Esequie del Imperador Mattia

Description of the funerary celebration of the Emperor Matthias

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            <title>Alessandro Stufa's Esequie dell'Imperador Mattia (1619): A Basic TEI Edition</title>
            <author>Galileo’s Library Digitization Project</author>
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            <note>Based on the copy digitized by the Internet Archive http://www.archive.org/details/esequiedellamaes00stuf</note>
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               <title>Esequie della Maestà Cesarea dell'Imperador Mattia celebrate dal Ser.mo Cosimo 2° G.D. di Toscana. Descritte da Alessandro Stufa de' Conti del Calcione.</title>
               <author>Stufa, Alessandro</author>
               <pubPlace>Florence</pubPlace>
               <publisher>Cecconcelli, Pietro</publisher>
               <date>1619</date>
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            <p>This TEI edition is part of a project to create accurate, machine-readable versions of books known to have been in the library of Galileo Galilei (1563-1642).</p>
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            <p>This work was chosen to maintain a balance in the corpus of works by Galileo, his opponents, and authors not usually studied in the history of science.</p>
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               <p>The letters u and v, often interchangeable in early Italian books, are reproduced as found or as interpreted by the OCR algorithm. Punctuation has been maintained. The goal is an unedited late Renaissance text for study.</p>
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 <docTitle>Esequie della Maestà Cesarea dell'Imperador Mattia celebrate dal Serenissimo Cosimo Secondo Gran Duca di Toscana. Descritte da Alessandro Stufa de' Conti del Calcione. In Firenze MDCXIX. Nella Stamperia del Cecconcelli. Alle Stelle Medicee. Con licenza de' superiori.</docTitle>
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  <date>1619</date>
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<lb/>ESEQVIE
<lb/>DELLA
<lb/>MAESTA CESAREA
<lb/>DELL’IMPERADOR
<lb/>MATTIA
<lb/>CELEBRATE DAL SERENISSIMO
<lb/>COSIMO SECONDO
<lb/>GRAN DVCA DI TOSCANA. 
<lb/>Descritte da Alessandro Stufa de’ Conti del Calcione. 
<lb/>IN FIRENZE MDCXIX. 
<lb/>Nella Stamperia del Cecconcelli. Alle Stelle Medicee. 
<lb/>CON LICENZA DE’ SVPERIORI. 
<pb n= "3"/>
<lb/>ESEQVIE
<lb/>DELLA MAESTA CESAREA DELL’IMPERADOR MATTIA
<lb/>CELEBRATE DAL SERENISSIMO COSIMO SECONDO
<lb/>GRAN DVCA DI TOSCANA. 
<lb/>Redettero i più saui filosofanti, quasi scorti da diuin lume, l’anima esser cosa differente dal corpo, e lei sola operare, che ciascun’huomo in questa vita sia quello, che egli veramente è;
<lb/>imperciò di quanto per esso s’adopera di virtuoso, e di grande all’anima douersi la gloria. Nientedimeno fu sempre appo di loro
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<lb/>stimato esser da concedere qualche pregio anche al corpo, nel quale, come in ispecchio, reflettendosi le potenze dell’anima, di essa con ragione l’appellarono immagine, e simulacro. Quindi è, che gli onori, che anticamente ne’mortori s’attribuiuano a’ corpi, aueuano riguardo all’animo, e a quello principalmente si riferiuano: conciossiecosa ch’e’ si facessero o maggiori, o minori secondo la virtù, e qualità di coloro, ch’erano in quel fatto onorati. La chiesa, che da più alto, e infallibil lume guidata, ci ha di cotale opinione accertati, ancorch’ell’abbia ne’ funerali per principal fine il pagar co’tesori spirituali, ond’ella è dispensatrice, i debiti, che furon dall’anime de’ suoi fedeli con l’eterna giustizia contratti, non nega però a’lor corpi l’onore, anzi lo concede loro per due ragioni. L’vna è, che essendo eglino stati ricettacoli di quell’anime, nelle quali, per auuentura, mediante la grazia, ebbe stanza il diuino Amore, auendone ancora essi riceuuta santificazione, non sono da lei reputati cosa profana, ma come sacra riceuuti nel propio grembo. L’altra è, per la speranza, che riassunti quando che sia dalle lor’anime diuenure beate, si trasfonda negli stessi corpi la stessa gloria. Ond’ella con materna pietà accende loro le faci, e porge gl’incensi, come a quelli, che deono in così eccellente modo participar del diuino. Ma conciossiecosache
<pb n= "5"/>
<lb/>ella cotali onori renda a ciascun fedele, acconsente nondimeno, che con pompa, e solennità maggiore se ne priuilegin coloro, li quali furon ragguardeuoli in vita per altezza di Principato. Arbitrando, ch’alla preminenza del ministerio di Vicari dell’eterna giustizia, esercitato in terra lodeuolmente corrisponda il guiderdone proporzionatamente nel Cielo. Tale spezialità d’onoranza verso i gran Re, e Monarchi è stata in questa Città con incredibil magnificenza accresciuta da’ nostri Principi : poi chè oltre all’amistà, e all’osseruanza douuta a’ lor gradi, son quasi sempre a quelli di strettissimi nodi di consanguinità, o d’affinità congiunti. Ma tra le reali Case, con le quali più souente, che con altra, si sono eglino imparentati, si è l’augustissima d’Austria, con la quale di tanti, e sì stretti nodi di parentado sono vniti in maniera, che come propio reputano ogni auuenimento di quella. Per la qual cosa essendo al Granduca Cosimo, secondo di questo nome, la nouella della morte dell’Imperador Mattia peruenuta, n’ebbe quel cordoglio, che si conuenia, per vna perdita così graue. Ma perchè negli animi ben composti qualunque affecto, che vi s’ecciti, è principio, e cagione di virtuose operazioni, fu in S. A. sì fatto senso motiuo di pietà, e di magnificenza. La pietà dimostrò egli in istatuire all’Imperadore salutiferi, ed efficaci suffragi.
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<lb/>Imperciocchè, quantunque si potesse sperare, che la ben disposta sua anima con ispedito volo da questa transitoria salisse a quella incorrutibil Corona preparata nel Cielo, non per tanto in quella guisa, che nel corpo solare sono alcune macchie apparenti solamente alle viste più perspicaci, così nella limpidezza degli animi piu risplendenti, sono, per lo contagio del corpo, taľora certe ombre a qualsiuoglia altr’occhio inuisibili, fuor che a quello, dauanti al quale è immonda qualsiuoglia creatura più pura, e che ritrouò (come è scritto) sino negli Angeli la prauità. Onde perchè nel di lui cospetto niuna cosa imbrattata si rappresenta, conuiene con le sacre espiazioni leuar via qualunque neo di colpa. La magnificenza del Granduca si scoprì nel reale apparato di pompose esequie, che egli ordinò, conuenienti alla grandezza dell’animo dell’onorante, e di quello a cui si porgea l’onore. Il Principe onorato aueua la dignità dello’mperio, la maggior delle temporali. Era di quella schiatta, la quale a qual grado d’altezza sia sormontata, ci palesa chiarissimamente la sublimità di potentissimi Re, la Maestà di cotanti Imperadori, e la felicità continuata per tanti secoli. Riuolgansi pure l’antiche storie, ne però si trouerrà, che’mperio alcuno tant’oltre stendesse i confini. Onde marauigliosa cosa è, che’l Sole ne’ suoi riuolgimenti non le tramonta
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<lb/>giammai: figurandoci, che come sopra i suo’ Regni questo lume visibile non si perde, così soura questo religiosissima Casa, per la luce del Cristianesimo, e per l’accrescimento della sua Chiesa, riluce il supremo. Auuegna chè la sua diuina prouidenza, la quale non mai ne’ suoi disponimenti fallisce contro i potentati, ch’hanno voluto questa sua diletta opprimere, ha fatto surgere altri, che la difendano. A gli Aistulsi, e a’ Desideri oppose i Pipini, e i Carli. Mentre la Casa Ottomanna a’danni di lei cresceua, l’Austriaca a sua difesa innalzò. Al furor di Solimano contrappose Carlo Quinto, a quel di Selimo Filippo Re di Spagna. Non fa di mestiere a quei, che da questa Casa traggono origine, acciocchè s’accendan della virtù, proporre gli Alessandri, e i Cesari, perchè da’ propi, e dimestici esempli a sufficienza sono suegghiati. Questi insiammarono Mattia, degno rampollo di così eccelsa pianta, sì che a prò della medesima fede, per lungo spazio della sua vita, auanti alla sua esaltazione, guerreggiò accorto, prode, e valoroso. Imperadore ha difeso il Cristianesimo con la pace, dal cui mezzo auendo egli il medesimo fine ottenuto, che gli altri con l’armi, gli siamo tanto piu, che a loro obligati, quanto del sangue, e de’ mali della guerra è stato il risparmio. Qualunque onore adunque si sia offerto a Mattia, non solamente è stato stimato
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<lb/>conueneuole alle di lui virtù, e grandezza, ma ancora è apparito con mirabil proporzione alla magnanimità del Granduca corrispondente. Il quale auendo innanzi considerato, che doue si dee impiegar l’opera di molti huomini, fa di mestiere, che qualche segnalata persona abbia autorità di disporgsi, secondo che l’occorrenza delle cose ricerca, a fin chè s’adempiano con ordine, e con prontezza, deputò per soprantendenti con assoluta podestà all’esecuzione del suo magnanimo pensiero Niccolò dell’Antella Senator di quella prudenza, che lo rende celebre ne’maggiori gouerni dello stato, il Commendatore fra Francesco suo Maiordomo, e il Caualier Cosimo Grancancelliere della sacra Religione di Santo Stefano, amendue fratelli di Niccolò, e di prouato valore, e d’esperienza. E douendo alla grandezza del defunto Imperadore, e alla magnificenza, e al reale animo di S. A. corrispondere la’nuenzione, e gli ornamenti dell’apparato, che nel tempio di S. Lorenzo doueua farsi, ne’mpose la carica a Bernardin della Rena, Ottauio Capponi, Vieri Cerchi, Tomaso Segni, e Donato dell’Antella, Gentilhuomini Fiorentini, e per lo studio delle piu belle lettere ragguardeuoli. Eglino adunque, insieme adunatisi, tosto concordarono, che la breuità del tempo circoscritto loro imponesse necessità, acciocchè senza intermissione, e senza risparmio
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<lb/>di fatica, per ciascuno s’attendesse prontamente a quell’opera, alla quale era stato proposto. Onde con Giulio Parigi ingegnosissimo Architetto, alla cui diligenza era stata raccomandata la cura del disegno, si diedero immantinente ad apprestar tutte quelle cose, che giudicauano necessarie, a finche al tempo destinato si mandassero ad esecuzione gli vfici funerali, e l’apparato comparisse ricco, e magnifico. Valse tanto la vigilanza de’ deputati nel soprantendere, e tanto la prontezza del Parigi nell’esequire, che a dì quindici d’Aprile, con ordine, e pompa mirabile d’esequie, fu renduta la conueneuole onoranza alla memoria gloriosa di Cesare. Fu per ciò dal supremo Magistrato con publico bando dichiarato questo giorno feriato a tutta la Città. La mattina adunque per tempo, tosto che le porte della Chiesa furono aperte, vi li cominciò a veder gran concorso di popolo da ogni banda, tratto dalla fama della magnificenza dell’apparato, il quale riempiendo ciascuno di merauiglia, faceua concludere, essere del Granduca lode propia, e particolare, il soprauanzare in tutte le’mprese la conceputa espettazione, benche grandissima. Ma perchè malageuolmente intenderebbe gli ornamenti d’esequie così magnifiche chi non ha veduto quel tempio, con vna superficiale descrizione la disposizion d’esso dimosterrò, come prima la cagione aurò
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<lb/>spiegata, perchè quello si elegga a cotale effetto. La Basilica di San Lorenzo, che già l’Ambrosiana fu appellata, perchè’l glorioso Santo Ambrogio la consecrò, aueua cominciato magnificamente ad ampliare da’ fondamenti Giouanni de’ Medici, quando morte gl’inuidio la gloria d’opra si segnalata. Ma Cosimo il Padre della Patria, e Lorenzo suoi figliuoli, che desiderauano dimostrare nella prima giouanezza pietà, e grandezza d’animo, abbracciando l’occasione, ripresero la’ncominciata fabbrica, e con ispese veramente reali la ridussero a perfezione, e di tanti ornamenti l’abbellirono, che poche altre Chiese alla sua magnificenza si posson paragonare. In questa, che per si antico retaggio, è di padronato della Serenissima Casa de’ Medici, si conseruano le ceneri de’defunci Principi nostri, ed in questa si costumaua celebrar l’esequie di tutti i gran Re, a’ quali il Granduca o per parentado, o per amicizia congiunto, vuol palesare al mondo, che se gli stimaua in vita con dimostrazioni d’amore, gli onora nella morte con affetto di religiosa pietà. La Chiesa adunque di San Lorenzo, sì come dal Brunelleschi eccellentissimo architettore fu benissimo intesa in ogni sua parte, così parimente riguardandosi alla lodeuol consuetudine delle meglio fabbricate Basiliche de’ Cristiani, fu figurata in forma di Croce, la quale, per tutta quella lunghezza,
<pb n= "11"/>
<lb/>che si cammina, prima che s’arriui là, doue si stendono le sue braccia, è da due filari di colonne di pietra serena, e d’ordine Corintio, diuisa in tre naui, delle quali quella di mezzo d’altezza, e d’ampiezza auanza proporzionatamente quelle da’lati. Le colonne distinguono in otto eguali spazi per lo lungo la naue di mezzo. Sopra alle colonne si muouono gli archi, che reggono le pareti, che sino alla ricca soffitta s’innalzano. Sopra gli archi ricorrono architraue, fregio, e cornice della stessa pietra serena, e dalla cornice in su, al mezzo di ciascun’arco corrisponde il vano delle finestre, che danno il lume alla Chiesa. Rincontro alle colonne son nelle naui minori altrettanti pilastri appoggiati alle pareti, che diuidono le cappelle l’vna dall’altra, le quali sfondano rincontro agli archi della naue maggiore. Al settimo arco rispondono due porte, vna nel fianco destro, che’l popolo, e l’altra nel sinistro, che dal chiostro riceue i Sacerdoti, che si ragunano, a ringraziare, e lodare Iddio. Nel luogo dell’ottaua Cappella ha vna facciata di muro: in quella dalla banda del chiostro per mano di famoso pittore si rappresenta il Martirio di San Lorenzo, e l’altra a dirimpetto è destinata a opera somigliante. Surgono a petto le due pilastrate, nelle quali termina la Naue di mezzo, altre due pilastratte appoggiate al muro, che sostengon con eguale
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<lb/>altezza quattro grandi archi, su i quali posa la cupola. Sotto l’vltimo di questi archi, che guarda per diritto la porta di mezzo, in luogo eleuato risiede l’altar maggiore, e da indi in là per tutto quello spazio, col qual si chiude il sacro tempio, come nella testa della Croce, rimane il coro di forma quadra. Nelle braccia, che si distendono da gli archi della destra, e sinistra banda, sopra vna scalea, che le circonda, rimiransi ornate cappelle. Ma auere insino a quì descritto questa nobil Chiesa vo’, che mi basti, perchè sarebbe malageùol cosa, e per auuentura tediosa, se volessimo prender cura, di raccor tutte sue bellezze. Le racconteremo, quando sia vopo per ageuolare’l nostro discorso. 
<lb/>Gli ornamenti, che sopra alla facciata fur posti, per chè prima si rappresentauano all’altrui vista, saranno principio alla nostra descrizione. Ella era ricoperta di panni neri, e d’altri abbellimenti conuenienti alla cagion della pompa, onde moueua neʼriguardanti malinconoso affetto, e compassioneuole. Dauanti alla porta maggiore sporgeua vn portico col suo frontispizio d’ordine Corinto, che appariua di granito orientale. Dello stesso ordine ricorreuano da destra, e da sinistra architraue, fregio, e cornice fino alle cantonate, che terminauano in due pilastri, fra i quali, e la porta maggiore restauano le due porte delle naui minori adornate della stessa
<pb n= "13"/>
<lb/>maniera. Sopra’l frontispizio della porta di mezzo posaua vn grande scudo ombreggiato di colore oscuro, nel quale era dipinta l’arme del morto Imperadore tra due figure che reggeuano lo’mperial Diadema. Le due figure rappresentauano la Religione, e la Nobiltà, l’vna era alla destra, e si riconosceua al trasparente velo, che le ricopriua il volto, al Libro, e alla croce, che ella tenea nella mano: L’altra alla sinistra si faceua manifesta, perchè adorna di ricco manto, e coronata di stelle vibraua lo scettro. La Religione, come quella, che innalza la diuina parte dell’huomo al suo vero principio, per arricchirlo dell’eterna felicità, dee reputarsi il maggior bene, che alberghi negli animi nostri. La Nobiltà, che de’ beni esterni s’annouera fra i principali, agli huomini impone generosa necessità, di gloriosamente operare: conciossiecosachè, ella sia quasi vn lume acceso dalle virtù de’ maggiori, per non lasciare in oscuro tanto le buone, quanto le ree operazioni de’ posteri : onde non possa vn’animo veramente grande sottomettersi a cose vìli, conoscendo, che in lui non si nascondono altrimenti, che nelle tenebre della notte vna gran fiamma risplendente un monte altissimo. Queste adunque congiunte nella persona di Cesare partorirono alle prouincie suggete allo’mperio vna desiderabil felicità, mentre ch’elle gli furuno scorta ad amministrar
<pb n= "14"/>
<lb/>rettamente la giustizia, e a difenderle da gli’nsulti de’ barbari. Dietro all’orme di queste camminando egli in vita, per la via della luce, potè sperare di condursi nella morte all’ammirabil magion di Dio, e però con molto auuedimento fu collocata sotto l’arme vna cartella, il cui motto. 
<lb/>IPSAE ME DEDVXERVNT. 
<lb/>pareua, che accertasse altrui, che l’vna, e l’altra di quelle gran Donne sempre gli fu guida. Ne di minore espressione erano i motti sotto la Religione. 
<lb/>BEATVS HOMO QUEM TV ERVDIERIS. 
<lb/>E sotto la Nobiltà. 
<lb/>BEATA TERRA CVIVS REX NOBILIS EST.
<lb/>Sopra’l frontispizio di ciascuna delle porte minori si vedeua vn quadro, a cui due figure di Morte, che da banda erano dipinte, col dorso pareuano farle sostegno. Era adornato in cima della Corona Imperiale, la quale ancora in mezzo al quadro si scorgeua, che da vn lato haueua’l Sole, e nell’opposto la Luna, che col motto
<pb n= "15"/>
<lb/>CONCORDI LVMINE MAIOR.
<lb/>formauano la’mpresa, che l’Imperadore stampò nel rouescio delle sue monete, quando alla maestà di Re de’ Romani fu innalzato.
<lb/> Negli spazi, che restauano dall’vna, e dall’altra mano della porta maggiore, sopra piedestallo di granito orientale surgeuano due figure di Morte, spauentose a coloro, che non penetrano oltre alla scorza, ma piaceuoli a quelli, che considerauano le’nsegne di palme, e di Corone, che nella destra portauano co’motti, che si leggeuano nelle cartelle. Si prometteua da questi quiete, e tranquillità all’animo, che da Dio creato immortale a similitudine sua, pensò, mentre ebbe suo albergo nel corpo, a fare cose immortali a simiglianza di se medesimo. Onde sotto quella, ch’era a manritta si leggeua questo motto, il quale (come gli altri tutti, ch’erano alle morti, e alle’mprese) fu tratto dalla diuina scriptura. 
<lb/>IVSTVS SI MORTE PRAEOCCUPATVS FVERIT IN REFRIGERIO ERIT. 
<lb/>Confermaua grandemente la sentenza di questo motto l’altro, che era sotto la sinistra. 
<pb n= "16"/>
<lb/>ECCE QVOMODO COMPVTATI SVNT INTER FILIOS DEI, ET INTER SANCTOS SORS
<lb/>ILLORVM EST. 
<lb/>Negli spazi, che fra le due porte minori, e le cantonate della Chiesa rimaneuano, innalzauansi sopra piedestallo simile altre due sembianze di Morte, le quali co’motti loro riducendo altrui a memoria la comune condizion degli huomini, ci dimostrauano, pochi essere gli anni della vita nostra, e trapassarne velocemente, elleno inuolgere egualmente i grandi, e i piccoli, e agguagliare i più bassi a’ sourani ; e però quella, che nel destro spazio era, Scettri, e Corone calpestaua, e aueua per motto. 
<lb/>OMNIA PERGVNT AB VNVM LOCVM DE TERRA FACTA SVNT, ET IN TERRAM PARITER REVERTVNTVR. 
<lb/>L’altra del sinistro spazio, como de’ volubili anni dominatrice, sotto a’ piedi teneua vn serpente riuolto in se stesso col motto
<pb n= "17"/>
<lb/>DIES MEI PERTRANSIERVNT QVASI NAVES POMA PORTANTES ET SICVT AQVILA VOLANS AD ESCAM. 
<lb/>Sopra’l viuo de’ pilastri, che terminauano le cantonate, posauano altre figure di morte, da’ motti delle quali eramo auertiti, che a guisa del prouido coltiuatore, che semina nel freddo del verno, per raccor nella state, spargessimo buone opere con lagrime nel verno di questa vita, per mieterle multiplicatamente con allegrezza nell’altra, che per lo frutto, che se ne coglie, rende somiglianza alla state. 
<lb/>DA mostra cotanto magnifica, e misteriosa inuitati sollecitauano i riguardanti, di penetrar entro alla Chiesa, sperando di rimirarui cose molto maggiori, e più spiritose; Ne falliron loro le concepute speranze. 
<lb/>Faceua lugubre, e mesto spectacolo il paramento della Chiesa, di cui niuna parte era, che non fusse ricoperta di panni neri, li quali, o distesamente si spiegauano dalle cornici infino rasente terra, ò apriuansi a padiglione, o ingruppauansi in varie fogge. E se per loro nerezza, e significanza apportauano terrore, la ben diuisata varietà, e la proporzione,
<pb n= "18"/>
<lb/>che rendeuano fra gli ornamenti, porgea diletto. Si scorgeuano per tutto orribili aspetti di morti in diuerse positure minaccianti, che aurebbano sbigottito altrui, se non fosse stato immantenente rassicurato da motti, che nelle cartelle di ciascuna si leggeuano con significazione, che agli animi abituati nelle virtù non è spauentosa la morte, per la quale son sicuri, di trapassare, a goder perpetuamente vita migliore. Imperciocchè s’era preso per mira in tutta quella pompa, di rappresentare, che i Principi del timor di Dio, e delle virtù corredati, sotto la sua protezione, dominano sicuramente in questo mondo, e poi nella partenza son coronati di quella gloria, la quale a color, che l’amauo, fu preparata ab eterno. Cotal concetto, si come restaua di già dichiarato nella facciata di fuora, così andaua esprimendosi nel rimanente del funerale. 
<lb/>La facciata di drento, dalla quale l’apparato cominciaua, e poi seguendo a manritta ricorreua per tutta la Chiesa, sin là, onde s’era dipartito, già fu vagamente adornata col disegno di Michelagniolo, quando Leon Decimo fece alla Chiesa prezioso dono di santissime reliquie con ordine, che nel giorno trionfal della Pasqua si mostrassero al popolo. E però a cotal’effetto a’ due pilastri, che mettono in mezzo la porta maggiore, soprapposonsi due gran colonne, le quali sopra i lor capitelli finemente intagliati
<pb n= "19"/>
<lb/>reggono vn Ballatoio di nobilissimi marimi. Il Ballatoio, e le Colonne eran tutte vestite di panni bruni, e sopra’l dauanzale risplendeuano molti lumi. Alle due Colonne s’appoggiauano due statue di Mattia, erettegli per le sue virtù. Nel Piedestallo di ciascuna, che appariua di marmo bianco, si leggeua la sua inscrizione. Era la destra. 
<lb/>FELICITATI 
<lb/>MATTHIAE FORTISSIMI IMPERATORIS. 
<lb/>QVOD EIVS DVCTV ET FRATRIS AVGVSTI AVSPICIIS PANNONIAE OPPIDIS OBSIDIONE EXOLVTIS LOCORVM OPPORTVNA PERMVNIVIT ET AB HOSTIVM EXCVRSIONIBVS REIP. CHRISTIANAE PROPVGNACVLA DEFENDIT. 
<lb/>Dell’altra a sinistra tal era l’inscrizione.
<lb/>PRVDENTIAE
<lb/>IMPERATORIS MATHIAE PII MAXIMI. 
<lb/>OB QVIETEM AVSTRIAE ET HVNGARIAE REDDITAM PACE CAESARE DIGNA CVM HOSTIBVS INITA GERMANIAE AC IMPERIO OMNI AVCTAM FELICITATEM. 
<pb n= "20"/>
<lb/>Lodauasi da circostanti la’nuenzione d’onorare in questa maniera la memoria de Cesari, perchè si riconosceua essere adombrata la lodeuol consuetudine de’ Romani, i quali ordinauano statue a’ valorosi Capitani d’eserciti, e a’ supremi Imperadori, per premio delle cose felicemente amministrate. E riceueuasi per maggior testimonianza di virtù, se dopo la morte, vero paragon d’essa, erano dedicate: poi chè allora era spento l’amore, la speranza, e gli altri affetti, che partoriscon l’adulazione, la qual solamente con la propia vtilità misura i meriti altrui. 
<lb/>Quello spazio, che rimaneua fra le due colonne, sotto’l ballattoio, e sopra la Cornice della porta maggiore, era occupato da vn gran quadro, che in detta Cornice posandosi, con la parte sua superiore, sporgea dolcemente in fuora. Era d’oscuri colori tutto intorniato, e da’lati ricadeuano alcune gocciole, che l’arricchiuano di maestoso ornamento. Nelle seguenti parole, entroui impresse, si dichiaraua a cui, da chi, e perchè si facesse il pomposo funerale.
