mio bel Sole, E cinge all aureo crin rose, e viole. All'or dal suo bel volto Voland al crin disciolto in questi accenti, Aure dite il mio foco, e i miei tormenti. O Donna, ò Sole, ò Diua Per te sù questa riua vn cor si sface, Ma riconosce sua bassezza, e tace. Sacr. Chi sei? che Sol che Diua Chiami tra queste piante? Med. Signore io son Medoro Seruo del Re d'Alzerbe, E Dea Celeste in queste selue adoro. Sacr. Tu Medoro? ah vil seruo, il Cielo innante Al mio giusto furore oggi ti guida, Dou'è, dou'è l'infida Tiranna del mio petto, Che veggia al fulminar di questo ferro Le viscere trafitte al suo Diletto? SCENA QVINTA Angelica, Sacripante, Medoro. Ang. VOlgiti à me Signore, Loco tra tanto sdegno Habbia tua Gentilezza, e'l nostro Amore. Sacr. O ben che falso, e rio, Par caro al guardo mio leggiadro volto, S'altri mi t'hà già tolto, Lasso, se mio non sei, Come tanto sei caro à gl'occhi miei? Crudel da te schernito, Da te, crudel, tradito, Sdegnarmi contro te, nè sò, nè voglio, Ben del mio cor mi doglio, Ch'à sì perfida Donna, e sì crudele Si mostri ancor fedele. Ma perche tanto la vendetta tardo? Paghi, paghi costui I proprij falli, e la perfidia altrui. Ang. Signore omai t'acqueta, Troppo vano sospetto L'innamorato petto à sdegno muove. Soura'l nudo terreno Giacea quest' infelice Da barbarica mano aperto il seno, Pietosa, e non amante, Io di lui risanai l'aspra ferita. Or lascia, che la vita Goda, che di mia mano è nobil dono; E se pur quella sono, Quella sì cara un tempo à gl'occhi tuoi, Fà, ch'io non chieggia in vano Aita alla tua mano, O chiaro sol de' più famofi Eroi. Sacr. Ecco il tuo fido seruo, Ecco l'istesso petto, Che già per tua salute Esposi ignudo à tutta Scitia armata. Di lui, di questa man, di questa spada, E del core, e dell'alma Disponi, ò mio bel Sol, come t'aggrada. Ang. Quello, che da te chieggio, O magnanimo Rege, E, che l'inuitta destra Tanto ancor mi difenda, Ch'in India mi conduca al mio bel Seggio; Iui sò qual conuiensi, Degna di me, degna di te mercede. Onde si ricompensi, Così nobile amor, così gran fede. Med. Che sento, ohimè, che sento? Sacr. O dolcissimi detti, ò me beato; Partiam da queste selue, Partiamo anima mia, Schiere, Mostri, Giganti, orride Belue, Lieue, per tua beltà, vincer mi fia. Ang. Addio Medoro, io parto. O dolore, ò partita, O fin della mia vita. SCENA SESTA. Medoro. COR mio doue ne vai, doue mi lasci? Come viuer poss'io Senza di te cor mio? Quegli, quegli pur sono, La cui misera sorte Fermò la bella mano à darmi vita, Ed ora in preda à Morte Mi lasci in abbandono, Ahi si rara pietà dou'è sparita? Cor mio doue ne vai, doue mi lasci? Come viuer poss'io Senza di te cor mio? Deh se di questo seno, Fermasti il piede in rimirando il sangue, Del mio cor, che vien meno, Dell Anima, che langue Mira l'ultimo sangue, in questo pianto, E'l piede arresta in tanto. Ohimè se da me parti, Perche sdegni mirar la mia bassezza, Arresta, arresta il piede, E mira poi che pregi, e qual ricchezza, Spargon' in questo volto Amore, e Fede, Arresta, arresta il piede, E di pouero Amante Non prender, ò Regina, il foco à vile, Che se bassa è mia sorte, è'l cor gentile, Cor mio doue ne vai, doue mi lasci, Come viuer poss'io Senza di te cor mio? Ah, ch'a ragion mi fuggi, A ragion m'abbandoni, io stesso, io stesso Son reo della mia morte; Folle, non solo osai, Il sol della beltà mirar d'appresso, Ma sperai di gioire al suo bel lume; Cadi, cadi nel fiume Delle lagrime tue nuouo Fetonte, Cadi in un mar di pianti. Icaro sfortunato, Nouello esempio a' temerari Amanti: Di voi, di voi mi doglio Occhi miei troppo folli, e troppo audaci, Da voi vien la mia morte, e'l suo disdegno; Ne' vostri ardenti