Considerationi di Gio. Pietro Malacreta

One of many entries in the literary debate over tragicomedy, inspired by Guarini's Pastor fido (1590).

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            <title>Giovanni Pietro Malacreta's Considerationi (1600): A Basic TEI Edition</title>
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            <note>Based on the copy digitized by Google Books in partnership with the Biblioteca Nazionale Centrale di Roma.</note>
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               <title>Considerationi di Gio. Pietro Malacreta, dot. Vicentino, detto nell'Accademia degli Orditi di Padova l'Innaspato, sopra il Pastor fido, tragicomedia pastorale del molto illustre Sig. Cavalier Battista Guarini. Seconda editione. Con Licenza de' Superiori. In Venetia, MDC. Ad Instantia de gli Vniti di Padoua. Per Marc' Antonio Zaltieri.</title>
               <author>Malacreta, Giovanni Pietro</author>
               <pubPlace>Venice</pubPlace>
               <publisher>Zaltieri, Marc' Antonio</publisher>
               <date>1600</date>. 
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            <p>This TEI edition is part of a project to create accurate, machine-readable versions of books known to have been in the library of Galileo Galilei (1563-1642).</p>
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         <samplingDecl>
            <p>This work was chosen to maintain a balance in the corpus of works by Galileo, his opponents, and authors not usually studied in the history of science.</p>
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               <p>Lists of errata have not been incorporated into the text. Typos have not been corrected.</p>
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            <normalization>
               <p>The letters u and v, often interchangeable in early Italian books, are reproduced as found or as interpreted by the OCR algorithm. Punctuation has been maintained. The goal is an unedited late Renaissance text for study.</p>
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               <p>Word breaks across lines have not been maintained. The word appears in the line in which the first letters were printed. Words broken across pages appear on the page on which the first letters appear. Catch words are not included.</p>
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<pb n= "2 recto"/>
<lb/>ALL'ECC. MO SIG.
<lb/>IL SIGNOR
<lb/>DON FERRANDO
<lb/>GONZAGA
<lb/>Signor di Guastalla; Prencipe di
<lb/>Molfetta ; &amp;c.
<p>TRA le somme lodi, onde la nobilissima Città di PADOVA merita per molti capi d’esser’ ornata; questa, Eccellentissimo Signore; al parer mio non è la minore, che quiui non solo sieno tante publiche, &amp; famose scuole, quant'ognun sà; ma v’habbia anchora non poche priuate academie, &amp; ridotti, oue chiunque si sia <pb n= "2 verso"/>dopò gli suoi studi più graui può ageuolmente auanzarsi nelle lettere più gentili. Cotal dolcissima ricreatione hò prouato io in me stesso, mentre vi son dimorato per qualche tempo: nel quale essendomi occorso di trattar’, &amp; scriuer’ alcune cose pertinenti alla Poesia; &amp; douendo hora per degni rispetti far le palesi; penso, &amp; ardisco di sacrarle à V. Eccell. per molte cause: Primieramente, perch’essendo la Tragicomedia pastorale intitolata il Pastor Fido; ch’è il soggetto, d’intorno alquale s’aggirano; dedicata all'vno de i principali, &amp; piu risplendenti lumi dell'Italia; è ragione, <pb n= "3 recto"/>che quest’etiandio escano sotto i felicissimi auspicij d’un’altro. Poscia, perche se dell'opre si dee far dono à chi sia atto à darne dirittamente giudicio; non è chi contenda, nè ponga in dubbio, ch’ella in questo particolare anchora à guisa del sol frà le stelle non sia tra quanti Prencipi hoggidì viuono eminentissima. Appresso, perche per l'infinita sua cortesia potrebbe auuenirmi, che talhora V.Eccell. non isdegnasse di farlesi legger’almeno in parte; ilche quando succedesse, qual maggior fauore, qual maggior’auuentura potrei bramare? Finalmente, perch’ammirando io le rare, <pb n= "3 verso"/>&amp; eccellenti sue doti; delle quali in ogni luogo, ma forse sour’ogn’altro in detta Illustrissima Città ne viue incredibil fama; &amp; essendo perciò (benche forastiero) desiderosissimo di esser’accolto se non nella sua gratia, almen nella sua memoria; non deggio lasciar di farmici strada con questo per se picciolo; ma se si riguarda la vera, &amp; virtuosa diuotione mia, affettuosissimo dono. Aggiungasi, che peruenendo elle à V. Ecc. per mezo dell’Illustrissimo &amp; cortesissimo Signor Conte Mattia di Gazoldo tanto à me padrone, &amp; à lei servitor’, &amp; affettionato, non doueranno almeno <pb n= "4 recto"/>per questo non l'esser care. Ma comunque sia, à me basta, ch’ella non isdegni almeno, ch’io l'habbia osate arricchir del glorioso suo nome: del che viuamente supplicandola, con ogn’humiltà le baccio la mano.</p>
<lb/>Di Vicenza il giorno xij. di Giugno M D C.
<lb/>Di V.Eccei. 
<lb/>Diuotiss.Seru. 
<lb/>Gio.Pietro Malacreta,
<pb n= "4 verso"/>
<p>Noi F. Ieronimo Capagnano dell’Ordine de’Predicatori. Maestro in Teologia, &amp; Inquisitore di Vicenza, habbiamo lette, &amp; approvate perche si possaao stampare le Considerationi del Signor Malacreta sopra il Pastor Fido. In fede di che &amp; c.</p>
<lb/>Dat.in Vicenza a 10. di Giugno l6oo.
<lb/>Cosi è F. Ieronimo Capugnano Inquisitore.
<pb n= "5 recto"/>
<lb/>CONDIDERATIONI
<lb/>INTORNO
<lb/>AL PASTRO FIDO.
<p>LO scriuere; se dar vogliamo credenza à quanto dissero Platone, &amp; Galeno; effetto non fù tra gli huomini di semplice cagione: sendo ch’à questo fare sospinti furono i letterati non solo da’ cenni de’ Prencipi naturali, ò stranieri; ò dall'ansietà della gloria appo’l mondo; ma etiandio dal desiderio, che c'infiamma talhora à compiacere à gli amici. Aggiungasi di parere de gli predetti; ch’altri s'auia dietro à si fatto pensiero da uoglia d'essercitato l’ingegno; &amp; quel talento, che sortì dalle fascie: &amp; altri in tal'acqua s’imbarca preparando ostacolo al Tempo, e riparo all’Obliuione	di distruggitori quanto priuilegiata esser deurebbe la nostra misera (benche per altro riguardeuole) vecchiezza. Io veramente posso, anzi debbo affermare, c’havendo posto mano alla penna per iscriuere, intorno al Pastor Fido; à ciò fare mosso mi sia, &amp; per l'essortationi, <pb n= "5 verso"/>&amp; per gl'inuiti, &amp; per le preghiere anchora de gli amici. Conciosia che ne i mesi passati; e in quegli appunto, i quali meno di clemenza sogliono hauere all'humane complessioni; ritrouandomi vn giorno qui in Padoua con alcuni amici miei singolarissimi (ch'era nostro costume lo star'alle volte insieme) facemmo disegno di schermirci à nostro potere dal caldo. E parendone ben fatto lo starcene ritirati: massimamente in quell'hora, ch'egli con uiolenza la sua importunità sfogaua; per trappassare quell'otio secondo il gusto di tutti, andammo à visitare, vn'altro nostro commune amico; alquale, bench'ei fosse conualescente, nè lunga dimora con essolui, nè ragionamento prolisso interdetto veniua. Hora quiui condotti, &amp; in camera entrati, lo salutammo; &amp; intorno ad vn tauolino, che vi si ritrouaua, fummo fatti sedere. Et come che sopra quello (e forse à caso) fosse una mano di libricciuoli: perch’à diuisata materia si credettero appartenenti, stese ciascuno di noi la mano, accappandone, quale più in grado li venne. Ma tanto fù dissomigliante l’effetto dal creder nostro, che quei libri ogn'altra cosa contennero, che varietà, ò differenza; percioche all'aprirsi di quelli ci auedemmo ad</p>
<pb n= "6 recto"/>vno esser tocco il Pastor Fido &amp; ad vn'altro la Poetica del Sig. Giasone: Cosi medesimamente à chi esser peruenuto il Verrato; à chi la risposta, &amp; Apologia, &amp; a chi'l risentimento dell'Attizzato. Era tutto in somma cosa spettante al Pastor Fido, &amp; alle contese che s’hebbero non molt'anni fa sopra quello. Quindi nacque vario ragionamento; perch'altri s'atteneua alla bellezza sua, &amp; commendaualo di gran leggiadria; altri ragionaua dell’oppositioni fatteli dal Signor Giasone, come per molto sode, e fundate l'hauesse: &amp; altri delle risposte, che per contrario sofficienti stimaua. Ma non facendo capo il nostro discorfo; anzi dicendo sparsamente ciascuno che piú gli aggradiua; sembrauamo legno, che per lo mare si mouesse à più venti. Là onde acciò maggior diletto, e gusto s’hauesse; quegli; che fra noi, e per età, e per altri degni rispetti era di maggior auttorità, cercò, recidendo ogn’altro capo, di fare che s’attenesse il discorso nostro dietro à vn sol filo. Et perche da se parea lo più del ragionamento versare all’hora circa'l numero del l'oppositioni, &amp; delle contese; dicendosi, che molte erano le proposte, e per poco non ordinate; infinite le risposte; &amp; che somma difficoltà si durerebbe <pb n= "6 verso"/>in distinguerle; quegli ch'io dissi maggior tra gli altri cosi prese à dire: Signori se i vostri ragionamenti non rimettete nella buona strada, di scorrendo di coteste cose con qualche metodo, non veggio che siate per riuscire à fine, che buono sia; io per: me ne stimo impossibile, nè perauuentura difficile molto il farlo, com’à voi pare; posciache s'alcuno sbandito l'interesse delle maledicenze, delle quali pur troppo raccorre se ne potrebbe, le prime ragioni della lite, assai piana à gusto mio renderebbe la causa: e cosi poi chi che sia, ciò sentendo non molto baderebbe à vederne il vero. Io per me se conceduto mi fosse (di che tutti all'hora assai io pregarono) à certi capi breui procurerei di ridurre tutto ciò ch'è sì lungamente trattato, &amp; essaminato; &amp; credo anchora, ch’attesi con diligenza n'hauremmo chiaro il torto, &amp; la ragione di tante carte. Ma innanzi ch’à questo si procedesse, parrebbe forse degno di consideratione, quali fossero i ueri auttori del Verrato, &amp; dell'Attizzato; conciosia che da vna parte sembra, che dal mondo si sia riceuuto per palese, che dal Signor Guarini non meno nascano quei discorsi, che’l Pastor Fido; sì per altre ragioni, come in particolare per essersi conosciuto da <pb n= "7 recto"/>molti il Verrato non sofficiente, come diconò, à comporre quel discorso; >il quale troppo piú tiene in molte parti dell'erudito, ò vogliam dire dell’acuto, che non pare, che conuenisse ad vn’huomo tale. Et appresso per non esserci notitia veruna del personaggio, che, si mentoua l'Attizzato. Ma dall'altra parte, prima ei si legge assai souente in quei libri.
<p>Parlate meco M. Giasone; perche l'auttor del Pastor Fido, non uuol briga con esso uoi, non parla, non si muoue; soffre: &amp; simili cose. Poscia non si fa credibile c'huomo sì nobil', e costumato, qual'è il Signor Cavaliere; dopo l’hauer detto d'essere stato contra il suo genio strascinato in cotal zimbello, &amp; di voler'ispedirsene in pochissime parole si fosse condotto a frapporre alcune sue non lunghe ragioni entro ad vn fascio di tediosissime ingiurie, &amp; massimamente publicate mesi, &amp; anni dopo la morte dell'auuer sario; &amp; con tutto ciò l'hauesse ripiene di ridicole interrogationi contra di lui, com'à dire. Venite quà M. Giasone. Respondete à questa M. Giasone. Voi siete muto M. Giasone? &amp; simili: che par'appunto il rappellare a tenzone vn morto. Et come che venga detto dall'Attizzato medesimo, ch'egli hauea scritto in viue di lui, ma <pb n= "7 verso"/>per giuste cagioni, s'era trattenuto a publicar quei suoi scritti; non reca però altro ch'il detto suo, &amp; egli medesimo, che se lo dice, protesta altro ue in molti luoghi a suo prò, contra M. Giasone, che non si dee per modo veruno credere a chi non pruoua; non altra maggior gratia chiede a i lettori, fuor che non credano senza pruoue. Oltre che sarebbe forse da vedere, se posto che il fatto stesse cosi; successa poi la morte dell’auuersario, si fosse tuttauia deuuto publicar il libro non mai, mentre visse, peruenuro a notitia sua, nesso stesso modo perappunto, che fu già scritto. Ma per me sconsiglierei dall’entrar in tal sottigliezze, ch’appartengono anzi alla creanza, che alla dottrina: Effortando però voi Signori, che se giamai per sinistra fortuna accappaste in cotal'in contri; debbiate quanto più modesta, &amp; breuemente si può, discorrere, ò disputare; guardandoui dalle lunghe, e noiose inuettitfe: perche i virtuosi huomini stimandole proceder da animi souerchio turbati, nè le sentono volentieri; nè badano molte fiate allo scegliere quelli argomenti, &amp; quelle ragioni, che ui sono sparse per entro. Voi dunque cotal consideratione, ò congiettura, lasciando , &amp; appropinquandoui più allo stretto delle contese; <pb n= "8 recto"/>haureste forse primieramente a vedere come si stia la ragione della querela, che nel Verrato, e nell’Attizzato è in tanti luoghi commemorata, &amp; in tante maniere esposta; dell’intentione dico del Signor Giasone intorno al suo riprendere le Tragicomedie, &amp; le Pastorali. Ma ciò parimente né molto importa al profitto, che voi trar vorreste d'intorno all'arte del poetare; nè par’ à me difficile da risoluersi vdendo il fatto. De'principi di tal'arte in vniuersale scrisse il Signor Giasone secondo l’oppenion sua: &amp; con tal'occasione lasciossi intendere di cio, che sentiua in particolare contra i poemi soddettti, e fello a tempo che il Pastor Fido non era peruenuto alle stampe. Se ne dolse il Signor Caualiere; ò diciamo il Verrato; affermando, ch’egli hauesse cosi scritto principalmente per lo Pastor Fido: &amp; à prouarlo produsse alcune congetture, c’hauesse pur potuto hauerne sentore. Negò il Signor Giasone; &amp; oltre la negatiua, apportò ancho le risolutioni, che li paruero à dette congetture. Notificò inoltre da qual'altra cagione s’era mosso à discorrerne. E non contento di ciò il buon vecchio; che fu pur Christiano, gentilhuomno, e di molto grido; aggiunse in sua giustificatione efficacissimi <pb n= "8 verso"/>giuramenti; &amp; sendo all’hora in grauissima età, morì poco poi. Nel quale particolare, io vi replico, che tanto meno io sento, che ci habbiate à logorar tempo, quanto essendoci alcun di uoi, che delle leggi anchora hà notitia, può ageuolmente comprendere ciò, ch'etiandio ne’rigorosi giudici post’in campo dallo stesso Attizzato deciderebbe si sopra tal contesa. Intorno ciò dunque più in considerare non seguitando; succederebbe altro capo di molto maggiore importanza: Poiche mentre le Tragicomedio Pastorali hanno questo doppio titolo, quinci nasce doppia occasione di discorrere: l’una è circa le Pastorali, l'altra circa le Tragicomedie. Et disputando il Sig. Giasone cotal genere Pastorale esser al tutto dannabile, conciosia che regolarsi, ò riceuer costumi non possa dal Politico; parrebbe da vedere, se'l Poeta; ò le compositioni sue di necessità vengano regolate de Politico; e se da lui de’costumi, de'quali ammanta le sue fauole, si fornisca. Et per lo vero se le poesie, e sopra tutte la drammatica vuole cittadinanza, e di quella potersi ancho valere, si fà assai probabile che le convenga conformare i costumi suoi colle Città, che d'habitare si elesse. Verserebbe l'altra difficoltà d’intorno alle <pb n= "9 recto"/>Tragicomedie, particella anch’essa principalissima di quello onde presero argomento di controuersia gli auttori di questi libri. Formalmente il problema starebbe; se secondo le regole del verisimile, e dell'arte in universale far misto, ò composto di Tragedia, e Comedia lecito sia. Hora dovendosi ridurre un tal misto, ò conponimento à propria, e legitima consistenza, è chiaro, che fà di mestieri mescolare insieme, ò comporre l’essenza (per cosi dire) sì della Tragedia,</p>