<pb n= "21"/>
<lb/>IMP. MATHIAE CAESARI 
<lb/>GERMANIAE HVNGARIAE BOEMIAE 
<lb/>DALMATIAE CROATIAE SCLAVONIAE REGI AVSTRIAE ARCHIDVCI EX LONGA VTRINQVE CAESARVM SERIE PIN INCLYTO SEMPER AVGVSTO PRINCIPI SACRATISSIMO RELIGIONIS AC PACIS CVLTORI. 
<lb/>COSMVS SECVNDVS MAGNVS DVX
<lb/>ETRVRIAE AFFINITATIS ATQVE OBSEQVII MONVMENTVM MOESTISSIMVS POSVIT. 
<lb/>QVOD MAGNIS PRAELIIS VICTOR HUNGARIA AVSTRIAQVE IMMINENTEM TVRCARVM TYRANNIDEM PROPVLSAVERIT MVNITISSIMA OPPIDA IN DITIONEM RECEPERIT LABANTEM IN GERMANIA CATHOLICAM RELIGIONEM FIRMAVERIT AD AVITA REGNA ET IMPERII FASTIGIVM EVECTVS GERMANICAE GLORIAE HVNGARORVM LIBERTATI AVGVSTAE DOMVS FELICITATI AC TOTIVS REIP. CHRISTIANAE QVIETI HONESTISSIMA PACE CONSVLVERIT AC DEMVM FERDINANDO PATRVELE HVNGARIAE AC BOEMIAE REGNIS INAVGVRATO  SEPTIMO IMPERII ANNO HVMANITATEM SANCTISSIME EXPLEVERIT. 
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<lb/>SOpra la cornice della Chiesa, nel mezzo della facciata tra uarie piegature, e feston di panno, era una grand’Arme Austriaca, a cui l’aquile imperiali da’ lati faceuano ornamento, e reggeuano la corona. Erale a man destra vna gran figura riconosciuta per la giustizia alla bellezza virginale, alle vestimenta d’oro, alla spada nuda, ch’ella vibraua, e alle bilancie librate egualmente. Nella cartella, ch’ella aueua a’ piedi, era il moto.
<lb/>IVSTITIA ET IVDICIVM CORRECTIO SEDIS EIVS. 
<lb/>Dall’altra mano si mostraua la fortezza militare, tutta riccamente armata, ch’aueua il Leone a’ piedi, e in mano il ramo della Quercia col motto. 
<lb/>ARMATVS AD BELLVM CORAM DOMINO. 
<lb/>Credasi pure, che son fauoreggiati da Dio quelli, che di così rare virtù sono adorni: onde a ragione era il motto sotto l’arme. 
<lb/>OCVLI DOMINI SUPER IVSTOS. 
<lb/>In mezzo a vaghi, e maestreuoli intrecciamenti di
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<lb/>panni, sopra ciascuna delle porte minori, era la raccontata impresa di Cesare. 
<lb/>Le colonne dalle base insino al collarin del Capitello erano fasciate di panni significanti mestizia, e duolo. Il fregio, ch’è fra l’architraue, e la cornice, fu ornato d’altro posticcio, il quale tra ossature, e morti aueua delineate a vicenda corone, e scettri: onde si poteua argumentare, bene spesso, la felicità vmana, allora che pare nel colmo, esser terminata dalla morte. Da questo fregio, sì nella naue maggiore, come nelle braccia della croce, si distendeua vna vela di panni oscuri, ne’ quali campeggiauano scudi, che pendeuano dalla sommità dell’arco: in alcuni de’ quali si vedeua l’arme dell’Imperadore, ricinta da diuersi ornamenti di pitture, e in cima col diadema Imperiale. In altri scudi due morti prostese si figurauano, per sostenere un’ouato, nel quale imprese conuenienti al concetto del funerale, erano dipinte. Questi scudi con tale ordine erano collocati, che le ‘mprese, e l’armi vicendeuolmente restauano diuisate. Dalla parte inferior di ciascuno scudo si moueuano ricadute di panni, che allacciandosi alla sommità delle colonne, insino al mezzo scendeuano con vna gocciola, la quale, maestreuolmente allargandosi, facea graziosa vista. Sopra a’ capitelli delle colonne posauano figure di morte, che con l’altezza loro arriuauano alla Cornice,
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<lb/>e a’ piedi aueuano vna cartella, che dichiaraua la loro significanza col motto. L’animo nostro peregrino viue nel corpo, la sua vera patria è Iddio, oue non puo egli ritornare, se non a guida della morte, la qual, se la religion ci rende desiderabile per esser con Cristo, e se l’vmana prudenza c’insegna prenderla con cuore intrepido, e costante, perche dobbiam noi temerla? Onde rettamente considerando, più conuerrebbe a questo tempo l’allegrezza, che’l pianto. Questo si confà meglio al giorno del nascimento, auuengachè allora, mandaci in esilio con l’aria medesima cominciamo à respirar le miserie. Quella si conuiene alla morte, la quale alla Patria richiamandoci, e in possessione della perduta eredità rimettendoci, ne restituisce la vita sempiterna. Perciò la morte, che a detra era sopra’l capitel della prima colonna, e conduceua il drappel dell’altre vent’vna, portaua nella mano vna ghirlanda intrecciata con alloro, e con vliuo, e aueua per motto. 
<lb/>EXIIT SPIRITVS MEVS, ET REVERSVS EST IN TERRAM SVAM. 
<lb/>L’altre con insegne, e con motti proporzionati, insistendo nel medesimo concetto, porgeuano similmente altrui saluteuoli ammaestramenti. 
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<lb/>FVGITE VMBRAM SAECVII HVIVS ACCIPITE IVCVNDITATEM GLORIAE VESTRAE. 
<lb/>QVIS VNQVAM INNOCENS PERIIT AVT 
<lb/> QVANDO RECTI DELETI SVNT? 
<lb/>NON APPONAT VLTRA MAGNIFICARE SE 
<lb/> HOMO SVPER TERRAM. 
<lb/>MELIOR EST MORS QVAM VITA AMARA 
<lb/> ET REQVIES AETERNA QVAM LANGVOR 
<lb/> PERSEVERANS. 
<lb/>EXPEDIT MIHI MAGIS MORI QVAM VIVERE.
<lb/>IVSTVS VT PALMA FLOREBIT SICVT CEDRVS LIBANI MVLTIPLICABITVR. 
<lb/>SOL COGNOVIT OCCASVM SVVM. 
<lb/>VOBIS APERTVS EST PARADISVS PLANTATA EST ARBOR VITAE PRAEPARATUM 
<lb/>EST FVTVRVM TEMPVS. 
<lb/>BEATVS VIR QUI CONFIDIT IN DOMINO 
<lb/> QUONIAM SI DEVS TENTAVERIT EVM 
<lb/> ET INVENERIT EVM DIGNVM SE SPES 
<lb/>  ILLIVS IMMORTALITATE PLENA EST. 
<lb/>CORONAS IMPONIT ET PALMAS IN MANVS TRADIT. 
<lb/>PARATI ESTOTE AD PRAEMIA REGNI QVIA 
<lb/> LVX PERPETVA LVCEBIT VOBIS PER AETERNITATEM TEMPORIS. 
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<lb/>SVRGITE ET STATE ET VIDETE NVMERVM SIGNATORVM IN CONVIVIO DOMINI. 
<lb/>PRAETIOSA IN COSPECTV DOMINI MORS SANCTORVM EIVS. 
<lb/>HOC PRO CERTO HABET OMNIS QVOD VITA EIVS SI IN PROBATIONE FVERIT CORONABITVR. 
<lb/>POST TEMPESTATEM TRANQUILLVM FACIT ET POST LACRYMATIONEM ET FLETVM EXVLTATIONEM INFVNDIT.
<lb/>LVX ORTA EST IVSTO ET RECTIS CORDE LAETITIA. 
<lb/>ABSORTA EST MORS IN VICTORIA. 
<lb/>OPORTET CORRVPTIBILE HOC INDVERE INCORRVPTIONEM ET MORTALE HOC INDVERE IMMORTALITATEM. 
<lb/>CARO ET SANGVIS REGNVM DEI POSSIDERE NON POSSVNT. 
<lb/>LIBERAVIT EOS QUI TIMORE MORTIS PER TOTAM VITAM OBNOXII ERANT SERVITVTI. 
<lb/>TRANSIERVNT DOLORES ET OSTENSVS EST IN FINE THESAVRVS IMMORTALITATIS. 
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<lb/>Nel primo di quegli scudi, che dicemmo essere appesi a gli archi, era l’arme dell’Imperadore co’ suoi ornamenti, e nell’altro, che a lato gli seguitaua, si vedeua vna’mpresa, e con questo ordine rigirauano tutta la Chiesa. 
<lb/>IN questa prima si rappresentaua il Bigatto, o Baco da feta, che aperto’l bozzolo stendeua l’ali col motto, EX VMBRA MORTIS. Noi siamo per la’mperfezion della nostra natura vermi, ma quando, mediante la morte, si dissolue’l corpo, l’anima si fa capace del consorzio degli Angeli, onde disse il nostro maggior Poeta. 
<lb/>Non v’accorgete voi, che noi siam vermi
<lb/>Nati à formar l’Angelica farfalla?
<lb/>Chi si lamenta di tale scioglimento, o non crede, che ci sia altra vita, ò ingiustamente le cose vmane bilancia. Se chi non aueua il lume della vera fede, vedendo di quanti mali con la morte ci liberauamo, disse ella essere ottima’nuenzione della natura, che dee sentir colui, che spera vn’altra vita incomparabilmente più felice di questa? Non dobbiamo 
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<lb/>perciò lamentarci della morte di Cesare, il quale si può credere, mediante le sue virtù, auer cambiata questa veste mortale con altra, e gloriosa, e immortale. 
<lb/>VACILLANO i Regni, mentre la ragion Politica non ha per fondamento, e per base la Religione. Nella notte della Gentilità i Principi zelauano per le cose sacre. Oggi che’l vero Sole c’illumina con che affetto le debbano venerare? Promette Iddio augumento di felicità, dilatamento di confini, successione di figliuoli, stabilimento de’ Regni, e vittoria de’nimici a Principi, che lo seruiranno con timore, e sotto la sua disciplina apprenderanno giustizia. Dauid, e Salamone tanto prosperarono, quanto non deuiarono da’ comandamenti di Dio. Mentre Gostantino il Magno alzò la Croce ne’ suoi vestilli, la Croce innalzò lui a’ trionfi. Di questa armatosi la destra Ridolfo primo fermò il tumulto di coloro, che gli negauan l’obbedienza, e l’Imperio fondò nella Casa d’Austria; Alla quale poi sotto la stessa scorta, e nel Settentrione, e nell’Oriente s’accrebbero Regni, e nell’Occidente se le scopri nuouo Mondo. Seguendo Mattia sì fatte vestigie, si propose per Tramontana
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<lb/>la legge del Signore, e con tal guida felicemente solcò, quasi Naue, il Mare di questa vita, e come par da credere, si ricouerò al fine nel sicuro porto della salute. Questo concetto fu ingegnosamente espresso con laʼmpresa del quarto vano, doue vna naue, con la guida pur della Tramontana, afferraua al porto, e aueua per motto queste parole.
<lb/>A LEGE TVA NON DECLINAVI. 
<lb/>VEdeuasi per impresa nel sesto luogo rapido fiume, che accresciuto da gran piena, aurebbe allagato vna cultiuata campagna, se la palafitta, che auuedutamente piantata v’era, non auesse riparato al soprauenente pericolo, e’l motto fu; FORSITAN ABSORBVISSENT. Voleua inferire, che la inondazione de’ Turchi aurebbe à quest’ora molte Christiane prouincie assorbite, se Mattia con tredici anni di milizia, quasi fermissimo argine, non se le fosse opposto, e per vltimo non auesse tutti i ripari fatti con vna onorata pace stabiliti. La quale azione si dee tanto più ammirare, quanto non fu ella frutto d’animo gran fatto alli studi della pace inclinato, ma di chi i miglior’anni della sua vita guerreggiando haueua trapassati. Così tal ora, nel disprezzo d’vna gloria, si ritroua gloria
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<lb/>maggiore, e massimamente quando tal disprezzo riguarda il ben de’ suggetti, per la cui saluezza (come già Antonin pio suo predecessore ) stimò Mattia più la corona di Quercia, che per l’vccisione de’ nemici il trionfo. 
<lb/>SCintillando nell’ottauo vano traeua a se gli occhi de’ rigitardanti vna fiamma di fuoco, in cui soffiando il vento più l’accendeua, ed era il motto. MAGIS INVALESCIT. La nobiltà è vna memoria veneranda delle passate virtù, la quale per questo s’assomiglia alla luce del fuoco, perchè ella non solo risplende per se medesima, ma ancora illustra color, che ne son dotati, come quella i corpi, ne’ quali ella si diffonde. Si spegne ancora, se il vento del proprio merito non l’auuiua. Cesare nacque della maggiore, e più nobile schiatta, che mai imperasse, ma lo splendore, che egli riceuè da’ Ridolfi, dagli Alberti, e da’ Carli, dal viuace spirito delle propie virtù conseruato, dalla continuata dignità imperiale fu accresciuto. 
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<lb/>LA’mpresa della Rondine assisa nel lido del valicato Mare col motto, TANDEM POTITVR OPTATIS, dipinta nel decimo scudo, da alcuni era pigliata per la costanza dell’animo di Cesare, posto in luogo così stabile, che non era da’ prosperi auuenimenti trasportato, ne dagli auuersi anche rotto. Da altri era interpetrata per lo felice suo passaggio dalle turbulenze di questa vita alla pace, e alla sicurezza dell’altra. Non è permesso a nauiganti il Mare a lor senno render tranquillo, ne agli huomini menar vita non mescolata fra i tumulti di quelle passioni, che l’vmana condizione porta seco. Massima lode è con la prudenza il superare i turbulenti affetti di questa vita : ma felicità incomparabile, se con l’aiuto diuino dopo cotanta vittoria si ricouera in quel luogo, doue più ne onde, ne venti, ne tempeste: ma di regna pace, quiete, e stabilità sempiterna. 
<lb/>IL ferro stando nel fuoco diuenta lucido, e sfauillante, trattone, quindi a poco ripiglia la sua nerezza. La virtù fuora de’ trauagli non risplende, cioè non è gloriosa. In questa vniuersal Republica del Mondo gli ottimati, che sono i virtuosi, solamente son citati dalla fatica, la
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<lb/>plebe, la quale è l’ignobil volgo, che non cura d’affaticarsi, ed ha riposta la sua gloria nel ventre, non è chiamata alla Curia, ne per consequenza agli onori; e però a chi è nobile non s’impone maggior fatica, che’l non durarla. Quanti perciò a’ pericoli non soprastanti volontariamente s’offersero? Poco risonerebbe il nome di Dauid, se le fiere nelle selue solamente hauessi sbranato. Il superbo Golia, della cui possanza sfuggito aueua ciascuno di far proua, andò egli ad incontrare, acciocchè col fucile della fatica traesse scintille di gloria. Questo concetto s’esprimeua gentilmente con la verga dell’oro, la quale fieri colpi di martello distendeuano, e
<lb/>dilatauano col motto IN TRIBVLATIONE. E molto approposito all’Imperadore applicato, il quale dopo i trauagli d’vna lunga, e faticola milizia salutato Imperadore dall’vniuersal consenso della Germania diuentò glorioso. 
<lb/>SEguiua nello scudo quattordicesimo laʼmpresa del Bassilico, il quale di terra trapiantato in vn vaso d’acqua vigorosamente germogliaua. Da cotal corpo, e dal motto. NON DEFICIET FRVCTVS. si raccoglieua, che l’Imperadore diradicato di terra, e traspiantato nell’acqua, 
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<lb/>cioè nello stesso Dio, ch’è fontana d’acqua viua, fiorirebbe perpetuamente. Iui possiamo credere, che con le preghiere non resterà d’aiutare quelli, che già in terra difese con la sua poderosa mano. 
<lb/>SCorgendo Iddio nel diserto il suo popolo, gli appariua il giorno nube, e la notte fuoco. 
<lb/>Quella, con dolce ombra distendendosi, l’assicuraua della diuina protezione, e questo con doppio miracoloso effetto nel tempo delle tenebre, gli facea lume: e al tempo del bisogno s’arretraua, per atterrir gli auuersari. I Principi costituiti da Dio condottieri de’ popoli, se deono essere a quei, che camminano nel giorno della verità, nugola fecondissima di grazie, e di benefici; douranno anche
<lb/>per altra parte esser luce a quei, che camminano nelle tenebre per guidargli nel diritto sentiero : e altresì orribil fuoco si deono far prouare a’maluagi, che per la strada della’mpietà nell’ombra della morte perseuerantemente tengono il lor cammino. Questa colonna adunque, che fiammeggiaua nella notte col motto. HIS QVI IN TENEBRIS. Formaua la’mpresa, che si rimiraua pendente dall’arco sedicesimo, e significaua
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<lb/>nel nostro Augusto così eccellente condizione, d’essere stato scorta, e refrigerio a’ Cattolici, e per contrario a gli Eretici fuoco, che o gli gastigaua, o come oro gli mondaua, e purificaua. 
<lb/>LA bontà della pietra Aetite, la quale scriuono i Naturali, ritrouarsi nel nido dell’Aquila, è di resistere al fuoco. Tale prerogatiua aueua dato occasione all’Impresa, ch’era nel vano diciottesimo, di cui era corpo la detta pietra, che si prouaua nel fuoco, ed anima. ME EXAMINASTI. Gli animi vani sono consumati dalla vampa delle grandezze mondane, e però di loro non si vede altro, che vn falò. I fermi, e costanti restano intatti, e non che di disfacimento, son loro più tolto cagione di bene, e d’approuamento. Il Magistrato dimostra l’huomo, cioè separa, e fa conoscere quanta parte in lui sia d’huomo, quanta d’animale. Il Principato è viè più nobil cimento, perchè egli scuopre quanto abbia il Principe d’huomo, quanto di dìuino. E perciò attribuiuano gli antichi agli ottimi Principi la diuinità, la quale non aurebbero per auentura negata al nostro Cesare, se fosse stato a quei tempi, e felicemente cimentatosi nell’esamina dallo’mperio. 
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<lb/>DElla soauità de’pomi non è giudice competente il vedere. Pur troppo lo ci fece sapere la prima madre, che credendo alla vaghezza esterna con tanto nostro pregiudizio restò ingannata. Onde quel difetto si trasfuse ne’ posteri, che nelle sembianze solamente delle cose mondane appagano la lor veduta. E però fa di mestiere ricordar loro, che contemplino la midolla tanto più nobile della scorza, quanto è l’anima del corpo. A cotal fine era stata appesa al ventesimo arco la’mpresa della Melagrana, che con la forza del motto. GLORIA AB INTVS. rammemoraua a’riguardanti, che la felicità dello’nterno procede, non altrimenti che’l pregio, e la bontà d’essa melagrana non consiste nella bellezza della scorza, perciocchè, per vaga ch’ella si sia, hà più tosto in se amarezza, ma nella soauità de’grani, che con tanto ammirabile ordine vi si racchiuggono. Quindi pareua, che fosse con molta viuacità spiegato, che le glorie maggiori di Cesare non dependeuano dalla Corona, ne dall’altre insegne imperiali, nelle quali può esser tal ora, per quantunque belle si sieno, qualche amarore, ma sì dall’animo suo, e dalle sue virtù, tanto bene l’vna con l’altra concatenate. 
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<lb/>GLI huomini, ch’hanno anima ragioneuole, incomparabilmente più nobile, che non è la vegetabile delle piante, o la sensitiua degli animali, sono in vn certo modo, e da questi, e da quelle in sentimento auanzati. Sono animali, che riueriscono’1 Sole, quasi lo riconoscano autore, e cagione della lor vita. Molti fiori, come schiui di rimirare altra luce, venendo la notte si richiuggono nelle lor bocche. Il Girasole, quando il Sole è sotto’l nostro Emisperio, inchinandosi verso la terra, seguita il suo celelte corso, la mattina drizzatosi nel suo stelo l’accompagna per tutto’l corso, che resta. Se gli animali adunque, e le piante hanno questo conoscimento verso’l Sole materiale, che debbono fare gli huomini verso l’eterno? La presente vita s’assomiglia alla notte, in cui il Sole supremo risplende solamente in queste cose create, nella guisa che l’altro nella Luna, e negli altri pianeti. La futura è simile al giorno, in cui il verace Sole per se stesso risplende . L’Imperadore, ch’ha seguitato il suo cammino nelle tenebre, e nella notte di questa vita, si dee credere, che ora immobilmente, e senza tema, che nulla se gl’interponga, lo contempli nell’altra. Questo concetto fu spiegato dal fiore sopradetto col motto. IN TENEBRIS QVASI IN LVCE. che fu la’mpresa pendente nel ventiduesimo vano. 
<pb n= "37"/>
<lb/>RImirauasi vna Campana nello scudo ventiquattresimo, dal cui Limbicco si distillaua acqua in vn vaso col motto. NOBILIORES QVAM ANTEA. L’huomo è composto d’animo, e di corpo, quello è immortale, e s’assomiglia à Dio, questo è frale, ed è comune co’bruti. L’vno, quando morte separa loro vnione, ritorna in Cielo, e l’altro rimane in terra. Il corpo si può con ragione assomigliare a’ fiori, e all’erbe, l’animo all’umore, ch’elle contengono. La rosa distillandosi perde’l colore, e l’odore, ma l’acqua, che da lei s’estrae, lungamente odorifera si conserua. Il corpo per la distillazione della morte presto s’appassa, secca, e vien meno. L’animo, come quell’acque si conserua per rendere eternamente odore di soauità nel cospetto di Dio. Si adattaua questo concetto con molta proprietà all’Imperadore, la cui anima separata dal corpo, si può credere che quasi prezioso liquore sia restata, (come de’ fedeli dice l’Apostolo) buono odore di Cristo. 
<pb n= "38"/>
<lb/>REstano tra le finestre, che son per tutta la Chiesa venti spazj maggiori. Altri sedici minori sono nell’estremità delle pareti, che formano gli angoli principali del tempio. Negli spazj minori erano trofei dedicati all’azioni gloriose dell’Imperadore. Ne’venti maggiori si vedeuano quadri grandi con le cornice di Lapislazzaro, che con le ricadute, e serpeggiamenti di panni neri, che in diuerse maniere se gli auuoltauano attorno, ricopriuan tutto lo spazio. 
<lb/>In questi quadri si rassegnaua vna schiera di quei doni, e di quelle grazie, le quali copiosamente piouono sopra coloro, che son graditi dal sommo facitore. Conduceuale la virtù, che’l nome di Cesare aueua portato per l’vniuerso. Il che fù fatto con saggio auuedimento, per manifestare altrui, ch’ella, ben che di se sola contenta non prenda cura d’altra vaghezza, gode nondimeno d’arricchire i suoi seguaci di gloria. l’amor della quale è possente stimo lo a’ mortali di fargli operar bene. Doppio piacere facea nascere ne’riguardanti questo nobil drappello, perchè non solo alla vista dilettaua con la belleza de gli abiti, degli ornamenti, e delle’nsegne propie, per le quali ciascuna si rauuisaua, ma alla mente anche porgeua conforto : conciosiacosachè con vn versetto, che ciascuna aueua nella sua cartella, 
<pb n= "39"/>
<lb/>riducendo altrui à memoria, in qual maniera ella auesse abbellito l’animo di Cesare, daua speranza, ch’egli all’eterna felicità fosse trapassato. I versetti di varj luoghi della sacra Scrittura approposito artisiziosamente contesti componeuano il seguente continuato Salmo. 
<lb/>VIRTV. 
<lb/>CAntate domino, gloriosè enim magnificatus est: iter facite ei, qui ascendit super occasum. 
<lb/>SAPIENZA.
<lb/>Inuocauit Dominum, &amp; dedit illi cor sapiens, 
<lb/>&amp; intelligens: vt iudicaret orbem terræ in æquitate
<lb/>SPERANZA. 
<lb/>Confidit in Domino Iesu, &amp; non excidit a spesua ; quia sublimius fecit solium eius. 
<lb/>ZELO. 
<lb/>Zelauit super iniquos, odiuit ecclesiam malignantium: vias peccatorum dispersit. 
<pb n= "40"/>
<lb/>CARITA. 
<lb/>Caritas enim Christi vrget : nec flumina obruent illam.
<lb/>PRVDENZA. 
<lb/>In omnibus vijs suis prudenter agebat, quia
<lb/>ambulauit in lege domini.
<lb/>MISERICORDIA. 
<lb/>Speciosa misericordia regis, quia liberauit pauperem a potente, &amp; pupillum, cui non erat adiutor. 
<lb/>CLΕΜΕΝΖΑ. 
<lb/>Misericordia, &amp; veritas custodiunt Regem :
<lb/>Clementia eius quasi imber serotinus. 
<lb/>MANSVETVDINE. 
<lb/>Beati mites quoniam ipsi possidebunt terram: Et
<lb/>tu domine suauis, &amp; mitis. 
<lb/>FEDE. 
<lb/>Oculi enim Domini contemplantur vniuersam
<lb/>terram ; Et præbent fortitudinem his, qui corde perfecto credunt in eum. 
<pb n= "41"/>
<lb/>GIVSTIZIA. 
<lb/>Eripui te de contradictionibus populi: constitui
<lb/>te in caput gentium. 
<lb/>FORTEZZA. 
<lb/>Præcinsi te virtute ad hellum. supplantaui
<lb/>surgentes in te subtus te. 
<lb/>PROVIDENZA. 