giri, Lesse gl'alti desiri; Vide l'alte mie faci, e l'ebbe à sdegno, Che celeste bellezza Non deue, da' mortali, esser amata, Ma nel core adorata, Errai mia vita; errai, Troppo ascese il mio core, Troppo volli da te, troppo bramai, Errai mia vita, errai. Vanne, vanne pur lieta anima mia Nella Regia famosa, Viui di sì gran Rè felice Sposa. Io se amando t'offesi, Perche tropp'alto i miei desiri intefsi: De folli lumi, e del superbo core, Con questa man vendicherò l'errore. Addio per sempre, addio Pura luce un giorno. Addio per sempre, addio Solitario soggiorno, erme foreste, Piante, piante funeste, A' cui l'incendio del mio core apersi; Voi tra solinghi orrori La memoria ascondete De' miei sì vani amori. E tu mio Sol perdona Se troppo amò, se troppo osò Medoro. Ecco mi passo il petto, ecco ch'io moro. SCENA SETTIMA. Ombra di Dardinello, Medoro. CHE fai, la mano arresta, Ah non troncar con sì spietata morte Il nobil filo di tua vita acerba, Ch'à troppo amica sorte, O mio seruo fedele, il Ciel ti serba. Med. Che veggio, ahi, che sembianza, In un diletta, e inorridisce il core ? Omb Vedi il tuo Rè, Medoro, Vedi il tuo Dardinello. Med. O diletto Signore, A te ne vegno, e le tue piante abbraccio, Ma deh perche mi fuggi, oue t'ascondi? Omb Stringer in darno tenti Alma cui più non lega il mortal laccio, Ombra son io del gran figliol d'Almonte, Ch'in quest'ameno chiostro Erro d'intorno alla diletta spoglia, Ed or tra l'erme piante, Nell'antica sembianza à te mi mostro Vago di consolar l'aspra tua doglia. Med. Lascia signor, ch'on disperato Amante, Che non puote tra viui hauer conforto, Almeno in grembo à morte ottenga pace. Omb Viui, viui Medoro, E vedi qual mercede Attenda il ben oprar d'ogni mortale; Tu ponesti in non cale, Per dar sepolcro al mio caduco velo La propria vita, ora compensa il Cielo Verso il tuo Rè l'incomparabil fede; L'alto impero de gl' Indi egli ti porge, Il suo voler ti scorge Prima, che scenda in Occidente il Sole A diuenir d'Angelica Consorte; Godi pur di tua sorte Fortunato Medoro, Tra l'aure, io mi dileguo à far soggiorno Alle fredd' ossa intorno. Med. Veglio? son viuo? ò nel dolor vaneggio? O sempre à me gradita, e nobil alma, Sò, che per tua pietade Per vietarmi il morire, Così lusinghi il feruido desire; Viurò, non perch'io creda Di viuer a' diletti, Di viuer al conforto Signor, che mi prometti, Ma per sempre obbedirti, e viuo, e morto. CORO. AL pianto di Medoro Piangete, ò valli, ò monti, Piangete al pianto suo ruscelli, e fonti. Tutto da se diuiso, Nell' aspro duol vien meno, Batte il candido seno Si lacera il bel viso, Sparge di pianto le dolenti stelle, E si diuelle La chioma d'oro. Al pianto di Medoro, Piangete, ò valli,ò monti Piangete al pianto suo ruscelli, e fonti. Chi nell'onda Tirrena Di lusinghiero ciglio, E di perfido core il mostro finse. Nel nome di Sirena, Dolce del mar periglio, Bellezza feminile, allor dipinse. Questa d'ogni mortale, Tormentoso diletto Amabile dolor, gradito male, E la fiera crudel di dolce aspetto, Che co' vezzi d'Amore Alletta il guardo, e poi dà morte al core. Splende crinita Stella, Ne' bei campi celesti, Quant'è dolce à mirar sua chioma bella, Ma da raggi funesti, Qual discende a mortali aspra procella? Splende nel ciel d'un volto Bellezza feminile, Quant'è dolce à mirarsi in noi riuolto Suo bel raggio gentile; Ma da quel lume, che sì grato splende, Qual guerra di tormenti al cor discende? Lusinghiera bellezza, Mostro, ch'ancidi, e piaci, Chi sapesse mirar la tua fierezza Fuggiria le tue faci; Ma tu col rio seren d'un bel sembiante Promettendo tranquillo il mar di doglia, Fai, che dietro ti scioglia Le vele del defio credulo amante, Accioche