<p> come della Comedia. Dunque saria da vedere, se le qualità serie, graui, importanti, &amp; atroci della Tragedia vnir si pungo, ò comporre colle ridicolose, e leggieri della Comedia, e colle fritte, &amp; piaceuolezze di quella. Ma intorno à queste cose altri, come sappiamo, hà di già lungamente discorso; voi per mio consiglio lasciatene lor la cura. Tanti à me sono sempre paruti i capi da dicidersi, ò ricidersi, che vogliam dire. E se frà sì lunghe scritte sembrano inuolti, nè cosi ageuolmente disposti: ciò auuiene mercè del uario interesse de gli scrittori ; l>i quali il più delle volte si compiacciono in simili occorrenze di disputare con l’ordine, che loro torna bene; &amp; implicare fra le dispute de gi'interpellamenti souerchi. Et s’altri <pb n= "9 verso"/>mi dicesse ritrouarsene di molte delle questioni, ch'ad essi capi non si riducono: risponderei, ò quelle venir in conseguenza loro; ouero al tutto esser fuori del proposito principale; ò pure tali non essere, che quì numero per hora deggiamo farne. Ma, Signori, tuttoche di tanta importanza state siano le dette controuersie, ch'in esse, e per esse al mondo sono riuscite cotante carte; quasi ci si uenisse à significare, ch'intorno al Pastor Fido più che dire non rimanesse; non pertanto io, che più volte hò letto, e riletto quel poema, persuadere non mi son potuto giamai, che il fatto si stia cosi: anzi se deggio confessar'il vero parmi d'hauerui scorti per entro molti dubbi degnissimi per illustrar la facoltà di cui ragioniamo, d'esser considerati, &amp; effeminati. Et questo è quello, che veggendo poco fà di uoi Signori affaticarsi le lingue circa materie già prolissamente discorse, mossemi al fauellare, &amp; al ricordarui cofa, che pensai da stimarsi per hora più che le prime: sì per altro, come per la novità, che da se stessa diletto arreca, il quale à nome di tutti, &amp; per tutti qui veggio, ch’è procacciato. Et di vero da che siamo condotti à discorrer del Pastor Fido; che ci rileua in gratia il rinouellar lo <pb n= "10 recto"/>querele antiche; se di nuouo ci resta altro di gioueuole che vedere, e che dire? Già di quelle si disputò: hora che l'occasione ci si para innanzi, facciansi parole sopra le parti dell'opra stessa del Pastor Fido: &amp; frà di uoi (ch'io detto hò assai) vno s’elegga, per fuggire il disordine, cui tocchi fare la detta consideratione: Sò ben’io, che ce n’hà molti fra voi, che saranno più che atti à ciò fare con diligenza, &amp; con utile, ancho alla sproueduta. Queste parole furono da ogn’uno con non poco piacere ascoltate, onde cominiciammo a pregarlo (ch’ei di già taceua) riprender uolesse il ragionamento, &amp; come quegli, ch'aprendoci tale strada douea ottimamente saperla, seguisse discorrendo intorno a’particolari del Pastor Fido. Ma per lunga istanza, che ne facessimo, ciò non potemmo ottenere, perch’egli ricusando gentilmente più volte questa carica, tornò a dire, che ciascuno di noi à ciò basterebbe, ogn’hor che volesse con ingenuità d'animo lasciarsi intendere; &amp; di come, &amp; di quanto glie ne paresse: il che vedendo; per non essere seco insolenti, risoluti ad ogni modo di compiacerlo ci demmo allo scegliere, chi douesse rimetter si in vecchia: Et hor l'uno, hor l'altro a gara fra di noi eleggendoci, che questi <pb n= "10 verso"/>sendo eletto proponea quello, &amp; quegli ricusando il peso, ad vn'altro lo rimettea: alla perfine parue al più di loro di uoler, ch'io entrassi in tale ragionamento. E quantunque facessi ogni mio potere per ischifarlo, dicendo, che à me, che di molto minor auedimento de gli altri era nelle cose di poesia, ciò imporre non si douea: tanto però di ualore non hebbe l’iscusa mia, che non mi fosse chiuso ogni calle per isbrigarmi. Cosi dovendo per ogni modo vbbidire, trà me stesso mi confortai; sperando (auuegna che fossi colto alla sproueduta) non douer del tutto mutolo rimanere; perche pur qualche poco di riflesso di già in leggendo quell’opera fatto hauea. Et prima, ch'altro dicessi, mi dichiarai, di piu non voler fare, che proporre alcuni miei dubbi intorno all’arte del Pastor Fido, l>i quali ò fosse la debolezza dell’ingegno mio, ò la difficoltà loro, io non sapea sciogliere: Et soggiunsi, che detti gli haurei, se pattouita mi veniua la risposta, e la risolutione loro, &amp; non altrimenti. Di che ogn’uno molte promesse facendomi à dire cominciai: e con non poca attentione di tutta la brigata, à quanto m’auidi, quelle nel miglior modo, ch’io seppi, esposi. Compiuta la proposta, pregando io <pb n= "11 recto"/>con istanza grandissima, che nel vegnente giorno buon’ordine per la risposta si desse; parue à ciascuno, che detto hauessi forse più di quello, ch'una tirata di memoria, cosi minutamente ritenere potesse: onde s'auifaro molto buono douer'essere, se postigli in carta glie l'hauessi lasciati agiatamente vedere: Quindi presi occasione di douerli rassettare. Ma fatto, ch’io l'hebbi non istette dentro à cotali termini la loro richiesta; perche con gagliarde essortationi cercarono'ancho di persuadermi, ch’io gli stampassi; con dirmi ch’era ciò via, se dubitando hauessi di loro, d’astringergli alla risposta: Anzi che se fosse auuenuto che per sinistro alcuno si fossero essi rimasti dall’attendere alla promessa; almeno senza risposta, non sarebbe stato al sicuro il discorso mio, perch'altri di leggieri harebbe sodisfatto à me, e supplito à quanto per loro mancato si fosse; &amp; cosi de' miei dubbi si sarebbe veduto lo scioglimento. Vagliamo la verità, à me non ispiacque il loro pensiero; per tener io gran voglia di esserne certo. Anzi dopo l'hauere queste mie considerationi insieme ridotte, di douerle etiandio publicare tanto maggior argomento ripresi, quanto vedea nouellamente il detto poema hauer dato <pb n= "11 verso"/>campo al Sig. Angelo Ingegneri gentil’huomo di grand’eruditione, &amp; isperienza, &amp; ad altri anchora, d’affermare non poche sconueneuolezze in quello osseruate; non ch’à me solo nasciuta fosse occasione di dubitare de gli artifici, che secondo; alcuni per entro ad esso s’han da ammirare. Lascierolle dunque vedere; hauendole scritte, e dirizzate solamente all'intentione, &amp; al desiderio della sopradetta amicheuole, &amp; gratiosa brigata; securo di douerne trar la risposta à me sopra ogn’altra cosa carissima; &amp; quella sceurai da ogn’immodesta contesa, e da tutte le risse di parole non degne del cospetto de gli huomini virtuosi. Nè per ciò ch'io dico scriuere à quella, e per quella, di togliere intendo sua libertà a chiunque di siderasse cortesemente iscritto rimouermi da’ miei dubbi: Anzi (com’io dicea) nulla più gradito, &amp; accetto occorrere mi potrebbe; quantunque pregato quel tale esser vorrei, che dotto, non maledico, ingegnoso non mordace mostrare si uolesse, conciosia che scopo mio non sia per hora, come nè all’hora sù, quando questo mi auuenne (ch'è pur fatto verissimo, &amp; potrei darne sempre fido riscontro) di suscitare contese, ma solo di produrre sincero discorso, onde la <pb n= "12 recto"/>verità con profitto de gli studiosi chi aramente si scopra.</p>
<p>DOuendo ragionare; anzi pure à vostra richiesta; Signori mettere queste mie considerationi in iscritto; m’ingegnerò di procedere con ordine, &amp; di parte in parte: poiche la confusione; oltre al cagionar in loro meno chiarezza, &amp; priuarle di quella facilità, che voi ricercaste, le renderebbe insieme poco grate ad ogn’altro, ch’à leggere le prendesse. Per tanto nello scriuere mi valerò più perfettamente del metodo, che discorrendo abbozzai: &amp; fù (se ben mi ricordo) quello, col quale pare hauer' ordinato Aristotele i suoi ammaestra menti nella Poetica. Percioche dicemmo douersi ogni Fauola in pradi Qualità, &amp; di Quantità compartire: &amp; considerare anchora separatamente, e l'un’ e l'altre; e le conditioni loro: onde aggiunte non molte cose; siasi il poema drammatico, o narratiuo; comico, tragico, ò altro; ageuole, ed interamente può giudicarsi. Ma perche, qual’io dicea, hò per iscopo il seruirmi di quanta chiarezza mi sia possibile: innanzi ch’io: passi più oltre in queste scritture, proporrò cosa, che già nel ragionamento per molti rispetti lasciai: &amp; <pb n= "12 verso"/> questa sia la fauola del Pastor Fido historicamente stesa. Già (dico) ragionando alla famigliare la tacqui, sì per minor noia in quella stagione, &amp; in quell'hora; come per hauer'io presupposto, che benissimo voi Signori à mente l'haueste. Qui la trappongo; non solo veggendo ciò dal luogo compatirsi; ma anchora chiedersi: posciache se bene le scritture alle Vostre Signorie indrizzate sono, però non è, ch'elleno à più scritte non vengano: &amp; ogn’uno forse non hà cosi à mano tutto il tessimento di questa fauola: Et quello, che in capo di quel libro si legge serue più tosto à quei tali, ch’à loro modo, ch’à quegli altri, che secondo la contenenza del poema intero, &amp; la di lui totale dispositura lo vogliono. Et quantunque certo sia, che questo racconto mio non haurà quella piaceuolezza, che perauuentura alcuno ci bramerebbe; pur di quello fare non uogliomi rimanere; perche almeno, spero, sarà di maggior chiarezza, &amp; di più compiuta informatione del fatto. Anzi aggiungo, ch’io ne sono assolutamente costretto, non meno che sia il muratore di farsi piazza, &amp; fermar le fundamenta; s’egli hà à fabricare: Percioche non hauendo l'historia pronta, &amp; particolarmente distinta, come di gratia senza <pb n= "13 recto"/> confusione dichiarare potrei quanto mi fà dubbio di passo in passo? In somma io tengo ueramente questa narratione per cosi necessaria à quanto sono per dire, che vò temendo, ch’oue altri senza vdirla con patienza scorresse innanzi; poco, ò nulla intenderebbe. Et chiunque altramente si stima la può tralasciar’ à sua voglia. Siasi questa dunque l’historia de i fatti del presente poema.</p>
<p> Fù in Arcadia, vn pastore chiamato Aminta Sacerdote di Diana, >il quale di Lucrina ninfa del paese era grandemente inuaghito. Costei quanto di beltà hauea, cotanto, e più di perfidia ritenea. Perche mostrato gran tempo di riamarlo: non si tosto l'occhio pose addosso ad vn’altro pouero, e vile pastorello, che di lui fieramente s'accese. Aminta di ciò non s'auedea: E pure tuttauia era crudelmente sprezzato: Ma alla fine auedutosene, &amp; isdegnatosene pregò Diana, che vendicar lo volesse: &amp; fù essaudito: conciosia che la Dea in vendetta di lui strali di morte scoccando per tutt’Arcadia, per alcun tempo stranamente l’afflisse. I popoli vedendo ogn'hor più contra di loro la pestilenza incrudelire, si risoluettero di mandar gente all'oracolo; &amp; riportarono tal risposta, <pb n= "13 verso"/> Che Cinthia era sdegnata, &amp; che placarla Si sarebbe potuto, se Lucrina Perfida ninfa, ouero altri per lei D’Arcada gente à la gran Dea si fosse Per man d’ Aminta in sacrificio offerta. Standosi in questa guisa: l'oracolo; fu Lucrina; benche tutta di lagrime, e singolti ripiena, (non trouandosi chi per lei morire volesse) al sacrificio con dotta. Hora essendo ella à piedi del Sacerdote Aminta di già disprezzato, e tradito, &amp; aspettandone il fiero colpo, adiuenne, che di doue morte certissima attendea, vita non isperata le nacque: perche postosi egli in atto di lei ferire, dettole queste parole.</p>
<lb/>Da la miseria tua Lucrina mira, Qual’ amante seguisti, e qual lasciasti, Miral da questo colpo.
<p>Se stesso, e non Lucrina vccise. Ilche non tantosto vide la Ninsa, che rauedutasi dell'errore, piagnendo la di lui morte, cacciossi nel petto lo stesso ferro; &amp; caduta sopra’l corpo dell’amante, morissi anch’ella. Morta Lucrina, per questo, non cessò la pestilenza; come l’oracolo predetto hauea; anzi perseverò Diana adirata, &amp; afflisse di nuouo, &amp; quasi più dell'usato l'Arcadia. Spedirono la seconda fiata messi all’oracolo gli Arcadi, &amp; hebbero più che prima spaueatosa risposta, <pb n= "14 recto"/> Che si sacrasse all’hora, e poscia ogn'anno Vergine, ò donna à la sdegnata Dea, Che'l terzo lustro empiesse, ed oltre al quarto</p>
<p>Non s’avanzasse, e cosi d'una il sangue. L’ira spegnesse apparecchiata à molti. Imposte fù anchora all’infelice sesso vna molto severa; anzi (dice l’auttore) inosseruabil legge composta di molti (come i Leggisti dicono) paragrafi, ouero appendici: Et questa era tale.</p>
<lb/>Qualunque
<p>Donna, ò donzella habbia la fè d'amore. Come che sia contaminata, ò rotta, S’altri per lei non muore, à morte sia Irremissibilmente condannata.</p>
<lb/>Li Paragrafi, ouero appendici saranno le susseguenti. 
<p>La medesima legge, che commanda A la donna il seruar fede al suo speso, Hà comandato ancor, che ritrouando Ella'l suo sposo in atto dì perfidia, Possa malgrado de parenti suoi Negar d'essergli sposa, e d'altro amante Honestamente prouedersi.</p>
<p>Si dichiara quella particella della legge: s'altri per lei non muore, &amp; dicesi, che dee chi muore per altrui non essere straniero. Volea Carino essere sacrificato per Mirtillo, e non potè; perche lo stimarono forastiero. <pb n= "14 verso"/></p>
<lb/>Car. E perch’à me si nega, Quel, ch’à lui si concede? 
<p>Mont. Perche se’ forastiero : Circa’l particolare di costui, che prendi de per altri à morire, si vuole, che chi s’offerse à morte piu ritrarre non si possa: &amp; si viene in conseguenza ad incenderci, che chi campato viene per altrui non possa più uoler’egli morire, anzi costretto sia di riceuer vita. </p>
<lb/>Che campar per altrui 
<lb/>Non può, chi per altrui, s'offerse à morte.
<p>Da poi che s’è determinato delle persone douenti cotale patimento sofferire, si determina del luogo; e si dice. </p>
<lb/>Che si dà la pena, ove fu’l fallo.
<p>Et tal’hora occorrendo, che per qualche rispetto nel luogo del fallo sacrificare non si potesse, è lecito trasferire il sacrificio altroue, come s’in un’antro qualche fallo auuenisse, distinguesi, che</p>
<lb/>A scoperto ciel sacrar si deve.
<lb/>Chiede inoltre la cerimonia di questa legge, che
<lb/>Taciturna la vittima si moia.
<lb/>Se parlaua la vittima il sacrificio era spedito.
<lb/>Mir. Deh padre homai t’acqueta. 
<lb/>Mon. ò noi meschini,
<lb/> Conta minato e’l sacrificio, ò Dei. &amp; altroue.
<lb/>Mir. Misero qual errore, <pb n= "15 recto"/>
<lb/>Hò io commesso, ò come	
<p>La legge del tacer m’uscì di mente? Quindi nasce per commandamento, e vigore di essa, che bisognaua questa vittima rimenar tosto.</p>
<lb/>Al Tempio
<lb/>E nella sacra cella un'altra uolta Prender da quella il uolontario voto. 
<lb/>Inoltre alli detti s'aggiugne la moderatione della cerimonia del sacrificare.
<lb/>Che’n faccia al sol, benche tramonti Era fallo il sacrar uittima humana.
<lb/>E quella vittima solo potea essere sacrificata dal Sacerdote maggiore: Montano lo dice.
<p>Non può per altra man vittima humana Cader à questi altari: &amp; altroue: Cosi commanda à noi la nostra legge.	</p>
<p>Anzi à ministri minori non era letito fauellare co' rei condennati al sacrificio: Cosi dice Ergasto ministro minore.</p>
<lb/>Perche vieta la legge A i ministri minori Di favellar co' rei. 
<p>E in tanto che si apprestava la vittima, non douea alcuno entrare nel tempio; se non era sacerdote: Cosi dice il messo à Titiro. </p>
<lb/>Fermati, che le porte
<lb/>Del tempio ancor son chiuse, 
<lb/>Non sai tù, che toccar la sacra soglia,
<pb n= "15 verso"/>
<lb/>Se non à piè sacerdotal non lice.
<lb/>Fin che non esca del sacrario adorna La desinata vittima à gli altari?
<p>E per finirla, queste altre due particelle hebbe anchora; l'una, cioè, che quando si fosse quell’oracolo adempiuto, che dicca.</p>
<lb/>Non haurà prima fin qual; che u’offende, Che duo semi del ciel congiunga amore. 
<p>Ritrouati che si fossero, dico quei duo semi del cielo, si douessero in quello stesso giorno appunto congiugnere, nelquale si fossero ritrouati: cosi’l cieco Tirenio camò.</p>
<lb/> Dove conuien prima, che’l sol tramonti, Che sien congiunti i fortunati Heroi. 
<p>L’altra, che si mirasse bene alcuno di loro non hauer già data la fede altrui: perciò disse Montano d' Amarilli.</p>
<lb/>Ma guarda ben Tirenio,
<lb/>Che senza uiolar la santa legge,
<lb/>Non può ella à Mirtillo,
<lb/>Dar quella fè, che fù già data à Silvio.