<lb/>Turbabantur gentes, &amp; timebant, qui habitant
<lb/>terminos a signis tuis : spes omnium finium terræ, &amp; in Mari longe. 
<lb/>CONSIGLIO. 
<lb/>Misit ad eum legatos Porta Regis ad Orientem : vt offerrent munera, &amp; postularent ab co pacem. 
<lb/>PACE. 
<lb/>Inclinauit aurem suam mihi: &amp; subito facta
<lb/>est tranquillitas magna. 
<lb/>VIGILANZA. 
<lb/>In pace semper infidias suspicabatur: nec frustra vigilat, qui custodit eam. 
<pb n= "42"/>
<lb/>MAGNANIMITA. 
<lb/>Deus misericors, &amp; clemens, nosti quia meum 
<lb/>erat regnum: dedi in manu Patruelis mei, viuat dominus, &amp; firmet regnum eius. 
<lb/>PIETA. 
<lb/>Spoliaui me corona mea: prouidens non coactè, 
<lb/>  sed spontanè secundum Deum. 
<lb/>TIMOR D’IDDIO. 
<lb/>Diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum: &amp; in die defunctionis suæ benedicetur. 
<lb/>GLORIA. 
<lb/>Annunciate inter gentes gloriam eius: &amp; replebitur maiestate eius omnis terra. 
<pb n= "43"/>
<lb/>I Panni, che le pareti delle naui minori dalla cornice fino à terra ricopriuano, rincontro
<lb/>al mezzo de’ vani delle cappelle s’apriuano a padiglione in guisa, che ammetteuano l’occhio alla veduta degli altari, li quali erano corredati conforme a che richiedea la lugubre pompa. A’ pilastri, che diuidano l’vna cappella dall’altra s’appoggiauano piedestalli d’Affricano, che faceuano sostegno ad altrettanti grandi, e terribili effigie di morte variamente atteggiate. Aueuano in mano le morti diuerse insegne, e appropriate al motto, che era nella cartella di ciascuna base. Questi congiuntamente, come additando la breuità della vita vmana, rammemorauano a’ riguardanti, che gli huomini son mandati in questa vita, per acquistarsi altra preparatane immortale. Alla quale douendosi incamminare per la via delle buone operazioni, conuiene, per non trauiare, tener del continouo auanti agli occhi la morte. Ne occorre ricercarla troppo lontano, poiche ognora ella gli accompagna. A lei non si corre di rilancio, ma vi si va passo passo. Ciascun giorno si muore, ciascun giorno, per insino quando pare altrui crescere, si dicresce. Onde tutta l’età, ch’è addietro è in preda della morte, la quale perciò non soprauuien l’vltima, ma è quella, che carpisce l’vltimo della vita. I morti erano i seguenti. 
<pb n= "44"/>
<lb/>IN NIHILVM REDACTUS SVM ET NESCIVI. 
<lb/>NOS NATI CONTINVO DESIVIMVS ESSE. 
<lb/>VMBRAE TRANSITVS EST TEMPVS NOSTRVM
<lb/>ET NON EST REVERSIO FINIS NOSTRI. 
<lb/>MEMENTO QVAE ANTE TE FVERVNT ET
<lb/>QVAE SVPERVENTVRA SVNT TIBI. HOC IVDICIVM A DOMINO OMNI CARNI. 
<lb/>DIES MEI TRANSIERVNT COGITATIONES
<lb/>MEAE DISSIPATAE SVNT. 
<lb/>SI QVIDEM LONGAE VITAE ERVNT IN NIHIL COMPVTABVNTVR. 
<lb/>EX NIHILO NATI SVMVS ET POST HOC ERIMVS TAMQVAM NON FVERIMVS. 
<lb/>NON EST SAPIENTIA NON EST PRVDENTIA NON EST CONSILIVM CONTRA ME.
<lb/>BALTEVM REGVM DISSOLVIT. 
<lb/>MEMORIA VESTRA COMPARABITVR CINERI ET REDIGENTVR IN LVTVM CERVICES VESTRAE. 
<lb/>SICVT CALCVLVS ARENAE SIC EXIGVI ANNI IN DIE AE VI. 
<lb/>QVID HABET AMPLIVS HOMO DE VNIVERSO LABORE SVO?
<lb/>OMNES GENTES QVASI NON SINT SIC SVNT
<lb/>CORAM EO ET QVASI NIHILVM ET INANE REPVTATAE SVNT EI.
<pb n= "45"/>
<lb/>DEVS CREAVIT DE TERRA HOMINEM ET
<lb/>ITERVM CONVERTET EVM IN IPSAM. 
<lb/>DISCE VBI SIT PRVDENTIA VBI SIT VIRTVS VBI SIT INTELLECTVS. 
<lb/>VBI SVNT PRINCIPES GENTIVM?
<lb/>COMMINVAM EOS VT PVLVERE ANTE FACIEM VENTI. 
<lb/>GVSTANS GVSTAVI IN SVMMITATE VIRGAE PAVLVM MELLIS ET ECCENVNC MORIOR. 
<lb/>TVAE DIVITIAE TVA EST GLORIA TV DOMINARIS OMNIVM. 
<lb/>ASPEXI TERRAM ET ECCE QUASI VACVA ET NIHIL. 
<lb/>NON EST IN HONINIS POTESTATE CONSILIVM MEVM. 
<lb/>NESCIT HOMO FINEM SVVM SED SICVT
<lb/>PISCES CAPIVNTVR HAMO SIC CAPIVNTVR HOMINES IN TEMPORE MALO.
<lb/>DAlla cornice, che sopra i pilastri delle naui minori ricorre per tutta la lor parete, pendeuano venzei quadri spartiti in debiti spazj, parte de’ quali sopra le capelle, che nella croce della Chiesa son collocate, col medesimo ordine, erano distribuiti sotto gli scudi dell’arme, e delle’mprese. In questi in forma di donne addobbate, 
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<lb/>di ricche, e reali vestimenta, quali alla dignità, che rappresentauano, si conuenia, erano dipinte altrettante Prouincie, delle quali s’intitolaua l’Imperadore. Le’nsegne loro vsate le faceuano manifeste. Le Corone, e gli Scettri, che aueuano a’ piedi, le lacrime, che il dolor distillaua loro giù per le gote, dauano altrui apertamente a vedere, che alta cagione d’angoscia le passionaua, la qual pareua, che facessero proua di sfogar ne’ seguenti motti, de’ quali vno era sotto ciascuna Prouincia. 
<lb/>QVIS DABIT CAPITI MEO AQVAM ET OCVLIS MEIS FONTEM LACRYMARVM? 
<lb/>NUNC DOMINE ANIMA IN ANGVS TIIS ET 
<lb/> SPIRITVS ANXIVS CLAMAT AD TE. 
<lb/>MEMORIA MEMOR ERO ET TABESCET IN ME ANIMA MEA. 
<lb/>DEFECIT GAVDIVM CORDIS NOSTRI. 
<lb/>VERSVS EST IN LVCTVM CHORVS NOSTER. 
<lb/>POSVIT ME DESOLATAM TOTA DIE MOERORE CONFECTAM. 
<lb/>ET EGRESSVS EST OMNIS DECOR MEVS. 
<lb/>PERIIT FINIS MEVS ET SPES MEA. 
<lb/>DIES FESTI CONVERSI SVNT IN LAMENTATIONEM ET LVCTVM. 
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<lb/>ABLATA EST LAETITIA ET EXVLTATIO. 
<lb/>RAVCAE FACTAE SVNT FAVCES MEAE, ET DEFECERVNT OCVLI MEI. 
<lb/>QVASI INVNDATIS AQVAE SIC RVGITVS MEVS. 
<lb/>TIMOR ET TREMOR VENERVNT SVPER ME ET CONTEXERUNT ME TENEBRAE. 
<lb/>SCIDI PALLIVM MEVM ET TVNICAM ET EVELLI CAPILLOS CAPITIS MEI. 
<lb/>VAEH MIHI QVANTA FVIT EXULTATIO HERI ET NVDIVS TERTIVS? VAEH MIHI HODIE?
<lb/>OCVLVS MEVS AFFLICTVS ET TACVI EO QVOD NON ESSET REQVIES. 
<lb/>MVLTI GEMITVS MEI ET COR MEVM MOERENS. 
<lb/>VIDE DOMINE ET CONSIDERA QVONIAM FACTA SVM VILIS. 
<lb/>POSVIT ME QVASI SIGNVM AD SAGITTAM. 
<lb/>FACTVS EST DOLOR MEVS PERPETVVS ET PLAGA MEA DESPERABILIS. 
<lb/>OPPRESSIT ME DOLOR MEVS ET IN NIHILVM REDACTI SVNT OMNES ACTVS MEI. 
<lb/>FACIES MEA INTVMVIT A FLETV ET PALPEBRAE MEAE CALIGAVERVNT.
<lb/>MARCESCIT ANIMA MEA ET POSSIDENT ME DIES AFFLICTIONIS. 
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<lb/>QVASI VENTVS DESIDERIVM MEVM ET 
<lb/> VEIVT NVBES PERTRANSIIT SALVS MEA. 
<lb/>REPLETA SVM AMARITVDINIBVS ET INEBRIATA ABSYNTHIO. 
<lb/>QVIS MIHI TRIBVAT VT SIM IVXTA MENSES 
<lb/> PRISTINOS SECVNDVM DIES QVIBVS REX 
<lb/> CVSTODIEBAT ME. 
<pb n= "49"/>
<lb/>IL Catafalco, che’ nnanzi ad ogni altra cosa si rendeua ragguardeuole, fu con molto accorgimento collocato nel coro: acciò per la sua ampiezza, nulla togliesse della veduta del tempio, e più capace restasse lo spazio di quello, per lo concorso grande del popolo. Ed acciò meglio si godesse la magnificenza d’esso, fu posto sopra d’vn piano, che dal pauimento s’alzaua circa sei braccia. Il coro, quantunque dipinto per mano d’eccellente pittore, nondimeno a fin che’ l funerale apparato auesse in ogni sua parte la debita corrispondenza, tutto fu coperto di nero, e renduto oscurissimo. In mezzo di questo per lo diritto della naue maggiore si vedeua in forma di pira ardente surgere il Catafalco: la piramide del quale attorniata da fiaccole ardenti, posando sopra vno’mbasamenco ripieno di foltissimi, e quasi innumerabili lumi, pareua vna viuace fiamma, che da gran massa di fuoco s’eleuasse in alto, e come in vna tenebrosa notte maggiore, e più risplendente all’altrui vista si dimostrasse. Sporgeuano in fuora su per gli angoli della piramide con bell’ordine scompartite alcune Aquile, che sopra’l dorso sosteneuano gran torce accese. Nella sommità d’essa era vn globo rassembrante la terra: sopra del quale staua l’Aquila’ mperiale. Nel mezzo del piano, dauanti al Catafalco, surgeua vn
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<lb/>rialto, al quale si saliua per molti gradi. Questo era coperto da vna ricca coltre di velluto nero, guernita accorno con fregio di teletta d’oro, intessuto di varie figure: ed in ciascuno de’canti v’era ricamata l’arme di Cesare. Sopra questo rialto, così adornato, si reggeua su quattro piedi maestreuolmente intagliati, e messi a oro, il ferètro di Lapislazzaro, rigirato da cornici dorate: sopra’l quale staua in alto appeso vn Baldacchin di broccato d’oro arricciato. Aueua vn guanciale sopra’l coperchio, che facea letto alla Corona imperiale, allo Scertto, e allo Stocco. Dal piano, nel quale il ferètro era posto, scendeuano, fino al pauimento, verso la naue maggiore due scale in figura di semicircolo: sopra le cui sponde, rette da balaustri di Serpentino, erano disposti gran candellieri d’ariento con le lor fiaccole. Fra l’vna scala, e l’altra rimaneua vn sodo, che faceua testata al pian del ferètro: nella quale alcuni balaustri, che reggeuano l’architraue, formauano vn ballatoio. Nella faccia di questo era commessa vna cartella di forma ouata, sembrante vn bianco, e fine marmo: intorno alla quale erano congegnate pietre di vari colori a guisa di Mosaico: con le quali si componeuano a vicenda scheletri, teste, e ossature di morti. Nell’ouato erano intagliate le seguenti parole. 
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<lb/>NUNC REGES INTELLIGITE ERVDIMINI 
<lb/> QVI IVDICATIS TERRAM. 
<lb/>  S’appoggiauano a’ pilastri, che reggono l’arco 
<lb/>del coro, due statue di Mattia, erette sopra piedestalli di marmo: le quali corrispondeuano all’altre due alzate a canto alle colonne, che sostengano il 
<lb/>ballatoio del Santuario. La destra alla Pietà, la sinistra alla Prouidenza di esso era dedicata: con le 
<lb/>seguenti inscrizioni. 
<lb/>PIETATI.
<lb/>IMPERATORIS MATTHIAE AVGVSTI
<lb/>IMP. MAXIMILIANI FILII. 
<lb/>QVOD SECTARIORVM DEPRESSIS 
<lb/> VIRIBVS CATHOLICAE RELIGIONI CANDOREM RESTITVERIT. 
<lb/>PROVIDENTIAE. 
<lb/>IMP. MATTHIAE PII MAXIMI. 
<lb/>QUOD FERDINANDO PATRVELE 
<lb/> HVNGARIAE AC BOEMIAE REGE 
<lb/>  APPELLATO AVSTRIACI SANGVINIS SPLENDORI ET 
<lb/>     GERMANICAE QVIETI 
<lb/>       CONSVLVERIT. 
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<lb/>NEl centro della Croce, per offerire il sacrifizio salutare, con gran magnificenza era
<lb/>innalzato l’altar maggiore, maestoso per la copia de’ lumi, e degli altri molti ornamenti, che l’arricchiuano. Sopra l’altare pendeua vn baldacchin di velluto nero. Il dinanzi d’esso aueua il Paliotto di tela paonazza, e d’oro, della quale similmente erano i paramenti, che seruirono a’ Prelati, e a’Canonici, che ministrarono. Lungo ordine d’alti candellieri d’argento co’ lor lumi si vedeua sopra i gradi, che metteuano in mezzo vna bella, e risplendente Croce di cristallo di montagna legata in oro. 
<lb/>Non meno i lumi così riccamente per lo Catafalco, e per l’altare diuisati riempieuan di marauiglia, che gli altri per lo rimanente della Chiesa distribuiti: li quali tanta luce spargeuano, che auerebbono ogni oscura notte aggiornata. Perchè primamente numero grande d’huomini vestiti a bruno con torcia in mano si distendeua per la naue maggiore verso la porta : a piè di ciascuna colonna, e di ciascun pilastro sopra torcieri erano torce di cera bianca. Nel capitello di ciascuna colonna ardeuano due fiaccole: altre n’erano per gli alcari delle capelle. L’orlo del cerchio della cupola, le cornici della maggiore, e delle minor naui, e della trauersa della Croce n’erano ripiene. Di maniera
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<lb/>che i riguardanti di cotanto splendore, ma caduco, fattisi scala all’altissima contemplazione dell’eterno, erano mossi, a pregare Dio, che concedesse la perpetua luce all’anima, per cui le pompose esequie si celebrauano. 
<lb/>MEntre che’l popolo eccitato non meno a marauiglia dalla magnificenza dell’apparato, che a deuozione da’ concetti che sotto s’ascondeuano, staua attendendo, che l’esequie auessero il lor fine, da’ Sacerdoti si cantaua in Coro l’vfficio ordinato da’Santa Chiesa per impetrare requie a’ defunti, e nelle cappelle s’offeriuano i sacrifici all’eterno Padre in suffragio dell’anima dello’mperadore. Fra tanto comparue processionalmente il supremo Magistrato del Luogotenente, e Consiglieri, seguitato dagli altri della Città, e posossi nella residenza a lui destinata. Ne indugiò molto a giugnere il Granduca dal Cardinale, e dal Principe Lorenzo suo’ fratelli accompagnato, e corteggiato da moltitudine grande di Gentilhuomini in abito lugubre, quale a sì facta occasione si richiedea. Pendeua dalla settima colonna a mandritta vn Baldacchin di velluto nero, sotto’l quale erasi eretto per sua Altezza il trono, tutto ammantato di panni mesti. Iui andarono a risedere il Cardinale,
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<lb/>e’l Granduca, e poco di sotto il Principe Lorenzo. Nel Faldistorio apparecchiato dall’altra banda già s’era accomodato l’Arciuescouo di Firenze, che doueua celebrar la Messa. Appresso i Vescoui di Volterra, di Pistoia, di Bisignano, e di Fiesole ne’ luoghi per loro apprestati. Diede principio alla santissima Messa l’Arciuescouo con l’assistenza de’ Canonici del Duomo. Seguitò la Cappella di S. A. al flebil suon di vari strumenti con reiterate, e pietose voci, chiedendo misericordia a Dio, la quale nel processo di quelle deuote cirimonie da più luoghi si fece sentire con addolorata, e soaue armonia.
<lb/>Fu celebre vsanza in tutti i tempi, e in tutte le nazioni di ricordare ne’ mortori le virtù de’ trapassati, per accender con l’esemplo loro quei, che restano ad operare altramente. I Santi Padri nella primitiua Chiesa con grande affetto sì fatto costume abbracciando, lasciarono norma a’ posteri di lodare (secondo la parola diuina ) e d’esaltare dopo la vita quei, che virtuosamente vissero al Mondo. Cotale onoranza si dee massimamente a’ gran Principi, li quali proposti da Dio alla tutela del genere vmano, rettamente la’mministrarono. Onde finito di cantare’l Vangelo Pier Vettori Gentilhuomo di questa patria, che per le pedate dell’altro Piero suo bisauolo, cammina felicemente
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<lb/>alla gloria, salito nel Pergamo, che dirimpetto al Granduca era corredato di malinconosi ammanti, con ornata eloquenza spiegò le lodi del morto Imperadore. L’orazione ebbe sua fine, e immantinente si riprese la celebrazion della Messa, a cui dato compimento, l’Arciuescouo, e i quattro Vescoui, vestiti con ricchi Piuiali, salirono sopra’l piano del ferètro, il quale vicendeuolmente, seruando l’ordine di lor precedenze, con le cirimonie dalla Chiesa costituite circondarono, aspersero, incensarono, benedissero, e nel fine pregarano all’anima eterna pace.
<lb/>Così terminate l’esequie, il Granduca con tutta la sua comitiua si dipartì, ciascun restando marauigliato, che in concorso tanto frequente di popolo fosse regnata quiete, e affetto così grande di diuozione. Allora si vide ciascuno dal voler traportato trascorrere per la Chiesa, questi per pascer la vista dell’apparato, quegli inuaghiti della’nuenzione, ammirar la maniera, con laquale tanti concetti s’eran così leggiadramente spiegati, li quali porgeuan materia di discorrer di Cesare, per tutte le parti del tempio. Sentiuasi da altri innalzare la grandezza sua, e attribuirgli a gran felicità l’esser nato dello’mperial lignaggio Austriaco, a cui la lunga, e continuata descendenza di grandi Imperadori, e magnanimi, e la Monarchia de
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<lb/>Regni innumerabili danno cotanta chiarezza, che supera gli Eraclidi, i Pelopidi, e gli Eacidi, aʼquali per accrescere splendore con l’eminenza della prosapia alle cose felicemente condotte, fu mestiere ricorrere all’oscurità delle fauole, le quali poco stimate dagli’ntelletti piu sublimi solo gli orecchi riempieuano dell’infima gente. Ma i prudenti, che secondo la ragione giudican delle cose, magnificauano le virtù dell’animo, il quale come i raggi del Sole, benchè discendano in terra, dal fonte della lor luce non si distaccano, viuendo tra gli huomini sempre all’altezza della sua origine diceuano, essere stato congiunto. Niente più vano, che esaltare, e ammirar quello, che può in vn momento suanire. Non riconoscersi da’ freni d’oro, o da’ ricchi guernimenti la generosità del Cauallo, ma dalla ferocità, dalla velocità nel corso, dall’alterezza nel camminare. L’huomo sublimato a’ Regni, ed Imperi sopra la comun condizione vantaggiarsi con la potenza, ma auuicinarsi a Dio, mentre con essa risplenda la magnanimità, la prudenza, la giustizia. Questa esser la sourana lode del Principe, il quale sì come costituito in souranità di stato, tira a se gli occhi de’ popoli, così dourebbe farsi rimirare per esemplo di virtu, acciocchè, mentre quelli s’ingegnano di conformarglisi, ne diuengano piu virtuosi: onde nella dirittura
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<lb/>d’vn’ solo consista il ben’ esser di tutti. Imperciò Lorenzo de’ Medici l’Arbitro dell’Italia, segnalato non meno per lo patrocinio de’ letterati, che per la propia letteratura, ci lasciò sentenziosamente detto ne’ suoi nobili componimenti, 
<lb/>E quel, che fa il Signor fanno poi molti, 
<lb/>Che nel Signor son tutti gli occhi volti. 
<lb/>Ma comechè vari fossero i discorsi degli huomini, in questo tutti conuennero, che’l Granduca con la solita real magnificenza auesse altamente onorato la memoria di Cesare: e insiememente dimostrato, che non solo si debbono posseder le virtù, delle
<lb/>quali egli mirabilmente è adorno, ma
<lb/>ancora ammirarle, e guiderdonarle in altrui. 
<lb/>IL FINE. 
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</TEI>
Alessandro Stufa's Esequie dell'Imperador Mattia (1619): A Basic TEI Edition Galileo’s Library Digitization Project Galileo’s Library Digitization Project Ingrid Horton OCR cleaning Jenna Albanese XML file creation the TEI Archiving, Publishing, and Access Service (TAPAS)
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Based on the copy digitized by the Internet Archive http://www.archive.org/details/esequiedellamaes00stuf Esequie della Maestà Cesarea dell'Imperador Mattia celebrate dal Ser.mo Cosimo 2° G.D. di Toscana. Descritte da Alessandro Stufa de' Conti del Calcione. Stufa, Alessandro Florence Cecconcelli, Pietro 1619

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Esequie della Maestà Cesarea dell'Imperador Mattia celebrate dal Serenissimo Cosimo Secondo Gran Duca di Toscana. Descritte da Alessandro Stufa de' Conti del Calcione. In Firenze MDCXIX. Nella Stamperia del Cecconcelli. Alle Stelle Medicee. Con licenza de' superiori.
