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Lionardo Salviati's Letter to Jacopo Corbinelli

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        <title>Lionardo Salviati's Letter to Jacopo Corbinelli</title>
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          <persName>Daniela D'Eugenio</persName>
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      Quando il nascente Sol l’aurora caccia,
      E le cime de’ monti paion d’oro,
      E gli uccellj escon fuor de’ nidj  loro,
      Perche la fame, e ’l giorno gli minaccia.
      Allhor vorrej haver nelle mie braccia
      Il dolce ricco mio caro tesoro;
      Perche ’l cazzo mi dà tanto martoro;
      Ch’io non so, s’io me ’l menj, o’ quel ch’io faccia.
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Lionardo Salviati's Letter to Jacopo Corbinelli Daniela D'Eugenio

Magnifico Dottor sottile Sacciuto, o volete Ser tutte salle, o più presto piu presto volete Censor dappoco. Questo giorno, et non prima (percioche prima v’harej risposto) m’è venuta nelle manj la mia seconda orazione nella morte dello Illustrissimo S. Don GARZIA de’ Medicj tutta ne’ margini postillata di vostra mano, et ho lettj gli avvertimenti que’ vostri avvertimenti, i quali (percioche io non penso poter dire dir cosa, ne piu vera, ne che piu vi trafigga) sono stati da tuttj coloro che veduti gli hanno, giudicati degni di Voj, della vostra natura, et del giudizio vostro, cosi nella acutezza, e così nella gravità come nella modestia, e cortese maniera del censorare. Non vi pensate, messer lo Dottore, che io mi sia punto maravigliato, ne del vostro sapere, ne della cortese, e bonaria natura vostra. Percioche Voj m’hareste ben per huomo grosso, piu che Voj non siete, se vi faceste a credere, che, havendo io conversato con Esso Voj piu d’un giorno (che è davanzo a conoscere conoscervi ; la vostra goffa malignità percioche Voj siete così destro, come sottile) io non ne fussi cosi bene, come Voj, informato; se ben voj fate professione d’huomo doppio, e difficile malagevole , a lasciarvi conoscere; e usate dire, che la piu bella arte, che sia è lo ingannare gli huominj, e non non v’ho io maj potuto tor della fantasia, ne far capace il Vostro intelletto, che in uno scrittore così grave, come Demetrio è nel vero, troppo si disconvengono, così sporchi, e così dishonesti versj, come son questi: Quando il nascente Sol l’aurora caccia, E le cime de’ monti paion d’oro, E gli uccellj escon fuor de’ nidj loro, Perche la fame, e ’l giorno gli minaccia. Allhor vorrej haver nelle mie braccia Il dolce ricco mio caro tesoro; Perche ’l cazzo mi dà tanto martoro; Ch’io non so, s’io me ’l menj, o’ quel ch’io faccia.

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Lionardo Salviati's Letter to Jacopo Corbinelli Daniela D'Eugenio

Magnifico Dottor sottile Sacciuto, o volete Ser tutte salle, o più presto piu presto volete Censor dappoco. Questo giorno, et non prima (percioche prima v’harej risposto) m’è venuta nelle manj la mia seconda orazione nella morte dello Illustrissimo S. Don GARZIA de’ Medicj tutta ne’ margini postillata di vostra mano, et ho lettj gli avvertimenti que’ vostri avvertimenti, i quali (percioche io non penso poter dire dir cosa, ne piu vera, ne che piu vi trafigga) sono stati da tuttj coloro che veduti gli hanno, giudicati degni di Voj, della vostra natura, et del giudizio vostro, cosi nella acutezza, e così nella gravità come nella modestia, e cortese maniera del censorare. Non vi pensate, messer lo Dottore, che io mi sia punto maravigliato, ne del vostro sapere, ne della cortese, e bonaria natura vostra. Percioche Voj m’hareste ben per huomo grosso, piu che Voj non siete, se vi faceste a credere, che, havendo io conversato con Esso Voj piu d’un giorno (che è davanzo a conoscere conoscervi ; la vostra goffa malignità percioche Voj siete così destro, come sottile) io non ne fussi cosi bene, come Voj, informato; se ben voj fate professione d’huomo doppio, e difficile malagevole , a lasciarvi conoscere; e usate dire, che la piu bella arte, che sia è lo ingannare gli huominj, e non non v’ho io maj potuto tor della fantasia, ne far capace il Vostro intelletto, che in uno scrittore così grave, come Demetrio è nel vero, troppo si disconvengono, così sporchi, e così dishonesti versj, come son questi: Quando il nascente Sol l’aurora caccia, E le cime de’ monti paion d’oro, E gli uccellj escon fuor de’ nidj loro, Perche la fame, e ’l giorno gli minaccia. Allhor vorrej haver nelle mie braccia Il dolce ricco mio caro tesoro; Perche ’l cazzo mi dà tanto martoro; Ch’io non so, s’io me ’l menj, o’ quel ch’io faccia.