<p>Questa era la legge di Diana con tutte le sue appendici. Durò il sacrificio di humana vittima conditionato con essa per alcun tempo. Gli Arcadi finalmente portati dal desiderio di saperne l'essito mandarono la terza uolta all’oracolo; &amp; n'hebbero questa risposta.</p>
<pb n= "16 recto"/>
<p>Non haurà prima fin quel, che u’offede, Che duo semi del ciel congiunga Amore E di de una infedel l'antico errore L 'alta pietà d’un Pastor Fido emende. Ritrouauasi in quel torno Montano Arcade Sacerdote di Cintia (ò Diana che uogliam dire) >il quale discendea dalla stirpe d'Hercole, &amp; nel paese d’Arcadia le sacre, e l’humane cose reggea. Nacquero di costui due figliuoli, de i quali il primo fù per nome detto Siluio; &amp; questi uolendo poi altrimenti’l cielo Mirtillo chiamossi: percioche sendo egli bambino anchora, inondo'l fiume Ladone le vicine à lui campagne dell’Arcadia; e lo rapì; &amp; entro vna culla portandoselo fuori del paese Arcado; salvo in Elide, castello della banda occidentale del Peloponeso, il condusse; &amp; sù le sponde d’un’isoletta, che s'abbatè al corso del fiume attrauersarsi, il ripose; oue custodito fù dall'acque per fino ch'a quel luogo uenne à capitare huomo, ch’era bene Arcado anch’egli (per nome Carino,) ma per all’hora dimorante in quelle contrade: il quale veduto il bambino: dall’acque lo raccolse. Mandò Montano un suo seruo nomato Dameta à cercar nouella del perduto figlio; alquale, mentre costeggiaua la riua del fiume Alfeo, venne fatto d'urtare apunto <pb n= "16 verso"/>in Carino, &amp; da lui lo rihebbe: entrò in pensiero à questo Dameta, pria che riportasse il figlio al padrone, di gir'all’oracolo: &amp; gitoui, ne hebbe risposta, che se peruenisse quel fanciullo in Arcadia; correa periglio d’esser dalle mani del proprio padre sacrificato; per lo che Dameta cangio proposito, nè più per tema di tal periglio ritornar volendolo al padre, lasciollo à Carino, che dianzi dato glie l'hauea, &amp; finse col padrone ritrouato non l’hauere. Carino cui Dameta donò il fanciullo, senza forse molto sapere dell'oracolo, e che, e come, e quando li portendea di strano, alleuollo; &amp; tutto che il nome di già impostoli sapesse; pure a volontà di Dameta lo chiamò con nuouo nome Mirtillo; atteso che ritrouato l'hauea in un cespuglio di mirti. Hebbe poscia il detto Montano dopo la perdita di questo, vn'altro figliuolo, >il quale per rinouellar la memoria, &amp; racconsolarsi della disauentura del primo nomò parimente Siluio. Questi che giouanetto era anchora, dilettossi grandemente della caccia, &amp; più che troppo mostrossi abborrire gli amorosi pensieri, &amp; perciò l’amore di certa Ninfa chiamata Dorinda hauuto hauea sempre in isprezzo, &amp; pure all’hora piu che mai lo sprezzava. E tanto sia <pb n= "17 recto"/>detto di Montano, &amp; sua stirpe. In quel medesimo tempo, &amp; in quello stesso paese era un pastore che Titiro s'addimandaua, discendente altresì da Pane famoso Dio de i Pastori, &amp; haueua anch’esso vna figlia bellissima chiamata Amarilli. S’abbattè in Elide costei passare, appunto nel tempo di quei giuochi, >i quali in honor di Gioue gli Elei costumauano di celebrare. Per quelli dunque vedere andossi colà Amarilli, e ui dimorò più giorni. Hora Mirtillo (quelli, che già portato fuori d’Arcadia dal fiume, &amp; ritrouato dicemmo da Carino, in Elide nodrito, &amp; hormai cresciuto ) vedutala tra quei spettacoli, che di beltà frà l'altre, come sole risplendea, di lei tostamente s’accese. Soleano insieme ridursi molte donzelle d’Elide, di Pisa, e d’altri luoghi (in somma, e terriere, &amp; straniere) abbigliate alla ninfale, &amp; in luogo si ritirauano; doue sole con libertà nel tempo, che de i giuochi publici copia non s’hauea, danze, &amp; ischerzi tra loro essercitare potessero. Tra queste si ritrouaua una figlia di Carino, >la quale Mirtillo per sorella, come per padre Carino anchora tenea: ond'ei che desideraua fruire la presenza d’Amarilli più che potesse, alla stimata sorella il suo amore scoperse; e la pregò, <pb n= "17 verso"/> ch’aitare lo volesse: >la qualle promesso havendoli; perciò fare vn giorno lo vesti d’habito feminile in tutto à quel dell'altre simigliante, e si l’adornò di chioma; e de i portamenti feminili si l’istrusse, che nel drapello dell'altre fù da tutte donna creduto. Venne proposta in quel giorno tra gli altri vn certo giuoco chiamato de i baci: &amp; perche ad ogn’una piaciuta era la proposta, in ordinanza si raffettaro, e dichiarata Amarilli giudicatrice de i baci di ciascuna, quale più dolce si fosse; per lo giuoco fare incominciaro. Hebbero à baciarla di</p>
<p>una in una tutte: onde Mirtillo, che nella compagnia ritrouossi bacciola anch'egli, &amp; con modo tale, che vinse, e funne coronato della ghirlanda; che per ciò appunto apprestata s’era. Finito il tempo de gli spettacoli, ogni forastiero à sua patria tornossi, &amp; Amarilli anchora in Arcadia: Onde l'innamorato Mirtillo non potendo sofferire l'amoroso tormento, fè anch'ei dalle natie contrade in Arcadia passaggio. Fù à Carino acerbissima la costui non preueduta partenza, e dal dolore oppresso grauemente infermo: perche Mirtillo fù costretto di ritornare; Risanossi Carino al ritorno di Mirtillo; ma egli ritrouandosi lontano da colei, ch'amava vità <pb n= "18 recto"/>in vna graue febre, &amp; stettesi in questa guisa afflitto ben sette mesi, anzi di quella morto sarebbe, se non che finalmente all’oracolo si ricorse; e fù la risposta.</p>
<p>Che sol potea sanarlo il ciel d’ Arcadia. Cosi tornossi la seconda uolta Mirtillo in Arcadia perseuerando più che mai nell’amore d'Amarilli. Hora in questo mentre, da che già la sentenza dell’oracolo (la terza, dico, sopranarrata) s'hauea sentita; Et Amarilli d’Elide s’era tornata; quei duo nominati pastori, ch’entrambi derivaro l’origine da gli Dei mossi dal sopra riferito vaticinio publicamente fecero i loro figli Siluio, &amp; Amarilli darsi l'uno, all’altro la fede maritale; &amp; andauano procurando l’ultimo compimento del matrimonio, ch’essere douea (credean’essi) la salute dell’Arcadia. Le quali nozze; tutto che grandemente sollecitate da questi Montano, e Titirio padri de gli sposi, non si recavano però à fine; conciofosse cosache il giouanetto, >il quale niuna maggior vaghezza hauea, che della caccia, da i pensieri amorosi; come dicemmo, lontanissimo si vivea. Fra tanto che'l negotio sembrava pure verso'l fine riuolgersi, Mirtillo avedutosene (che solo in quel punto venne à saperlo) ne fù sopra modo, <pb n= "18 verso"/>dolente: &amp; si mise in cuore (che pareali perduta hauere ogni speranza) di voler’almeno con Amarilli parlare, &amp; raccontarle à pieno gli affanni suoi; ilche mai per adietro non hauea fatto; &amp; poscia non impetrando aita morirsene. Cosi trauagliando in rammarichi, e fra di se fieramente dolendosi; li soruenne Ergasto suo compagno; &amp; intesa la cagione de i suoi lamenti lo interuppe: cui dopò alquanti giri di parole, Mirtillo confessò l'amor suo uerso Amarilli, che dianzi taciuto hauea; &amp; insieme lo prego, ch’adoprare si uolesse di maniera, che acquistasse vna sola fiata commo dità di con lei ragionare. Questi pietoso di sue disauenture tanto fè, che ritrouò Corisca d'Amarilli compagna, ed ottenne da lei, ch’affaticare si volesse per solo cotanto impetrare da quella in fauore di Mirtillo. Era Corisca donna come di partito, &amp; più che molto nelle lussurie immersa: &amp; all’hora si ritrouaua alle mani col Satiro per ragione d’amoreggiamenti tra di loro; benche dianzi sposa essere douesse di Coridone, à cui n’hauea dato fede; e tuttauia era insieme ardentemente di Mirtillo inuaghita. Quindi argomentossi ella, poiche à tale cosa fù richiesta, d’hauere ottima occasione per dare all'amor suo inganneuole <pb n= "19 recto"/>compimento: Percioche auisandosi della legge sopranarrata, si pensò che per lo di lei vigore, ogni uolta, ch’Amarilli condotta si fosse ad ascoltare Mirtillo, nasceua modo di fare che fosse stata di morte punita, e Mirtillo (à suo pensiero) mancando la rivale al suo amore riuolto. Per poter dunque recare i desiderij suoi à tal fine, fè dire à Mirtillo, ch’ad impetrare quanto ei richiedea era mestieri, ch’essa Corisca per poter più cautamente adoprarsi, alcuno particolare di questo suo amore intendesse. Cosi prese Mirtillo occasione di narrarlo ad Ergasto, >il quale à lei sollecitamente lo rapportò. Informata dell’amor suo Corisca, se n'uscì per Amarilli ritrouare, &amp; le uenne fatto. Entrò con essolei in ragionamenti di nozze: Et perche non molto uogliofa se ne mostrava, le disse, ch’ogn'hora che fosse contenta, daua à lei il cuor di sturbarle: di ch’ella molto cupida dopo cotai promesse mostrandosi, Corisca senza punto per all’hora favellarle della maniera, diterminò solamente di suo consenso quest’uniuersale, di douer farlo; tanto disse d'una in altra cosa montando, che tiro Amarilli in proposito di Mirtillo, &amp; si le mise in capo, ch’ascoltare lo douesse, che pure costei <pb n= "19 verso"/>gliele promise. Il modo le diò Corisca; sendo che Amarilli con alcune compagne soleano su'l meriggio menar certe danze in quel luogo: imperò se in quel giorno ridurre si volesse, quindi l'occasione con molto loro agio ne nascerebbe. Si ridusse Amarilli colle compagne, e fra di loro ordinarono’l giuoco della cieca. In tanto per commandamento di Corisca Mirtillo s'era nascosto in luogo vicino, &amp; non osando meschiarsi nel giuoco, à vedere se ne staua, &amp; rimasto si sarebbe dal frapporsi frà di loro, se da Corisca (che di là prima fuggita dal Satiro, che presa l'hauea, pure anchora per altre uie ricondotta: ui s’era) non ui fosse stato quasi contra sua uoglia condotto, ò spinto. Entrato dunque egli nel drapello venne preso dalla cieca, ch’era Amarilli, &amp; immantenente alla di costui presa. partitesi le compagne; fuor che Corisca, >la quale in certo vicino cespuglio appiattossi; rimasti gli amanti soli; nacque à Mirtllo agio grandissimo di parlarlo. Narrò egli à lungo ad Amarilli le sue passioni amorose: &amp; essa datali dubbia risposta, senz'altra particolar conchiusione, licentiollo. Cosi partitosi; &amp; Corisca per anchora standosi là nascosta; Amarilli, che d'essere sola si credea, cominciò à <pb n= "20 recto"/>rammentare l’amore, e le parolle di lui; &amp; indi dolendosi di sua sorte si mise à ragionare fra se stessa, e dire che pure l'amaua anch'ella intensissimamente, ma scoprire non potea questo sua amore, nè condurlo permodo ueruno à buon fine. All’hora Corisca, che tutto veduto, &amp; udito hauea, le si fece innanzi, e la conuinse dell’amore, ch'à Mirtillo portava’: Et ciò buono parendole per lo suo disegno, cominciò à tessere menzogne, o frodi promettendo ad Amarilli, che volea, ch’in ogni modo, e pure leggirimamente anchora, di questo amorosi godesse, mentre à ciò fare, che le additerebbe, fosse disposta: Conciosiache lo sposo di lei Siluio (cosi le di è ad intendere) amaua una fantesca d'essa Corisca molte fiate con essolei in cert’antro s’hauea trastullato. E già dicemmo, che v’era legge di poter rifiutarsi l'huomo per isposo dalla donna, ogni volta che poteasi da lei provare, che giaciuto, fosse con altra. Aggiunso la menzogniera, che in quel giorno stesso la sua fante dato hauea ordine con Silvio di ritrouarsi nell’antro; onde s'Amarilli atteso l’hauesse di leggieri colto l’haurebbe. E per compimento le diè l’hora, e il tempo, &amp; l’antro additolle. Cosi vtile parendole per ouiare al matrimonio, <pb n= "20 verso"/>deliberò d’esseguir’ Amarilli: Ma prima d’ogn’altra cosa uolle girsene al tempio à far’orationi à gli Dei, acciò bene le succedesse. Andossene, &amp; restò Corisca, >la quale pensò fra tanto, che costei s’era gita, d'aggiugner nuouo inganno al primiero; affine, che poi e questo, e quello insieme riuscire per ogni modo le facessero i suoi dissegni: fù l'inganno di parlare à Coridone suo amante, ò sposo; e dirli, ch'essere vorrebbe con essolui in quel l’antro medesimo, &amp; cosi, dapoi che Amarilli colà entro risposta si fosse, farloui capitar anch'esso, &amp; indi per secreta via condur i ministri del Sacerdote, e quiui coglier’entrambi, come se à peccare venuti fossero. Mentr'ella pensa, &amp; à cio si risolue; ecco uerfo di lei venire Mirtillo: l'aspetta, e con esso lui entra in ragionamento, dissegnando con altro partito di due l'uno conseguire: Procurar prima di trarlo à sue voglie, ilche se fatto le fosse uenuto, più intorno ad Amarilli rauolta non si sarebbe: Et se questo non succedea, con altro modo accelerarle la morte. Non le riusci’l primo; onde al secondo volgendosi, à Mirtillo soggiunse, che molta ragione fatta gli haurebbe dell'amor suo sì costante uerso Amarilli, ogn’hora che riamato fosse stato; ò se pur non amato, <pb n= "21 recto"/>non isprezzato; in guisa, ch'ella se schifa di lui si mostraua, de gli altri almeno il somigliante facesse. Ma di questo disse Corisca tutto essere il contrario in lei, conciosiache lui sprezzando à rozzo pastorello già data s’era; &amp; godeasi seco in quell’antro pria riferito. Mirtillo ciò per modo ueruno credere non volea; pure perch'ella s’offerì di prouargliele; à nolerlo vedere si dispose. Et in tal modo affestò il secondo trattamento per la morte della riuale; dando buon'ordine à Mirtillo, onde potesse il tutto mirare compiutamente, e senz’altrui noia: Et poscia quindi partissi andando per Coridone. Tutto ciò fatto s’hauea in quello spatio, ch’Amarilli dìmorata s’era nel tempio, &amp; nel viaggio à quello, &amp; nella partenza. Venne dunque Amarilli (andatasi già Corisca, &amp; per comandamento di lei nascostosi vicino Mirtillo) &amp; incanta secondo’l consiglio hauuto s'andò in quell'antro. Mirtillo si perciò uedere, come per cert’altro ragionamento udire , che fatto hauea Amarilli in entrando, tenne per certo, che per alcun drudo gita vi fosso: onde uari pensieri le sursero nella mente: Ma si risolse alla perfine d’appiattarsi in cerra parte ben’interna, ma propinqua al’entrata della spelonca; &amp; come <pb n= "21 verso"/>accostarsi uedesse alcuno; incontanente d'agguato vscire, &amp; ucciderlo; vendicandosi in tal maniera ad un tratto di due, ch’oltraggio facevano all’amor suo. Riposesi dunque in luogo assai commodo, e nascosto della spelonca. Auuenne ch’il Satiro soprauegnente lo vide entrare, &amp; vdillo parlar di Corisca; quasi dell'amor suo all’hora all'hora Mirtillo douesse là entro esser compiaciuto. Onde il Satiro cosi credendo, per uendacarsi dell’ingiurie fatteli; conciosia che' molto, come si disse, amata l'hauea, ma sempre n’era stato spregiato, &amp; uillanamente scherniro; pensò di chiudere l’antro, si che più indi uscire non potessero, &amp; auisare poi’l Sacerdote, che mandaffe colà ministri, >i quali per lei punire del fallo, commesso contra la data fede, la prendessero: sendoche Corisca veramente data hauea la fè à Coridone, ma egli si tacea, &amp; per tema del Satiro di ciò consapeuole di chiederla non ardiva. Chiuse dunque l'antro con cetto sasso, &amp; andato al Sacerdote il tutto li fè palese. Ritrouauasi all'hora il Sacerdote nel tempio., oue la mattina insieme con Titiro s’era uenuto per ageuolar co i prieghi, e sacrifici le nozze de i loro figli Siluio, &amp; Amarilli; &amp; auuenuto era, ch’alle vittime offerite haueano <pb n= "22 recto"/>ritrovate viscere bellissime; &amp; la fiamma del fuoco era stata purissima: onde Tirenio indouino hauea subito cominciato à predire, che’n quel giorno le nozze si compirebbono. Il che sentendo Titiro per l’apparecchio partito s’era; quando sursero inaspettatamente altri segni di sinistro augurio spaventosi, e tremendi: All'apparir de i quali gli Sacerdoti, che la cagione non ne sapeano, si rinchiusero nel sacrario maggiore per consigliare onde ciò auuenisse. Hora mentre cosi passauano queste cose, giugie il Satiro frettoloso, &amp; à Sacerdoti fà chiaro il tutto. Parne loro à tal detti trovata hauere la cagione dei i segni infausti: onde con ogni celerità gente fù spedita, ch’à prendere la rea femina andasse. Fù colta Amarilli, che dentro riposta s’era, e Mirtillo anchora già ridotto nell modo, &amp; per lo fine, che si disse in altra parte dell'antro stesso; &amp; ambo al tempio, ma per diuerse strade furon condotti. Non tantosto innanzi ai Sacerdote te arriuaro, ch'ella quasi in va punto fù accusata, convinta, e condennata; e liberato Mirtillo. Et perche tuttavia appariuano uari, &amp; istraordinari prodigi; determinarono, che nulla il sacrificio prolungar si douesso; &amp; di già uoleano aviarsi al luogo, dove s'era <pb n= "22 verso"/>il fallo commesso, per punirla di morte conforme alla legge; quando ciò vedendo Mirtillo; non bene però certo s’ella colpeuole, ò innocente si fosse; offerissi di dar con la propria; morte la vita à lei. Contesero buona pezza insieme volendo Amarilli in ogni modo morire, nè sofferir ch’altri per lei à morte n’andasse; e Mirtillo ostinatamente procacciando il contrario: Ma poscia perche la necessità delle legge all’altrui cortesia accettare lei costrignea, Mirtillo al sacrificio condotto fù. Hauea già’l Sacerdote fornito quasi tutto’l rito; cosi che rimaneua solo il recidere il capo alla vittima; &amp; ecco apparir Carino. Questi ansio di sapere del suo Mirtillo, &amp; per ciò ricorso all’oracolo n'hauea ritratta cotal risposta.</p>
<lb/>Torna à l'antica patria, oue felice Sarai col tuo dolcissimo Mirtillo,
<lb/>Però ch’iui à gran cose il ciel sortillo,
<lb/>Ma fuor d'Arcadia il ciò udir non lice:
<lb/>Dopò >la quale ritornato s’era, &amp; di
<p>lui diligentemente andaua chiedendo. Occorsoli dunque d’esser all’antidetto spettacolo; &amp; trattosi innanzi il riconobbe, &amp; del Sacerdote, che vicino gli era, il braccio, &amp; il colpo di già sopra Mirtillo cadente ritenne, lo sacrificio sturbando, &amp; intender volendo come, e perche lo sacrificassero.</p>
<pb n= "23 recto"/>
<p>La cagione breuemente detta li venne. Et egli che non meno di uero figlio l'amaua, vdita che l'hebbe, cominciò à mostrare secondo la legge lui sacrificarsi non potere in Arcadia. In questa interrotto s’era l’ordine; e’l douere del sacrificio: perche la uittima parlato hauea: Onde commandò Montano, ch'al tempio fosse rimenata, &amp; di nuouo per lo sacrificio si preparasse. Seguitò Carino in procurare con sue ragioni di liberarlo da morte; affermando ch’egli era forastiero, e però incapace à poter esser vittima per altrui; &amp; con questo modo non accorgendosen'egli stesso; venne ad iscoprirsi Mirtillo vero figlio di Montano: della qual cosa infinito dolore sentì il Sacerdote, conciosiache'l proprio figlio sacrificare li fosse mestieri. Inteso hauea l'indouino Tirenio ciò ch’era occorso intorno à Mirtillo; onde uenuto al luogo del sacrificio interpretò l'oracolo, &amp; mostrò ch'egli appunto essere douea quel Pastor Fido, che finalmente la salute all'Arcadia con Amarilli congiugnendosi apporterebbe. Il che riconoscendo ogn’uno per vero, ella incontanente gli fù sposata. Et ciò quanto alla prima historia. Ma perche si vuole che in questo poema contenga più d'un'auuenimento; &amp; <pb n= "23 verso"/>cosi lietamente concedesi; prima che fornisca questo racconto, mi conuiene dar qualche notitia anchora dell'altro; ò de gli altri. E' l'uno di cotal modo. In questo giorno stesso Siluio leuatosi per tempo mattina, &amp; à caccia secondo il suo costume andatosene preso hauea un terribilissimo Cinghiale: indi à casa tornatosi era tutto allegro in se stesso, &amp; da i pastori à gara essaltato sin’alle stelle. Venne à costui in pensiero d'uscir di nuouo di casa, &amp; vscinne: &amp; dopò alquante cose con Echo ragionare d'Amore; vide, ò parueli uedere un lupo nascosto dietro un cespuglio, onde tosto messo mano all’arco, &amp; alle saette lo colse, ma non prima ferito l’hebbe, che s’auide quello essere non lupo, ma Dorinda da cui, come fù detto, ardentissimamente, ma indarno, era amato. Costei quantunque ritroso, &amp; l’amore di lei non curante il provasse, pure lo seguia, &amp; quello stesso giorno con esso lui molto lungamente, con occasione d’un cane di Siluio da lei ritrovato, &amp; trattenuto, dello stesso suo amore ragionato gli hauea; anzi sin per entro la caccia trauvstita da capraio con una pelle di Lupo seguitolo. Hora mentre aspettava Linco mandato per ritrovare Lupino suo servo, c’haueasi le sue restimenta <pb n= "24 recto"/>donnesche; nascosta s’era in quel cespuglio, &amp; quiui (come dissi) colta fù in iscambio di lupo, &amp; da lui ferita. Per questo accidente Silvio, la solita sua durezza in amorosa pietà cangiata, ad amarla si riuolse; quello che nè per lunghe persuasioni di Linco suo famigliare, nè per preghi di lei hauea uoluto far per l’adietro. E quindi portandola in braccio alle proprie case; e di sua mano la piaga medicando, che dianzi creduta s’era mortale; poiche à termini di salute fù ridotta (ch'in un momento ciò fatto uenne) essendo già di Mirtillo sposa diuenuta Amarilli; anch’esso fatto amante, sposossi incontanente à Dorinda. Per cagione de i quali (che non fuor di ragione pare potersi dire il terzo aunenimento) oltre ad ogni sua credenza felicissimi successi, Corisca; quella, che prima destinata moglie di Coridone, poi di Mirtillo inuaghita, procurato hauea la morte d’Amarilli sua riuale; e creduto che succedese al sicuro, beffando il Satiro, e Coridone suo amante, e sposo, fuggita s’era; alla fine rauedutasi di sua malignità tentò d'ottener perdono da Mirtillo, &amp; Amarilli: &amp; mentre ueniano dal tempio, in istrada trouatigli, quello impetrò: di che tutta racconsolata, &amp; di già satia del mondo si risolse di cangiar vita. </p>