1619
ESEQVIE DELLA MAESTA CESAREA DELL’IMPERADOR MATTIA CELEBRATE DAL SERENISSIMO COSIMO SECONDO GRAN DVCA DI TOSCANA. Descritte da Alessandro Stufa de’ Conti del Calcione. IN FIRENZE MDCXIX. Nella Stamperia del Cecconcelli. Alle Stelle Medicee. CON LICENZA DE’ SVPERIORI. ESEQVIE DELLA MAESTA CESAREA DELL’IMPERADOR MATTIA CELEBRATE DAL SERENISSIMO COSIMO SECONDO GRAN DVCA DI TOSCANA. Redettero i più saui filosofanti, quasi scorti da diuin lume, l’anima esser cosa differente dal corpo, e lei sola operare, che ciascun’huomo in questa vita sia quello, che egli veramente è; imperciò di quanto per esso s’adopera di virtuoso, e di grande all’anima douersi la gloria. Nientedimeno fu sempre appo di loro stimato esser da concedere qualche pregio anche al corpo, nel quale, come in ispecchio, reflettendosi le potenze dell’anima, di essa con ragione l’appellarono immagine, e simulacro. Quindi è, che gli onori, che anticamente ne’mortori s’attribuiuano a’ corpi, aueuano riguardo all’animo, e a quello principalmente si riferiuano: conciossiecosa ch’e’ si facessero o maggiori, o minori secondo la virtù, e qualità di coloro, ch’erano in quel fatto onorati. La chiesa, che da più alto, e infallibil lume guidata, ci ha di cotale opinione accertati, ancorch’ell’abbia ne’ funerali per principal fine il pagar co’tesori spirituali, ond’ella è dispensatrice, i debiti, che furon dall’anime de’ suoi fedeli con l’eterna giustizia contratti, non nega però a’lor corpi l’onore, anzi lo concede loro per due ragioni. L’vna è, che essendo eglino stati ricettacoli di quell’anime, nelle quali, per auuentura, mediante la grazia, ebbe stanza il diuino Amore, auendone ancora essi riceuuta santificazione, non sono da lei reputati cosa profana, ma come sacra riceuuti nel propio grembo. L’altra è, per la speranza, che riassunti quando che sia dalle lor’anime diuenure beate, si trasfonda negli stessi corpi la stessa gloria. Ond’ella con materna pietà accende loro le faci, e porge gl’incensi, come a quelli, che deono in così eccellente modo participar del diuino. Ma conciossiecosache ella cotali onori renda a ciascun fedele, acconsente nondimeno, che con pompa, e solennità maggiore se ne priuilegin coloro, li quali furon ragguardeuoli in vita per altezza di Principato. Arbitrando, ch’alla preminenza del ministerio di Vicari dell’eterna giustizia, esercitato in terra lodeuolmente corrisponda il guiderdone proporzionatamente nel Cielo. Tale spezialità d’onoranza verso i gran Re, e Monarchi è stata in questa Città con incredibil magnificenza accresciuta da’ nostri Principi : poi chè oltre all’amistà, e all’osseruanza douuta a’ lor gradi, son quasi sempre a quelli di strettissimi nodi di consanguinità, o d’affinità congiunti. Ma tra le reali Case, con le quali più souente, che con altra, si sono eglino imparentati, si è l’augustissima d’Austria, con la quale di tanti, e sì stretti nodi di parentado sono vniti in maniera, che come propio reputano ogni auuenimento di quella. Per la qual cosa essendo al Granduca Cosimo, secondo di questo nome, la nouella della morte dell’Imperador Mattia peruenuta, n’ebbe quel cordoglio, che si conuenia, per vna perdita così graue. Ma perchè negli animi ben composti qualunque affecto, che vi s’ecciti, è principio, e cagione di virtuose operazioni, fu in S. A. sì fatto senso motiuo di pietà, e di magnificenza. La pietà dimostrò egli in istatuire all’Imperadore salutiferi, ed efficaci suffragi. Imperciocchè, quantunque si potesse sperare, che la ben disposta sua anima con ispedito volo da questa transitoria salisse a quella incorrutibil Corona preparata nel Cielo, non per tanto in quella guisa, che nel corpo solare sono alcune macchie apparenti solamente alle viste più perspicaci, così nella limpidezza degli animi piu risplendenti, sono, per lo contagio del corpo, taľora certe ombre a qualsiuoglia altr’occhio inuisibili, fuor che a quello, dauanti al quale è immonda qualsiuoglia creatura più pura, e che ritrouò (come è scritto) sino negli Angeli la prauità. Onde perchè nel di lui cospetto niuna cosa imbrattata si rappresenta, conuiene con le sacre espiazioni leuar via qualunque neo di colpa. La magnificenza del Granduca si scoprì nel reale apparato di pompose esequie, che egli ordinò, conuenienti alla grandezza dell’animo dell’onorante, e di quello a cui si porgea l’onore. Il Principe onorato aueua la dignità dello’mperio, la maggior delle temporali. Era di quella schiatta, la quale a qual grado d’altezza sia sormontata, ci palesa chiarissimamente la sublimità di potentissimi Re, la Maestà di cotanti Imperadori, e la felicità continuata per tanti secoli. Riuolgansi pure l’antiche storie, ne però si trouerrà, che’mperio alcuno tant’oltre stendesse i confini. Onde marauigliosa cosa è, che’l Sole ne’ suoi riuolgimenti non le tramonta giammai: figurandoci, che come sopra i suo’ Regni questo lume visibile non si perde, così soura questo religiosissima Casa, per la luce del Cristianesimo, e per l’accrescimento della sua Chiesa, riluce il supremo. Auuegna chè la sua diuina prouidenza, la quale non mai ne’ suoi disponimenti fallisce contro i potentati, ch’hanno voluto questa sua diletta opprimere, ha fatto surgere altri, che la difendano. A gli Aistulsi, e a’ Desideri oppose i Pipini, e i Carli. Mentre la Casa Ottomanna a’danni di lei cresceua, l’Austriaca a sua difesa innalzò. Al furor di Solimano contrappose Carlo Quinto, a quel di Selimo Filippo Re di Spagna. Non fa di mestiere a quei, che da questa Casa traggono origine, acciocchè s’accendan della virtù, proporre gli Alessandri, e i Cesari, perchè da’ propi, e dimestici esempli a sufficienza sono suegghiati. Questi insiammarono Mattia, degno rampollo di così eccelsa pianta, sì che a prò della medesima fede, per lungo spazio della sua vita, auanti alla sua esaltazione, guerreggiò accorto, prode, e valoroso. Imperadore ha difeso il Cristianesimo con la pace, dal cui mezzo auendo egli il medesimo fine ottenuto, che gli altri con l’armi, gli siamo tanto piu, che a loro obligati, quanto del sangue, e de’ mali della guerra è stato il risparmio. Qualunque onore adunque si sia offerto a Mattia, non solamente è stato stimato conueneuole alle di lui virtù, e grandezza, ma ancora è apparito con mirabil proporzione alla magnanimità del Granduca corrispondente. Il quale auendo innanzi considerato, che doue si dee impiegar l’opera di molti huomini, fa di mestiere, che qualche segnalata persona abbia autorità di disporgsi, secondo che l’occorrenza delle cose ricerca, a fin chè s’adempiano con ordine, e con prontezza, deputò per soprantendenti con assoluta podestà all’esecuzione del suo magnanimo pensiero Niccolò dell’Antella Senator di quella prudenza, che lo rende celebre ne’maggiori gouerni dello stato, il Commendatore fra Francesco suo Maiordomo, e il Caualier Cosimo Grancancelliere della sacra Religione di Santo Stefano, amendue fratelli di Niccolò, e di prouato valore, e d’esperienza. E douendo alla grandezza del defunto Imperadore, e alla magnificenza, e al reale animo di S. A. corrispondere la’nuenzione, e gli ornamenti dell’apparato, che nel tempio di S. Lorenzo doueua farsi, ne’mpose la carica a Bernardin della Rena, Ottauio Capponi, Vieri Cerchi, Tomaso Segni, e Donato dell’Antella, Gentilhuomini Fiorentini, e per lo studio delle piu belle lettere ragguardeuoli. Eglino adunque, insieme adunatisi, tosto concordarono, che la breuità del tempo circoscritto loro imponesse necessità, acciocchè senza intermissione, e senza risparmio di fatica, per ciascuno s’attendesse prontamente a quell’opera, alla quale era stato proposto. Onde con Giulio Parigi ingegnosissimo Architetto, alla cui diligenza era stata raccomandata la cura del disegno, si diedero immantinente ad apprestar tutte quelle cose, che giudicauano necessarie, a finche al tempo destinato si mandassero ad esecuzione gli vfici funerali, e l’apparato comparisse ricco, e magnifico. Valse tanto la vigilanza de’ deputati nel soprantendere, e tanto la prontezza del Parigi nell’esequire, che a dì quindici d’Aprile, con ordine, e pompa mirabile d’esequie, fu renduta la conueneuole onoranza alla memoria gloriosa di Cesare. Fu per ciò dal supremo Magistrato con publico bando dichiarato questo giorno feriato a tutta la Città. La mattina adunque per tempo, tosto che le porte della Chiesa furono aperte, vi li cominciò a veder gran concorso di popolo da ogni banda, tratto dalla fama della magnificenza dell’apparato, il quale riempiendo ciascuno di merauiglia, faceua concludere, essere del Granduca lode propia, e particolare, il soprauanzare in tutte le’mprese la conceputa espettazione, benche grandissima. Ma perchè malageuolmente intenderebbe gli ornamenti d’esequie così magnifiche chi non ha veduto quel tempio, con vna superficiale descrizione la disposizion d’esso dimosterrò, come prima la cagione aurò spiegata, perchè quello si elegga a cotale effetto. La Basilica di San Lorenzo, che già l’Ambrosiana fu appellata, perchè’l glorioso Santo Ambrogio la consecrò, aueua cominciato magnificamente ad ampliare da’ fondamenti Giouanni de’ Medici, quando morte gl’inuidio la gloria d’opra si segnalata. Ma Cosimo il Padre della Patria, e Lorenzo suoi figliuoli, che desiderauano dimostrare nella prima giouanezza pietà, e grandezza d’animo, abbracciando l’occasione, ripresero la’ncominciata fabbrica, e con ispese veramente reali la ridussero a perfezione, e di tanti ornamenti l’abbellirono, che poche altre Chiese alla sua magnificenza si posson paragonare. In questa, che per si antico retaggio, è di padronato della Serenissima Casa de’ Medici, si conseruano le ceneri de’defunci Principi nostri, ed in questa si costumaua celebrar l’esequie di tutti i gran Re, a’ quali il Granduca o per parentado, o per amicizia congiunto, vuol palesare al mondo, che se gli stimaua in vita con dimostrazioni d’amore, gli onora nella morte con affetto di religiosa pietà. La Chiesa adunque di San Lorenzo, sì come dal Brunelleschi eccellentissimo architettore fu benissimo intesa in ogni sua parte, così parimente riguardandosi alla lodeuol consuetudine delle meglio fabbricate Basiliche de’ Cristiani, fu figurata in forma di Croce, la quale, per tutta quella lunghezza, che si cammina, prima che s’arriui là, doue si stendono le sue braccia, è da due filari di colonne di pietra serena, e d’ordine Corintio, diuisa in tre naui, delle quali quella di mezzo d’altezza, e d’ampiezza auanza proporzionatamente quelle da’lati. Le colonne distinguono in otto eguali spazi per lo lungo la naue di mezzo. Sopra alle colonne si muouono gli archi, che reggono le pareti, che sino alla ricca soffitta s’innalzano. Sopra gli archi ricorrono architraue, fregio, e cornice della stessa pietra serena, e dalla cornice in su, al mezzo di ciascun’arco corrisponde il vano delle finestre, che danno il lume alla Chiesa. Rincontro alle colonne son nelle naui minori altrettanti pilastri appoggiati alle pareti, che diuidono le cappelle l’vna dall’altra, le quali sfondano rincontro agli archi della naue maggiore. Al settimo arco rispondono due porte, vna nel fianco destro, che’l popolo, e l’altra nel sinistro, che dal chiostro riceue i Sacerdoti, che si ragunano, a ringraziare, e lodare Iddio. Nel luogo dell’ottaua Cappella ha vna facciata di muro: in quella dalla banda del chiostro per mano di famoso pittore si rappresenta il Martirio di San Lorenzo, e l’altra a dirimpetto è destinata a opera somigliante. Surgono a petto le due pilastrate, nelle quali termina la Naue di mezzo, altre due pilastratte appoggiate al muro, che sostengon con eguale altezza quattro grandi archi, su i quali posa la cupola. Sotto l’vltimo di questi archi, che guarda per diritto la porta di mezzo, in luogo eleuato risiede l’altar maggiore, e da indi in là per tutto quello spazio, col qual si chiude il sacro tempio, come nella testa della Croce, rimane il coro di forma quadra. Nelle braccia, che si distendono da gli archi della destra, e sinistra banda, sopra vna scalea, che le circonda, rimiransi ornate cappelle. Ma auere insino a quì descritto questa nobil Chiesa vo’, che mi basti, perchè sarebbe malageùol cosa, e per auuentura tediosa, se volessimo prender cura, di raccor tutte sue bellezze. Le racconteremo, quando sia vopo per ageuolare’l nostro discorso. Gli ornamenti, che sopra alla facciata fur posti, per chè prima si rappresentauano all’altrui vista, saranno principio alla nostra descrizione. Ella era ricoperta di panni neri, e d’altri abbellimenti conuenienti alla cagion della pompa, onde moueua neʼriguardanti malinconoso affetto, e compassioneuole. Dauanti alla porta maggiore sporgeua vn portico col suo frontispizio d’ordine Corinto, che appariua di granito orientale. Dello stesso ordine ricorreuano da destra, e da sinistra architraue, fregio, e cornice fino alle cantonate, che terminauano in due pilastri, fra i quali, e la porta maggiore restauano le due porte delle naui minori adornate della stessa maniera. Sopra’l frontispizio della porta di mezzo posaua vn grande scudo ombreggiato di colore oscuro, nel quale era dipinta l’arme del morto Imperadore tra due figure che reggeuano lo’mperial Diadema. Le due figure rappresentauano la Religione, e la Nobiltà, l’vna era alla destra, e si riconosceua al trasparente velo, che le ricopriua il volto, al Libro, e alla croce, che ella tenea nella mano: L’altra alla sinistra si faceua manifesta, perchè adorna di ricco manto, e coronata di stelle vibraua lo scettro. La Religione, come quella, che innalza la diuina parte dell’huomo al suo vero principio, per arricchirlo dell’eterna felicità, dee reputarsi il maggior bene, che alberghi negli animi nostri. La Nobiltà, che de’ beni esterni s’annouera fra i principali, agli huomini impone generosa necessità, di gloriosamente operare: conciossiecosachè, ella sia quasi vn lume acceso dalle virtù de’ maggiori, per non lasciare in oscuro tanto le buone, quanto le ree operazioni de’ posteri : onde non possa vn’animo veramente grande sottomettersi a cose vìli, conoscendo, che in lui non si nascondono altrimenti, che nelle tenebre della notte vna gran fiamma risplendente un monte altissimo. Queste adunque congiunte nella persona di Cesare partorirono alle prouincie suggete allo’mperio vna desiderabil felicità, mentre ch’elle gli furuno scorta ad amministrar rettamente la giustizia, e a difenderle da gli’nsulti de’ barbari. Dietro all’orme di queste camminando egli in vita, per la via della luce, potè sperare di condursi nella morte all’ammirabil magion di Dio, e però con molto auuedimento fu collocata sotto l’arme vna cartella, il cui motto. IPSAE ME DEDVXERVNT. pareua, che accertasse altrui, che l’vna, e l’altra di quelle gran Donne sempre gli fu guida. Ne di minore espressione erano i motti sotto la Religione. BEATVS HOMO QUEM TV ERVDIERIS. E sotto la Nobiltà. BEATA TERRA CVIVS REX NOBILIS EST. Sopra’l frontispizio di ciascuna delle porte minori si vedeua vn quadro, a cui due figure di Morte, che da banda erano dipinte, col dorso pareuano farle sostegno. Era adornato in cima della Corona Imperiale, la quale ancora in mezzo al quadro si scorgeua, che da vn lato haueua’l Sole, e nell’opposto la Luna, che col motto CONCORDI LVMINE MAIOR. formauano la’mpresa, che l’Imperadore stampò nel rouescio delle sue monete, quando alla maestà di Re de’ Romani fu innalzato. Negli spazi, che restauano dall’vna, e dall’altra mano della porta maggiore, sopra piedestallo di granito orientale surgeuano due figure di Morte, spauentose a coloro, che non penetrano oltre alla scorza, ma piaceuoli a quelli, che considerauano le’nsegne di palme, e di Corone, che nella destra portauano co’motti, che si leggeuano nelle cartelle. Si prometteua da questi quiete, e tranquillità all’animo, che da Dio creato immortale a similitudine sua, pensò, mentre ebbe suo albergo nel corpo, a fare cose immortali a simiglianza di se medesimo. Onde sotto quella, ch’era a manritta si leggeua questo motto, il quale (come gli altri tutti, ch’erano alle morti, e alle’mprese) fu tratto dalla diuina scriptura. IVSTVS SI MORTE PRAEOCCUPATVS FVERIT IN REFRIGERIO ERIT. Confermaua grandemente la sentenza di questo motto l’altro, che era sotto la sinistra. ECCE QVOMODO COMPVTATI SVNT INTER FILIOS DEI, ET INTER SANCTOS SORS ILLORVM EST. Negli spazi, che fra le due porte minori, e le cantonate della Chiesa rimaneuano, innalzauansi sopra piedestallo simile altre due sembianze di Morte, le quali co’motti loro riducendo altrui a memoria la comune condizion degli huomini, ci dimostrauano, pochi essere gli anni della vita nostra, e trapassarne velocemente, elleno inuolgere egualmente i grandi, e i piccoli, e agguagliare i più bassi a’ sourani ; e però quella, che nel destro spazio era, Scettri, e Corone calpestaua, e aueua per motto. OMNIA PERGVNT AB VNVM LOCVM DE TERRA FACTA SVNT, ET IN TERRAM PARITER REVERTVNTVR. L’altra del sinistro spazio, como de’ volubili anni dominatrice, sotto a’ piedi teneua vn serpente riuolto in se stesso col motto DIES MEI PERTRANSIERVNT QVASI NAVES POMA PORTANTES ET SICVT AQVILA VOLANS AD ESCAM. Sopra’l viuo de’ pilastri, che terminauano le cantonate, posauano altre figure di morte, da’ motti delle quali eramo auertiti, che a guisa del prouido coltiuatore, che semina nel freddo del verno, per raccor nella state, spargessimo buone opere con lagrime nel verno di questa vita, per mieterle multiplicatamente con allegrezza nell’altra, che per lo frutto, che se ne coglie, rende somiglianza alla state. DA mostra cotanto magnifica, e misteriosa inuitati sollecitauano i riguardanti, di penetrar entro alla Chiesa, sperando di rimirarui cose molto maggiori, e più spiritose; Ne falliron loro le concepute speranze. Faceua lugubre, e mesto spectacolo il paramento della Chiesa, di cui niuna parte era, che non fusse ricoperta di panni neri, li quali, o distesamente si spiegauano dalle cornici infino rasente terra, ò apriuansi a padiglione, o ingruppauansi in varie fogge. E se per loro nerezza, e significanza apportauano terrore, la ben diuisata varietà, e la proporzione, che rendeuano fra gli ornamenti, porgea diletto. Si scorgeuano per tutto orribili aspetti di morti in diuerse positure minaccianti, che aurebbano sbigottito altrui, se non fosse stato immantenente rassicurato da motti, che nelle cartelle di ciascuna si leggeuano con significazione, che agli animi abituati nelle virtù non è spauentosa la morte, per la quale son sicuri, di trapassare, a goder perpetuamente vita migliore. Imperciocchè s’era preso per mira in tutta quella pompa, di rappresentare, che i Principi del timor di Dio, e delle virtù corredati, sotto la sua protezione, dominano sicuramente in questo mondo, e poi nella partenza son coronati di quella gloria, la quale a color, che l’amauo, fu preparata ab eterno. Cotal concetto, si come restaua di già dichiarato nella facciata di fuora, così andaua esprimendosi nel rimanente del funerale. La facciata di drento, dalla quale l’apparato cominciaua, e poi seguendo a manritta ricorreua per tutta la Chiesa, sin là, onde s’era dipartito, già fu vagamente adornata col disegno di Michelagniolo, quando Leon Decimo fece alla Chiesa prezioso dono di santissime reliquie con ordine, che nel giorno trionfal della Pasqua si mostrassero al popolo. E però a cotal’effetto a’ due pilastri, che mettono in mezzo la porta maggiore, soprapposonsi due gran colonne, le quali sopra i lor capitelli finemente intagliati reggono vn Ballatoio di nobilissimi marimi. Il Ballatoio, e le Colonne eran tutte vestite di panni bruni, e sopra’l dauanzale risplendeuano molti lumi. Alle due Colonne s’appoggiauano due statue di Mattia, erettegli per le sue virtù. Nel Piedestallo di ciascuna, che appariua di marmo bianco, si leggeua la sua inscrizione. Era la destra. FELICITATI MATTHIAE FORTISSIMI IMPERATORIS. QVOD EIVS DVCTV ET FRATRIS AVGVSTI AVSPICIIS PANNONIAE OPPIDIS OBSIDIONE EXOLVTIS LOCORVM OPPORTVNA PERMVNIVIT ET AB HOSTIVM EXCVRSIONIBVS REIP. CHRISTIANAE PROPVGNACVLA DEFENDIT. Dell’altra a sinistra tal era l’inscrizione. PRVDENTIAE IMPERATORIS MATHIAE PII MAXIMI. OB QVIETEM AVSTRIAE ET HVNGARIAE REDDITAM PACE CAESARE DIGNA CVM HOSTIBVS INITA GERMANIAE AC IMPERIO OMNI AVCTAM FELICITATEM. Lodauasi da circostanti la’nuenzione d’onorare in questa maniera la memoria de Cesari, perchè si riconosceua essere adombrata la lodeuol consuetudine de’ Romani, i quali ordinauano statue a’ valorosi Capitani d’eserciti, e a’ supremi Imperadori, per premio delle cose felicemente amministrate. E riceueuasi per maggior testimonianza di virtù, se dopo la morte, vero paragon d’essa, erano dedicate: poi chè allora era spento l’amore, la speranza, e gli altri affetti, che partoriscon l’adulazione, la qual solamente con la propia vtilità misura i meriti altrui. Quello spazio, che rimaneua fra le due colonne, sotto’l ballattoio, e sopra la Cornice della porta maggiore, era occupato da vn gran quadro, che in detta Cornice posandosi, con la parte sua superiore, sporgea dolcemente in fuora. Era d’oscuri colori tutto intorniato, e da’lati ricadeuano alcune gocciole, che l’arricchiuano di maestoso ornamento. Nelle seguenti parole, entroui impresse, si dichiaraua a cui, da chi, e perchè si facesse il pomposo funerale. IMP. MATHIAE CAESARI GERMANIAE HVNGARIAE BOEMIAE DALMATIAE CROATIAE SCLAVONIAE REGI AVSTRIAE ARCHIDVCI EX LONGA VTRINQVE CAESARVM SERIE PIN INCLYTO SEMPER AVGVSTO PRINCIPI SACRATISSIMO RELIGIONIS AC PACIS CVLTORI. COSMVS SECVNDVS MAGNVS DVX ETRVRIAE AFFINITATIS ATQVE OBSEQVII MONVMENTVM MOESTISSIMVS POSVIT. QVOD MAGNIS PRAELIIS VICTOR HUNGARIA AVSTRIAQVE IMMINENTEM TVRCARVM TYRANNIDEM PROPVLSAVERIT MVNITISSIMA OPPIDA IN DITIONEM RECEPERIT LABANTEM IN GERMANIA CATHOLICAM RELIGIONEM FIRMAVERIT AD AVITA REGNA ET IMPERII FASTIGIVM EVECTVS GERMANICAE GLORIAE HVNGARORVM LIBERTATI AVGVSTAE DOMVS FELICITATI AC TOTIVS REIP. CHRISTIANAE QVIETI HONESTISSIMA PACE CONSVLVERIT AC DEMVM FERDINANDO PATRVELE HVNGARIAE AC BOEMIAE REGNIS INAVGVRATO SEPTIMO IMPERII ANNO HVMANITATEM SANCTISSIME EXPLEVERIT. SOpra la cornice della Chiesa, nel mezzo della facciata tra uarie piegature, e feston di panno, era una grand’Arme Austriaca, a cui l’aquile imperiali da’ lati faceuano ornamento, e reggeuano la corona. Erale a man destra vna gran figura riconosciuta per la giustizia alla bellezza virginale, alle vestimenta d’oro, alla spada nuda, ch’ella vibraua, e alle bilancie librate egualmente. Nella cartella, ch’ella aueua a’ piedi, era il moto. IVSTITIA ET IVDICIVM CORRECTIO SEDIS EIVS. Dall’altra mano si mostraua la fortezza militare, tutta riccamente armata, ch’aueua il Leone a’ piedi, e in mano il ramo della Quercia col motto. ARMATVS AD BELLVM CORAM DOMINO. Credasi pure, che son fauoreggiati da Dio quelli, che di così rare virtù sono adorni: onde a ragione era il motto sotto l’arme. OCVLI DOMINI SUPER IVSTOS. In mezzo a vaghi, e maestreuoli intrecciamenti di panni, sopra ciascuna delle porte minori, era la raccontata impresa di Cesare. Le colonne dalle base insino al collarin del Capitello erano fasciate di panni significanti mestizia, e duolo. Il fregio, ch’è fra l’architraue, e la cornice, fu ornato d’altro posticcio, il quale tra ossature, e morti aueua delineate a vicenda corone, e