poi tra pianti, e tra querele Lo sommerga d'orgoglio onda crudele. Giouinetto infelice, Tu, ch'al fallace lume, D'incostante bellezza allettatrice, Spiegasti incauto del tuo cor le piume; Ora, ch'in preda al duolo, Tua speranza gentil vedi tradita, Conosci come solo, Per tormento dell'alma Amor n'inuita, E che per dar al cor lungo martire, Gli fa spesso prouar breue gioire. Al pianto di Medoro, Piangete, ò valli, ò monti, Piangete al pianto suo ruscelli, e fonti. ATTO TERZO. SCENA PRIMA. Seluaggio, Coro di Pastori. Selu. SV felici Pastori Di lietissimi gridi Risuoni il Bosco, e'l Prato; La sì bella Regina, Il Sol di questi lidi, Quinci ne riconduce amico fato. Cor. Che narri, ò buon Seluaggio? Partissi in questo giorno Verso l'antico Regno, A queste piagge, or come fa ritorno? Selu. Là sul Prato del Tempio Io l'ho pur hor lasciata; E quà riuolgo i passi Per ritrouar Medoro. Coro. O qual sarà, di lui, misero scempio, Se de fieri Circassi L'ingelosito Rè, quinci lo troua? Selu. Lungi da voi rimuona Il Cielo ogni timore, Sola è la bella Donna, E se pur altri è seco, è quegli Amore. Coro. Deh fanne omai palese, Come partì sì tosto, Come sì tosto torna, e doue resta Quel superbo guerrier se non è seco? Selu. Confusa a' fieri detti, al fiero aspetto Dell'adirato Amante, Non seppe in quell'istante Trouar la bella Donna altro riparo; Ma visto il Giovinetto In periglio di vita, A mal grado del cor fece partita. Partissi, e la maggiore Fù di tante sue pene Il mostrar lieto in quella doglia il core; Quanti per gl'aspri sassi, Moffe languidi passi, Tante sentì ferite in mezzo al petto; Lasciar il suo diletto, Il suo core, il suo bene, Hauer chi s'odia appresso, E lungi chi s'adora, Ditel amanti voi se l' Alme accora. Coro. Ah, che quest' è 'l martir ch'ogn'altro eccede. Selu. Amor, Amor, cred'io, Dopp'hauer riso alquanto Di quel pett'orgoglioso, Fatto di lei pietoso, Guidolla in parte, oue con pronto inganno Si tolse a quell'affanno. Non lungi à queste riue Sorge d' Atlante, il periglioso Albergo, Oue chi ferma il piede, Per mirabil'incanto unqua non riede; Iui giunta la Donna, Conobbe tosto il loco, E tosto s'auiso, come potesse Lasciar il Caualiero; Onde, come se voglia Hauesse di saper quel, che si cela Entro l'altere Mura, Prego, che quel Guerriero Ponesse il piè sù l'incantata soglia; Egli pronto obbedì, suo dolce Impero. All'or da lui sicura Fece Angelica bella à noi ritorno, Lasciat'hauendo il troppo incauto amante Nella piena d'error, Casa d'Atlante. Cor. A Medoro, à Medoro Corriam, voliam, Compagni, Chi per questa contrada, e chi per quella A dar di lei nouella. SCENA SECOND A. Amore, Coro della Corte di Venere, Venere. Am. ECCO la bella Madre, Ecco l'armate squadre. Nutrite, ò Cipro, ò Gnido Nouelli Mirti à coronarm' il crine, Ch'io veggio già dell'alta impresa il fine. Cor. All'assalto d'un core, Ecco fiamme, ecco strali, ardor, furore. Ven. Quest'è l'inuitto dardo, Che già trafisse il Regnator di Delo, E nell'onde, e nel Cielo Costrinse à lagrimar Nettuno, e Gioue; Prendil, ò figlio, e fa l'usate proue. Cor. All'assalto d'un core, Ecco fiamme, ecco strali, ardor, furore. Am. Chi sparso nel bel rio, chi tra le piante, Quand' Angelica giunge in questo loco, Auuentate fauille, Auuentate saette, à mille, à mille. Io nel vago languir d'un bel sembiante Spargerò, nel suo cor, tutt'il mio foco . Cor. All'assalto d'un core Ecco fiamme, ecco strali, ardor furore. SCENA TERZA Medoro. O Piante à voi ritorno, A voi ritorno, ò solitari orrori; Solea quì far soggiorno, Quì la chioma real cingea di fiori, In questi chiari vimori Bagnò la bella fronte; O gelid'ombre, ò fonte, Nel vostro roco mormorar vi sento Pianger