<pb n= "24 verso"/>
<p>E Tanto sia circa l'historia di questo poema. Io sò ch’altri forse à poco riguardando mi dirà lungo; &amp; alcuno etiandio trascurato, in qualche cosetta per me tralasciata: Ma gli uni, &amp; gli altri credo rimarranno sodisfatti, ogn’hora che un pò più da vicino intenderanno le mie ragioni: conciosia che à narrare, quanto s’è narrato, non sò come ristringerlo in minor giro di parole si potea, se però di cio fare con chiarezza, e pianezza intendeasi. E poi chi vorrà farsi marauiglia della lunghezza del passato racconto, e non maravigliarsi della lunghezza del Pastor Fido? Per lo che quella oppositione ch’à me si viene à fare, molto più ferisce il detto poema; essendo questa la stessa historia diuersa da quello nella spiegatura solamente. S'altri poi (che fù la seconda obbiettione) tassarmi di trascuraggine s’argomentasse; ridponderò c’hò detto le cose più necessarie, &amp; importanti; &amp; se qualche minutia tralasciata si ritrouasse; vò si sappia, che di ciò tal’è stata la cagione, ch'io non solo hò procurato di far piana, e chiara la medesima historia; ma corrente anchora; lasciando di frappor ciò, che poco alla notitia del fatio conferendo potea render'il filo di quella intricato. E delle sì fatte à <pb n= "25 recto"/>luogo, e tempo forse mentione haurassi. Hor questo detto, segue, ch’al rimanente io discenda; &amp; ad isporre cominci tutto ciò, che più volte: hò detto mi tiene l'animo sospeso circa l’arte della fauola del Pastor Fido: Alche prima condurre non mi uoglio, che certe considerationi non anteponga intorno à cose attenenti à quello sì; ma però di maniera attenenti, che fuori del commune ordine, e della commune serie appaiono douersi considerare. Cosi ad un tratto solo da quelle mi uerrò isbrigando; per attendere ad altre; e terrò anchora quell'ordine in iscriuere à noi Signori, ch’io tenni in ragionare à uostra presenza. Et questo di ch’io parlo fù, ed hor sarà, il titolo del poema; il prologo, e cert’altre cose sì prime, e fuori alquanto dell’altre, come particolari. E’ dunque il Titolo del poema II PASTOR FIDO TRAGICOMEDIA PASTORALE. Questo in tre particelle si distingue, delle quali, dirittamente considerando, è la prima TRAGICOMEDIA; la seconda PASTORALE; La terza PASTOR FIDO. Potrebbesi parláre di tuttatre; parendo ogn’una di loro non poco di scrupolo hauere; conciosia che la voce stessa Tragicomedia con la sua significatione lo porta. Ma di ciò più <pb n= "25 verso"/>oltre il dirne tralascio; che non uoglio essere quell’io, che dopo cotanti famosi scrittori adesso metta in campo il mio parere. Scritt’hanno pur che molto in questa materia il Sig. Giasone; il Verrato; l’Attizzato; &amp; altri; à gli scritti de’ quali per hora mi rimetto. Passo dunque alla seconda parte del titolo, ch’è l’aggiunto di Pastorale, al soggetto Tragicomedia. Secondo quest'aggiunto un pare potersi dubitare, ch’à verun patto ciò, che nell’opra si contiene al significato della detta voce non corrisponda. Imperoche ò si prende essa voce in senso, ch’inferisca Tragicomedia di persone pastorali: ò Tragicomedia d’attioni pastorali: ò pure ancho Tragicomedia, cio è componimento d’attione mista; ma con sentimenti, e costumi pastorali. Tralascierò'l luogo; perche non meno pratense, ò campestre, ò boschereccia si deurebbe chiamare, che pastorale; atteso che in tal intrauiene: Ma di uero in alcuno de i predetti modi non si può questo poema pigliare; dunque chiara sembra la conseguenza. Hora per ritrouar pienamente il vero, assestiamoci alla ragione, all’auttorità, alla pratica di questo cauata d'auttori grandi: Definisce Virg. nella 6. Egloga il pastore dall’ufficio suo dicendo.</p>
<pb n= "26 recto"/>
<lb/>Pastorem Titire pingues.
<lb/>Pascere oportet oves.
<p>E Platone medesimamente nel primo de Iusto descrivendoci l'arte pastorale (ilche meglio è dichiarato da quanto poi disse Virgilio) si lasciò intendere in queste parole.</p>
<p>Profecto pastorali arti nihil aliuil cure est, quammi id, quod custodet, oprime se habeat, in giusa che solamente quello pastore sia, e sotto cotal nome venga significato, >il quale conduca gli armenti alla pastura, &amp; proveggia, che bene stiano. E questo uiene ad essere cosi uero, ch’altri senz'attendere alla cura d'armenti al modo sopradetto propriamente non si puo dire pastore: E se con tal nome si chiama, ò malamente si favella; ò diremo impropriamente senz'alcun fallo: che se cosi non è, Virgilio, e Platone Parlando ex professo dell’essenza del pastore, e de l'arte pastorale falsamente per le già poste conditioni ce gli herrebbono definiti. Lo stesso approvando Varrone nel 2. libro de re rustica al primo capo fece dire à quello Scrofa introdotto nel ragionamento di questa materia.</p>
<p>Igitur (e parlava di sopra dell’arte pastorale) est scientia pecoris parandi, ac pascendi, ut fructus quam possint ma zimi capi antur eu ea: &amp; quello che <pb n= "26 verso"/>segue: Oue è da notare quanto v’aggiunse, perch’altri non dicesse il nome di pastore di sopra definito douere essere solo de i famigli, ch’escono cogli armenti alla pastura: E d’auuertire, dico, Varrone hauer posto quelle due particelle, scientia pecoris parandi, e l'altra, vt fructus, 	quam possint maximi capiantur ex ea; per uolerci dare ad intendere, com'egli definaua l'arte, ò professione pastoritia spettante al pastore padrone, e che ufficio suo era sapere le predette cose per lo detto suo fine. Da quello, che s’è discorso, possiamo cauare l'attioni de i pastori, come pastori non essere altro che attendere alla greggia, comprendendo quanto suole intorno à quella occorrere; come sarebbe à dire.</p>
<p>Alcun saggi pastor le mandre murano Con alti legni, e tutte le circondano, Che nel latrar de’ can non s’assicurano. E quello anchora; altri cosi dicendo. Omnem operam gregibus pastorem impendere oportet,</p>
<lb/>Ire, redire, lupos arcere, mapalia sepe Cingere, mercari paleas, &amp; pabularvictum
<p>Quarere: Et in somma quanto ci lascio scritto Virgilio nel 3. della Georgica dell’attioni pastorali. Alle predette s’aggiungono dell'altre, che con <pb n= "27 recto"/>molto verisimile s’accoppiano colle prime: com’è ritrouandosi due pastori insieme fuori per gli campi coll’armento per fuggire l'otio, e la noia si mettano à gara à cantare, e sonare la sampogna, ouero</p>
<p>Aliquid quorum indiget vsus Viminibus, molliq; parent detexere iuneo. Là onde reca à me non poco stupore, che s'attribuisca à gente cotale nel Pastor Fido </p>
<lb/>Ch’altri sia vago
<lb/>Di spiar tra le stelle, e gli elementi 
<p>Di natura, e del ciel gli alti secreti. Lequali cose basterebbono à vn Tolomeo, à vn Platone; e cosi molt’altre com'andare à sacrifici, sacrificare, far all’amore, ballare, beffare, che sò io. I costumi poscia, e concetti pastorali sono quelli, che l'essenza conseguitano della persona pastorale, &amp; intorno à: materia pastorale s’aggirano. Hora che veduto habbiamo, quai sono le vere persone pastorali, quali lo proprie loro attioni, e quali i conseguenti costami, e concetti, ritornando alla già fatta divisione diciamo: Le persone del Pastor Fido sono di due sorte, huomini, e donne; &amp; de gli huomini altri sono padroni, altri serui, &amp; altri sono che nè servi, nè padroni (tutto che fossero) appariscono: Per quanto appartiene alle Donne, la cosa è <pb n= "27 verso"/>chiara, cioè che per loro pastorale non viene chiamato,: sì perche tali denominationi circoscriventi la sorte del poema per li più non si tolgono dirittamente dal meno, ma dal più delle persone, che di tale qualità essendo sogliono tale anchora far lui chiamare; i, dico, per questo; come anchora perche le donne del Pastor Fido pastorelle non sono nè di nome, nè d'opre: Et se si dicesse; Ninfe queste s’appellano; si potrebbe rispondere Ninfa non voler dire pastorella: E però à niun partito per cagion loro conchiudemento 'l Pastor Fido poema pastorale potersi dire. Adunque resta, che la ragione del Titolo si prenda, come sembra douere anchora, dalle persone de i padroni, e da coloro, che se ben non appariscono ne servi, ne padroni; tuttavia sono gente da più de i familgi, e di simil’altra torma soggetta: Ma nè da gli uni, nè da gli altri (com’io stimo) puote hauere titolo di pastorale questo poema: Perche stando la definition dara del pastore, e quale di gratia delle persone del Pastor Fido era veramente pastore? certo niuna. Forse mi dirà in difesa di ciò alcuno, che quasi tutti si chiamano pastori nel poema. Rispondo, ch’altro è chiamarli, altro è, che per tali si conoscano dall'attioni veramente. Et <pb n= "28 recto"/>di gratia un luogo mi s’accenni, che conuinca, e dimostri, ò Titiro, ò Montano, ò Silvio, ò Mirtllo, ò Ergasto, ò Nicandro, ò Carino, ò Vranio essere stati pastori. Oh, si chiamano pastori: &amp; io dico di non vedere operationi, e concetti, che li dimostrino tali: E ragioneuolmente mi pare di dirlo: poiche s’alcuno chiamando un componimento Tragedia; i personaggi di quella solamente andasse dicendo, e Regi, e consiglieri, e capitani: nè mai facesse comparire attioni, costumi, ò sentenze tali, che per Regi, consiglieri, e capitani li manifestassero; addimando à chi parrebbe tal cosa ben fatta; e che secondo l'intention sua cotal poema li riuscisse Tragedia, &amp; quelli per tali persone fossero tenuti? certo à niuno: Hor dunque chi vorrà chiamare il Pastor Fido pastorale, se'l nome solo apparisce, e non altro? Bene mi dirà alcuno, e che vorresti si facesse per cagionare tal’iscoprimento di persone pastorali? Forse che quelle tal persone introdotte conducessero armenti per iscena? Questo nò, ma bene che l’attioni loro sortissero cotai conditioni; &amp; i ragionamenti anchora fossero di tai concetti diuisati, che se bene altri'l nome di pastore mai non vdisse, tuttauia coloro per altro non hauesse, <pb n= "28 verso"/>che per huomini di vita pastorale: anzi sforzato fosse da quei ragionamenti à riconoscerli per pastori. Et in uero di tai concetti, e di tai particolari conditioni addittantici la persona de i pastori pare totalmente mancare il Pastor Fido; percioche leuati via certi pochi de nomi, come sarebbe Pastor, caprar; pecoraia; e le mandre, e gli armenti; Vn capro, ed un'agnella; &amp; cotali cosuccie posteui anzi per ispianzo, che per altro, chi mai lo riconoscerebbe per pastorale: se pur non uogliam dire, chi per ogn'altro poema non lo stimerebbe che pastorale? Nè il leuare quelle poche parole fora cosa di noia al poema, ouero porterebbe contrasto di molto rileuo; atteso che senza punto alterare l’essenza sua, ò le sue parti, ò qualche altra cosa d’importanza, che dall’esser suo primiero lo trasformi, si può ageuolmente fare, rimettendo in loro vece parole altra cosa significanti: Per essempio quando si dice.</p>
<lb/> Non mi tacer qual è il Pastor tra nol; che importerebbe, se si mutasse, e si dicesse .
<p> Non mi tacer qual’ è, colui tra noi; ouero cosa altra simile? Nulla per certo: Cosi stà del rimanente. Ma se vogliamo, quanto s’è detto dedurre in prattica dell’eccellentissimi Scrittori; <pb n= "29 recto"/>pigliamo la terza egloga di Virgilio, il quarto Idillio di Teocrito. Chi di gratia, &amp; bene ancho senza sapere se coloro fossero pastori, ò nò; in leggendo quei duo componimenti non li crederà, e terra fermissimamente per pastorali, e le persone introdotte per pastori? Le conditioni pastorali vi sono troppo bene espresse; &amp; i concetti pastorali troppo bene inseriti: E cosi vuolsi fare à metterci auanti gli occhi (come si dice) le cose. Seguì (in ciò ben consigliato) queste medesime vestigia, e tenne questo medesimo stile il Sannazzaro nella sua Arcadia: onde se bene in quella non hauesse frapposto più uolte il nome di pastore, tuttavia chi fare potrebbe di non giudicarla opra pastorale? Cosi nel genere pescatorio l'Ongaro compose l'Alceo in cui non mica i nomi soli propose, ma si bene l'adornò d'attioni, costumi, e concetti pescatorij; che quantunque trattasse attione appartenente ad altra sorte di gente, pure non potremmo fare di me no di non dirla pescatoria dalle persone, costumi, e concetti pescatorij, com’io dicea. Dunque per conchiudere questa parte, le persone del Pastor Fido veramente, da quanto appare, non sono pastori; ne l’attione è pastorale. E di già s'è mostro, &amp; si può anche sapere <pb n= "29 verso"/>dalla sopra scritta definitione di che forte siano l’attioni pastorali; onde nè io. più m’affatichero a ripetere quanto s’e detto. Nel Pastor Fido si tratta vn maritaggio per liberare l'Arcadia dalla pestilenza con aggiunte d'amori, di caccie, d’inganni, di passioni amorose, d’oracoli, di sacrifici, &amp; d'altre tante già dette cose; è chi uorrà stimare in gratia, ò nomar quest'attione Pastorale? Se fosse de’Pastori; d'altra gente (propriamente parlando) essere non potrebbe, che pastorale, e pure de i maritaggi, e per tali cause occorrenti, cioè per uia d'oracoli, di frodi, e d’amori, &amp; simili accidenti sono ripiene le cittadi molto più; Sengo che ò sono proprie di queste, ò almeno di gran lunga più proprie loro, che del contado. Non parlo adesso ex professo de i costumi del Pastor Fido, e de i concetti; se siano pastorali, ò nò, sì perche è cosa da se stessa chiara, come perche altroue a i luoghi propri ne faro forse particolar mentione: ma tanto mi basta d'hauer detto hora per l'intitolatione di Pastorale. Sta dunque in tal guisa la terza parte del titolo: IL PASTOR FIDO. Si ritruoua composta di due uoci, sostantiua, &amp; aggiunta: IL PASTOR, è’l sostantiuo; FIDO è l'aggiunto.</p>
<p>Se li riceuiamo entrambi formalmente, <pb n= "30 recto"/>da che non uiene ristretto con particolare annessoui, come sarrebbe fido in amore, ò simile; non sò come questo titolo al poema si conuegna, perche bisognerebbe sotto ui si contenesse qualche fedeltà, ch’il pastore hauesse vsata in quanto pastore: che per essempio essendo padrone hauesse negotiato fedelmente co i compratori del cascio, delle lane, e sì fatte cose: ouero essendo famiglio, non hauesse ingannato il padrone; che per l'opposito Virgilio definì’l famiglio, ch'era pastore men fido al padrone, quando disse:</p>
<lb/>Hic alienus ouescustos bis.mulget in hora:
<p>Volendoci dare ad intendere quel lo essere in istato di servo fido pastore, che cotali cose altri seruendo non cornmettea. Hora secondo questa consideratione il Titolo non appare contenere in se quel senso. ch’à lei corrisponde: Sendo che questo pastore, di cui s'incendo niuna delle cose alla fedeltà di pastore, ò padrone, ò servo appartenente habbia fatto, per cui’l titolo possa, affarsi al tessimento dell’attione di lui. Che se quel pastore uolesse significare amante &amp; amico; pare</p>
<p>prendersi un nome per l'altro, e haurebbe à dirsi fido amante, come in altro poema disse giudiciosamemente l’Illustrissimo Sig. Curtio Gonzaga: e fido <pb n= "30 verso"/>amico: ch’all’hora bene accoppierebbesi l’aggiunto col sostantiuo. Altrimenti ne pastore vuole dire amante, ò amico (si come ben dichiara Platone nel di sopra riferito luogo, doue difinisce'l pastore per quello ch'attende à procurare, che gli armenti stiano bene, e di pastura, e d’ogn’altra cosa) nè fido per la presente occasione li si conuiene. E se si dicesse qui nel titolo, come in tutta l'opra, ilche s’è fatto infinite uolte, quel fido stare per costante, ò perseverante in amore, ò pure pietoso verso l’amata, poscia che in ciò par che consista la fedeltà di Mirtillo, del quale nel titolo s’intende. Primieramente la fede, e la pietà sono differentissime, tra loro, in guisa che la difinitione dell’una non conuiene all’altra. E poi sono molto dubbio, se nel buon'uso della lingua per cosi fatto significato questa uoce si possa stare. Et tanto sopra quest'ultima parte ci sia à bastanza. Vengo all'Arcadia regione oue la scena si finge; dellla quale subito che sbrigato mi sia, al prologo farò passaggio. Quanto mi trauaglia circa tal capo, é che considerando io la descrittione dell'Arcadia, e de’suoi popoli, loro leggi, e costami fattaci da Pausania nel 8.lib. della sua Grecia, non comprendo come con lei convegna la presente Arcadia, <pb n= "31 recto"/>nella quale si finge il Pastor Fido. Se non hauesse certi nomi antichi d’Arcadia, >i quali sono ben pochi; e se non si chiamasse il luogo per tutto’l poema Arcadia, per me non saprei punto riconoscerla per Arcadia. Hora diciamo di quella, che ci scriue Pausania. Descriuendo egli particolarmente le regioni della Grecia, &amp; i costumi suoi nell'ottauo libro, uiene à ragionare del paese Arcado, &amp; narra varie cose del sito suo, e suoi confini, e della successione de i suoi regi. Questo compiuto, passa alla descrittione particolare de i suoi popoli, uillaggi, e Castella, fonti, &amp; altre cofe notabili, delle quali fa professione darcene minuto ragguaglio. Inoltre uà frapponendo di molti costumi de i popoli particolari. E questa in breue è la sommagenerale di quanto scrisse in quell'ottauo libro. Da questa potremo, appropriandola al particolare del Pastor Fido, uedere la differenza tra l'una, e l’altra. L’Arcadia del poema presente, per quanto da certi suoi luoghi habbiamo, hebbe popoli di genti cittadine, e pastoritie in buona copia; Cio si legge nel prologo.</p>
<lb/>E gli altri suoi guerrieri
<lb/>Popoli armò l'Arcadia
<lb/>con quel che segue:
<p>Questo non hebbe l’Arcadia descritta <pb n= "31 verso"/>da Pausania. E ben uero c’hebbe certi pochi pecorai, e pascitori de cavalli, d'asini, e buoi, come suole havere più, e meno ogni cittade nel suo contado: ma non già soggetti Heroici, quali s’affermano nell'Arcadia del Pastor Fido. Di questi popoli pastori si dice prima che sono Filososi, e che spiano li segreti del cielo, e della natura, come s’è riferito di sopra: Poscia si segue:</p>
<lb/>E quando piu di guerre, e di tumulti Arse la Grecia, e gli altri suoi guerrieri 
<lb/>Popoli armò l'Arcadia,
<lb/> A'questa sola fortunata parte. A'questo sacro Asilo
<lb/>Strepito mai non giunse nè d’amica. Nè di nemica tromba.