scettri: onde si poteua argumentare, bene spesso, la felicità vmana, allora che pare nel colmo, esser terminata dalla morte. Da questo fregio, sì nella naue maggiore, come nelle braccia della croce, si distendeua vna vela di panni oscuri, ne’ quali campeggiauano scudi, che pendeuano dalla sommità dell’arco: in alcuni de’ quali si vedeua l’arme dell’Imperadore, ricinta da diuersi ornamenti di pitture, e in cima col diadema Imperiale. In altri scudi due morti prostese si figurauano, per sostenere un’ouato, nel quale imprese conuenienti al concetto del funerale, erano dipinte. Questi scudi con tale ordine erano collocati, che le ‘mprese, e l’armi vicendeuolmente restauano diuisate. Dalla parte inferior di ciascuno scudo si moueuano ricadute di panni, che allacciandosi alla sommità delle colonne, insino al mezzo scendeuano con vna gocciola, la quale, maestreuolmente allargandosi, facea graziosa vista. Sopra a’ capitelli delle colonne posauano figure di morte, che con l’altezza loro arriuauano alla Cornice, e a’ piedi aueuano vna cartella, che dichiaraua la loro significanza col motto. L’animo nostro peregrino viue nel corpo, la sua vera patria è Iddio, oue non puo egli ritornare, se non a guida della morte, la qual, se la religion ci rende desiderabile per esser con Cristo, e se l’vmana prudenza c’insegna prenderla con cuore intrepido, e costante, perche dobbiam noi temerla? Onde rettamente considerando, più conuerrebbe a questo tempo l’allegrezza, che’l pianto. Questo si confà meglio al giorno del nascimento, auuengachè allora, mandaci in esilio con l’aria medesima cominciamo à respirar le miserie. Quella si conuiene alla morte, la quale alla Patria richiamandoci, e in possessione della perduta eredità rimettendoci, ne restituisce la vita sempiterna. Perciò la morte, che a detra era sopra’l capitel della prima colonna, e conduceua il drappel dell’altre vent’vna, portaua nella mano vna ghirlanda intrecciata con alloro, e con vliuo, e aueua per motto. EXIIT SPIRITVS MEVS, ET REVERSVS EST IN TERRAM SVAM. L’altre con insegne, e con motti proporzionati, insistendo nel medesimo concetto, porgeuano similmente altrui saluteuoli ammaestramenti. FVGITE VMBRAM SAECVII HVIVS ACCIPITE IVCVNDITATEM GLORIAE VESTRAE. QVIS VNQVAM INNOCENS PERIIT AVT QVANDO RECTI DELETI SVNT? NON APPONAT VLTRA MAGNIFICARE SE HOMO SVPER TERRAM. MELIOR EST MORS QVAM VITA AMARA ET REQVIES AETERNA QVAM LANGVOR PERSEVERANS. EXPEDIT MIHI MAGIS MORI QVAM VIVERE. IVSTVS VT PALMA FLOREBIT SICVT CEDRVS LIBANI MVLTIPLICABITVR. SOL COGNOVIT OCCASVM SVVM. VOBIS APERTVS EST PARADISVS PLANTATA EST ARBOR VITAE PRAEPARATUM EST FVTVRVM TEMPVS. BEATVS VIR QUI CONFIDIT IN DOMINO QUONIAM SI DEVS TENTAVERIT EVM ET INVENERIT EVM DIGNVM SE SPES ILLIVS IMMORTALITATE PLENA EST. CORONAS IMPONIT ET PALMAS IN MANVS TRADIT. PARATI ESTOTE AD PRAEMIA REGNI QVIA LVX PERPETVA LVCEBIT VOBIS PER AETERNITATEM TEMPORIS. SVRGITE ET STATE ET VIDETE NVMERVM SIGNATORVM IN CONVIVIO DOMINI. PRAETIOSA IN COSPECTV DOMINI MORS SANCTORVM EIVS. HOC PRO CERTO HABET OMNIS QVOD VITA EIVS SI IN PROBATIONE FVERIT CORONABITVR. POST TEMPESTATEM TRANQUILLVM FACIT ET POST LACRYMATIONEM ET FLETVM EXVLTATIONEM INFVNDIT. LVX ORTA EST IVSTO ET RECTIS CORDE LAETITIA. ABSORTA EST MORS IN VICTORIA. OPORTET CORRVPTIBILE HOC INDVERE INCORRVPTIONEM ET MORTALE HOC INDVERE IMMORTALITATEM. CARO ET SANGVIS REGNVM DEI POSSIDERE NON POSSVNT. LIBERAVIT EOS QUI TIMORE MORTIS PER TOTAM VITAM OBNOXII ERANT SERVITVTI. TRANSIERVNT DOLORES ET OSTENSVS EST IN FINE THESAVRVS IMMORTALITATIS. Nel primo di quegli scudi, che dicemmo essere appesi a gli archi, era l’arme dell’Imperadore co’ suoi ornamenti, e nell’altro, che a lato gli seguitaua, si vedeua vna’mpresa, e con questo ordine rigirauano tutta la Chiesa. IN questa prima si rappresentaua il Bigatto, o Baco da feta, che aperto’l bozzolo stendeua l’ali col motto, EX VMBRA MORTIS. Noi siamo per la’mperfezion della nostra natura vermi, ma quando, mediante la morte, si dissolue’l corpo, l’anima si fa capace del consorzio degli Angeli, onde disse il nostro maggior Poeta. Non v’accorgete voi, che noi siam vermi Nati à formar l’Angelica farfalla? Chi si lamenta di tale scioglimento, o non crede, che ci sia altra vita, ò ingiustamente le cose vmane bilancia. Se chi non aueua il lume della vera fede, vedendo di quanti mali con la morte ci liberauamo, disse ella essere ottima’nuenzione della natura, che dee sentir colui, che spera vn’altra vita incomparabilmente più felice di questa? Non dobbiamo perciò lamentarci della morte di Cesare, il quale si può credere, mediante le sue virtù, auer cambiata questa veste mortale con altra, e gloriosa, e immortale. VACILLANO i Regni, mentre la ragion Politica non ha per fondamento, e per base la Religione. Nella notte della Gentilità i Principi zelauano per le cose sacre. Oggi che’l vero Sole c’illumina con che affetto le debbano venerare? Promette Iddio augumento di felicità, dilatamento di confini, successione di figliuoli, stabilimento de’ Regni, e vittoria de’nimici a Principi, che lo seruiranno con timore, e sotto la sua disciplina apprenderanno giustizia. Dauid, e Salamone tanto prosperarono, quanto non deuiarono da’ comandamenti di Dio. Mentre Gostantino il Magno alzò la Croce ne’ suoi vestilli, la Croce innalzò lui a’ trionfi. Di questa armatosi la destra Ridolfo primo fermò il tumulto di coloro, che gli negauan l’obbedienza, e l’Imperio fondò nella Casa d’Austria; Alla quale poi sotto la stessa scorta, e nel Settentrione, e nell’Oriente s’accrebbero Regni, e nell’Occidente se le scopri nuouo Mondo. Seguendo Mattia sì fatte vestigie, si propose per Tramontana la legge del Signore, e con tal guida felicemente solcò, quasi Naue, il Mare di questa vita, e come par da credere, si ricouerò al fine nel sicuro porto della salute. Questo concetto fu ingegnosamente espresso con laʼmpresa del quarto vano, doue vna naue, con la guida pur della Tramontana, afferraua al porto, e aueua per motto queste parole. A LEGE TVA NON DECLINAVI. VEdeuasi per impresa nel sesto luogo rapido fiume, che accresciuto da gran piena, aurebbe allagato vna cultiuata campagna, se la palafitta, che auuedutamente piantata v’era, non auesse riparato al soprauenente pericolo, e’l motto fu; FORSITAN ABSORBVISSENT. Voleua inferire, che la inondazione de’ Turchi aurebbe à quest’ora molte Christiane prouincie assorbite, se Mattia con tredici anni di milizia, quasi fermissimo argine, non se le fosse opposto, e per vltimo non auesse tutti i ripari fatti con vna onorata pace stabiliti. La quale azione si dee tanto più ammirare, quanto non fu ella frutto d’animo gran fatto alli studi della pace inclinato, ma di chi i miglior’anni della sua vita guerreggiando haueua trapassati. Così tal ora, nel disprezzo d’vna gloria, si ritroua gloria maggiore, e massimamente quando tal disprezzo riguarda il ben de’ suggetti, per la cui saluezza (come già Antonin pio suo predecessore ) stimò Mattia più la corona di Quercia, che per l’vccisione de’ nemici il trionfo. SCintillando nell’ottauo vano traeua a se gli occhi de’ rigitardanti vna fiamma di fuoco, in cui soffiando il vento più l’accendeua, ed era il motto. MAGIS INVALESCIT. La nobiltà è vna memoria veneranda delle passate virtù, la quale per questo s’assomiglia alla luce del fuoco, perchè ella non solo risplende per se medesima, ma ancora illustra color, che ne son dotati, come quella i corpi, ne’ quali ella si diffonde. Si spegne ancora, se il vento del proprio merito non l’auuiua. Cesare nacque della maggiore, e più nobile schiatta, che mai imperasse, ma lo splendore, che egli riceuè da’ Ridolfi, dagli Alberti, e da’ Carli, dal viuace spirito delle propie virtù conseruato, dalla continuata dignità imperiale fu accresciuto. LA’mpresa della Rondine assisa nel lido del valicato Mare col motto, TANDEM POTITVR OPTATIS, dipinta nel decimo scudo, da alcuni era pigliata per la costanza dell’animo di Cesare, posto in luogo così stabile, che non era da’ prosperi auuenimenti trasportato, ne dagli auuersi anche rotto. Da altri era interpetrata per lo felice suo passaggio dalle turbulenze di questa vita alla pace, e alla sicurezza dell’altra. Non è permesso a nauiganti il Mare a lor senno render tranquillo, ne agli huomini menar vita non mescolata fra i tumulti di quelle passioni, che l’vmana condizione porta seco. Massima lode è con la prudenza il superare i turbulenti affetti di questa vita : ma felicità incomparabile, se con l’aiuto diuino dopo cotanta vittoria si ricouera in quel luogo, doue più ne onde, ne venti, ne tempeste: ma di regna pace, quiete, e stabilità sempiterna. IL ferro stando nel fuoco diuenta lucido, e sfauillante, trattone, quindi a poco ripiglia la sua nerezza. La virtù fuora de’ trauagli non risplende, cioè non è gloriosa. In questa vniuersal Republica del Mondo gli ottimati, che sono i virtuosi, solamente son citati dalla fatica, la plebe, la quale è l’ignobil volgo, che non cura d’affaticarsi, ed ha riposta la sua gloria nel ventre, non è chiamata alla Curia, ne per consequenza agli onori; e però a chi è nobile non s’impone maggior fatica, che’l non durarla. Quanti perciò a’ pericoli non soprastanti volontariamente s’offersero? Poco risonerebbe il nome di Dauid, se le fiere nelle selue solamente hauessi sbranato. Il superbo Golia, della cui possanza sfuggito aueua ciascuno di far proua, andò egli ad incontrare, acciocchè col fucile della fatica traesse scintille di gloria. Questo concetto s’esprimeua gentilmente con la verga dell’oro, la quale fieri colpi di martello distendeuano, e dilatauano col motto IN TRIBVLATIONE. E molto approposito all’Imperadore applicato, il quale dopo i trauagli d’vna lunga, e faticola milizia salutato Imperadore dall’vniuersal consenso della Germania diuentò glorioso. SEguiua nello scudo quattordicesimo laʼmpresa del Bassilico, il quale di terra trapiantato in vn vaso d’acqua vigorosamente germogliaua. Da cotal corpo, e dal motto. NON DEFICIET FRVCTVS. si raccoglieua, che l’Imperadore diradicato di terra, e traspiantato nell’acqua, cioè nello stesso Dio, ch’è fontana d’acqua viua, fiorirebbe perpetuamente. Iui possiamo credere, che con le preghiere non resterà d’aiutare quelli, che già in terra difese con la sua poderosa mano. SCorgendo Iddio nel diserto il suo popolo, gli appariua il giorno nube, e la notte fuoco. Quella, con dolce ombra distendendosi, l’assicuraua della diuina protezione, e questo con doppio miracoloso effetto nel tempo delle tenebre, gli facea lume: e al tempo del bisogno s’arretraua, per atterrir gli auuersari. I Principi costituiti da Dio condottieri de’ popoli, se deono essere a quei, che camminano nel giorno della verità, nugola fecondissima di grazie, e di benefici; douranno anche per altra parte esser luce a quei, che camminano nelle tenebre per guidargli nel diritto sentiero : e altresì orribil fuoco si deono far prouare a’maluagi, che per la strada della’mpietà nell’ombra della morte perseuerantemente tengono il lor cammino. Questa colonna adunque, che fiammeggiaua nella notte col motto. HIS QVI IN TENEBRIS. Formaua la’mpresa, che si rimiraua pendente dall’arco sedicesimo, e significaua nel nostro Augusto così eccellente condizione, d’essere stato scorta, e refrigerio a’ Cattolici, e per contrario a gli Eretici fuoco, che o gli gastigaua, o come oro gli mondaua, e purificaua. LA bontà della pietra Aetite, la quale scriuono i Naturali, ritrouarsi nel nido dell’Aquila, è di resistere al fuoco. Tale prerogatiua aueua dato occasione all’Impresa, ch’era nel vano diciottesimo, di cui era corpo la detta pietra, che si prouaua nel fuoco, ed anima. ME EXAMINASTI. Gli animi vani sono consumati dalla vampa delle grandezze mondane, e però di loro non si vede altro, che vn falò. I fermi, e costanti restano intatti, e non che di disfacimento, son loro più tolto cagione di bene, e d’approuamento. Il Magistrato dimostra l’huomo, cioè separa, e fa conoscere quanta parte in lui sia d’huomo, quanta d’animale. Il Principato è viè più nobil cimento, perchè egli scuopre quanto abbia il Principe d’huomo, quanto di dìuino. E perciò attribuiuano gli antichi agli ottimi Principi la diuinità, la quale non aurebbero per auentura negata al nostro Cesare, se fosse stato a quei tempi, e felicemente cimentatosi nell’esamina dallo’mperio. DElla soauità de’pomi non è giudice competente il vedere. Pur troppo lo ci fece sapere la prima madre, che credendo alla vaghezza esterna con tanto nostro pregiudizio restò ingannata. Onde quel difetto si trasfuse ne’ posteri, che nelle sembianze solamente delle cose mondane appagano la lor veduta. E però fa di mestiere ricordar loro, che contemplino la midolla tanto più nobile della scorza, quanto è l’anima del corpo. A cotal fine era stata appesa al ventesimo arco la’mpresa della Melagrana, che con la forza del motto. GLORIA AB INTVS. rammemoraua a’riguardanti, che la felicità dello’nterno procede, non altrimenti che’l pregio, e la bontà d’essa melagrana non consiste nella bellezza della scorza, perciocchè, per vaga ch’ella si sia, hà più tosto in se amarezza, ma nella soauità de’grani, che con tanto ammirabile ordine vi si racchiuggono. Quindi pareua, che fosse con molta viuacità spiegato, che le glorie maggiori di Cesare non dependeuano dalla Corona, ne dall’altre insegne imperiali, nelle quali può esser tal ora, per quantunque belle si sieno, qualche amarore, ma sì dall’animo suo, e dalle sue virtù, tanto bene l’vna con l’altra concatenate. GLI huomini, ch’hanno anima ragioneuole, incomparabilmente più nobile, che non è la vegetabile delle piante, o la sensitiua degli animali, sono in vn certo modo, e da questi, e da quelle in sentimento auanzati. Sono animali, che riueriscono’1 Sole, quasi lo riconoscano autore, e cagione della lor vita. Molti fiori, come schiui di rimirare altra luce, venendo la notte si richiuggono nelle lor bocche. Il Girasole, quando il Sole è sotto’l nostro Emisperio, inchinandosi verso la terra, seguita il suo celelte corso, la mattina drizzatosi nel suo stelo l’accompagna per tutto’l corso, che resta. Se gli animali adunque, e le piante hanno questo conoscimento verso’l Sole materiale, che debbono fare gli huomini verso l’eterno? La presente vita s’assomiglia alla notte, in cui il Sole supremo risplende solamente in queste cose create, nella guisa che l’altro nella Luna, e negli altri pianeti. La futura è simile al giorno, in cui il verace Sole per se stesso risplende . L’Imperadore, ch’ha seguitato il suo cammino nelle tenebre, e nella notte di questa vita, si dee credere, che ora immobilmente, e senza tema, che nulla se gl’interponga, lo contempli nell’altra. Questo concetto fu spiegato dal fiore sopradetto col motto. IN TENEBRIS QVASI IN LVCE. che fu la’mpresa pendente nel ventiduesimo vano. RImirauasi vna Campana nello scudo ventiquattresimo, dal cui Limbicco si distillaua acqua in vn vaso col motto. NOBILIORES QVAM ANTEA. L’huomo è composto d’animo, e di corpo, quello è immortale, e s’assomiglia à Dio, questo è frale, ed è comune co’bruti. L’vno, quando morte separa loro vnione, ritorna in Cielo, e l’altro rimane in terra. Il corpo si può con ragione assomigliare a’ fiori, e all’erbe, l’animo all’umore, ch’elle contengono. La rosa distillandosi perde’l colore, e l’odore, ma l’acqua, che da lei s’estrae, lungamente odorifera si conserua. Il corpo per la distillazione della morte presto s’appassa, secca, e vien meno. L’animo, come quell’acque si conserua per rendere eternamente odore di soauità nel cospetto di Dio. Si adattaua questo concetto con molta proprietà all’Imperadore, la cui anima separata dal corpo, si può credere che quasi prezioso liquore sia restata, (come de’ fedeli dice l’Apostolo) buono odore di Cristo. REstano tra le finestre, che son per tutta la Chiesa venti spazj maggiori. Altri sedici minori sono nell’estremità delle pareti, che formano gli angoli principali del tempio. Negli spazj minori erano trofei dedicati all’azioni gloriose dell’Imperadore. Ne’venti maggiori si vedeuano quadri grandi con le cornice di Lapislazzaro, che con le ricadute, e serpeggiamenti di panni neri, che in diuerse maniere se gli auuoltauano attorno, ricopriuan tutto lo spazio. In questi quadri si rassegnaua vna schiera di quei doni, e di quelle grazie, le quali copiosamente piouono sopra coloro, che son graditi dal sommo facitore. Conduceuale la virtù, che’l nome di Cesare aueua portato per l’vniuerso. Il che fù fatto con saggio auuedimento, per manifestare altrui, ch’ella, ben che di se sola contenta non prenda cura d’altra vaghezza, gode nondimeno d’arricchire i suoi seguaci di gloria. l’amor della quale è possente stimo lo a’ mortali di fargli operar bene. Doppio piacere facea nascere ne’riguardanti questo nobil drappello, perchè non solo alla vista dilettaua con la belleza de gli abiti, degli ornamenti, e delle’nsegne propie, per le quali ciascuna si rauuisaua, ma alla mente anche porgeua conforto : conciosiacosachè con vn versetto, che ciascuna aueua nella sua cartella, riducendo altrui à memoria, in qual maniera ella auesse abbellito l’animo di Cesare, daua speranza, ch’egli all’eterna felicità fosse trapassato. I versetti di varj luoghi della sacra Scrittura approposito artisiziosamente contesti componeuano il seguente continuato Salmo. VIRTV. CAntate domino, gloriosè enim magnificatus est: iter facite ei, qui ascendit super occasum. SAPIENZA. Inuocauit Dominum, & dedit illi cor sapiens, & intelligens: vt iudicaret orbem terræ in æquitate SPERANZA. Confidit in Domino Iesu, & non excidit a spesua ; quia sublimius fecit solium eius. ZELO. Zelauit super iniquos, odiuit ecclesiam malignantium: vias peccatorum dispersit. CARITA. Caritas enim Christi vrget : nec flumina obruent illam. PRVDENZA. In omnibus vijs suis prudenter agebat, quia ambulauit in lege domini. MISERICORDIA. Speciosa misericordia regis, quia liberauit pauperem a potente, & pupillum, cui non erat adiutor. CLΕΜΕΝΖΑ. Misericordia, & veritas custodiunt Regem : Clementia eius quasi imber serotinus. MANSVETVDINE. Beati mites quoniam ipsi possidebunt terram: Et tu domine suauis, & mitis. FEDE. Oculi enim Domini contemplantur vniuersam terram ; Et præbent fortitudinem his, qui corde perfecto credunt in eum. GIVSTIZIA. Eripui te de contradictionibus populi: constitui te in caput gentium. FORTEZZA. Præcinsi te virtute ad hellum. supplantaui surgentes in te subtus te. PROVIDENZA. Turbabantur gentes, & timebant, qui habitant terminos a signis tuis : spes omnium finium terræ, & in Mari longe. CONSIGLIO. Misit ad eum legatos Porta Regis ad Orientem : vt offerrent munera, & postularent ab co pacem. PACE. Inclinauit aurem suam mihi: & subito facta est tranquillitas magna. VIGILANZA. In pace semper infidias suspicabatur: nec frustra vigilat, qui custodit eam. MAGNANIMITA. Deus misericors, & clemens, nosti quia meum erat regnum: dedi in manu Patruelis mei, viuat dominus, & firmet regnum eius. PIETA. Spoliaui me corona mea: prouidens non coactè, sed spontanè secundum Deum. TIMOR D’IDDIO. Diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum: & in die defunctionis suæ benedicetur. GLORIA. Annunciate inter gentes gloriam eius: & replebitur maiestate eius omnis terra. I Panni, che le pareti delle naui minori dalla cornice fino à terra ricopriuano, rincontro al mezzo de’ vani delle cappelle s’apriuano a padiglione in guisa, che ammetteuano l’occhio alla veduta degli altari, li quali erano corredati conforme a che richiedea la lugubre pompa. A’ pilastri, che diuidano l’vna cappella dall’altra s’appoggiauano piedestalli d’Affricano, che faceuano sostegno ad altrettanti grandi, e terribili effigie di morte variamente atteggiate. Aueuano in mano le morti diuerse insegne, e appropriate al motto, che era nella cartella di ciascuna base. Questi congiuntamente, come additando la breuità della vita vmana, rammemorauano a’ riguardanti, che gli huomini son mandati in questa vita, per acquistarsi altra preparatane immortale. Alla quale douendosi incamminare per la via delle buone operazioni, conuiene, per non trauiare, tener del continouo auanti agli occhi la morte. Ne occorre ricercarla troppo lontano, poiche ognora ella gli accompagna. A lei non si corre di rilancio, ma vi si va passo passo. Ciascun giorno si muore, ciascun giorno, per insino quando pare altrui crescere, si dicresce. Onde tutta l’età, ch’è addietro è in preda della morte, la quale perciò non soprauuien l’vltima, ma è quella, che carpisce l’vltimo della vita. I morti erano i seguenti. IN NIHILVM REDACTUS SVM ET NESCIVI. NOS NATI CONTINVO DESIVIMVS ESSE. VMBRAE TRANSITVS EST TEMPVS NOSTRVM ET NON EST REVERSIO FINIS NOSTRI. MEMENTO QVAE ANTE TE FVERVNT ET QVAE SVPERVENTVRA SVNT TIBI. HOC IVDICIVM A DOMINO OMNI CARNI. DIES MEI TRANSIERVNT COGITATIONES MEAE DISSIPATAE SVNT. SI QVIDEM LONGAE VITAE ERVNT IN NIHIL COMPVTABVNTVR. EX NIHILO NATI SVMVS ET POST HOC ERIMVS TAMQVAM NON FVERIMVS. NON EST SAPIENTIA NON EST PRVDENTIA NON EST CONSILIVM CONTRA ME. BALTEVM REGVM DISSOLVIT. MEMORIA VESTRA COMPARABITVR CINERI ET REDIGENTVR IN LVTVM CERVICES VESTRAE. SICVT CALCVLVS ARENAE SIC EXIGVI ANNI IN DIE AE VI. QVID HABET AMPLIVS HOMO DE VNIVERSO LABORE SVO? OMNES GENTES QVASI NON SINT SIC SVNT CORAM EO ET QVASI NIHILVM ET INANE REPVTATAE SVNT EI. DEVS CREAVIT DE TERRA HOMINEM ET ITERVM CONVERTET EVM IN IPSAM. DISCE VBI SIT PRVDENTIA VBI SIT VIRTVS VBI SIT INTELLECTVS. VBI SVNT PRINCIPES GENTIVM? COMMINVAM EOS VT PVLVERE ANTE FACIEM VENTI. GVSTANS GVSTAVI IN SVMMITATE VIRGAE PAVLVM MELLIS ET ECCENVNC MORIOR. TVAE DIVITIAE TVA EST GLORIA TV DOMINARIS OMNIVM. ASPEXI TERRAM ET ECCE QUASI VACVA ET NIHIL. NON EST IN HONINIS POTESTATE CONSILIVM MEVM. NESCIT HOMO FINEM SVVM SED SICVT PISCES CAPIVNTVR HAMO SIC CAPIVNTVR HOMINES IN TEMPORE MALO. DAlla cornice, che sopra i pilastri delle naui minori ricorre per tutta la lor parete, pendeuano venzei quadri spartiti in debiti spazj, parte de’ quali sopra le capelle, che nella croce della Chiesa son collocate, col medesimo ordine, erano distribuiti sotto gli scudi dell’arme, e delle’mprese. In questi in forma di donne addobbate, di ricche, e reali vestimenta, quali alla dignità, che rappresentauano, si conuenia, erano dipinte altrettante Prouincie, delle quali s’intitolaua l’Imperadore. Le’nsegne loro vsate le faceuano manifeste. Le Corone, e gli Scettri, che aueuano a’ piedi, le lacrime, che il dolor distillaua loro giù per le gote, dauano altrui apertamente a vedere, che alta cagione d’angoscia le passionaua, la qual pareua, che facessero proua di sfogar ne’ seguenti motti, de’ quali vno era sotto ciascuna Prouincia. QVIS DABIT CAPITI MEO AQVAM ET OCVLIS MEIS FONTEM LACRYMARVM? NUNC DOMINE ANIMA IN ANGVS TIIS ET SPIRITVS ANXIVS CLAMAT AD TE. MEMORIA MEMOR ERO ET TABESCET IN ME ANIMA MEA. DEFECIT GAVDIVM CORDIS NOSTRI. VERSVS EST IN LVCTVM CHORVS NOSTER. POSVIT ME DESOLATAM TOTA DIE MOERORE CONFECTAM. ET EGRESSVS EST OMNIS DECOR MEVS. PERIIT FINIS MEVS ET SPES MEA. DIES FESTI CONVERSI SVNT IN LAMENTATIONEM ET LVCTVM. ABLATA EST LAETITIA ET EXVLTATIO. RAVCAE FACTAE SVNT FAVCES MEAE, ET DEFECERVNT OCVLI MEI. QVASI INVNDATIS AQVAE SIC RVGITVS MEVS. TIMOR ET TREMOR VENERVNT SVPER ME ET CONTEXERUNT ME TENEBRAE. SCIDI PALLIVM MEVM ET TVNICAM ET