i propri danni, e'l mio tormento. Quel Sole, amiche piante, Che rese di vostr'ombre il Ciel men chiaro, Or per destino auaro Risplende, ad altra riua, ad altro Amante, Or mentre al bel sembiante Altri si scalda, e rimangh'io di ghiaccio, La sua memoria in questi tronchi abbraccio. Prendi doglioso rio Il pianto, ch'io distillo alle tue sponde, L'unisci poi con l'onde, Con l'onde, che bagnar l'Idolo mio. Occhi del van desio Portate voi la pena, Voi con eterna vena, Occhi priui del Sol, priui di lei, Tutto spargete il cor, ne' pianti miei. Ohimè, che'l debil fianco Sostener piu non posso. Qual gelido sudor tutto m'ingombra? Qual velo i lumi adombra? Lasso da per se stesso Esce di vita il core, Quel, che non fe la mano, opra il dolore. SCENA QVARTA. Angelica, Medoro. Ang. O Seluaggio, ò Seluaggio, Di che nouello stral m'hai tù ferita, Nel dirmi, che Medoro Ha lagrimato sì la mia partita? Ardea quando pensaua Esser sola ad amar, sola à languire, Or nell'altrui desio Sì cresce il foco mio, Che m'è forza scoprirlo, ò pur morire. Ecco chi m'innamora, ecco chi m'arde; Non sorge, e non mi vede? Forse stanco dal pianto Chiude i bei lumi al chiaro fonte à canto. In che leggiadra forma Posa il candido fianco; Tal mi credio, che dorma Di saettar già stanco Soura l'Idalia sponda, Amor al suon dell'onda. Medoro; ah tù non dormi, Tu non dormi, cor mio, languisci à morte. Di che dolenti stille, O mie dolci pupille, Aspersi veggio i due beati giri? Di che tronchi sospiri Il mesto suono ascolto? Ombra d'affanno rio, Qual discolora il volto? Ohime son'io, son'io Cagion del tuo languire, Cagion, che qui ti giaci in abbandono, E lo posso soffrire? E lo posso mirare empia, che sono? Son vinta Amor, son vinta; Ohimè, che in questi sguardi, Quante lagrime son, tanti son dardi. Son vinta Amor, son vinta, Godi, trionfa pur di questo core, Al fin son vinta, al fin ti cedo Amore. Deh quando mai sì belle Vi rimirai nel riso, Qual nel pianto vi miro Languidette mie stelle, Fonti del mio martiro? Quanto piu m'innamori Con questi del bel crine Lacerati tesori, Con queste del bel volto Oscurate viole, Languidetto mio Sole. Son vinta Amor, son vinta, Godi, trionfa pur di questo core; Al fin son vinta, al fin ti cedo Amore. Med. Misero, ancor son viuo? Che fai dolor? fiero dolor, che fai? Che non m'ancidi omai? Ang. O Medoro, ò Medoro. Med. O mia Diua, ò mia luce, ò mio tesoro; Deh se com'altra volta Ritorni à darmi aita, Sappi, sappi mia vita, Che di tua bella mano Ogni soccorso è vano, La mia piaga è nel core, L'istess' Alma è ferita, E sol morte, ed Amore Posson dar refrigerio al dolor mio, Da questo io non lo spero, Da quella io lo desio. Ang. Io torno à darti vita, Vita del viuer mio. La tua rara bellezza, I costumi reali, e'l nobil core Domato han del mio petto ogn'alterezza; Io ardo se tù ami, Sel Amor mio tù brami, Io, d' Amor mi consumo, e di desio, Vita del viuer mio. Med. Deh non prender à gioco Regina il mio martire; So ben, che ti rassembra Temerario il mio foco, Ingiusto il mio desire, Ma se ben tropp audace è sì costante, Il tuo Medoro, è sì fedele Amante, Che senza te non vuole Goder quest' Aura, e piu mirar' il Sole. Ang. Che mio dir sia verace, Vera del cor la face, Questa destra reale à te sia pegno; Con questa mano il Regno Prendi degl' Indi, e la Beltà famosa In van bramata innanti Da mille Eroi, da mille Regi Amanti, Sia per forza d'Amore oggi tua sposa. Med. O pietade infinita; Tù Regina degl'Indi, Tu per sottrarmi à morte Non disdegni à Medoro esser Consorte? Come tanto diletto, Come tanto gioire Può chiuder il mio petto? O man, che tante volte à me dai vita Quel, che tenta la lingua in van ridire, Dica