<p>Se considereremo questo, &amp; i luoghi di Pausania, gli troueremo contrari. Questa parre d’Arcadia è luogo à piè dell’Erimanto in quella banda, à lato cui scorre Ladone: cosi dal poema si caua.</p>
<p> A piè dell'Erimanto Nobilissima caccia: e quel che segue: E che inaffiato'l paese si fosse dal Ladone, eccoui ancora il luogo</p>
<lb/> Quando 
<p> Il timido Ladon ruppe le sponde: Simile paese; à prima uista però; mette Pausania; e dice che Psofide città dell’Arcadia si ritruova poco distante <pb n= "32 recto"/>dall’Erimanto, e che per quella passa il fiume Ladone: Ma però non l’hà per cosi saggia, santa, e pacifica. Mi pare, che le imponga certo tradimento fatto ad Alemeone; &amp; risse antiche per questo da i suoi regi co i capitani Argiui. Onde se’l paese è lo stesso, l’una delle descrittioni è falsa, sendo ambedue contrarie, non che diuerse. Hebbe inoltre l'Arcadia del Pastor Fido lo Rè, ch’era insieme e Rè, e Sacerdote: Cosi altroue si dice: </p>
<lb/> Sai tù, che quì con una sola uerga
<p> Reggo l’humane, e le diuine cosi. Ciò l'Arcadia di Pausania non hebbe. Di più u’era in quella del Pastor Fido un famoso sacrificio d’humana uittima, per certa pestilenza occorsa; >il quale sacrificio era conditionato con una legge, anzi, dirò, molte leggi, e uarie cerimonie. Di tutto questo nè pure uestigio si uede in Pausania: &amp; è verifimile, che trattato n'hauesse, se vero fosse stato; si perche fe mentione di cose più minute, come anchora, perche nell’historia dell’Achaia racconta un fatto simile, anzi pure pau eis mutatis lo stesso. Nell'Arcadia del Pastor Fido si vuole ch'Alfeo fiume habbia l’origin sua in quella: Leggete’l prologo, doue dice:</p>
<lb/>O cara genitrice, ò dal tuo figlio
<lb/>Riconosciuta Arcadia.
<pb n= "32 verso"/>
<p>In quella di Pausania ciò non si dice, nè pure si sogna. Riferisce ben'egli, come per essa scorre Alfeo; ma non già, ch’in essa nasca. Hor dunque se l'Arcadia del Pastor Fido hà popoli, regi, sacrifici, costumi, fiumi, e fors’altre cose differentissime da quella di Pausania, e ben di necessità, che con quella non si raffronti. Ma altri potrebbe dirmi, che l'auttore del Pastor Fido si sia seruito dell’Arcadia fintamente posta dal Sannazaro; in ciò seguendo la fama di quel grand’huomo.</p>
<lb/>Aut famam sequere.
<p>Ciò tuttauia mi pare accrescere non pochi dubbi; poiche prima il contrario si dice, &amp; presuppone chiaramente nell’Attizzato (cioè che si parli della uera Arcadia) e sopra tal detto, e presupposto si procura di sostenere, &amp; difendere i costumi, &amp; la locutione; sì che mutando questo principio tutto il suo argomento anderebbe a terra. Poscia soggiungo, che qual’intentione habbiano i più famosi spositori della Poetica nel far giudicio di detta opra (per non dir poema) del Sannazaro; &amp; ciò che se ne possa dire in uia d’Aristotele, ciascuno il sà. Finalmente dico, che questa del Pastor Fido al mio parere non si affà nè ancho <pb n= "33 recto"/>a quella del Sannazaro: ilche quando fosse uero, resterebbe l'hauerne finta una terza di suo capriccio. Hora andiamo considerando se questo sia cosi.</p>
<p>L’Arcadia del Sannazaro primieramente era molto seluatica , &amp; tale che stupire facea ogn’uno à pensare, come le fere (sue proprie parole) non che gli huomiui ui dimorassero. Li Pastori in quella habitanti non erano molti come si comprendo d'alcuni luoghi; anzi che’l Sannazaro in quel racconto di attione, che durò più giorni, non introdusse se non uentinoue, ò trenta persone. Di questi pastori altro miltiere non era, che pascere armenti, e con quelli per trovar pascoli trascorer quà, e là. se uoleauo essere insieme, bisognaua, che la mattina uscissero uniti alla pastura; altrimenti rade uolte ui s'incontrauano. Andavano tal’hora per ispatio di due, ò tre giorni uagabondi, e la notte poi col gregge si ricouerauano sotto gli arbori. I costumi loro, si come le attioni, erano pastorali. Le sentenze, ò i concetti dedotti quasi sempre da materia pastorale, e rustica. Lo stile humile, e basso. Il sauer loro non si stendea più oltre, che intorno à certe offeruationi de gli effetti de i tempi dell'anno per utilità de suoi greggi: intorno <pb n= "33 verso"/>alla statura de gli animali; all’età loro idonea per generare; al castrare de i uitelli; &amp; à mill’altre cose sì fatte, che si ponno leggere nelle prose del Sannazaro. Non erano gouernati d’alcuno. E finalmente le loro femine non erano ninfe, n con tal nome s’addimandauano. Per lo contrario nell'Arcadia del Pastor Fido, ogn’una è Ninfa, ò se non è; almeno tale s’addimada. Viene retta con regia auttorità da persona Sacerdotale. Gli huomini in essa habitanti diconsi bene pastori, ma nè di sapere, ne d'opre, ne di costumi sono pastori. Più che troppo sono dotti, e sententiosi. Mai non pascono pecore, che si sappia. E senza insieme accopiarsi, ò per tempo mattina, ò pure altrimenti, sono ad ogn'hora, ad ogni batter di ciglio insieme. Si ritirano à casa la sera, e bene per tempo. Sono tanti ch’in un’attione d’un sol giorno, senza punto hauer prima pensato di ritrouaruisi, concorrono in numero di diciotto; &amp; etiandio quattro chori, che certo per lo meno doueano essere altri quaranta; oltre la tanta moltitudine, che à uedere corse. Et in somma cotanto è delicato, e uago il paese, ch’à testimonio di chi parla, haue ombre amemissime, degne che fossero alle delitie de i campi Elisi agguagliate; antri bellissimi <pb n= "34 recto"/>per le piaceuolezze di Venere; stanze meglio nate, che fatte. E quello, ch’essalta l’eccelenza del paese; oltre tutte queste cose, haue giardini. In guisa che luogo caro, e beato meritò d’essere chiamata cotal’Arcadia. Onde chi non concluderà, e l’una e l’altra essere differentissime, se tanto nelle qualità del paese, e de gli habitanti discordano? Crederò dunque, che da quello, c'hò detto fin'hora, prouato ui rimanga l'Arcadia del Pastor Fido effere distinta, e da quella di Pausania, e da quella del Sannazaro. Perche mò cosi: fatto si sia, dire non lasaprei. Altri forse direbbe, c’havesse hauuto in pensiero l'auttore di sua starsi dall’uno, e dall’altro, e fingere a suo senno altra nuoua Arcadia per poter'ancho fingere persone, attione, leggi, oracoli, &amp; mill’altre cose a modo suo. Ma a ciò contrasta, com’io dicea, il luogo: dell’Attizzato; &amp; l’altro oue dice notabilmente, che’l Pastor Fido mutate solo alcune cose sarebbe Tragedia. Et se pure uogliamo starci alla costoro interpretatione; par’a me, che ci nasca molto chè dubitare. Ò mi diranno, perche cosi cotesto è ch'importa finger di nuouo, e tramutare lo di già finto secondo: che pare; e piace? Rileua più di quello, che si pensa: Primieramente c’è l’ detto d' <pb n= "34 verso"/>Horatio sopra ricordaro.</p>
<p>Aut faman sequere, con qual che segue: E poi chi sarà quegli, cui sia per essere punto difficile l’annodamento delle favole, &amp; lo scioglimento di quelle, &amp; in buona parte i concetti, e le poetiche inuentioni; se ogn’ hora che uorrassi nel poema, occorrendo qual che cosa bella, e difficile da annodare, ò da sciorre; si ricorrera a fingere a modo suo luoghi; persone; attioni; costumi; usanze di popoli; meze dozzine di risposte d'oracoli; leggi nuoue, nè mai piu udite; &amp; in somma se peggio, che per machine scioglierassi? Ma, perche di ciò per hora scritto hò assai, &amp; altroue perauentura ci sarà occasione anchora di parlarne; seguiamo quanto ci resta a considerare. </p>
<p>DI quanto proposi trattare, anzi ch’alla tessitura della fauola procedessi, ultimo ci resta il prologo: Intorno alquale proporrò alquante considerationi; lasciando certi minuti scrupoli forse non tanto degni d’accurata auuertenza. Appare che gli antichi poeti per due cagioni (per quanto veggiamo dalle Comedie loro) costumassero di preporre alle fauole il prologo: la prima per iscusare il poeta, e difenderlo da certe imputationi dateli da i suoi emoli, e calonniatori; <pb n= "35 recto"/>per mezo delle quali scuse ueniansi poi ad acquistar’attentione, e fauore, anzi lode, &amp; applauso dal popolo: La seconda, per dare qualche contezza delle persone, dell’attione, &amp; del luogo intorno a cui, &amp; in cui poco dopò quei della scena doueuano trauagliare. E ciò ragioneuole stimarono; atteso che facendosi le Comedie de'casi privati, i quali per lo più sogliono essere di non molto grido, pensarono al tutto di quelli al primo tratto douersi dare a gli spettatori qualche ragguaglio. Hora il prologo di cui parliamo non fù composto per la prima ragione: Ciò è chiaro; perche non si difende l’auttore, nè ciò cade in consideratione alcuna. Molto meno per la seconda; perche non ci reca notitia ueruna ò delle persone, ò dell’attione: Che quanto al luogo; oltre che nel poema stesso ue ne sia basteuole mentione; dice bene Alfeo d’una certa Arcadia, c'hebbe pastori; ma però non applica più oltre appropriando’l luogo all’attione; anzi non accenna a che habbia da seruire questa mentouata Arcadia. Ma forse mi potrebbe oppore alcuno, ch'una terza causa tralasciato hauessi oltre le due di sopranarrate: Cioè, che appaia molti esserssi mosi a fare prologhi per lodare Prencipi, ch'essere douessono, presentì <pb n= "35 verso"/>alla rappresentatione della fauola: E però se per le due assegnate non fù composto’l prologo del Pastor Fido, forse hà luogo la terza. Alla quale oppositione rispondo, omessa non hauerla, perche souenuta non mi forse, ma si bene perche tale non riputai questo rispetto, che poteffe sottentrare al nome di cagione atta a mover’un poeta à prologare innanzi le fauole sue. Senza che dato anchora, ch'alcuni si fussero in ciò lasciati trasportare à seguir’un cotal rispetto; moderatamente l'hanno seguito, e per uia d’insinuatione più tosto, che apertamente. Nel Pastor Fido auuiene tutto’l contrario, cioè troppo scoperto, e troppo diffuso è il ragionamento delle lodi di quei Prencipi; percioche s’entra in esso a ragionare del sito, delle qualità, e delle genti d’Arcadia: poi con pretesti forse per ciò non basteuoli s’entra dirittamente nella essaltatione d'essi Prencipi, &amp; mai più nel di prima cominciato ragionamento non si rientra; anzi ad altre cose assai meno alla persona d'esso prologo conuenienti si mette mano. Che per l’opposto, se d’alcuni s'è costumato di trapporre lode; l’hanno almen fatto con riguardo di concludere poi à proposito dell’incominciato ragionamento. Ma simil sorte di <pb n= "36 recto"/>prologhi non legati co i poemi, massimamente quello del Pastor Fido (per finire questo particolare) io non posso darmi à credere che siano secondo l’arte; anzi mi par molto ragioneuole, che in tal maniera non si deurebbono fare, ò almeno da chi pur far gli si compiacesse, co i poemi stamparsi. Della qual cosa, oltre che ce lo detta la ragione stessa, ce ne dà anco efficacissimo segno in questo, di cui parliamio, il uedere, che leuandolo dal poema, non s’offende punto l’orecchia, o'l gusto dell’auditore, ò del lettore: nè in maniera imaginabile ò si muta l'essenza, ò si turba l'ordine, ò s’interrompe il filo della fauola; ò si rende men chiaro'l principo, ond’ella dipende. E sappiamo, ch’in fatti s'è leuato più d’una uolta; soppostine de gli altri; nè però meno intelligibile s’è renduta: Et in Vicenza appunto mia patria, douendosi rapresentare , fù leuato'l prologo d'Alfeo, &amp; sopposta la persona d'Iride, che disse cose del tutto uarie, e diuerse da quelle d’Alfeo. Segue il trattare della persona introdotta da questo auttore. Nel fare di cotai prologhi s’hanno forte compiaciuto li nostri poeti d'introdure à fauellare Dei come fecero ancho de gli antichi: consumando molta parte del loro discorso in iscoprirsi <pb n= "36 verso"/>per uari segni à gli spettatori. La ragione perche cosi habbiano uoluto introdurre Dei à prologare fù, che pensarono d’accostarsi più al credibile in questo modo, che in altro. Doueasi alle uolte predire qualche cosa di ciò, ch’à fare s’hauea; però u’era bisogno di persona diuina, altrimenti credenza non s'harrebbe ritrouata appo gli uditori. Secondo tal uso nel prologo presente s’introduce uno de i Dei. Intorno a questa inuentione hò due dubbi Il primo è che si potrebbe negare Alfeo essere un de i Dei; perche non sostenta la conditione diuina, &amp; non racconta più di quello, ch'alti’huomo semplice un pò poco informato haurebbe saputo fare: Percioche qual’è non dirò quel Dio, ma quell'huomo, che si marauigliasse realmente di uedere l'Arcadia in iscena rappresentata, &amp; dipinta per recitarui sopra una fauola: &amp; con tant'apparato di parole vi mettesse io opera il valore di sì gran prencipessa? &amp; pur si dice</p>
<lb/>Miracolo stupendo?