EVELLI CAPILLOS CAPITIS MEI. VAEH MIHI QVANTA FVIT EXULTATIO HERI ET NVDIVS TERTIVS? VAEH MIHI HODIE? OCVLVS MEVS AFFLICTVS ET TACVI EO QVOD NON ESSET REQVIES. MVLTI GEMITVS MEI ET COR MEVM MOERENS. VIDE DOMINE ET CONSIDERA QVONIAM FACTA SVM VILIS. POSVIT ME QVASI SIGNVM AD SAGITTAM. FACTVS EST DOLOR MEVS PERPETVVS ET PLAGA MEA DESPERABILIS. OPPRESSIT ME DOLOR MEVS ET IN NIHILVM REDACTI SVNT OMNES ACTVS MEI. FACIES MEA INTVMVIT A FLETV ET PALPEBRAE MEAE CALIGAVERVNT. MARCESCIT ANIMA MEA ET POSSIDENT ME DIES AFFLICTIONIS. QVASI VENTVS DESIDERIVM MEVM ET VEIVT NVBES PERTRANSIIT SALVS MEA. REPLETA SVM AMARITVDINIBVS ET INEBRIATA ABSYNTHIO. QVIS MIHI TRIBVAT VT SIM IVXTA MENSES PRISTINOS SECVNDVM DIES QVIBVS REX CVSTODIEBAT ME. IL Catafalco, che’ nnanzi ad ogni altra cosa si rendeua ragguardeuole, fu con molto accorgimento collocato nel coro: acciò per la sua ampiezza, nulla togliesse della veduta del tempio, e più capace restasse lo spazio di quello, per lo concorso grande del popolo. Ed acciò meglio si godesse la magnificenza d’esso, fu posto sopra d’vn piano, che dal pauimento s’alzaua circa sei braccia. Il coro, quantunque dipinto per mano d’eccellente pittore, nondimeno a fin che’ l funerale apparato auesse in ogni sua parte la debita corrispondenza, tutto fu coperto di nero, e renduto oscurissimo. In mezzo di questo per lo diritto della naue maggiore si vedeua in forma di pira ardente surgere il Catafalco: la piramide del quale attorniata da fiaccole ardenti, posando sopra vno’mbasamenco ripieno di foltissimi, e quasi innumerabili lumi, pareua vna viuace fiamma, che da gran massa di fuoco s’eleuasse in alto, e come in vna tenebrosa notte maggiore, e più risplendente all’altrui vista si dimostrasse. Sporgeuano in fuora su per gli angoli della piramide con bell’ordine scompartite alcune Aquile, che sopra’l dorso sosteneuano gran torce accese. Nella sommità d’essa era vn globo rassembrante la terra: sopra del quale staua l’Aquila’ mperiale. Nel mezzo del piano, dauanti al Catafalco, surgeua vn rialto, al quale si saliua per molti gradi. Questo era coperto da vna ricca coltre di velluto nero, guernita accorno con fregio di teletta d’oro, intessuto di varie figure: ed in ciascuno de’canti v’era ricamata l’arme di Cesare. Sopra questo rialto, così adornato, si reggeua su quattro piedi maestreuolmente intagliati, e messi a oro, il ferètro di Lapislazzaro, rigirato da cornici dorate: sopra’l quale staua in alto appeso vn Baldacchin di broccato d’oro arricciato. Aueua vn guanciale sopra’l coperchio, che facea letto alla Corona imperiale, allo Scertto, e allo Stocco. Dal piano, nel quale il ferètro era posto, scendeuano, fino al pauimento, verso la naue maggiore due scale in figura di semicircolo: sopra le cui sponde, rette da balaustri di Serpentino, erano disposti gran candellieri d’ariento con le lor fiaccole. Fra l’vna scala, e l’altra rimaneua vn sodo, che faceua testata al pian del ferètro: nella quale alcuni balaustri, che reggeuano l’architraue, formauano vn ballatoio. Nella faccia di questo era commessa vna cartella di forma ouata, sembrante vn bianco, e fine marmo: intorno alla quale erano congegnate pietre di vari colori a guisa di Mosaico: con le quali si componeuano a vicenda scheletri, teste, e ossature di morti. Nell’ouato erano intagliate le seguenti parole. NUNC REGES INTELLIGITE ERVDIMINI QVI IVDICATIS TERRAM. S’appoggiauano a’ pilastri, che reggono l’arco del coro, due statue di Mattia, erette sopra piedestalli di marmo: le quali corrispondeuano all’altre due alzate a canto alle colonne, che sostengano il ballatoio del Santuario. La destra alla Pietà, la sinistra alla Prouidenza di esso era dedicata: con le seguenti inscrizioni. PIETATI. IMPERATORIS MATTHIAE AVGVSTI IMP. MAXIMILIANI FILII. QVOD SECTARIORVM DEPRESSIS VIRIBVS CATHOLICAE RELIGIONI CANDOREM RESTITVERIT. PROVIDENTIAE. IMP. MATTHIAE PII MAXIMI. QUOD FERDINANDO PATRVELE HVNGARIAE AC BOEMIAE REGE APPELLATO AVSTRIACI SANGVINIS SPLENDORI ET GERMANICAE QVIETI CONSVLVERIT. NEl centro della Croce, per offerire il sacrifizio salutare, con gran magnificenza era innalzato l’altar maggiore, maestoso per la copia de’ lumi, e degli altri molti ornamenti, che l’arricchiuano. Sopra l’altare pendeua vn baldacchin di velluto nero. Il dinanzi d’esso aueua il Paliotto di tela paonazza, e d’oro, della quale similmente erano i paramenti, che seruirono a’ Prelati, e a’Canonici, che ministrarono. Lungo ordine d’alti candellieri d’argento co’ lor lumi si vedeua sopra i gradi, che metteuano in mezzo vna bella, e risplendente Croce di cristallo di montagna legata in oro. Non meno i lumi così riccamente per lo Catafalco, e per l’altare diuisati riempieuan di marauiglia, che gli altri per lo rimanente della Chiesa distribuiti: li quali tanta luce spargeuano, che auerebbono ogni oscura notte aggiornata. Perchè primamente numero grande d’huomini vestiti a bruno con torcia in mano si distendeua per la naue maggiore verso la porta : a piè di ciascuna colonna, e di ciascun pilastro sopra torcieri erano torce di cera bianca. Nel capitello di ciascuna colonna ardeuano due fiaccole: altre n’erano per gli alcari delle capelle. L’orlo del cerchio della cupola, le cornici della maggiore, e delle minor naui, e della trauersa della Croce n’erano ripiene. Di maniera che i riguardanti di cotanto splendore, ma caduco, fattisi scala all’altissima contemplazione dell’eterno, erano mossi, a pregare Dio, che concedesse la perpetua luce all’anima, per cui le pompose esequie si celebrauano. MEntre che’l popolo eccitato non meno a marauiglia dalla magnificenza dell’apparato, che a deuozione da’ concetti che sotto s’ascondeuano, staua attendendo, che l’esequie auessero il lor fine, da’ Sacerdoti si cantaua in Coro l’vfficio ordinato da’Santa Chiesa per impetrare requie a’ defunti, e nelle cappelle s’offeriuano i sacrifici all’eterno Padre in suffragio dell’anima dello’mperadore. Fra tanto comparue processionalmente il supremo Magistrato del Luogotenente, e Consiglieri, seguitato dagli altri della Città, e posossi nella residenza a lui destinata. Ne indugiò molto a giugnere il Granduca dal Cardinale, e dal Principe Lorenzo suo’ fratelli accompagnato, e corteggiato da moltitudine grande di Gentilhuomini in abito lugubre, quale a sì facta occasione si richiedea. Pendeua dalla settima colonna a mandritta vn Baldacchin di velluto nero, sotto’l quale erasi eretto per sua Altezza il trono, tutto ammantato di panni mesti. Iui andarono a risedere il Cardinale, e’l Granduca, e poco di sotto il Principe Lorenzo. Nel Faldistorio apparecchiato dall’altra banda già s’era accomodato l’Arciuescouo di Firenze, che doueua celebrar la Messa. Appresso i Vescoui di Volterra, di Pistoia, di Bisignano, e di Fiesole ne’ luoghi per loro apprestati. Diede principio alla santissima Messa l’Arciuescouo con l’assistenza de’ Canonici del Duomo. Seguitò la Cappella di S. A. al flebil suon di vari strumenti con reiterate, e pietose voci, chiedendo misericordia a Dio, la quale nel processo di quelle deuote cirimonie da più luoghi si fece sentire con addolorata, e soaue armonia. Fu celebre vsanza in tutti i tempi, e in tutte le nazioni di ricordare ne’ mortori le virtù de’ trapassati, per accender con l’esemplo loro quei, che restano ad operare altramente. I Santi Padri nella primitiua Chiesa con grande affetto sì fatto costume abbracciando, lasciarono norma a’ posteri di lodare (secondo la parola diuina ) e d’esaltare dopo la vita quei, che virtuosamente vissero al Mondo. Cotale onoranza si dee massimamente a’ gran Principi, li quali proposti da Dio alla tutela del genere vmano, rettamente la’mministrarono. Onde finito di cantare’l Vangelo Pier Vettori Gentilhuomo di questa patria, che per le pedate dell’altro Piero suo bisauolo, cammina felicemente alla gloria, salito nel Pergamo, che dirimpetto al Granduca era corredato di malinconosi ammanti, con ornata eloquenza spiegò le lodi del morto Imperadore. L’orazione ebbe sua fine, e immantinente si riprese la celebrazion della Messa, a cui dato compimento, l’Arciuescouo, e i quattro Vescoui, vestiti con ricchi Piuiali, salirono sopra’l piano del ferètro, il quale vicendeuolmente, seruando l’ordine di lor precedenze, con le cirimonie dalla Chiesa costituite circondarono, aspersero, incensarono, benedissero, e nel fine pregarano all’anima eterna pace. Così terminate l’esequie, il Granduca con tutta la sua comitiua si dipartì, ciascun restando marauigliato, che in concorso tanto frequente di popolo fosse regnata quiete, e affetto così grande di diuozione. Allora si vide ciascuno dal voler traportato trascorrere per la Chiesa, questi per pascer la vista dell’apparato, quegli inuaghiti della’nuenzione, ammirar la maniera, con laquale tanti concetti s’eran così leggiadramente spiegati, li quali porgeuan materia di discorrer di Cesare, per tutte le parti del tempio. Sentiuasi da altri innalzare la grandezza sua, e attribuirgli a gran felicità l’esser nato dello’mperial lignaggio Austriaco, a cui la lunga, e continuata descendenza di grandi Imperadori, e magnanimi, e la Monarchia de Regni innumerabili danno cotanta chiarezza, che supera gli Eraclidi, i Pelopidi, e gli Eacidi, aʼquali per accrescere splendore con l’eminenza della prosapia alle cose felicemente condotte, fu mestiere ricorrere all’oscurità delle fauole, le quali poco stimate dagli’ntelletti piu sublimi solo gli orecchi riempieuano dell’infima gente. Ma i prudenti, che secondo la ragione giudican delle cose, magnificauano le virtù dell’animo, il quale come i raggi del Sole, benchè discendano in terra, dal fonte della lor luce non si distaccano, viuendo tra gli huomini sempre all’altezza della sua origine diceuano, essere stato congiunto. Niente più vano, che esaltare, e ammirar quello, che può in vn momento suanire. Non riconoscersi da’ freni d’oro, o da’ ricchi guernimenti la generosità del Cauallo, ma dalla ferocità, dalla velocità nel corso, dall’alterezza nel camminare. L’huomo sublimato a’ Regni, ed Imperi sopra la comun condizione vantaggiarsi con la potenza, ma auuicinarsi a Dio, mentre con essa risplenda la magnanimità, la prudenza, la giustizia. Questa esser la sourana lode del Principe, il quale sì come costituito in souranità di stato, tira a se gli occhi de’ popoli, così dourebbe farsi rimirare per esemplo di virtu, acciocchè, mentre quelli s’ingegnano di conformarglisi, ne diuengano piu virtuosi: onde nella dirittura d’vn’ solo consista il ben’ esser di tutti. Imperciò Lorenzo de’ Medici l’Arbitro dell’Italia, segnalato non meno per lo patrocinio de’ letterati, che per la propia letteratura, ci lasciò sentenziosamente detto ne’ suoi nobili componimenti, E quel, che fa il Signor fanno poi molti, Che nel Signor son tutti gli occhi volti. Ma comechè vari fossero i discorsi degli huomini, in questo tutti conuennero, che’l Granduca con la solita real magnificenza auesse altamente onorato la memoria di Cesare: e insiememente dimostrato, che non solo si debbono posseder le virtù, delle quali egli mirabilmente è adorno, ma ancora ammirarle, e guiderdonarle in altrui. IL FINE.

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Alessandro Stufa's Esequie dell'Imperador Mattia (1619): A Basic TEI Edition Galileo’s Library Digitization Project Galileo’s Library Digitization Project Ingrid Horton OCR cleaning Jenna Albanese XML file creation the TEI Archiving, Publishing, and Access Service (TAPAS)
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Based on the copy digitized by the Internet Archive http://www.archive.org/details/esequiedellamaes00stuf Esequie della Maestà Cesarea dell'Imperador Mattia celebrate dal Ser.mo Cosimo 2° G.D. di Toscana. Descritte da Alessandro Stufa de' Conti del Calcione. Stufa, Alessandro Florence Cecconcelli, Pietro 1619

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Esequie della Maestà Cesarea dell'Imperador Mattia celebrate dal Serenissimo Cosimo Secondo Gran Duca di Toscana. Descritte da Alessandro Stufa de' Conti del Calcione. In Firenze MDCXIX. Nella Stamperia del Cecconcelli. Alle Stelle Medicee. Con licenza de' superiori.
1619
ESEQVIE DELLA MAESTA CESAREA DELL’IMPERADOR MATTIA CELEBRATE DAL SERENISSIMO COSIMO SECONDO GRAN DVCA DI TOSCANA. Descritte da Alessandro Stufa de’ Conti del Calcione. IN FIRENZE MDCXIX. Nella Stamperia del Cecconcelli. Alle Stelle Medicee. CON LICENZA DE’ SVPERIORI. ESEQVIE DELLA MAESTA CESAREA DELL’IMPERADOR MATTIA CELEBRATE DAL SERENISSIMO COSIMO SECONDO GRAN DVCA DI TOSCANA. Redettero i più saui filosofanti, quasi scorti da diuin lume, l’anima esser cosa differente dal corpo, e lei sola operare, che ciascun’huomo in questa vita sia quello, che egli veramente è; imperciò di quanto per esso s’adopera di virtuoso, e di grande all’anima douersi la gloria. Nientedimeno fu sempre appo di loro stimato esser da concedere qualche pregio anche al corpo, nel quale, come in ispecchio, reflettendosi le potenze dell’anima, di essa con ragione l’appellarono immagine, e simulacro. Quindi è, che gli onori, che anticamente ne’mortori s’attribuiuano a’ corpi, aueuano riguardo all’animo, e a quello principalmente si riferiuano: conciossiecosa ch’e’ si facessero o maggiori, o minori secondo la virtù, e qualità di coloro, ch’erano in quel fatto onorati. La chiesa, che da più alto, e infallibil lume guidata, ci ha di cotale opinione accertati, ancorch’ell’abbia ne’ funerali per principal fine il pagar co’tesori spirituali, ond’ella è dispensatrice, i debiti, che furon dall’anime de’ suoi fedeli con l’eterna giustizia contratti, non nega però a’lor corpi l’onore, anzi lo concede loro per due ragioni. L’vna è, che essendo eglino stati ricettacoli di quell’anime, nelle quali, per auuentura, mediante la grazia, ebbe stanza il diuino Amore, auendone ancora essi riceuuta santificazione, non sono da lei reputati cosa profana, ma come sacra riceuuti nel propio grembo. L’altra è, per la speranza, che riassunti quando che sia dalle lor’anime diuenure beate, si trasfonda negli stessi corpi la stessa gloria. Ond’ella con materna pietà accende loro le faci, e porge gl’incensi, come a quelli, che deono in così eccellente modo participar del diuino. Ma conciossiecosache ella cotali onori renda a ciascun fedele, acconsente nondimeno, che con pompa, e solennità maggiore se ne priuilegin coloro, li quali furon ragguardeuoli in vita per altezza di Principato. Arbitrando, ch’alla preminenza del ministerio di Vicari dell’eterna giustizia, esercitato in terra lodeuolmente corrisponda il guiderdone proporzionatamente nel Cielo. Tale spezialità d’onoranza verso i gran Re, e Monarchi è stata in questa Città con incredibil magnificenza accresciuta da’ nostri Principi : poi chè oltre all’amistà, e all’osseruanza douuta a’ lor gradi, son quasi sempre a quelli di strettissimi nodi di consanguinità, o d’affinità congiunti. Ma tra le reali Case, con le quali più souente, che con altra, si sono eglino imparentati, si è l’augustissima d’Austria, con la quale di tanti, e sì stretti nodi di parentado sono vniti in maniera, che come propio reputano ogni auuenimento di quella. Per la qual cosa essendo al Granduca Cosimo, secondo di questo nome, la nouella della morte dell’Imperador Mattia peruenuta, n’ebbe quel cordoglio, che si conuenia, per vna perdita così graue. Ma perchè negli animi ben composti qualunque affecto, che vi s’ecciti, è principio, e cagione di virtuose operazioni, fu in S. A. sì fatto senso motiuo di pietà, e di magnificenza. La pietà dimostrò egli in istatuire all’Imperadore salutiferi, ed efficaci suffragi. Imperciocchè, quantunque si potesse sperare, che la ben disposta sua anima con ispedito volo da questa transitoria salisse a quella incorrutibil Corona preparata nel Cielo, non per tanto in quella guisa, che nel corpo solare sono alcune macchie apparenti solamente alle viste più perspicaci, così nella limpidezza degli animi piu risplendenti, sono, per lo contagio del corpo, taľora certe ombre a qualsiuoglia altr’occhio inuisibili, fuor che a quello, dauanti al quale è immonda qualsiuoglia creatura più pura, e che ritrouò (come è scritto) sino negli Angeli la prauità. Onde perchè nel di lui cospetto niuna cosa imbrattata si rappresenta, conuiene con le sacre espiazioni leuar via qualunque neo di colpa. La magnificenza del Granduca si scoprì nel reale apparato di pompose esequie, che egli ordinò, conuenienti alla grandezza dell’animo dell’onorante, e di quello a cui si porgea l’onore. Il Principe onorato aueua la dignità dello’mperio, la maggior delle temporali. Era di quella schiatta, la quale a qual grado d’altezza sia sormontata, ci palesa chiarissimamente la sublimità di potentissimi Re, la Maestà di cotanti Imperadori, e la felicità continuata per tanti secoli. Riuolgansi pure l’antiche storie, ne però si trouerrà, che’mperio alcuno tant’oltre stendesse i confini. Onde marauigliosa cosa è, che’l Sole ne’ suoi riuolgimenti non le tramonta giammai: figurandoci, che come sopra i suo’ Regni questo lume visibile non si perde, così soura questo religiosissima Casa, per la luce del Cristianesimo, e per l’accrescimento della sua Chiesa, riluce il supremo. Auuegna chè la sua diuina prouidenza, la quale non mai ne’ suoi disponimenti fallisce contro i potentati, ch’hanno voluto questa sua diletta opprimere, ha fatto surgere altri, che la difendano. A gli Aistulsi, e a’ Desideri oppose i Pipini, e i Carli. Mentre la Casa Ottomanna a’danni di lei cresceua, l’Austriaca a sua difesa innalzò. Al furor di Solimano contrappose Carlo Quinto, a quel di Selimo Filippo Re di Spagna. Non fa di mestiere a quei, che da questa Casa traggono origine, acciocchè s’accendan della virtù, proporre gli Alessandri, e i Cesari, perchè da’ propi, e dimestici esempli a sufficienza sono suegghiati. Questi insiammarono Mattia, degno rampollo di così eccelsa pianta, sì che a prò della medesima fede, per lungo spazio della sua vita, auanti alla sua esaltazione, guerreggiò accorto, prode, e valoroso. Imperadore ha difeso il Cristianesimo con la pace, dal cui mezzo auendo egli il medesimo fine ottenuto, che gli altri con l’armi, gli siamo tanto piu, che a loro obligati, quanto del sangue, e de’ mali della guerra è stato il risparmio. Qualunque onore adunque si sia offerto a Mattia, non solamente è stato stimato conueneuole alle di lui virtù, e grandezza, ma ancora è apparito con mirabil proporzione alla magnanimità del Granduca corrispondente. Il quale auendo innanzi considerato, che doue si dee impiegar l’opera di molti huomini, fa di mestiere, che qualche segnalata persona abbia autorità di disporgsi, secondo che l’occorrenza delle cose ricerca, a fin chè s’adempiano con ordine, e con prontezza, deputò per soprantendenti con assoluta podestà all’esecuzione del suo magnanimo pensiero Niccolò dell’Antella Senator di quella prudenza, che lo rende celebre ne’maggiori gouerni dello stato, il Commendatore fra Francesco suo Maiordomo, e il Caualier Cosimo Grancancelliere della sacra Religione di Santo Stefano, amendue fratelli di Niccolò, e di prouato valore, e d’esperienza. E douendo alla grandezza del defunto Imperadore, e alla magnificenza, e al reale animo di S. A. corrispondere la’nuenzione, e gli ornamenti dell’apparato, che nel tempio di S. Lorenzo doueua farsi, ne’mpose la carica a Bernardin della Rena, Ottauio Capponi, Vieri Cerchi, Tomaso Segni, e Donato dell’Antella, Gentilhuomini Fiorentini, e per lo studio delle piu belle lettere ragguardeuoli. Eglino adunque, insieme adunatisi, tosto concordarono, che la breuità del tempo circoscritto loro imponesse necessità, acciocchè senza intermissione, e senza risparmio di fatica, per ciascuno s’attendesse prontamente a quell’opera, alla quale era stato proposto. Onde con Giulio Parigi ingegnosissimo Architetto, alla cui diligenza era stata raccomandata la cura del disegno, si diedero immantinente ad apprestar tutte quelle cose, che giudicauano necessarie, a finche al tempo destinato si mandassero ad esecuzione gli vfici funerali, e l’apparato comparisse ricco, e magnifico. Valse tanto la vigilanza de’ deputati nel soprantendere, e tanto la prontezza del Parigi nell’esequire, che a dì quindici d’Aprile, con ordine, e pompa mirabile d’esequie, fu renduta la conueneuole onoranza alla memoria gloriosa di Cesare. Fu per ciò dal supremo Magistrato con publico bando dichiarato questo giorno feriato a tutta la Città. La mattina adunque per tempo, tosto che le porte della Chiesa furono aperte, vi li cominciò a veder gran concorso di popolo da ogni banda, tratto dalla fama della magnificenza dell’apparato, il quale riempiendo ciascuno di merauiglia, faceua concludere, essere del Granduca lode propia, e particolare, il soprauanzare in tutte le’mprese la conceputa espettazione, benche grandissima. Ma perchè malageuolmente intenderebbe gli ornamenti d’esequie così magnifiche chi non ha veduto quel tempio, con vna superficiale descrizione la disposizion d’esso dimosterrò, come prima la cagione aurò spiegata, perchè quello si elegga a cotale effetto. La Basilica di San Lorenzo, che già l’Ambrosiana fu appellata, perchè’l glorioso Santo Ambrogio la consecrò, aueua cominciato magnificamente ad ampliare da’ fondamenti Giouanni de’ Medici, quando morte gl’inuidio la gloria d’opra si segnalata. Ma Cosimo il Padre della Patria, e Lorenzo suoi figliuoli, che desiderauano dimostrare nella prima giouanezza pietà, e grandezza d’animo, abbracciando l’occasione, ripresero la’ncominciata fabbrica, e con ispese veramente reali la ridussero a perfezione, e di tanti ornamenti l’abbellirono, che poche altre Chiese alla sua magnificenza si posson paragonare. In questa, che per si antico retaggio, è di padronato della Serenissima Casa de’ Medici, si conseruano le ceneri de’defunci Principi nostri, ed in questa si costumaua celebrar l’esequie di tutti i gran Re, a’ quali il Granduca o per parentado, o per amicizia congiunto, vuol palesare al mondo, che se gli stimaua in vita con dimostrazioni d’amore, gli onora nella morte con affetto di religiosa pietà. La Chiesa adunque di San Lorenzo, sì come dal Brunelleschi eccellentissimo architettore fu benissimo intesa in ogni sua parte, così parimente riguardandosi alla lodeuol consuetudine delle meglio fabbricate Basiliche de’ Cristiani, fu figurata in forma di Croce, la quale, per tutta quella lunghezza, che si cammina, prima che s’arriui là, doue si stendono le sue braccia, è da due filari di colonne di pietra serena, e d’ordine Corintio, diuisa in tre naui, delle quali quella di mezzo d’altezza, e d’ampiezza auanza proporzionatamente quelle da’lati. Le colonne distinguono in otto eguali spazi per lo lungo la naue di mezzo. Sopra alle colonne si muouono gli archi, che reggono le pareti, che sino alla ricca soffitta s’innalzano. Sopra gli archi ricorrono architraue, fregio, e cornice della stessa pietra serena, e dalla cornice in su, al mezzo di ciascun’arco corrisponde il vano delle finestre, che danno il lume alla Chiesa. Rincontro alle colonne son nelle naui minori altrettanti pilastri appoggiati alle pareti, che diuidono le cappelle l’vna dall’altra, le quali sfondano rincontro agli archi della naue maggiore. Al settimo arco rispondono due porte, vna nel fianco destro, che’l