tacendo, & ammirando il core, Se, nell'estrema gioia, oggi non more. SCENA QVINTA. Coro di Ninfe, e di Pastori, Seluaggio, Angelica, Medoro. Coro VIua Amor, viua Amore, e per sua gloria di N.P In Cielo, in Terra, in Mar suoni vittoria. Coro Prendi gentil Medoro di P. Ghirlandetta sì vaga, Onde lieto ti cingo il bel crin d'oro; E sappi, che presaga L'Alba del fin de vostri lieti amori, Di sua mano intreccio sì vaghi fiori. Coro Prendi ancor tu Regina di N. Dalle tue Pastorelle, In quest'humil Ghirlanda, il core in dono. Gareggia poi col Sole, Egli cinto di rai, tù di viole. Selu. Gradite, ò lieti Amanti, Pompa maggior della Beltà del Cielo, Gradite il puro zelo Di quest'umile schiera; Tempo poscia verrà, che l'India altera, Intessuta di gemme aurea Corona Vi porga, ad onorar la nobil fronte; All'or tra chiari Duci, e tra Guerrieri, Riuolgendo i pensieri A quest' Antro, à quest'Ombre, à questo Fonte, Con piacer vi souuegna, Che pure Ninfe, e semplici Pastori Sposi Reali incoronar di fiori. Ang. Gradisco il vostro affetto Cortesi amici, e del felice loco, Ou'arsi in sì bel foco, Haurò mai sempre innante L'Aure, l'Acque, l'Erbette, i Fior, le Piante. Med. Senti, deh senti Il chiaro rio, Ch'i puri argenti Rimpendo và; Al pianger mio Ei pianse già, Ora ridice: Anch'ei felice, Al Bosco, al Prato Mio lieto stato. Ang. Senti, deh senti La vaga Auretta, Ch'i vanni lenti Dispiega quì; Ella soletta Mia doglia udì, All'aria, all'onde, Et alle fronde Or s'ode dire Il mio gioire. Med.Mira la Stella Dell'altre Duce, Che viè piu bella Affretta il piè; Dice sua luce, Che l'alta fè, Che i puri ardori De' nostri cori Compensar vuole Partito il Sole. Ang. Mira la Luna Dall Oriente Per l'aria bruna Rotar la sù; Dice ridente, Che mai non fù, Nè sia gia mai, Ch'i suoi bei rai Veggian' Amanti, Qual noi costanti. M.A. Spieghi di Gnido Le vaghe piume Il bel Cupido, Che n'infiammò; Venga il bel nume, Che ne legò, Già parte il giorno A noi d'intorno, Fauille, e fiori Spargan gl' Amori. Sel. Vedete, Regij Sposi, Vedete il Sol, che nel partir del giorno Viè più s'auuiua, e piu si rende adorno; Anzi mi par, che dica, Ora ne vò contento, Or, ascondo contento i raggi d'oro, Che per mano d'Amor legati veggio, In cento nodi, e cento Angelica,e Medoro. Vieni Imeneo, deh vieni, Stringi con laccio d'oro Angelica, e Medoro. Coro Viua Amor, viua Amore, e per sua gloria In Cielo, in Terra, in Mar suoni vittoria. SCENA SESTA. Amore, Venere. Am. CHe dì, vezzosa Madre? Sà questa man ferire? Sà vincer quando vuole huomini, e Dei? Ven. Sì dolcissimo figlio; ò voi mortali, Imparate à schernire La face onnipotente, e gl'aurei strali. CORO. BEltà dono del Cielo, Raggio del Sol piu chiaro, Quant'in un mortal velo Anco 'l tuo pregio è caro. Offriron già nelle foreste Idee, Al Pastor fortunato, Chi senno, e chi tesor l'Emule Dee, Tu di farlo beato Per bellissima Sposa Giurasti,ò Madre dell' Idalio Arciero, Sprezzò senno, ed Impero, All' offerta gentil, tanto gli piacque Quella beltà famosa, Che dal Cigno Celeste in Grecia nacque. Saggio il Troian Pastor, saggia non meno Questa real donzella, Ella le pompe, e' pregi D'innamorati Regi Sprezzò, d'alma bellezza accesa il seno; Or fortunata à pieno Stretta in soaue laccio Stassi à Medoro in braccio, e così dice. Cercate auari cor, le gemme, e l'oro Dell' Indica Pendice, Cercate Tiro, e l'Eritree Marine, A questo vago crine, Alle labbra, ch'io miro, A' lumi ond'io sospiro, Già mai non trouerete egual tesoro, Ella sì dice, e mentre l'ode Amore, Fa legge al suo bel Regno, Che quanto piace al guardo approui il core. Beltà dono del Cielo, Raggio del Sol piu chiaro, Quant'in un mortal velo Anco 'l tuo pregio è caro. IL FINE.