<p>Ch’insolito valor, che virtù nova Vegg’io di traspiantar popolli, e terre? E se si rispondesse Alfeo pensaua realmente quella fosse Arcadia trasportata da luogo a luogo, non finta in iscena; replicherei cio non esser <pb n= "37 recto"/>verò, perch’egli di sopra confessa di venire à vedere l’imagine di quell’Arcadia, che già solea esser libera, e bella, &amp; hora è desolata, e serua: Cosi parla nel prologo:</p>
<lb/>Ecco lasciando il corso antico, e noto Per incognito mar l'onda incontrando Del Rè de fiumi altero,
<p>Qui sorgo, o lieto à riueder ne uegno, Qual esser già solea libera, e bella, Hor desolata, e serua: Quell’antica mia terra ond'io deriuo: A chi supporre uolesse reale traspiantatione d’Arcadia, sarebbe mestieri anchora supporre, che la vedesse qual’e al presente, e non qual'era; per che colle conditioni passate per alcun modo realmente traspiantare non si può, sendo già del tutto smarrite per iniurie del tempo: Se dunque traspiantar si dee, colle presenti si traspianti. Ma se colle presenti; ella è desolata, e serua, dice Alfeo, &amp; è uero. Et essendo cosi, come poi s’accommo derà all'attione che ui si finge, douendo per la fauola essere libera, e bella? Onde per ogni modo bisogna conchiudere, ch’Alfeo intendesse di uenire à uedere una scena; e d’una scena dipinta, &amp; artificiale un Dio ne facesse tai merauiglie. Et pare in somma, ò ch’all’auttore non sia succeduto d’ispiegare il suo concetto come conueniua; <pb n= "37 verso"/>ò che trasportato dalla uaghezza de i contraposti non habbia fatto pensiero sopra quelle parole: hor desolata, e serva. Si conferma il dubbio, ch’Alfeo non sostenti acconciamente la persona diuina: Poiche mostra di saper molto bene, ch’all'Italia non fa dibisogno più d'alpestre rupi per sito riparo; e che seranno augusti, e grandi i parti, e l’opre di quei prencipi: e che’l cielo lor prepara corone d’oro: cose tutte, che ricercano diuin preuedere. E poi non sà di cotale già fatto traspiantamento, ò rappresentatione, ò dipintura, &amp; sembra stupirne tanto.</p>
<p> Il secondo dubbio intorno à questo Dio sarà, che seguendosi’l commune uso della descritione delle persone introdotte, Alfeo poco bene pare descriuersi: si dice:</p>
<lb/>Se per antica, e forse 
<lb/>Da voi negletta, e non creduta fama 
<lb/>Havete mai d’innamorato fiume 
<lb/>Le merauiglio udite;
<lb/>Che per seguir l’onda fugace, e schiua De l'amata Aretusa 
<lb/>Corse (ò forza d’amor) le più profonde Viscore della terra,	
<lb/>E del mar penetrando:
<lb/>Là dove sotto alla gran mole Etnea
<lb/>Non sò se fulminato, fulminante Vibra il fiero gigante,
<pb n= "38 recto"/>
<lb/>Contro'l nemico ciel fiamme di sdegno; Quel son’io. Già l’udiste: hor ne uedete 
<lb/>Proua tal, ch’a uoi stessi 
<lb/>Fede negar non lice,
<p>Comparisce dunque Alfeo, e pretendendo di farsi conoscere paesano de gli Arcadi, giunto in Arcadia, manifesta la sua origine, e dice d’essere figliuolo di quella. E quando si douea sforzare d'informaro altri ueracemente de i suoi progenitori, al primo tratto gl'inganna, conciosia che non d’Arcadia sia prodotto Alfeo; ma di Tessaglia il suo nascimento to riconosca: cosi dicendo Pausania nell'ultimo dell’historia Arcadica; Eius caput (parla d'Alfeo) ad Phylacen: Et questo è luogo in Tessaglia. Inoltre narra di se stesso certo amore, che portò ad Aretusa, per lo quale fu costretto di correrle dietro per lo più profunde uiscere della terra penetrando il mare per aggiugner quella. Hora dubitando; che la gente non credesse le cose successe ad Alfeo per fama conosciute esser proprie di lui, che dicea d’essere Alfeo, quando ciascun’altro di esse consapeuole riferir le potea: volle addurne pruoua, e testimo nianza tale, che dire à modo alcuno non si potesse lui non esser’Alfeo. In che dunque consistono queste pruoue? in proposta sola di quelle: Vdire <pb n= "38 verso"/>’l suo parlare. Di sopra ragionò del l'amore d'un fiume uerso Aretusa: hor dice d'esser quello, &amp; insieme lo pruoua.</p>
<lb/>Quel son'io; già l’udiste, hor ne udete Proua tal, ch’a a noi stessi
<lb/>Fede negar non lice.
<p>Qual’è la pruoua, per cui fà credere, ch'egli sia Alfeo, e quel tale fiume; ch’innamorato corse dietro ad Aretusa? &amp; per cui lo fà credere in modo, che non è pur lecito il dubitarne? io non so vederla; quand’egli non presumesse, che il semplice detto fosse il medesimo colla pruoua. Ma finalmente uolendo Alfeo che li si credesse, e fosse tenuto per paesano, si mise a ragionare delli costumi del paese, e disse tra l'altre cose hauersi vsata in Arcadia la poesia, in guisa che</p>
<lb/>La maggior parte amica 
<p>Fù de le sacre muse amore, e studio Beato un tempo hor infelice, e vile. Ilche potrebbesi forse passare, se come in Arcadia par che tutto il resto à propria volontà sia stato finto, cosi questo anchora per finto si confessasse: Ma come intendo si difende da molti essere stati nell’Arcadia pastori di poesia intendentisi, &amp; in gran copia: Anzi pure ciò si sostenta nell’Attizzato, cauandolo da Polibio nel quarto delle sue historie. E perche il luogo <pb n= "39 recto"/>è molto ad una delle parti fauoreuole, graue non mi sarà trasportarlo quì tutto intero, come si stà appo l'auttore. Dice dunque Polibio trasferito in latino.</p>
<p>Musicam enim (de vera nunc usica loquor) vniuersis homimbus vtilem esse constat, Arcadibus vero etiam necessariam, neq; verum est quod Ephorus haud quaquam recte pronuntians in proœmio historiarum scribit, musican ad fallendos, &amp; deludendos homines inuentam esse: Neque est exist mandum ueteres Cretenses, &amp; Lacedamonios superuacuo Tibiam, ac rithmos pro tuba in bellum introduxisse, neque antiquissimos Arcadas tanto in honore, musican in eorum vebus publicis habuisse, ut in eo non solum pueros, uerum etiam adolescentes, &amp; iuuenes vsque ad trigesimun annum necessario exerceri vellent: homines alioquin uita difficilis, atque austera: haud enim est obscurum: apud solos ferè Arcadas pueros ab ineunte atate secundum leges Hymnos canere &amp; peana, quibus singuli iuxta patria morem genia, &amp; horoas, &amp; deos laudare consueuerunt: Post hac Philoxeni, &amp; Timothei discplinis instructi cum cantibus, &amp;	chorais annuos ludos libero</p>
<p>patri faciunt: Pueri quidem, quos pueriles uocant, iuuenes quos ueriles. Omnis denique corum vita in huiusmodi <pb n= "39 verso"/>cantionibus uersatur, non tam quod audiendis modulis delecten 'ur, quan vt se inuicen cantando exerceant. Ad hac si quis ali quid in cateris artibus ignoret, nulla a pud eos ignominia habetur; Musicam vero neque ignorare quisquam eorum potest, quia necessario discitur, neque fateri nescire, quia hoc apad eos turpissimum putatur. Postremo spectacula, ac ludos in theatris cum cantibus, &amp; chorais singulis quibusque annis publicis sumptibus adolesentes ciuibus prabent. Qua res mibi quidem uidetur ab eorum maioribus sapientissime fuisse instituta, non delitiarum, ac lasciuia, gratia; sed cum animaduerteriut assiduos eius gentis labores in colendis agris, &amp;, duritiem, atque asperiatem vita, praterea etiam morum austeritaten, qua ex frigiditate; ac tristitia aeris prouenit, cui nos silmiles gigni necessario oporet (non enim obscurum est plagas cœli esse, qua gentes moribus, &amp; forma, &amp; colere, &amp; plerisq; disciplinis inter se dissimiles faciunt) volentes mitem, atque trasta bilem reddere naturam, qua per se ferocior, ae durior uidebatur, primo ea omnia, qua supra memoravimus introduxerunt, deinde conuentus communes, &amp; sacrificia plurima, in quibus viri, ac mulieres congregantur, postremo virginum, ac puerorum choros; qua omnia, ad eum <pb n= "40 recto"/>finem facere, ut id quod in animis hominum natura durius erat, consuetudine placaretur, &amp; mitius fieret.</p>
<p>Questo è’l luogo, onde si fà nascere tanta poesia ne gli Arcadi. Certo oltre'l cauarsi di quì che gli Arcadi non erano pastori, altro hauere non si può, se non ch'erano ottimamente in musica ammaestrati, e tuttauia durauano in procurare, che la giouentù alla musica s'accommodasse, ritirandola dalla natia rigidezza, e fierezza. Quì non si fà mai mentione di compor uersi, ò di poetare in maniera pur’imaginabile. Se mo'l musico non si facesse lo stesso co'l poeta: E credo, che se imporre menzogna à Polibio non uogliamo, alcuno per dotto, ch’ei sia trarre non saprà dalle sue parole sospitione di poesia ne gli Arcadi, non che certezza tale, quale pare tuttauia quì, &amp; altroue si afferma, come se d’altro che di poetare non parlasse Polibio. In uero più uolte hò considerato questo luogo, &amp; sommamente marauigliato mi sono, come si caui da quello, che gli Arcadi fossero poeti, &amp; Arcipoeti, e finalmente hò conchiuso, ò di non l'intendere io, ouero ch’altri non l’habbia uoluto intendere.</p>
<lb/>Vltimamente per fornire quanto dubbio mi rende sopra di questo prologo: 
<pb n= "40 verso"/>
<lb/>si dice nel fine d’esso
<lb/>La cetra che per noi
<lb/>Vezzosamente hor canta: 
<lb/>con quanto segue.
<p>Questo anchora io non sò intendere quanto bene, &amp; con l’arte si possa fare; cioè, che passi persona drammatica in quella del poeta in poesia puramente drammatica: E ui passa chiaramente Alfeo, quando dice:</p>
<lb/>Ma uoi mentre u'annuntio 
<lb/>Corone d'oro, e le prepara il Fato Non isdegnate queste
<lb/>Ne le piagge di Pindo 
<lb/>D’herbe, e di fior conteste 
<lb/>Per man di quelle uergini canore,
<lb/>Che mal grado di morte altrui dan vita. 
<lb/>Picciole offerte sì, ma però tali,
<lb/>Che se con puro affetto il cor le dona, 
<lb/>Anco il ciel non le sdegna: E se dal uostro 
<lb/>Serenissimo ciel d'aura cortese Qualche spirto non manca 
<lb/>La cetra, che per uoi 
<lb/>Vezzosamente hor canta 
<p>Teneri amori, &amp; placidi himenei Sonerà fatta tromba arme, e trofei. Ma se s’apportasse iscusa di profetia, con affermar ch’Alfeo vuol predire ciò, che farà l’auttore del Pastor Fido altra uolta; (ilche però sarebbe cosa assai fredda) potrebbe replicarsi ch’Alfeo tal’hora si fà sommo profeta, tal hora si mostra ignorar'alquante <pb n= "41 recto"/>cose, che doueuano esserli notissime; come di sopra fù tòcco. Et inoltre bene non istà allontanare la poesia drammatica dalla sua natura. Allontanasi, dandole la cetra, che sua non è: &amp; significandola per quello, per lo quale mai, ch'io sappia (se uoi Signori non lo mi ricordate) nè uenne, nè potè da altri poeti essere denotata; e poesia spetialmente tragica, e comica: Per lo suono della cetra pare che s'habbia commmunemente costumato d’intendere componimenti lirici, come hinni, ode, &amp; altre tali sorti anchora di poesie; ma non drammati della guisa sopradetta. Et per si fatti componimenti pose la lira (ch’è lo stesso nel proposito nostro con la cetra) Ouidio in quei uersi, ragionando pure d’Horatio poeta lirico. (aures, Detinuit nostras numerosus Horatius Dum ferit Ausonia carmina culta lira. E’l Petrarca di compositione lirica parlando disse.</p>
<p>E la Cetera mia riuolta in pianto. Siamo giunti hoggimai al termine di quanto proposi intorno al prologo. E quantunque certe altre cose, minute s'harebbono potute addurre, ho nondimeno uoluto nelle apportate fermarmi; sì perche il discorso troppo fuori di mia intentione crescerebbe, come ancho perche altri da quanto si <pb n= "41 verso"/>è detto le può ageuolmente comprendere da se stesso.	</p>
<p>	HOra da che sono uscito, di quei generali titolo, prologo, e scena; seguirò quanto di più particolare, e più prossimo, alla fauola del Pastor Fido ci resta. Signori, come uoi benissimo sapete, ogni fauola soule hauere origine da cosa, che si ritruoui fuori di lei. Diciamo per essempio che l’ira d’Achille, fauola, ò soggetto del poema d’Homero, hebbe origine delle cose; ch'à lei precedettero nella guerra Troiana; le quali erano fuor di essa, poscia che’in altro tempo accaddottero, che quella non auuenne. Cosi nell'Edipo (per non partirmi dall'altro essempio communemente approuato) origine alla fauola dierono le cose di già occorse uiuendo Laio, e morendo egli, circa Edipo. Ciò fù l'oracolo; l’essere esposto; alleuato da Polibo; d'ammazzare suo padre; l’hauere per moglie sua madre; e per questo il uenire addosso de gli Thebani crudelissima pestilenza. Lo stesso hà medesimamente la favola del Pastor Fido; e uiene ad essere tutto ciò, che nel principio dell'historia raccontai; cauandolo per lo più dalla seconda scena del primo atto di detto poema. Questo e’l fondamento, la base, <pb n= "42 recto"/> l'origine di quanto auuenne poscia in quel giorno, che fù liberata l'Arcadia dall’ira di Diana per mezo della ricognitione di Mirtillo. E questo anchor'io considererò; e poi passerò all’attioni di quel giorno. Sò che ne gli episodi, ò nel uerisimile altri harrebbe forse collocata questa parte. A’me altrimenti è paruto; da che l'ordine non si confonde, e l'essenza delle cose non si muta. Dunque vari dubbi stimo, che nascer possano intorno all’inuentione, ò diciam’origine del Pastor Fido. Apporterò’l testo; proponendo sopra’l luogo addotto il dubbio. Narrasi nella seconda scena del primo atto l'origine della promessione d'Amarilli à Siluio fatta per gli padri loro, &amp; si tesse historia di certe usanze uecchie fra gli Arcadi, circa’l sacerdotio di Diana dicendosi.</p>
<lb/>In quell’età che'l sacerdotio santo,
<lb/>E la cura del tempio ancor non era. A'sacerdote giouane contesa,
<lb/>Vn nobile pastor chiamato Aminta Sacerdote in quel tempo, amò Lucrina
<lb/>Ninfa leggiadra à merauiglia, e bella.
<p>Ma senza fede à merauiglia, e vana. Nell’inuentione presente si finge che’l Sacerdote di Diana potesse fare all'amore colle ninfe, e tuttauia da modo nell'impurità accostarsi all’altare <pb n= "42 verso"/>per sacrificare alla Dea. Io non sò quanto bene, e conueneuolmente ciò si finga: Percioche se ne gli altri sacrifici, e sacerdotij spettanti ad altre deità la castità, e la purità di mente si ricercaua ne i Sacerdoti (&amp; appunto nell'atto del Sacrificare) quanto maggiormente credere dourassi, che ciò sommamente, &amp; a bello studio s’habbia da procurare nel sacrificio, e sacerdotio di Diana Dea della virginità? E per gli primi che uogliano questa purità ne i sacerdoti, ui sono li poeti. Tibullo nel 2. libro, nella prima Elegia, parlando di sacrificio pertenente à Bacco, &amp; à Cerere, dice così, (ab aris Vos quoque abesse procul iubeo; discedat Cui tulit externa gaudia nocte uenus. Casta placent superis:) con ciò, che segue: E quell'altro poeta molto più isquisita purità giudicò douer ritrouarsi nel Sacerdote, che staua per sacrificare, quando disse:	</p>
<lb/>Perque nouem noctes Venerem, tactusque uirorum In vetitis memorant. 
<p>Onde uenia ad essere somma sceleratezza nel sacerdote l'accostarsi per fare il sacrificio, sendo contaminato non d'homicidio, ò sì fatta enormità, ma solo di contatto uenereo, e bene ancho poco. Quindi è ch’i Sacerdoti di Cibele si priuauano de i genitali (come d'Ati si legge) per uiuere castamente.</p>
<pb n= "43 recto"/>
<p>Et in Atene altri si ritrouaro, che si beuettero la cicuta per rimanere senza io stimolo della carne. Anzi che si legge anchora molte femine douenti initiarsi nel sacerdotio per frenare la concupiscenza hauersi fatti letti di folgie di uitice. Inoltre chi è colui, che non sappia la purità, ch’osseruauano le Vestali sacerdotesse della Dea Vesta? Ma sentiamo lo stesso da Demostene affermante cosi nell'oratione contra Neaeram.</p>
<p>Sum enim pudica, &amp; pura, &amp; casta ab alijs puritati adversantibus, &amp; ab hominum congressii.</p>
<lb/>E più chiaramente nell’oratione contra Timocratem:
<p>Ego sanè sic existimo, eum, qui ad sacra accedit, &amp; res sacras sit tractaturus, aut res ad Deos spectantes curaturus, oportere non pradictum, aut statutum numerum dierum esse castum, sed per uniuersa uita sue cursum ab huiusmodi tu upibus studijs abstinuisse.</p>
<p>Però se à far Aminta Sacerdote; e di Diana; che non solo non ui ua casto per tutto’l tempo di sua uita, ma neancho s'astenga da gli atti pertenenti ad amoreggiamenti, e lasciuie nel uolere sacrificare, bene stia: torno à dire; io ne stò molto dubbio. A questo medesimo non pote Platone acconsentire giamai, anzi determinò <pb n= "43 verso"/>nel sesto delle leggi, ch’i Sacerdoti, e le Sacerdotesse entrando in quest'officio non hauessero meno di sessant’anni; contra pure quanto si suppone, che si facesse per l’adietro in quei uersi:</p>
<lb/>In quell’età, che’l sacerdotio santo,
<lb/>E la cura del Tempio ancor non era A’sacerdote giovane contesa:
<p> Secondariamente potrebbesi portar dubbio (che dal primiero sono sbrigato) circa quanto si dice in que sti uerfi:</p>
<lb/>Volto pregando a la gran Dea, se mai 
<lb/>Disse con puro cor Cintia, se mai 
<lb/>Con innocente man fiamma t'accosi, Vendica tù la mia sotto la fede 
<lb/>Di bella Ninfa, e perfida tradita.
<p> Si finge ch'Aminta ardendo d’amore d'una Ninfa, e quella rompendogli la fede, ò per meglio dire non uolendo lui amare, &amp; assentir à sue richieste, si dispose di uederne la uendetta; Et cosi pregò Diana, che uendicare uolesse il suo amore da quella sprezzato. Io per me ritruouo, che quando alcuno vuole impetrare gratia; à chi là può fare suole ricorere, è non à colui, alquale non aspetta la richiesta di quanto si prega: ch’altrimenti fuori di proposito sarebbe. Da Cerere la fertilità di biade; da Bacco l’abondanza del uino; da Pallade la sapienza; <pb n= "44 recto"/>&amp; da Venere, &amp; da Cupido si prega di potere ottenere la gratia dell'amata: ò dello spregiato amore la uendetta: Et l'essempio per non andare altroue cercando, si può hauere nello stesso Pastor Fido: Amarilli entra in certa spelonca per corre Siluio in amore furtiuo, &amp; cosi potersi liberare dalla fede à quello datta, dimandando aiuto celeste, ricorre à Venere Dea, cui spetta l'amministrare d'equità nell’amore: Queste sono le parole sue.</p>
<lb/>Bella madre d'Amore
<lb/>Fauorisci colei,
<lb/>Che'l tuo soccorso attende.