popolo, e l’altra nel sinistro, che dal chiostro riceue i Sacerdoti, che si ragunano, a ringraziare, e lodare Iddio. Nel luogo dell’ottaua Cappella ha vna facciata di muro: in quella dalla banda del chiostro per mano di famoso pittore si rappresenta il Martirio di San Lorenzo, e l’altra a dirimpetto è destinata a opera somigliante. Surgono a petto le due pilastrate, nelle quali termina la Naue di mezzo, altre due pilastratte appoggiate al muro, che sostengon con eguale altezza quattro grandi archi, su i quali posa la cupola. Sotto l’vltimo di questi archi, che guarda per diritto la porta di mezzo, in luogo eleuato risiede l’altar maggiore, e da indi in là per tutto quello spazio, col qual si chiude il sacro tempio, come nella testa della Croce, rimane il coro di forma quadra. Nelle braccia, che si distendono da gli archi della destra, e sinistra banda, sopra vna scalea, che le circonda, rimiransi ornate cappelle. Ma auere insino a quì descritto questa nobil Chiesa vo’, che mi basti, perchè sarebbe malageùol cosa, e per auuentura tediosa, se volessimo prender cura, di raccor tutte sue bellezze. Le racconteremo, quando sia vopo per ageuolare’l nostro discorso. Gli ornamenti, che sopra alla facciata fur posti, per chè prima si rappresentauano all’altrui vista, saranno principio alla nostra descrizione. Ella era ricoperta di panni neri, e d’altri abbellimenti conuenienti alla cagion della pompa, onde moueua neʼriguardanti malinconoso affetto, e compassioneuole. Dauanti alla porta maggiore sporgeua vn portico col suo frontispizio d’ordine Corinto, che appariua di granito orientale. Dello stesso ordine ricorreuano da destra, e da sinistra architraue, fregio, e cornice fino alle cantonate, che terminauano in due pilastri, fra i quali, e la porta maggiore restauano le due porte delle naui minori adornate della stessa maniera. Sopra’l frontispizio della porta di mezzo posaua vn grande scudo ombreggiato di colore oscuro, nel quale era dipinta l’arme del morto Imperadore tra due figure che reggeuano lo’mperial Diadema. Le due figure rappresentauano la Religione, e la Nobiltà, l’vna era alla destra, e si riconosceua al trasparente velo, che le ricopriua il volto, al Libro, e alla croce, che ella tenea nella mano: L’altra alla sinistra si faceua manifesta, perchè adorna di ricco manto, e coronata di stelle vibraua lo scettro. La Religione, come quella, che innalza la diuina parte dell’huomo al suo vero principio, per arricchirlo dell’eterna felicità, dee reputarsi il maggior bene, che alberghi negli animi nostri. La Nobiltà, che de’ beni esterni s’annouera fra i principali, agli huomini impone generosa necessità, di gloriosamente operare: conciossiecosachè, ella sia quasi vn lume acceso dalle virtù de’ maggiori, per non lasciare in oscuro tanto le buone, quanto le ree operazioni de’ posteri : onde non possa vn’animo veramente grande sottomettersi a cose vìli, conoscendo, che in lui non si nascondono altrimenti, che nelle tenebre della notte vna gran fiamma risplendente un monte altissimo. Queste adunque congiunte nella persona di Cesare partorirono alle prouincie suggete allo’mperio vna desiderabil felicità, mentre ch’elle gli furuno scorta ad amministrar rettamente la giustizia, e a difenderle da gli’nsulti de’ barbari. Dietro all’orme di queste camminando egli in vita, per la via della luce, potè sperare di condursi nella morte all’ammirabil magion di Dio, e però con molto auuedimento fu collocata sotto l’arme vna cartella, il cui motto. IPSAE ME DEDVXERVNT. pareua, che accertasse altrui, che l’vna, e l’altra di quelle gran Donne sempre gli fu guida. Ne di minore espressione erano i motti sotto la Religione. BEATVS HOMO QUEM TV ERVDIERIS. E sotto la Nobiltà. BEATA TERRA CVIVS REX NOBILIS EST. Sopra’l frontispizio di ciascuna delle porte minori si vedeua vn quadro, a cui due figure di Morte, che da banda erano dipinte, col dorso pareuano farle sostegno. Era adornato in cima della Corona Imperiale, la quale ancora in mezzo al quadro si scorgeua, che da vn lato haueua’l Sole, e nell’opposto la Luna, che col motto CONCORDI LVMINE MAIOR. formauano la’mpresa, che l’Imperadore stampò nel rouescio delle sue monete, quando alla maestà di Re de’ Romani fu innalzato. Negli spazi, che restauano dall’vna, e dall’altra mano della porta maggiore, sopra piedestallo di granito orientale surgeuano due figure di Morte, spauentose a coloro, che non penetrano oltre alla scorza, ma piaceuoli a quelli, che considerauano le’nsegne di palme, e di Corone, che nella destra portauano co’motti, che si leggeuano nelle cartelle. Si prometteua da questi quiete, e tranquillità all’animo, che da Dio creato immortale a similitudine sua, pensò, mentre ebbe suo albergo nel corpo, a fare cose immortali a simiglianza di se medesimo. Onde sotto quella, ch’era a manritta si leggeua questo motto, il quale (come gli altri tutti, ch’erano alle morti, e alle’mprese) fu tratto dalla diuina scriptura. IVSTVS SI MORTE PRAEOCCUPATVS FVERIT IN REFRIGERIO ERIT. Confermaua grandemente la sentenza di questo motto l’altro, che era sotto la sinistra. ECCE QVOMODO COMPVTATI SVNT INTER FILIOS DEI, ET INTER SANCTOS SORS ILLORVM EST. Negli spazi, che fra le due porte minori, e le cantonate della Chiesa rimaneuano, innalzauansi sopra piedestallo simile altre due sembianze di Morte, le quali co’motti loro riducendo altrui a memoria la comune condizion degli huomini, ci dimostrauano, pochi essere gli anni della vita nostra, e trapassarne velocemente, elleno inuolgere egualmente i grandi, e i piccoli, e agguagliare i più bassi a’ sourani ; e però quella, che nel destro spazio era, Scettri, e Corone calpestaua, e aueua per motto. OMNIA PERGVNT AB VNVM LOCVM DE TERRA FACTA SVNT, ET IN TERRAM PARITER REVERTVNTVR. L’altra del sinistro spazio, como de’ volubili anni dominatrice, sotto a’ piedi teneua vn serpente riuolto in se stesso col motto DIES MEI PERTRANSIERVNT QVASI NAVES POMA PORTANTES ET SICVT AQVILA VOLANS AD ESCAM. Sopra’l viuo de’ pilastri, che terminauano le cantonate, posauano altre figure di morte, da’ motti delle quali eramo auertiti, che a guisa del prouido coltiuatore, che semina nel freddo del verno, per raccor nella state, spargessimo buone opere con lagrime nel verno di questa vita, per mieterle multiplicatamente con allegrezza nell’altra, che per lo frutto, che se ne coglie, rende somiglianza alla state. DA mostra cotanto magnifica, e misteriosa inuitati sollecitauano i riguardanti, di penetrar entro alla Chiesa, sperando di rimirarui cose molto maggiori, e più spiritose; Ne falliron loro le concepute speranze. Faceua lugubre, e mesto spectacolo il paramento della Chiesa, di cui niuna parte era, che non fusse ricoperta di panni neri, li quali, o distesamente si spiegauano dalle cornici infino rasente terra, ò apriuansi a padiglione, o ingruppauansi in varie fogge. E se per loro nerezza, e significanza apportauano terrore, la ben diuisata varietà, e la proporzione, che rendeuano fra gli ornamenti, porgea diletto. Si scorgeuano per tutto orribili aspetti di morti in diuerse positure minaccianti, che aurebbano sbigottito altrui, se non fosse stato immantenente rassicurato da motti, che nelle cartelle di ciascuna si leggeuano con significazione, che agli animi abituati nelle virtù non è spauentosa la morte, per la quale son sicuri, di trapassare, a goder perpetuamente vita migliore. Imperciocchè s’era preso per mira in tutta quella pompa, di rappresentare, che i Principi del timor di Dio, e delle virtù corredati, sotto la sua protezione, dominano sicuramente in questo mondo, e poi nella partenza son coronati di quella gloria, la quale a color, che l’amauo, fu preparata ab eterno. Cotal concetto, si come restaua di già dichiarato nella facciata di fuora, così andaua esprimendosi nel rimanente del funerale. La facciata di drento, dalla quale l’apparato cominciaua, e poi seguendo a manritta ricorreua per tutta la Chiesa, sin là, onde s’era dipartito, già fu vagamente adornata col disegno di Michelagniolo, quando Leon Decimo fece alla Chiesa prezioso dono di santissime reliquie con ordine, che nel giorno trionfal della Pasqua si mostrassero al popolo. E però a cotal’effetto a’ due pilastri, che mettono in mezzo la porta maggiore, soprapposonsi due gran colonne, le quali sopra i lor capitelli finemente intagliati reggono vn Ballatoio di nobilissimi marimi. Il Ballatoio, e le Colonne eran tutte vestite di panni bruni, e sopra’l dauanzale risplendeuano molti lumi. Alle due Colonne s’appoggiauano due statue di Mattia, erettegli per le sue virtù. Nel Piedestallo di ciascuna, che appariua di marmo bianco, si leggeua la sua inscrizione. Era la destra. FELICITATI MATTHIAE FORTISSIMI IMPERATORIS. QVOD EIVS DVCTV ET FRATRIS AVGVSTI AVSPICIIS PANNONIAE OPPIDIS OBSIDIONE EXOLVTIS LOCORVM OPPORTVNA PERMVNIVIT ET AB HOSTIVM EXCVRSIONIBVS REIP. CHRISTIANAE PROPVGNACVLA DEFENDIT. Dell’altra a sinistra tal era l’inscrizione. PRVDENTIAE IMPERATORIS MATHIAE PII MAXIMI. OB QVIETEM AVSTRIAE ET HVNGARIAE REDDITAM PACE CAESARE DIGNA CVM HOSTIBVS INITA GERMANIAE AC IMPERIO OMNI AVCTAM FELICITATEM. Lodauasi da circostanti la’nuenzione d’onorare in questa maniera la memoria de Cesari, perchè si riconosceua essere adombrata la lodeuol consuetudine de’ Romani, i quali ordinauano statue a’ valorosi Capitani d’eserciti, e a’ supremi Imperadori, per premio delle cose felicemente amministrate. E riceueuasi per maggior testimonianza di virtù, se dopo la morte, vero paragon d’essa, erano dedicate: poi chè allora era spento l’amore, la speranza, e gli altri affetti, che partoriscon l’adulazione, la qual solamente con la propia vtilità misura i meriti altrui. Quello spazio, che rimaneua fra le due colonne, sotto’l ballattoio, e sopra la Cornice della porta maggiore, era occupato da vn gran quadro, che in detta Cornice posandosi, con la parte sua superiore, sporgea dolcemente in fuora. Era d’oscuri colori tutto intorniato, e da’lati ricadeuano alcune gocciole, che l’arricchiuano di maestoso ornamento. Nelle seguenti parole, entroui impresse, si dichiaraua a cui, da chi, e perchè si facesse il pomposo funerale. IMP. MATHIAE CAESARI GERMANIAE HVNGARIAE BOEMIAE DALMATIAE CROATIAE SCLAVONIAE REGI AVSTRIAE ARCHIDVCI EX LONGA VTRINQVE CAESARVM SERIE PIN INCLYTO SEMPER AVGVSTO PRINCIPI SACRATISSIMO RELIGIONIS AC PACIS CVLTORI. COSMVS SECVNDVS MAGNVS DVX ETRVRIAE AFFINITATIS ATQVE OBSEQVII MONVMENTVM MOESTISSIMVS POSVIT. QVOD MAGNIS PRAELIIS VICTOR HUNGARIA AVSTRIAQVE IMMINENTEM TVRCARVM TYRANNIDEM PROPVLSAVERIT MVNITISSIMA OPPIDA IN DITIONEM RECEPERIT LABANTEM IN GERMANIA CATHOLICAM RELIGIONEM FIRMAVERIT AD AVITA REGNA ET IMPERII FASTIGIVM EVECTVS GERMANICAE GLORIAE HVNGARORVM LIBERTATI AVGVSTAE DOMVS FELICITATI AC TOTIVS REIP. CHRISTIANAE QVIETI HONESTISSIMA PACE CONSVLVERIT AC DEMVM FERDINANDO PATRVELE HVNGARIAE AC BOEMIAE REGNIS INAVGVRATO SEPTIMO IMPERII ANNO HVMANITATEM SANCTISSIME EXPLEVERIT. SOpra la cornice della Chiesa, nel mezzo della facciata tra uarie piegature, e feston di panno, era una grand’Arme Austriaca, a cui l’aquile imperiali da’ lati faceuano ornamento, e reggeuano la corona. Erale a man destra vna gran figura riconosciuta per la giustizia alla bellezza virginale, alle vestimenta d’oro, alla spada nuda, ch’ella vibraua, e alle bilancie librate egualmente. Nella cartella, ch’ella aueua a’ piedi, era il moto. IVSTITIA ET IVDICIVM CORRECTIO SEDIS EIVS. Dall’altra mano si mostraua la fortezza militare, tutta riccamente armata, ch’aueua il Leone a’ piedi, e in mano il ramo della Quercia col motto. ARMATVS AD BELLVM CORAM DOMINO. Credasi pure, che son fauoreggiati da Dio quelli, che di così rare virtù sono adorni: onde a ragione era il motto sotto l’arme. OCVLI DOMINI SUPER IVSTOS. In mezzo a vaghi, e maestreuoli intrecciamenti di panni, sopra ciascuna delle porte minori, era la raccontata impresa di Cesare. Le colonne dalle base insino al collarin del Capitello erano fasciate di panni significanti mestizia, e duolo. Il fregio, ch’è fra l’architraue, e la cornice, fu ornato d’altro posticcio, il quale tra ossature, e morti aueua delineate a vicenda corone, e scettri: onde si poteua argumentare, bene spesso, la felicità vmana, allora che pare nel colmo, esser terminata dalla morte. Da questo fregio, sì nella naue maggiore, come nelle braccia della croce, si distendeua vna vela di panni oscuri, ne’ quali campeggiauano scudi, che pendeuano dalla sommità dell’arco: in alcuni de’ quali si vedeua l’arme dell’Imperadore, ricinta da diuersi ornamenti di pitture, e in cima col diadema Imperiale. In altri scudi due morti prostese si figurauano, per sostenere un’ouato, nel quale imprese conuenienti al concetto del funerale, erano dipinte. Questi scudi con tale ordine erano collocati, che le ‘mprese, e l’armi vicendeuolmente restauano diuisate. Dalla parte inferior di ciascuno scudo si moueuano ricadute di panni, che allacciandosi alla sommità delle colonne, insino al mezzo scendeuano con vna gocciola, la quale, maestreuolmente allargandosi, facea graziosa vista. Sopra a’ capitelli delle colonne posauano figure di morte, che con l’altezza loro arriuauano alla Cornice, e a’ piedi aueuano vna cartella, che dichiaraua la loro significanza col motto. L’animo nostro peregrino viue nel corpo, la sua vera patria è Iddio, oue non puo egli ritornare, se non a guida della morte, la qual, se la religion ci rende desiderabile per esser con Cristo, e se l’vmana prudenza c’insegna prenderla con cuore intrepido, e costante, perche dobbiam noi temerla? Onde rettamente considerando, più conuerrebbe a questo tempo l’allegrezza, che’l pianto. Questo si confà meglio al giorno del nascimento, auuengachè allora, mandaci in esilio con l’aria medesima cominciamo à respirar le miserie. Quella si conuiene alla morte, la quale alla Patria richiamandoci, e in possessione della perduta eredità rimettendoci, ne restituisce la vita sempiterna. Perciò la morte, che a detra era sopra’l capitel della prima colonna, e conduceua il drappel dell’altre vent’vna, portaua nella mano vna ghirlanda intrecciata con alloro, e con vliuo, e aueua per motto. EXIIT SPIRITVS MEVS, ET REVERSVS EST IN TERRAM SVAM. L’altre con insegne, e con motti proporzionati, insistendo nel medesimo concetto, porgeuano similmente altrui saluteuoli ammaestramenti. FVGITE VMBRAM SAECVII HVIVS ACCIPITE IVCVNDITATEM GLORIAE VESTRAE. QVIS VNQVAM INNOCENS PERIIT AVT QVANDO RECTI DELETI SVNT? NON APPONAT VLTRA MAGNIFICARE SE HOMO SVPER TERRAM. MELIOR EST MORS QVAM VITA AMARA ET REQVIES AETERNA QVAM LANGVOR PERSEVERANS. EXPEDIT MIHI MAGIS MORI QVAM VIVERE. IVSTVS VT PALMA FLOREBIT SICVT CEDRVS LIBANI MVLTIPLICABITVR. SOL COGNOVIT OCCASVM SVVM. VOBIS APERTVS EST PARADISVS PLANTATA EST ARBOR VITAE PRAEPARATUM EST FVTVRVM TEMPVS. BEATVS VIR QUI CONFIDIT IN DOMINO QUONIAM SI DEVS TENTAVERIT EVM ET INVENERIT EVM DIGNVM SE SPES ILLIVS IMMORTALITATE PLENA EST. CORONAS IMPONIT ET PALMAS IN MANVS TRADIT. PARATI ESTOTE AD PRAEMIA REGNI QVIA LVX PERPETVA LVCEBIT VOBIS PER AETERNITATEM TEMPORIS. SVRGITE ET STATE ET VIDETE NVMERVM SIGNATORVM IN CONVIVIO DOMINI. PRAETIOSA IN COSPECTV DOMINI MORS SANCTORVM EIVS. HOC PRO CERTO HABET OMNIS QVOD VITA EIVS SI IN PROBATIONE FVERIT CORONABITVR. POST TEMPESTATEM TRANQUILLVM FACIT ET POST LACRYMATIONEM ET FLETVM EXVLTATIONEM INFVNDIT. LVX ORTA EST IVSTO ET RECTIS CORDE LAETITIA. ABSORTA EST MORS IN VICTORIA. OPORTET CORRVPTIBILE HOC INDVERE INCORRVPTIONEM ET MORTALE HOC INDVERE IMMORTALITATEM. CARO ET SANGVIS REGNVM DEI POSSIDERE NON POSSVNT. LIBERAVIT EOS QUI TIMORE MORTIS PER TOTAM VITAM OBNOXII ERANT SERVITVTI. TRANSIERVNT DOLORES ET OSTENSVS EST IN FINE THESAVRVS IMMORTALITATIS. Nel primo di quegli scudi, che dicemmo essere appesi a gli archi, era l’arme dell’Imperadore co’ suoi ornamenti, e nell’altro, che a lato gli seguitaua, si vedeua vna’mpresa, e con questo ordine rigirauano tutta la Chiesa. IN questa prima si rappresentaua il Bigatto, o Baco da feta, che aperto’l bozzolo stendeua l’ali col motto, EX VMBRA MORTIS. Noi siamo per la’mperfezion della nostra natura vermi, ma quando, mediante la morte, si dissolue’l corpo, l’anima si fa capace del consorzio degli Angeli, onde disse il nostro maggior Poeta. Non v’accorgete voi, che noi siam vermi Nati à formar l’Angelica farfalla? Chi si lamenta di tale scioglimento, o non crede, che ci sia altra vita, ò ingiustamente le cose vmane bilancia. Se chi non aueua il lume della vera fede, vedendo di quanti mali con la morte ci liberauamo, disse ella essere ottima’nuenzione della natura, che dee sentir colui, che spera vn’altra vita incomparabilmente più felice di questa? Non dobbiamo perciò lamentarci della morte di Cesare, il quale si può credere, mediante le sue virtù, auer cambiata questa veste mortale con altra, e gloriosa, e immortale. VACILLANO i Regni, mentre la ragion Politica non ha per fondamento, e per base la Religione. Nella notte della Gentilità i Principi zelauano per le cose sacre. Oggi che’l vero Sole c’illumina con che affetto le debbano venerare? Promette Iddio augumento di felicità, dilatamento di confini, successione di figliuoli, stabilimento de’ Regni, e vittoria de’nimici a Principi, che lo seruiranno con timore, e sotto la sua disciplina apprenderanno giustizia. Dauid, e Salamone tanto prosperarono, quanto non deuiarono da’ comandamenti di Dio. Mentre Gostantino il Magno alzò la Croce ne’ suoi vestilli, la Croce innalzò lui a’ trionfi. Di questa armatosi la destra Ridolfo primo fermò il tumulto di coloro, che gli negauan l’obbedienza, e l’Imperio fondò nella Casa d’Austria; Alla quale poi sotto la stessa scorta, e nel Settentrione, e nell’Oriente s’accrebbero Regni, e nell’Occidente se le scopri nuouo Mondo. Seguendo Mattia sì fatte vestigie, si propose per Tramontana la legge del Signore, e con tal guida felicemente solcò, quasi Naue, il Mare di questa vita, e come par da credere, si ricouerò al fine nel sicuro porto della salute. Questo concetto fu ingegnosamente espresso con laʼmpresa del quarto vano, doue vna naue, con la guida pur della Tramontana, afferraua al porto, e aueua per motto queste parole. A LEGE TVA NON DECLINAVI. VEdeuasi per impresa nel sesto luogo rapido fiume, che accresciuto da gran piena, aurebbe allagato vna cultiuata campagna, se la palafitta, che auuedutamente piantata v’era, non auesse riparato al soprauenente pericolo, e’l motto fu; FORSITAN ABSORBVISSENT. Voleua inferire, che la inondazione de’ Turchi aurebbe à quest’ora molte Christiane prouincie assorbite, se Mattia con tredici anni di milizia, quasi fermissimo argine, non se le fosse opposto, e per vltimo non auesse tutti i ripari fatti con vna onorata pace stabiliti. La quale azione si dee tanto più ammirare, quanto non fu ella frutto d’animo gran fatto alli studi della pace inclinato, ma di chi i miglior’anni della sua vita guerreggiando haueua trapassati. Così tal ora, nel disprezzo d’vna gloria, si ritroua gloria maggiore, e massimamente quando tal disprezzo riguarda il ben de’ suggetti, per la cui saluezza (come già Antonin pio suo predecessore ) stimò Mattia più la corona di Quercia, che per l’vccisione de’ nemici il trionfo. SCintillando nell’ottauo vano traeua a se gli occhi de’ rigitardanti vna fiamma di fuoco, in cui soffiando il vento più l’accendeua, ed era il motto. MAGIS INVALESCIT. La nobiltà è vna memoria veneranda delle passate virtù, la quale per questo s’assomiglia alla luce del fuoco, perchè ella non solo risplende per se medesima, ma ancora illustra color, che ne son dotati, come quella i corpi, ne’ quali ella si diffonde. Si spegne ancora, se il vento del proprio merito non l’auuiua. Cesare nacque della maggiore, e più nobile schiatta, che mai imperasse, ma lo splendore, che egli riceuè da’ Ridolfi, dagli Alberti, e da’ Carli, dal viuace spirito delle propie virtù conseruato, dalla continuata dignità imperiale fu accresciuto. LA’mpresa della Rondine assisa nel lido del valicato Mare col motto, TANDEM POTITVR OPTATIS, dipinta nel decimo scudo, da alcuni era pigliata per la costanza dell’animo di Cesare, posto in luogo così stabile, che non era da’ prosperi auuenimenti trasportato, ne dagli auuersi anche rotto. Da altri era interpetrata per lo felice suo passaggio dalle turbulenze di questa vita alla pace, e alla sicurezza dell’altra. Non è permesso a nauiganti il Mare a lor senno render tranquillo, ne agli huomini menar vita non mescolata fra i tumulti di quelle passioni, che l’vmana condizione porta seco. Massima lode è con la prudenza il superare i turbulenti affetti di questa vita : ma felicità incomparabile, se con l’aiuto diuino dopo cotanta vittoria si ricouera in quel luogo, doue più ne onde, ne venti, ne tempeste: ma di regna pace, quiete, e stabilità sempiterna. IL ferro stando nel fuoco diuenta lucido, e sfauillante, trattone, quindi a poco ripiglia la sua nerezza. La virtù fuora de’ trauagli non risplende, cioè non è gloriosa. In questa vniuersal Republica del Mondo gli ottimati, che sono i virtuosi, solamente son citati dalla fatica, la plebe, la quale è l’ignobil volgo, che non cura d’affaticarsi, ed ha riposta la sua gloria nel ventre, non è chiamata alla Curia, ne per consequenza agli onori; e però a chi è nobile non s’impone maggior fatica, che’l non durarla. Quanti perciò a’ pericoli non soprastanti volontariamente s’offersero? Poco risonerebbe il nome di Dauid, se le fiere nelle selue solamente hauessi sbranato. Il superbo Golia, della cui possanza sfuggito aueua ciascuno di far proua, andò egli ad incontrare, acciocchè col fucile della fatica traesse scintille di gloria. Questo concetto s’esprimeua gentilmente con la verga dell’oro, la quale fieri colpi di martello distendeuano, e dilatauano col motto IN TRIBVLATIONE. E molto approposito all’Imperadore applicato, il quale dopo i trauagli d’vna lunga, e faticola milizia salutato Imperadore dall’vniuersal consenso della Germania diuentò glorioso. SEguiua nello scudo quattordicesimo laʼmpresa del Bassilico, il quale di terra trapiantato in vn vaso d’acqua vigorosamente germogliaua. Da cotal corpo, e dal motto. NON DEFICIET FRVCTVS. si raccoglieua, che l’Imperadore diradicato di terra, e traspiantato nell’acqua, cioè nello stesso Dio, ch’è fontana d’acqua viua, fiorirebbe perpetuamente. Iui possiamo credere, che con le preghiere non resterà d’aiutare quelli, che già in terra difese con la sua poderosa mano. SCorgendo Iddio nel diserto il suo popolo, gli appariua il giorno nube, e la notte fuoco. Quella, con dolce ombra distendendosi, l’assicuraua della diuina protezione, e questo con doppio miracoloso effetto nel tempo delle tenebre, gli facea lume: e al tempo del bisogno s’arretraua, per atterrir gli auuersari. I Principi costituiti da Dio condottieri de’ popoli, se deono essere a quei, che camminano nel giorno della verità, nugola fecondissima di grazie, e di benefici; douranno anche per altra parte esser luce a quei, che camminano nelle tenebre per guidargli nel diritto sentiero : e altresì orribil fuoco si deono far prouare a’maluagi, che per la strada della’mpietà nell’ombra della morte perseuerantemente tengono il lor cammino. Questa colonna adunque, che fiammeggiaua nella notte col motto. HIS QVI IN TENEBRIS. Formaua la’mpresa, che si