<lb/>Donna del terzo giro,
<lb/>Se mai prouasti di tuo filio il fuoco.
<lb/>Habbi del mio pietade:
<lb/>Scorgi, cortesi Dea,
<lb/>Con piè ueloce, e scaltro 
<lb/>Il pastorello, a cui la fede ho data.
<lb/>Il Satiro, che diuellere non potea quel sasso, inuoca Pane suo Dio potente in ogni cosa; e dice.
<lb/>O’Pan, che tutto puoi, che tutto sei. Muouiti a preghi miei.
<p>Cosi Giunone uolendo scommouere il mare se ne corre ad Eolo Rè de uenti, e non a Plutone. Vn altra uolta si uolle congiugnere insieme di copola carnale Didone, &amp; Enea; &amp; si ricorse à Venere, è non à Diana, ò Pallade. </p>
<pb n= "44 verso"/>
<p>E cosi per finirla dee passare il negotio circa’l potere dell’altre deità. Nella presente fintione riccorre Aminta per aiuto dell'amor suo à Diana, che non hà potere in quest’ufficio; &amp; uale più tosto per contrario effetto; fìngendosi, ch'ella hauesse sempre mai in odio le cose ueneree. E chi la uolesse pure pregare, send’essa Dea della uirginità, per conseruatione di quella inuocare la potrebbe come appunto habbiamo, che fece in Ouidio Aretusa, nel 5. delle sue Trafformationi, dicendo.</p>
<lb/>Fer opem, deprendimur, inquam, Armigera Diana tua, cui sepe de disti 
<lb/>Ferre tuos arusus, inclusaq tela pharetra 
<p>Anzi castigò, come sappiamo, seueramente la figlia di Licaone Calisto, diuota del suo coro per hauere à Gioue fatto di se copia; benche ingannata; &amp; isforzatamente; tanto puote la cura, e’l zelo della uirginità in lei. Onde pare potersi dire della presente inuentione, che pecchi nella conueneuolezza dei fingere cose non riceuute communemente. Odesi, che questo si difende coll’auttorità di Pausania, (che di là e tratta questa favola) &amp; è dou'egli narra l’historia di Coreso, e Caliroe. Ma in ciò sento maggior dubbio, quondo che non mi sò persuadere, che’l pescare in auttori <pb n= "45 recto"/>antichi l’inuerisimilitudini, &amp; sconueneuolezze perrapportarle à i nostri tempi sotto l’ombra loro in poemi: &amp; massimamente drammatici; sia lodeuolè. E più dirò, che Pausania più giudiciosamente, finge, ò narra simil caso; percioche Coreso era di Bacco Sacerdote, &amp; pregò Bacco, uendicare uolesse l’amor suo; &amp; esso Dio seruendosi dell'armi proprie, cioè dell'ebrezza, mandò castigo acerbissimo sopra’l popolo: la qual'inuentione pare potersi meglio tolerare, ò almeno difendere, che questa. Passo ad altra sorte di dubbio, e dico circa quelle parole</p>
<lb/>E saettò nel seno
<lb/>Della misera Arcadia non ueduti.
<lb/> Strali, &amp; ineuitibili di morte.
<lb/>Perian senza pietà, senza soccorso 
<lb/>D’ogni sesso le genti, e d’ogni et ade; 
<lb/>Vani erano i rimedi, il fuggir tardo: 
<lb/>Inutil l’arte ,e prima che l’infermo
<lb/> Spesso nel’opra il medico cadea. 
<p>Sembra molto conueneuole fingendo simili fatti, fare che quegli patisca, di cui è la colpa; ò siasi stato l'auttore, o pure ancho habbia prestato consenso al fatto: Perciochc punire chi non hà in se colpa veruna, senza produrre punto di causa, per cui a punirlo si venga, è cosa troppo inguista; indegna d’huomo, non che d’un Dio.</p>
<pb n= "45 verso"/>
<p>Quì si finge punita l’Arcadia di copa non commessa, nè mai sognata, non che mandata ad effetto: E'l castigo è tale, che se tutta l’Arcadia hauesse congiuato contra la virginità della stessa Diana, forse non sarebbe seguita sì horribile pestilenza, nè si sarebbe sopra di lei moltiplicata la pena, &amp; cosi horrende leggi, &amp; atroci sacrifici, per non dire macelli, imposti. Onde chi dubitasse sopra’l conueniente, e’l verisimile di questo fatto, non dubiterebbe, cred’io senza somma ragione. Et in particolare quella reduplication di castigo non hà punto del verisimile, mancando la cagione. Anzi altre volte Diana mandando pestilenze, non le replicò più d’una volta; come si legge appunto in Pausania nell’ottauo della sua Grecia. Ma sia, che ciò fosse poco, ogni uolta, che non fosse stato viuo'l delinquente. Quella, sopra della quale doueasi fingere so sfogamento dell’ira di Diana, viuea; &amp; era Lucrina: hora perche non si castigaua al primo tratto Lucrina, senza frapporui l'innocente Arcadia, e suscitare tante lagrime, tanti horrori, e tante morti fra la gente?</p>
<p> Succede l'oracolo. E per dire il vero nel Pastor Fido vi hà gran numero d'oracoli per poema drammatico. Nell’Eneide ch’è poema narratiuo, <pb n= "46 recto"/> &amp; si lungo, non credo ve n’habbia più di quattro, ò cinque intesi però formalmente; nel Pastor Fido ne sono per fino à sei, e fors’anco sette; annouerandogli le parole del vecchio Tirenio, che sono anch’esse come oracolo.</p>
<p>Oltre à ciò varie conditioni sì nel le predittioni dell’ocacolo, come ne i riti del sacrificio si trouarono; delle quali tutte succedendo di mano in mano ragioneremo. E quanto alle preditioni conditionate tra l’altre vè quella, quando si dico</p>
<lb/>Per man	d'Aminta in sacrificio offerta.
<p>Dice l'oracolo: sdegnata è la Dea; si placherà sacrificandosele ò Lucrina, ò altra vergine Arcada: ma uota, che dee essere sacrificata per mano d’Aminta: E' dunque d’auuertiro questa appendice: perche da so l’historia à ciò non si conducea, se non v’era finito aggiunta. Quindi pare ch’a molto debil filo s’attenga la fauola del Pastor Fido; percioche, se com’era’l douere alla prima si castigaua Lucrina (se pur castigar doueasi) e da chi’n tal caso saria stato conueneuole, senza cotante cerimonie d’orocoli, forse che non succedea; quanto successe, e cagionò la presente fauola. Inoltre se l'oracolo non commandaua, che si sacrificasse Lucrina per mano d’Aminta, <pb n= "46 verso"/>forse (anzi di certo) ei non s'uccidea: perche la cura s'harebbe commessa à i ministri, &amp; egli non essendo presente à quel fatto, &amp; in procinto di sacrificare altrui, non haurebbe hauuta forse occasione d’ammazzare se stesso. Et in vero io non sò, che necessità vi fosse per la parte dell'oracolo finto, che douesse importe la morte di Lucrina per mano d'Aminta. Lucrina hauea peccato; sù; doueasi castigare: Muoia per mano d’un ministro, poiche potea farsi, &amp; anticamente si facea: Perche non si viene à sodisfare all’ira divina, s’è morta la peccatrice, sopra cui cadea l'ira? In somma, che necessità la condanni à morire per le mani d’Aminta, non veggio. Hora per ritornare al primo proposito; il filo à cui s'attiene si gran mole di fauola par molto debole, come s’è veduto. Se mò lodeuole ciò sia, lascio, ch'altri ne dia sentenza. Mentre s'attendea la morte di Lucrina da gli astanti al sacrificio; Aminta in vece di lei repentinamente vccise se stesso; dicendosi nei racconto di tale historia.</p>
<lb/>e cosi detto
<p>Ferì se stesso, e nel sen proprio immersi Tutto’l ferro ed essangue in braccio a lei Vittima, e sacerdote in un cadeo, </p>
<lb/>Quanto dunque à si fatta parte, fingendosi <pb n= "47 recto"/> 
<p>ch’Aminta s’uccida, appare più tosto delusione dell'oracolo, che altro. S’hauea finto, che l’oracolo commandasse la morte di Lucrina; e poi si fà morir Aminta: Doueasi prima adempiere ciò, che pria fù commandato, &amp; indi se si uolea morto Aminta, uccider poscia lui parimente. Oltre ch’è da dubitare, quanto si dia ad intendere uerisimilmente, ch'alcuno si risolua à cosi fatta impresa, come di morire in un punto, in un subito per altrui; e per una, sopra della quale egli stesso dalla sua Dea istantissimamente pregato l'hauea, &amp; ottenuto uendetta.</p>
<p> Predisse l’oracolo, che per la salute d’Arcadia si douea uccidere Lucrina. Morì uiolentemente Lucrina, e pagò la pena del fallo; ma non cessò la pestilenza: dicendosi: </p>
<lb/>L’ira	s’intepidì, ma non s'estinse,
<lb/>Che dopo l'anno in quel medesmo tempo 
<lb/>Con ricaduta più spietata, e fiera 
<lb/>Incrudelì lo sdegno.
<p>Continoandofi dunque nel fingere più che mai afflitta l’Arcadia, etiandio morta Lucrina, par necessario ò di conchiudere l’oracolo non hauer saputo predire, ò’l resto della pestilenza fingersi contra ogni douere, e contra l'intentione dell’oracolo stesso; ma solo per dare materia, e dipendenza <pb n= "47 verso"/> </p>
<p>all'attione del Pastor Fido; ch'in altra maniera nulla riuscia; douendo per ragione immediate alla morte di Lucrina cessare la pestilenza, &amp; spegnersi l’ira di Diana. Che se mi si dicesse, che per la morte d’Aminta seguì; qual colpa di cio hauea l'Arcadia? &amp; perche introdur, che s’intepidi, &amp; poscia più fiera, che mai ne risorse? anzi perche badò à farsi sentire à capo l’anno? Pare che poco ò niun conto più tenere ne dovesse Diana: mentre hauendola Aminta pregata con buona ragione di uendetta, egli poi cosi fuori d’ogni proposito era uenuto ad atto furioso d’uccidere se medesimo.</p>
<p> L'oracolo ch’impose à gli Arcadi’l sacrificio di humana vittima, commandò anchora, che douendoli sacrificare togliessero.</p>
<lb/>Vergine, ò donna	quarto
<lb/>Che'l terzo lustro empiesse, ed oltro a
<lb/> Non s’auanzasse.
<p> Qui necessità non si scorge molto ragioneuole di questa limitatione di età nel sesso feminile. Almeno se poi ch'altro non hà, fosse cauata da cerimonia simile antica ne i sacrifici di Diana (come faria mestieri che molt’altre fossero di la tolte) forse scorrerebbe. Perche di gratia donna ò di quattordici, io di uent ‘un’anno uien <pb n= "48 recto"/> </p>
<p>esclusa dal sacrificio? Ma non solo senza necessità appare questa legge perdotta; ma etiandio più che troppo ingiusta, che solamente le donne, ò uergini di quindici, fin’ à i uent’anni hauessero ad hauere timore della, propria uita, ch’un giorno loro non conuenisse darla in horrendo tributo alla Dea sdegnata. In somma ò douea cadere sopra tutte, o sopra niuua. Conchiudiamo dunque, che quell'esclusione necessità, o ragioneuolezza non habbia. E quando pure iscludesse le donne maritate dall’essere sacrificate; passerebbe; potendo per auuentuta inuentarsene la cagione. Non così già si facea nella region Taurica, doue si sacrificauano tutti, fossero vecchi, soffero giouani; senz’hauer riguardo uetono all’età.</p>
<lb/>Hora quello stesso oracolo, ch’impose’l crudele sacrificio, u’aggiunse di più l’infrascritta legge.
<lb/>Qualunque
<lb/>Donna, ò donzela habbia la fe d’amore
<lb/>Come che sia contaminata, ò rotta,
<lb/>S’altri per lei non muore, à morte sia
<lb/>Irremissibilimente condannata.
<p>Hò già dubitato di non poche inuerisimilitudimi, cioè di qualità di uita, e costumi del sacerdote; di deita malamente usurpata; d’atrocità grande, e moltiplicata; di numero d’oracoli, e <pb n= "48 verso"/> </p>
<p>conditioni sue, e d'altro: Hora passando ne i dubbi propri d'essa legge; par’anchora essere inuerisimile per l’altre infrascritte cagioni. Primieramente nel punir la maniera del peccato, quando si dice:</p>
<lb/> Come che sia contaminata, ò rotta. 
<p>Inaudito genere di giustitia par questo, e da non credere, che si possa ritrouare appo verun popolo; Ciò dico, perch’in quel contaminata, si deue intendere fino'parlare, ouero ascoltare semplicemente alcuno amante, come in quel luogo s’accenna:</p>
<lb/>Misera lei se risapesse il padre 
<lb/>Ch'ella à prieghi furtiui hauesse mai 
<lb/>Inclinate l'or ecchie, ò pur ne fosse 
<lb/>Al Sacerdote suocero accusata. 
<p>Dimandaua Mirtillo di solo poterle dire due parole, &amp; Ergasto li tocca la pena grande in cui potrebbe incorrere: Se dunque la pena della uita di stendea fin'alle parole; dura, &amp; incredibil era la legge, perche i peccati non si castigano tutti con vgual pena: &amp; suprèmo è’l castigo della morte. Onde se hauesse violato à bella posta co i fatti la detta fede, maggior pena non si uenia à ritrouaio per castigar più acerbamente il maggior delitto. Perche altro dire non possiamo in cotal fatto, se non che troppo immanità albergasse in un petto diuino.Et con che <pb n= "49 recto"/> </p>
<p>ragione si sia varcato all’eccesso non veggio. Alle predette cose aggiugnere si ponno due altre considerationi sopra questa legge: l’una è, che per fè d'amore fede maritale s'intende: l'altra sopra quella conditione, ch’annessa è alla legge:</p>
<lb/>S’altri per lei non more.
<p>Quanto alla prima, per cosa euidente si dee tenere, che fè d’amore altro non significhi nel poema, che fede ma ritale, come si fà manifesto in Amarilli, c’hauendo data la fede maritale à Siluio fù detta hauer peccato contra la fede: e quell'era la fè d'amore nominata nella legge: cosi dice anchora di Corisca il Satiro. Quanto dunque à cotai due uocaboli, io dubito, ch’altro non ispecifato, mai non potranno significare, quanto si pretende; atteso che Amore non è lo stesso con Himeneo. Quanto poi à quella particella della legge:</p>
<lb/>S'altri per lei non more.