rimiraua pendente dall’arco sedicesimo, e significaua nel nostro Augusto così eccellente condizione, d’essere stato scorta, e refrigerio a’ Cattolici, e per contrario a gli Eretici fuoco, che o gli gastigaua, o come oro gli mondaua, e purificaua. LA bontà della pietra Aetite, la quale scriuono i Naturali, ritrouarsi nel nido dell’Aquila, è di resistere al fuoco. Tale prerogatiua aueua dato occasione all’Impresa, ch’era nel vano diciottesimo, di cui era corpo la detta pietra, che si prouaua nel fuoco, ed anima. ME EXAMINASTI. Gli animi vani sono consumati dalla vampa delle grandezze mondane, e però di loro non si vede altro, che vn falò. I fermi, e costanti restano intatti, e non che di disfacimento, son loro più tolto cagione di bene, e d’approuamento. Il Magistrato dimostra l’huomo, cioè separa, e fa conoscere quanta parte in lui sia d’huomo, quanta d’animale. Il Principato è viè più nobil cimento, perchè egli scuopre quanto abbia il Principe d’huomo, quanto di dìuino. E perciò attribuiuano gli antichi agli ottimi Principi la diuinità, la quale non aurebbero per auentura negata al nostro Cesare, se fosse stato a quei tempi, e felicemente cimentatosi nell’esamina dallo’mperio. DElla soauità de’pomi non è giudice competente il vedere. Pur troppo lo ci fece sapere la prima madre, che credendo alla vaghezza esterna con tanto nostro pregiudizio restò ingannata. Onde quel difetto si trasfuse ne’ posteri, che nelle sembianze solamente delle cose mondane appagano la lor veduta. E però fa di mestiere ricordar loro, che contemplino la midolla tanto più nobile della scorza, quanto è l’anima del corpo. A cotal fine era stata appesa al ventesimo arco la’mpresa della Melagrana, che con la forza del motto. GLORIA AB INTVS. rammemoraua a’riguardanti, che la felicità dello’nterno procede, non altrimenti che’l pregio, e la bontà d’essa melagrana non consiste nella bellezza della scorza, perciocchè, per vaga ch’ella si sia, hà più tosto in se amarezza, ma nella soauità de’grani, che con tanto ammirabile ordine vi si racchiuggono. Quindi pareua, che fosse con molta viuacità spiegato, che le glorie maggiori di Cesare non dependeuano dalla Corona, ne dall’altre insegne imperiali, nelle quali può esser tal ora, per quantunque belle si sieno, qualche amarore, ma sì dall’animo suo, e dalle sue virtù, tanto bene l’vna con l’altra concatenate. GLI huomini, ch’hanno anima ragioneuole, incomparabilmente più nobile, che non è la vegetabile delle piante, o la sensitiua degli animali, sono in vn certo modo, e da questi, e da quelle in sentimento auanzati. Sono animali, che riueriscono’1 Sole, quasi lo riconoscano autore, e cagione della lor vita. Molti fiori, come schiui di rimirare altra luce, venendo la notte si richiuggono nelle lor bocche. Il Girasole, quando il Sole è sotto’l nostro Emisperio, inchinandosi verso la terra, seguita il suo celelte corso, la mattina drizzatosi nel suo stelo l’accompagna per tutto’l corso, che resta. Se gli animali adunque, e le piante hanno questo conoscimento verso’l Sole materiale, che debbono fare gli huomini verso l’eterno? La presente vita s’assomiglia alla notte, in cui il Sole supremo risplende solamente in queste cose create, nella guisa che l’altro nella Luna, e negli altri pianeti. La futura è simile al giorno, in cui il verace Sole per se stesso risplende . L’Imperadore, ch’ha seguitato il suo cammino nelle tenebre, e nella notte di questa vita, si dee credere, che ora immobilmente, e senza tema, che nulla se gl’interponga, lo contempli nell’altra. Questo concetto fu spiegato dal fiore sopradetto col motto. IN TENEBRIS QVASI IN LVCE. che fu la’mpresa pendente nel ventiduesimo vano. RImirauasi vna Campana nello scudo ventiquattresimo, dal cui Limbicco si distillaua acqua in vn vaso col motto. NOBILIORES QVAM ANTEA. L’huomo è composto d’animo, e di corpo, quello è immortale, e s’assomiglia à Dio, questo è frale, ed è comune co’bruti. L’vno, quando morte separa loro vnione, ritorna in Cielo, e l’altro rimane in terra. Il corpo si può con ragione assomigliare a’ fiori, e all’erbe, l’animo all’umore, ch’elle contengono. La rosa distillandosi perde’l colore, e l’odore, ma l’acqua, che da lei s’estrae, lungamente odorifera si conserua. Il corpo per la distillazione della morte presto s’appassa, secca, e vien meno. L’animo, come quell’acque si conserua per rendere eternamente odore di soauità nel cospetto di Dio. Si adattaua questo concetto con molta proprietà all’Imperadore, la cui anima separata dal corpo, si può credere che quasi prezioso liquore sia restata, (come de’ fedeli dice l’Apostolo) buono odore di Cristo. REstano tra le finestre, che son per tutta la Chiesa venti spazj maggiori. Altri sedici minori sono nell’estremità delle pareti, che formano gli angoli principali del tempio. Negli spazj minori erano trofei dedicati all’azioni gloriose dell’Imperadore. Ne’venti maggiori si vedeuano quadri grandi con le cornice di Lapislazzaro, che con le ricadute, e serpeggiamenti di panni neri, che in diuerse maniere se gli auuoltauano attorno, ricopriuan tutto lo spazio. In questi quadri si rassegnaua vna schiera di quei doni, e di quelle grazie, le quali copiosamente piouono sopra coloro, che son graditi dal sommo facitore. Conduceuale la virtù, che’l nome di Cesare aueua portato per l’vniuerso. Il che fù fatto con saggio auuedimento, per manifestare altrui, ch’ella, ben che di se sola contenta non prenda cura d’altra vaghezza, gode nondimeno d’arricchire i suoi seguaci di gloria. l’amor della quale è possente stimo lo a’ mortali di fargli operar bene. Doppio piacere facea nascere ne’riguardanti questo nobil drappello, perchè non solo alla vista dilettaua con la belleza de gli abiti, degli ornamenti, e delle’nsegne propie, per le quali ciascuna si rauuisaua, ma alla mente anche porgeua conforto : conciosiacosachè con vn versetto, che ciascuna aueua nella sua cartella, riducendo altrui à memoria, in qual maniera ella auesse abbellito l’animo di Cesare, daua speranza, ch’egli all’eterna felicità fosse trapassato. I versetti di varj luoghi della sacra Scrittura approposito artisiziosamente contesti componeuano il seguente continuato Salmo. VIRTV. CAntate domino, gloriosè enim magnificatus est: iter facite ei, qui ascendit super occasum. SAPIENZA. Inuocauit Dominum, & dedit illi cor sapiens, & intelligens: vt iudicaret orbem terræ in æquitate SPERANZA. Confidit in Domino Iesu, & non excidit a spesua ; quia sublimius fecit solium eius. ZELO. Zelauit super iniquos, odiuit ecclesiam malignantium: vias peccatorum dispersit. CARITA. Caritas enim Christi vrget : nec flumina obruent illam. PRVDENZA. In omnibus vijs suis prudenter agebat, quia ambulauit in lege domini. MISERICORDIA. Speciosa misericordia regis, quia liberauit pauperem a potente, & pupillum, cui non erat adiutor. CLΕΜΕΝΖΑ. Misericordia, & veritas custodiunt Regem : Clementia eius quasi imber serotinus. MANSVETVDINE. Beati mites quoniam ipsi possidebunt terram: Et tu domine suauis, & mitis. FEDE. Oculi enim Domini contemplantur vniuersam terram ; Et præbent fortitudinem his, qui corde perfecto credunt in eum. GIVSTIZIA. Eripui te de contradictionibus populi: constitui te in caput gentium. FORTEZZA. Præcinsi te virtute ad hellum. supplantaui surgentes in te subtus te. PROVIDENZA. Turbabantur gentes, & timebant, qui habitant terminos a signis tuis : spes omnium finium terræ, & in Mari longe. CONSIGLIO. Misit ad eum legatos Porta Regis ad Orientem : vt offerrent munera, & postularent ab co pacem. PACE. Inclinauit aurem suam mihi: & subito facta est tranquillitas magna. VIGILANZA. In pace semper infidias suspicabatur: nec frustra vigilat, qui custodit eam. MAGNANIMITA. Deus misericors, & clemens, nosti quia meum erat regnum: dedi in manu Patruelis mei, viuat dominus, & firmet regnum eius. PIETA. Spoliaui me corona mea: prouidens non coactè, sed spontanè secundum Deum. TIMOR D’IDDIO. Diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum: & in die defunctionis suæ benedicetur. GLORIA. Annunciate inter gentes gloriam eius: & replebitur maiestate eius omnis terra. I Panni, che le pareti delle naui minori dalla cornice fino à terra ricopriuano, rincontro al mezzo de’ vani delle cappelle s’apriuano a padiglione in guisa, che ammetteuano l’occhio alla veduta degli altari, li quali erano corredati conforme a che richiedea la lugubre pompa. A’ pilastri, che diuidano l’vna cappella dall’altra s’appoggiauano piedestalli d’Affricano, che faceuano sostegno ad altrettanti grandi, e terribili effigie di morte variamente atteggiate. Aueuano in mano le morti diuerse insegne, e appropriate al motto, che era nella cartella di ciascuna base. Questi congiuntamente, come additando la breuità della vita vmana, rammemorauano a’ riguardanti, che gli huomini son mandati in questa vita, per acquistarsi altra preparatane immortale. Alla quale douendosi incamminare per la via delle buone operazioni, conuiene, per non trauiare, tener del continouo auanti agli occhi la morte. Ne occorre ricercarla troppo lontano, poiche ognora ella gli accompagna. A lei non si corre di rilancio, ma vi si va passo passo. Ciascun giorno si muore, ciascun giorno, per insino quando pare altrui crescere, si dicresce. Onde tutta l’età, ch’è addietro è in preda della morte, la quale perciò non soprauuien l’vltima, ma è quella, che carpisce l’vltimo della vita. I morti erano i seguenti. IN NIHILVM REDACTUS SVM ET NESCIVI. NOS NATI CONTINVO DESIVIMVS ESSE. VMBRAE TRANSITVS EST TEMPVS NOSTRVM ET NON EST REVERSIO FINIS NOSTRI. MEMENTO QVAE ANTE TE FVERVNT ET QVAE SVPERVENTVRA SVNT TIBI. HOC IVDICIVM A DOMINO OMNI CARNI. DIES MEI TRANSIERVNT COGITATIONES MEAE DISSIPATAE SVNT. SI QVIDEM LONGAE VITAE ERVNT IN NIHIL COMPVTABVNTVR. EX NIHILO NATI SVMVS ET POST HOC ERIMVS TAMQVAM NON FVERIMVS. NON EST SAPIENTIA NON EST PRVDENTIA NON EST CONSILIVM CONTRA ME. BALTEVM REGVM DISSOLVIT. MEMORIA VESTRA COMPARABITVR CINERI ET REDIGENTVR IN LVTVM CERVICES VESTRAE. SICVT CALCVLVS ARENAE SIC EXIGVI ANNI IN DIE AE VI. QVID HABET AMPLIVS HOMO DE VNIVERSO LABORE SVO? OMNES GENTES QVASI NON SINT SIC SVNT CORAM EO ET QVASI NIHILVM ET INANE REPVTATAE SVNT EI. DEVS CREAVIT DE TERRA HOMINEM ET ITERVM CONVERTET EVM IN IPSAM. DISCE VBI SIT PRVDENTIA VBI SIT VIRTVS VBI SIT INTELLECTVS. VBI SVNT PRINCIPES GENTIVM? COMMINVAM EOS VT PVLVERE ANTE FACIEM VENTI. GVSTANS GVSTAVI IN SVMMITATE VIRGAE PAVLVM MELLIS ET ECCENVNC MORIOR. TVAE DIVITIAE TVA EST GLORIA TV DOMINARIS OMNIVM. ASPEXI TERRAM ET ECCE QUASI VACVA ET NIHIL. NON EST IN HONINIS POTESTATE CONSILIVM MEVM. NESCIT HOMO FINEM SVVM SED SICVT PISCES CAPIVNTVR HAMO SIC CAPIVNTVR HOMINES IN TEMPORE MALO. DAlla cornice, che sopra i pilastri delle naui minori ricorre per tutta la lor parete, pendeuano venzei quadri spartiti in debiti spazj, parte de’ quali sopra le capelle, che nella croce della Chiesa son collocate, col medesimo ordine, erano distribuiti sotto gli scudi dell’arme, e delle’mprese. In questi in forma di donne addobbate, di ricche, e reali vestimenta, quali alla dignità, che rappresentauano, si conuenia, erano dipinte altrettante Prouincie, delle quali s’intitolaua l’Imperadore. Le’nsegne loro vsate le faceuano manifeste. Le Corone, e gli Scettri, che aueuano a’ piedi, le lacrime, che il dolor distillaua loro giù per le gote, dauano altrui apertamente a vedere, che alta cagione d’angoscia le passionaua, la qual pareua, che facessero proua di sfogar ne’ seguenti motti, de’ quali vno era sotto ciascuna Prouincia. QVIS DABIT CAPITI MEO AQVAM ET OCVLIS MEIS FONTEM LACRYMARVM? NUNC DOMINE ANIMA IN ANGVS TIIS ET SPIRITVS ANXIVS CLAMAT AD TE. MEMORIA MEMOR ERO ET TABESCET IN ME ANIMA MEA. DEFECIT GAVDIVM CORDIS NOSTRI. VERSVS EST IN LVCTVM CHORVS NOSTER. POSVIT ME DESOLATAM TOTA DIE MOERORE CONFECTAM. ET EGRESSVS EST OMNIS DECOR MEVS. PERIIT FINIS MEVS ET SPES MEA. DIES FESTI CONVERSI SVNT IN LAMENTATIONEM ET LVCTVM. ABLATA EST LAETITIA ET EXVLTATIO. RAVCAE FACTAE SVNT FAVCES MEAE, ET DEFECERVNT OCVLI MEI. QVASI INVNDATIS AQVAE SIC RVGITVS MEVS. TIMOR ET TREMOR VENERVNT SVPER ME ET CONTEXERUNT ME TENEBRAE. SCIDI PALLIVM MEVM ET TVNICAM ET EVELLI CAPILLOS CAPITIS MEI. VAEH MIHI QVANTA FVIT EXULTATIO HERI ET NVDIVS TERTIVS? VAEH MIHI HODIE? OCVLVS MEVS AFFLICTVS ET TACVI EO QVOD NON ESSET REQVIES. MVLTI GEMITVS MEI ET COR MEVM MOERENS. VIDE DOMINE ET CONSIDERA QVONIAM FACTA SVM VILIS. POSVIT ME QVASI SIGNVM AD SAGITTAM. FACTVS EST DOLOR MEVS PERPETVVS ET PLAGA MEA DESPERABILIS. OPPRESSIT ME DOLOR MEVS ET IN NIHILVM REDACTI SVNT OMNES ACTVS MEI. FACIES MEA INTVMVIT A FLETV ET PALPEBRAE MEAE CALIGAVERVNT. MARCESCIT ANIMA MEA ET POSSIDENT ME DIES AFFLICTIONIS. QVASI VENTVS DESIDERIVM MEVM ET VEIVT NVBES PERTRANSIIT SALVS MEA. REPLETA SVM AMARITVDINIBVS ET INEBRIATA ABSYNTHIO. QVIS MIHI TRIBVAT VT SIM IVXTA MENSES PRISTINOS SECVNDVM DIES QVIBVS REX CVSTODIEBAT ME. IL Catafalco, che’ nnanzi ad ogni altra cosa si rendeua ragguardeuole, fu con molto accorgimento collocato nel coro: acciò per la sua ampiezza, nulla togliesse della veduta del tempio, e più capace restasse lo spazio di quello, per lo concorso grande del popolo. Ed acciò meglio si godesse la magnificenza d’esso, fu posto sopra d’vn piano, che dal pauimento s’alzaua circa sei braccia. Il coro, quantunque dipinto per mano d’eccellente pittore, nondimeno a fin che’ l funerale apparato auesse in ogni sua parte la debita corrispondenza, tutto fu coperto di nero, e renduto oscurissimo. In mezzo di questo per lo diritto della naue maggiore si vedeua in forma di pira ardente surgere il Catafalco: la piramide del quale attorniata da fiaccole ardenti, posando sopra vno’mbasamenco ripieno di foltissimi, e quasi innumerabili lumi, pareua vna viuace fiamma, che da gran massa di fuoco s’eleuasse in alto, e come in vna tenebrosa notte maggiore, e più risplendente all’altrui vista si dimostrasse. Sporgeuano in fuora su per gli angoli della piramide con bell’ordine scompartite alcune Aquile, che sopra’l dorso sosteneuano gran torce accese. Nella sommità d’essa era vn globo rassembrante la terra: sopra del quale staua l’Aquila’ mperiale. Nel mezzo del piano, dauanti al Catafalco, surgeua vn rialto, al quale si saliua per molti gradi. Questo era coperto da vna ricca coltre di velluto nero, guernita accorno con fregio di teletta d’oro, intessuto di varie figure: ed in ciascuno de’canti v’era ricamata l’arme di Cesare. Sopra questo rialto, così adornato, si reggeua su quattro piedi maestreuolmente intagliati, e messi a oro, il ferètro di Lapislazzaro, rigirato da cornici dorate: sopra’l quale staua in alto appeso vn Baldacchin di broccato d’oro arricciato. Aueua vn guanciale sopra’l coperchio, che facea letto alla Corona imperiale, allo Scertto, e allo Stocco. Dal piano, nel quale il ferètro era posto, scendeuano, fino al pauimento, verso la naue maggiore due scale in figura di semicircolo: sopra le cui sponde, rette da balaustri di Serpentino, erano disposti gran candellieri d’ariento con le lor fiaccole. Fra l’vna scala, e l’altra rimaneua vn sodo, che faceua testata al pian del ferètro: nella quale alcuni balaustri, che reggeuano l’architraue, formauano vn ballatoio. Nella faccia di questo era commessa vna cartella di forma ouata, sembrante vn bianco, e fine marmo: intorno alla quale erano congegnate pietre di vari colori a guisa di Mosaico: con le quali si componeuano a vicenda scheletri, teste, e ossature di morti. Nell’ouato erano intagliate le seguenti parole. NUNC REGES INTELLIGITE ERVDIMINI QVI IVDICATIS TERRAM. S’appoggiauano a’ pilastri, che reggono l’arco del coro, due statue di Mattia, erette sopra piedestalli di marmo: le quali corrispondeuano all’altre due alzate a canto alle colonne, che sostengano il ballatoio del Santuario. La destra alla Pietà, la sinistra alla Prouidenza di esso era dedicata: con le seguenti inscrizioni. PIETATI. IMPERATORIS MATTHIAE AVGVSTI IMP. MAXIMILIANI FILII. QVOD SECTARIORVM DEPRESSIS VIRIBVS CATHOLICAE RELIGIONI CANDOREM RESTITVERIT. PROVIDENTIAE. IMP. MATTHIAE PII MAXIMI. QUOD FERDINANDO PATRVELE HVNGARIAE AC BOEMIAE REGE APPELLATO AVSTRIACI SANGVINIS SPLENDORI ET GERMANICAE QVIETI CONSVLVERIT. NEl centro della Croce, per offerire il sacrifizio salutare, con gran magnificenza era innalzato l’altar maggiore, maestoso per la copia de’ lumi, e degli altri molti ornamenti, che l’arricchiuano. Sopra l’altare pendeua vn baldacchin di velluto nero. Il dinanzi d’esso aueua il Paliotto di tela paonazza, e d’oro, della quale similmente erano i paramenti, che seruirono a’ Prelati, e a’Canonici, che ministrarono. Lungo ordine d’alti candellieri d’argento co’ lor lumi si vedeua sopra i gradi, che metteuano in mezzo vna bella, e risplendente Croce di cristallo di montagna legata in oro. Non meno i lumi così riccamente per lo Catafalco, e per l’altare diuisati riempieuan di marauiglia, che gli altri per lo rimanente della Chiesa distribuiti: li quali tanta luce spargeuano, che auerebbono ogni oscura notte aggiornata. Perchè primamente numero grande d’huomini vestiti a bruno con torcia in mano si distendeua per la naue maggiore verso la porta : a piè di ciascuna colonna, e di ciascun pilastro sopra torcieri erano torce di cera bianca. Nel capitello di ciascuna colonna ardeuano due fiaccole: altre n’erano per gli alcari delle capelle. L’orlo del cerchio della cupola, le cornici della maggiore, e delle minor naui, e della trauersa della Croce n’erano ripiene. Di maniera che i riguardanti di cotanto splendore, ma caduco, fattisi scala all’altissima contemplazione dell’eterno, erano mossi, a pregare Dio, che concedesse la perpetua luce all’anima, per cui le pompose esequie si celebrauano. MEntre che’l popolo eccitato non meno a marauiglia dalla magnificenza dell’apparato, che a deuozione da’ concetti che sotto s’ascondeuano, staua attendendo, che l’esequie auessero il lor fine, da’ Sacerdoti si cantaua in Coro l’vfficio ordinato da’Santa Chiesa per impetrare requie a’ defunti, e nelle cappelle s’offeriuano i sacrifici all’eterno Padre in suffragio dell’anima dello’mperadore. Fra tanto comparue processionalmente il supremo Magistrato del Luogotenente, e Consiglieri, seguitato dagli altri della Città, e posossi nella residenza a lui destinata. Ne indugiò molto a giugnere il Granduca dal Cardinale, e dal Principe Lorenzo suo’ fratelli accompagnato, e corteggiato da moltitudine grande di Gentilhuomini in abito lugubre, quale a sì facta occasione si richiedea. Pendeua dalla settima colonna a mandritta vn Baldacchin di velluto nero, sotto’l quale erasi eretto per sua Altezza il trono, tutto ammantato di panni mesti. Iui andarono a risedere il Cardinale, e’l Granduca, e poco di sotto il Principe Lorenzo. Nel Faldistorio apparecchiato dall’altra banda già s’era accomodato l’Arciuescouo di Firenze, che doueua celebrar la Messa. Appresso i Vescoui di Volterra, di Pistoia, di Bisignano, e di Fiesole ne’ luoghi per loro apprestati. Diede principio alla santissima Messa l’Arciuescouo con l’assistenza de’ Canonici del Duomo. Seguitò la Cappella di S. A. al flebil suon di vari strumenti con reiterate, e pietose voci, chiedendo misericordia a Dio, la quale nel processo di quelle deuote cirimonie da più luoghi si fece sentire con addolorata, e soaue armonia. Fu celebre vsanza in tutti i tempi, e in tutte le nazioni di ricordare ne’ mortori le virtù de’ trapassati, per accender con l’esemplo loro quei, che restano ad operare altramente. I Santi Padri nella primitiua Chiesa con grande affetto sì fatto costume abbracciando, lasciarono norma a’ posteri di lodare (secondo la parola diuina ) e d’esaltare dopo la vita quei, che virtuosamente vissero al Mondo. Cotale onoranza si dee massimamente a’ gran Principi, li quali proposti da Dio alla tutela del genere vmano, rettamente la’mministrarono. Onde finito di cantare’l Vangelo Pier Vettori Gentilhuomo di questa patria, che per le pedate dell’altro Piero suo bisauolo, cammina felicemente alla gloria, salito nel Pergamo, che dirimpetto al Granduca era corredato di malinconosi ammanti, con ornata eloquenza spiegò le lodi del morto Imperadore. L’orazione ebbe sua fine, e immantinente si riprese la celebrazion della Messa, a cui dato compimento, l’Arciuescouo, e i quattro Vescoui, vestiti con ricchi Piuiali, salirono sopra’l piano del ferètro, il quale vicendeuolmente, seruando l’ordine di lor precedenze, con le cirimonie dalla Chiesa costituite circondarono, aspersero, incensarono, benedissero, e nel fine pregarano all’anima eterna pace. Così terminate l’esequie, il Granduca con tutta la sua comitiua si dipartì, ciascun restando marauigliato, che in concorso tanto frequente di popolo fosse regnata quiete, e affetto così grande di diuozione. Allora si vide ciascuno dal voler traportato trascorrere per la Chiesa, questi per pascer la vista dell’apparato, quegli inuaghiti della’nuenzione, ammirar la maniera, con laquale tanti concetti s’eran così leggiadramente spiegati, li quali porgeuan materia di discorrer di Cesare, per tutte le parti del tempio. Sentiuasi da altri innalzare la grandezza sua, e attribuirgli a gran felicità l’esser nato dello’mperial lignaggio Austriaco, a cui la lunga, e continuata descendenza di grandi Imperadori, e magnanimi, e la Monarchia de Regni innumerabili danno cotanta chiarezza, che supera gli Eraclidi, i Pelopidi, e gli Eacidi, aʼquali per accrescere splendore con l’eminenza della prosapia alle cose felicemente condotte, fu mestiere ricorrere all’oscurità delle fauole, le quali poco stimate dagli’ntelletti piu sublimi solo gli orecchi riempieuano dell’infima gente. Ma i prudenti, che secondo la ragione giudican delle cose, magnificauano le virtù dell’animo, il quale come i raggi del Sole, benchè discendano in terra, dal fonte della lor luce non si distaccano, viuendo tra gli huomini sempre all’altezza della sua origine diceuano, essere stato congiunto. Niente più vano, che esaltare, e ammirar quello, che può in vn momento suanire. Non riconoscersi da’ freni d’oro, o da’ ricchi guernimenti la generosità del Cauallo, ma dalla ferocità, dalla velocità nel corso, dall’alterezza nel camminare. L’huomo sublimato a’ Regni, ed Imperi sopra la comun condizione vantaggiarsi con la potenza, ma auuicinarsi a Dio, mentre con essa risplenda la magnanimità, la prudenza, la giustizia. Questa esser la sourana lode del Principe, il quale sì come costituito in souranità di stato, tira a se gli occhi de’ popoli, così dourebbe farsi rimirare per esemplo di virtu, acciocchè, mentre quelli s’ingegnano di conformarglisi, ne diuengano piu virtuosi: onde nella dirittura d’vn’ solo consista il ben’ esser di tutti. Imperciò Lorenzo de’ Medici l’Arbitro dell’Italia, segnalato non meno per lo patrocinio de’ letterati, che per la propia letteratura, ci lasciò sentenziosamente detto ne’ suoi nobili componimenti, E quel, che fa il Signor fanno poi molti, Che nel Signor son tutti gli occhi volti. Ma comechè vari fossero i discorsi degli huomini, in questo tutti conuennero, che’l Granduca con la solita real magnificenza auesse altamente onorato la memoria di Cesare: e insiememente dimostrato, che non solo si debbono posseder le virtù, delle quali egli mirabilmente è adorno, ma ancora ammirarle, e guiderdonarle in altrui. IL FINE.