<p>Altro non sembra potersi dire, se non ch’introdotta sia solo per seruire alla fauola, perch’altrimenti Amarilli era spedita. Oltre che troppo e ingiusta, e fors’anco superflua; quando in tal caso, come di profanare la fede, cosa iniqua parrebbe, com’io predissi, il punire persona, che colpeuole non sia; e lasciar'andar senza pena colui, che <pb n= "49 verso"/> </p>
<p>fece’l delitto. Nè suole auuenire ch’altri uoglia per altrui publicamente morire senz’occasione, e forse poco giusto, &amp; giuditioso stimato sarebbe quel legislatore, che imponendo pena di morte, aggiugnesse uoler’assoluere il delinquente, s'altri per lui al patibolo s’offerisse.</p>
<p> La stessa legge, come di sopra habbiamo raccolto, venne limitata, e sua intentione dichiarata da molte appendici; lequali medesimamente furo ordinatamente registrate. Onde poiche detto habbiamo di lei, &amp; della sostanza sua; passeremo à fauellare d’esse appendici; ò paragrafi, che uogliam dire. Fù’l primo quando si determinò; che se la sposa ritrouaua lo sposo in atto di perfidia, potesse rifiutarlo; altro però di male non auuenendò à lui, come alle donne auueniua. Conditione in uero com'io dubito troppo ingiusta; di legge, che lieuemente castighi l’huomo &amp; sì atrocemente la donna; poiche non meno contamina; e rompe la fè d’Amore, ò maritale, che s'intenda, l’huomo, che la donna. E di tale statuto potrebbono le donne giustamente richiamarsi; come appo il Boccaccio Monna Filippa. In questa parte scorgere possiamo quella particolare intentione, con che s’è ì detto parer finta la legge, che fù di <pb n= "50 recto"/> </p>
<p>poter condurre, e tessere, la favola del Pastor Fido: Perche se ciò non era, non venia in cuore à Corisca di persuadere ad Amarilli, quanto le persuase per lo disturbo delle nozze con Siluio. Il secondo glosaua quel membro:</p>
<p> S’altri per lei non muore, dicendo, non douere essere forastiero, chi morir per altri volea. In questo particolate chiedere si potrebbe che cosa quivi l’essere forastiero importasse; atteso che non morendo chi peccò, nulla più doueasi guardare allo scegliere vno, che un'altro; tutto che ciò sarebbe poco, quando la sopra scritta, conditione s’offeruasse. Carino vo Iendo morire per Mirtillo non pare e Mirtillo forastiero pure può per Amarilli. E che fosse Arcade, chi in gratia sapere lo potea; s’erano solo tre mesi, ch’era in Aradia, e mai più per lo passato quiui alcuno veduto non l’hauea in 19 anni, à i quali era giunto? Oltre che Ergasto benissimo sapea, ch’Arcade non era Mirtillo, e potea farne auuertito’l Sacerdote Montano. Onde n’auuiene di questo doppio dubbio: i1 primo, che non s' osserua quanto commanda la legge. Il secondo, che troppo negligenti si fingono i sacerdoti; perche senz’altro si mettono à sacrificare vno, che per <pb n= "50 verso"/> </p>
<p>Arcade ò niun patto potevano riconoscere. Il terzo, &amp; quarto paragrafi di detta legge furono, come dicemmo, che s'alcuno à morire per altrui togliea, campare per altrui offerentesi allo scampo suo non potesse; e c’havendo à morire, sacrificar si douesse nel luogo; oue fu commesso il fallo. Il che sembra per puntellare la fauola del Pastor Fido; benche più del terzo, che del quarto ciò si può dire, perche'l quarto appunto per far vedere'l sacrificio in iscena par finto: altrimenti s’à Carino riguardiamo, tant’era, se nel tempio si facea il sacrificio, conducendoui esso Carino, e per vn messo facendolo raccontare. Ma perche à far vedere al popolo il sacrificio nè ancho ciò bastaua, bifognò volgere sozzopra tutte le leggi, &amp; mettere glose sopra glose, e dire (che fù nel quinto S.) ch' à cielo scoperto sacrar si douea: senza la qual conditione hauerebbesi hauuto à fare il sacrificio nell'antro. Il sesto vuole che taciturna la vittima si moia. Pare veramente, che sia posto solo per fare interrompere il sacrificio al parlare di Mirtillo; ch’altrimenti non succedea la disputa di Carino, e del sacerdote; perche senz'altro indugio si douea sacrificare, non aspettando altre ciancie d’un tal vechio forastiero, importuno.</p>
<pb n= "51 recto"/> 
<p>E poco di grauità à legge sacra conueneuole sembra contenere la presente appendice; mentre sturbandosi il sacrificio al parlare della uittima doueasi reiterare tutta la cerimonia ogni uolta. S'à chiunque sia; c’hauesse tolto à morire per altrui fosse saltato in capriccio di far ridere la gente, e beffare la Dea, e la sua legge, e’l Sacerdote; la migliore occasione del mondo hauuta n’haurebbe; cioè col cauellar; solo quando staua per doversi sacrificare; cosa in uero à materia così importante, come Dei, e cose sacre, disdiceuole, &amp; che col pensiero riducendola in prattica, non si può quasi ramentar senza riso. Ma di non minor ualore è’l settimo, anzi ch'appare, se bene si considera. contrario al sentimento dell'antecedente. Di sopra si disse, che chi s’offerse per altri à morte, per altrui non potea più campare. Fù detto poi; che parlandola uittima si reiteravano le cerimonie tutte, e tra l’altre di nuouo faceasi’l uolontario uoto di morire. Consideriamo quanto si dice. Costui; da cui uenia sturbato il sacrificio douea prender di nuouo il uoluntario uoto (se pur lo uogliamo dir uoto) e questo per saluar altrui. Hora mentre di nuouo prendeasi uoto; chiaro è, ch’egli, che facea il secondo <pb n= "51 verso"/> </p>
<p>uoto, era fuori dell’obligatione già contratta per lo primo: altrimenti non sarebbe occorso rinouellarlo. S’era fuori, dunque era di sua libertà; potea sì prendere il uoto di nuouo; come non: E di ragione, se più non hauesse uoluto prenderlo, succedea di tre cose l’una: O’ che non morisse egli, nè anchor la rea; il che deludendosi l’oracolo, era sconueneuole; O'che si facesso morir la rea, il che era fuori di ragione, poiche fù assoluta una uolta: O’ ch'un’altra terza persona s’offerisce al morire: il che sarebbe stato (come dicemmo) contra la legge chiarissimamente.	</p>
<p>L’ottauo, come gli altri, anch’esso pare mera inuentione per seruire alla scena. In cosi poco la uita di Mirtillo consistea: se’l sacerdote non fingea la presente legge (cio è di non poter sacrificare humana uittima in faccia al sole) non lo riconoscea Carino, e necessariamente moria Ma secondo, che si finge Carino essere dietro à Mirtillo; e però bisognò fingere di nuouo legge per fargli uoltare la faccia uerso Carino; forse con minore impaccio collocar si poteua Carino in parte, che mirasse Mirtillo, senza produrre appendici. E tanto più quanto la ricognitione potea seguire medesimamente con la contrasti; come <pb n= "52 recto"/> </p>
<p>seguì. E finalmente il nono, e’l decimo, sono dello stesso tenore, che gli altri. L'uno vuole, che per altra mano cadere non possa le uittima, che per quella del maggior Sacerdote. L'altro, che li ministri minori non possano fauellare co i rei. In quello non credo si scolgerà ueruna ragione: bene vsanza in contrario si può leggere nell’Ifigenia in Tauris; doue Ifigenia ch’era la maggior sacerdotessa, di ce di far sacrificare alle ministre le humane uittime. Nè di quest'altro parimente penso ragione si sappia, ò sapere si possa. A che si uog]ia, che serua, è ben chiaro. S’Ergasto ministro minore potea favellare con Mirtillo, tutti li trattamenti di Corisca; &amp; gli auuenimenti d’Amarilli, e di Mirtillo si palesauano per mezo suo; e’l sacrificio andaua in nulla, insieme con la ricognitione. De gli ultimi tre non dirò altro, parendo finti fuori d’ogni necessità imaginabile, ma solo per dar’occasione che senza interuallo, cioè all’hora all'hora, le nozze tra Mirtillo, &amp; Amarilli conchiuder, &amp; effettuar si douessero. Per le quali tutte già dette cose, hora di nuouo, &amp; piu gagliardamente mi si fa innanzi’l dubbio, che di sopra accennai; se sia lecito fingere à suo modo senza fondamento d'historia il luogo; le persone; l’attione; <pb n= "52 verso"/> </p>
<p>sei oracoli, una legge imaginata con 13. appendici, che siano il factotum della fauola; &amp; un’indouino anchora seruente alla causa; &amp; sopra cotali fondamenti ergere la fabrica d’un lungo poema drammatico; &amp; non solo ciò; ma professare anchora, ch’egli mutate sol'alcune cose sarrebbe Tragedia. Pare certo che molto facile fariasi in questo modo il compor le Tragedie, che per altra uia sono di tanta importanza. Et in somma le sì fatte inuentioni à me hanno sampre sembrato peggio, che lo scioglimento tentato da gli antichi per le machine; mentre non sapendo sciorre le fauole, introduceano Dei, ò altra spetie di machina ciò operante. Ma quì non folo si scioglie, ma s’annoda anchora; &amp; tutta la fauola pare condursi &amp; formarsi per questa uia. Intorno alla quale per che maggiormente appaia la ragioneuolezza del dubbio mio, non uoglio rimanermi, fra le auttorità de gli spositori, di notar quì le proprie parole d’uno d’essi di molto grido; che seruono cosi per le Tragedie, come per le Comedie; &amp; per l Epopee: &amp; son tali.</p>
<p> Non si creda perciò alcuno, che i formatore della fauola della Comedia habbia licentia di trouare ò Città nuoue <pb n= "53 recto"/> </p>
<p>&amp; imaginate da lui; ò fiumi; ò monti; ò regni; ò costumi; ò leggi; ò di tramutar’il corso delle cose della natura &amp;c. Percioche li conviene seguire l’ historia, &amp; la uerità, se in formare la fauola auuerrà, che li facia bisogno di tali cose si come parimente conuiene a colui che forma la fauola della tragedia. &amp; dell'epopea.</p>
<p>Ma procedendo innanzi: Oltre quanto s’è detto, &amp; discorso sin'hora, sembra esserui etiandio altre cose che fanno pur dubbio intorno all’intrapresa parte di ciò, ch'antecede la fauola come sarebbe; Che'l fiume Ladone inondando portasse uia Mirtillo in culla, &amp; lo riponesse sopra un’isoletta, conseruandolo intatto da ogni rouina. Prima non par uerisimile ch’un popoco di schena d’un’isoletta attrauersante uno fiume, o torrente sì grande, &amp; sì rapido, in tal caso coperto non fosse dall’acque; poiche furon tali, che come si dice seco portaro.</p>
<lb/> le mandre
<lb/> E gli animali:
<p>Sì che la culla ui si hauesse potuto tra tenere. Se ciò si dicesse d’un uassello, >il quale ben carico à forza di uenti fosse stato rispinto in secco, &amp; cacciato buona parte sotto l'arene passerebbe; ma d’una culla con pochissimo <pb n= "53 verso"/> </p>
<p>peso, ch’andaua secondo, che’l furor dell’onde trasportare la douee, pare altrimenti. Si dice in oltre, che Dameta seruo trouato Mirtillo, poiche li uenne in pensiero di sapere la uentura di lui per uia dell’oracolo, andò ad Apollo, e seppe ogni’cosa, che succedere di sinistro: E per ciò non lo ritornò al padre, ma finse di non l’hauer trouato. Non par uerisimile, ch'ad un seruo intento all'ubbidire al padrone uenisse capriccio di questa sorta: egli é da otioso più tosto. Fassi ben uerisimile per contraria che ritornasse, quanto più tosto potè, al padre, per consolarlo del rammarico, qual egli sapea, che sentiua per la perdita del figliuolo. E finalmente si dice, ch’essendosi Mirtillo acceso d'Amarilli, scoperse il suo amore ad una sua sorella; >la quale lo uessi da semina; e s’introdusse fra la compagnia d'Amarilli per mezo di detta sua sorella, nè fu da ueruna per huomo, e per Mirtillo riconosciuto: Varie cose ha qui, che se bene ui si considera, paiono contra'l verisimile. Prima, che sua sorella ardisse di condurlo seco fra lo stuolo di quelle donzelle, e non temesse, che fossero ambedue scoperti, e mallamente trattati: Atteso che potea facilissimamente imaginarsi, che Mirtillo era conosciuto <pb n= "54 recto"/> </p>
<p>in Elide, &amp; che nella detta compagnia sendouene di paesane poco ui harrebbe uoluto ad iscoprire ogni cosa. E forse che poscia à baciar’Amarilli non s'accostò, ma stette in disparte per celarsi, o pure baciandola à pena la toccò, &amp; subito partì non piu ueduto da lei: Stette sempre fra quel le giouani à uiso chiaro, ch’ogn’una uedere lo potea; &amp; era d’anni 19. (se ben mi ricorda) e saporosissimamente baciatola, come dic’egli stesso:</p>
<lb/> Poco mancò, che l’houuicide labbra, 
<lb/>Non mordessi, ò segnassi.
<p>Anzi che n’hebbe in premio la ghirlanda, >la quale donò poi subito con molte cerimonie à colei, che l’hauea coronato. Ma oltre di questo, cioè ch'inuerisimilmente paia condursi Mirtillo fra quelle giouani; dico ch'Amarilli forse lo douea hauere ueduto. E se ueduto l’hauea, come stà, ch'egli à quella s’accoltasse, &amp; senz’esserne conosciuto la baciasse? ò pure se conosciuto fu da lei come non escluso per uiolatore dell’honestà sua, &amp; dell'altre? Ma se tacque per modestia, perche, coronarlo poi dandosi uanto della più scaltra baciatrice fra tutte? Non era questo dono della corona un’inuito efficacissimo al rimanente della brigata d’offeruarlo, &amp; di uoler per ogni modo saper chi fosse, come’auuiene <pb n= "54 verso"/> </p>
<p>per ordinario ne i vincitori? Ma ch’Amarilli non lo conoscesse, &amp; quando fù baciata non sapesse da lui esser baciata, non si può quasi dire, poiche cosi ella ragiona nel terzo atto alla scena terza.</p>
<lb/> I dico all’hor, che tù tra nobil coro
<lb/> Di vergini pudiche
<lb/> Libidinoso amante
<lb/> Sotto habito mentito di donzella 
<lb/> Ti mescolasti, e i puri scherzi altrui 
<lb/> Contaminando ardisti
<lb/> Meschiar tra finti, &amp; innocenti baci
<p>e quello, che segue. Onde se lo sapeua pare essere stata l'attione sua dishonesta, &amp; pericolosa: &amp; l'hauergli attribuita poi la uittoria; &amp; coronatolo, &amp; riceuuta in dietro da lui la corona esser’introdotto importunamente, rispetto all'atto del colarsi, &amp; del dissimulare, che si pretende; alche ciascuna di queste cose era senza fallo contraria, &amp; nociua molto.</p>
<lb/> Ma è tempo che passiamo à i dubbi sopra la Fauola stessa, nel modo che fù proposto.
<p>DIstinse Aristotele il componimento drammatico in parte di Qualità, e di Quantità. Lasciamo per hora quelle della Quantità, &amp; appigliamoci all’altre. Queste sono sei, cioè, Fauola, Costumi Sentenza, Locutione, <pb n= "55 recto"/> </p>
<p>Apparato, è l'ultimo) dirollo con uoce Greca) Melopeia. Di più uolle Aristotele (per quanto appartiene al nostro presente discorso, &amp; à dubbi, che ci ritrouiamo) che la buona fauola fosse Tutta: Grande proportionatamente: Vna: Verisimile: Non Episodica: &amp; Ammirabile. Presupposti quest'insegnamenti, andremo considerando, come s'affacciano al Pastor Fido. Primieramente si vuole che la fauola sia Tutta. Il Tutto è composto di principio, mezo, e fine; però la fauola dee hauere principio, mezo, e fine. Principio e quello, che se bene altronde dipende, tuttauia per se stesso può stare quasi d'altro non dipendesse: In questo principio non solo si ricerca, che per se stesso possa stare, ma che sia cagione anchora, &amp; origine di cosa, che dopo lui, &amp; per lui naturalmente auuenga. Il Pastor Fido hà principio: nè di questo si può dubitare. Quanto c'è di scrupolo intorno ad esso suo principio è per una conditione com’io, dicea in lui richiesta; cioè, ché per esso, &amp; da esso si faccia, e dipenda quanto poscia succede. Et di questo, che uien etiandio à condurci alla consideratione de i mezi li quali deono esser dipendenti, come si e detto, io non uo stendermi à ragionare: bastando il legger con diligenza l'historia già registrata; <pb n= "55 verso"/> </p>
<p>&amp; dal contenuto di essa far giu dicio dell’un’, &amp; l’altro. Dirò dunque due parole d'intorno al fine: Conciosia che send’egli quello, dopó cui niente altro accade; pare in questo poema fuori di sua natura compariui arricchito; mentre alle ricognitione di Mirtillo può leggitimamente cessare la fauola, bastando supporre lo sposalitio, &amp; tutto il resto; &amp; nondimeno si pospone à quello non solo l'andata; uenuta dal Tempio d'Amarilli, e Mirtillo, ma le nouelle anchora uenute à Corisca de i successi passati, &amp; la conuersione di lei; >la quale punto non hà che fare col uero principio, ò co i ueri mezi, ò col uero fine di questo fauola.	</p>
<p> Vuole per seconda conditione Aristotele, acciò bella riesca la fauola, che sia grande, ma non però d’ogni grandezza, sol di quella, ch’à lei si proportiona; in guisa che s’attenda la sua bellezza da due cose; da grandezza proportionata; e da leggiadra ordinanza delle sue parti. Supposta questa conclusione, dubitiamo del Pastor Fido. E, primieramente non si potrebbe negare, se la semplice grandezza facesse bello il poema, che questo non fosse oltre modo bello; poiche non è grande, ma per poema drammatico è grandissimo; Ma i termini, che circoscriuono <pb n= "56 recto"/> </p>
<p>la grandezza lodeuole sono quelli, che rittocano in dubbio questa sua lo de; poi che e troppo lungo apparisce, &amp; che un siano anchora le parti mal ordinate. La lunghezza per piu ragioni suole nascere ne i poemi: O perche la fauola non sia una: ò perche l’attione in se stessa quantunque una sia molto lunga: O perche gli episodi siano troppi; O finalmente, perche la spiegatura si sia tirata souerchio in lungo; come non poche fiate veggiamo farsi da i poeti trattenentisi in uaghezze, in descrittionti, e simili cose. Di tutti questi capi, per gli quali riesce troppo lungo un poema, buona parte pare ha uerne il Pastor Fido perche cresciuto pare più che troppo per la doppiezza di fauola, di cui à suo luogo ragioneremo: &amp; per l'immensa mole de gli episodi: &amp; per la qualità della spiegatura. Et di gratia chi non dubiterrebbe, che fosse più tosto tanta materia d’Episodi per un poema Epico, che drammatico? per un poema di molti giorni, che d’un solo? E che dico d’un solo? d'un’ambito di Sole sopra la terra? Sono gli Episodi tanti, e sì lunghi; che solamente lo sceglierli tutti foranoioso. Quinci io ne ramniemorero alcuni con alla sfuggita. Vi sono le cose tutte di'Sìluio, Linco, e Dorinda, Siluio ua à caccia; disputa d'amore <pb n= "56 verso"/> </p>
<p>con Dorinda; corre quà, e là dietro à cani, ammazza un terribilissimo Cinghiale; trionfa; ferisce di nuouo uscito di casa Dorinda stimatala un lupo; se n'accende all’improuiso; tutto che l'odiasse poco à dietro à morte; diuenta dottissimo in Amore; la sposa; &amp; la fa sua donna in quello stesso giorno, guarendola di una molto graue ferita. Tutte cose per quali fornire non sembra à bastanza una settimana quasi, non che un sol giro di Sole sopra la terra. Nell’historia poi di Mirtillo u'è lo scoprire l’amor suo ad Ergasto; l’andata d'Ergasto à Corisca per Mirtillo; il ritrouare Mirtillo, da poiche era corso.</p>
<lb/>Al fiume, al poggio,
<lb/>Al prato, al fonte, a la palestra, al corso, 
<p>per ritrouarlo; la narratione dell’amor di Mirtillo; il rapportarla à Corisca; le trame di lei con Amarilli; l'essere presa dal Satiro; &amp; egli schernito: i balli: il giuoco della cieca fatto d'Amarilli: l’esser presto Mirtillo: il racconto delle sue passioni amorose: il cicalamento d'Amarilli, e di Corisca: le nuoue frodi di costei con Amarilli, e Mirtillo: le dicerie di Mirtillo disperato: d'occultarsi nell’antro: l'esserui dentro chiuso dal Satiro insieme con Amarilli: l'esser auisato il Sacerdote dal Satiro; la presa de gli <pb n= "57 recto"/> </p>
<p>amanti: la disputa di Nicandro, &amp; Amarilli: gli suenimenti, e rinuenimenti; l’essere costei sententiata à morte, l'offerirsi al morire di Mirtillo in uece di lei. la pugna d'ambedue: l'apparecchio al sacrificio di Mirtillo: le lunghe filatterie di Carino: il disturbo del sacrificio: la contesa caduta fra’l Sacerdote, e costui: la dichiaratione dell’oracolo per uia di Tirenio, l'andarsi al tempio per congiugner in matrimonio Mirtillo, &amp; Amarilli: il successo dello sponsalitio: la uenuta loro dal tempio: l’incontro di Corisca: &amp; il perdono da lei finalmente pregato, impetrato: e tanti altri diuisamenti: li quali sono stati compartiti in sì lunghi soliloqui, che credo di questi soli ne n'habbia dodici à numero di uersi mille, e più; in messi; condoglienze; descrittioni; &amp; altre sì fatte cose. Se mò la serie di questi accidenti verisimilmente possa occorrere in un giro di Sole; se questa sia la grandezza ricercata d'Aristotele, io stò in gran dubbio; poiche non solo non par moderata, ouero eccedente di poco la statura ordinaria; ma trappassar di molto l'eccesso. La spiegatura poi, che fù l'ultima cagione, per cui dissi crescer le favole oltre i confini ragioneuoli, sembra anch'essa molto lunga. Il tempo, che si consuma in recitarla lo manifesta; <pb n= "57 verso"/> </p>
<p>che dicesi communemente render lo spettacolo suo scommodissimo, anzi noioso. Ond’è forse che douendo recitarsi quest'ultima fiata in Mantoua alla presenza della Serenissima Regina d’Hispagna fù questo poema (si può dire) d’una mala maniera circonciso: conciosiache senza punto sconsertare cosa pur minima della favola, ch’importante fosse; li si leuarono versi intorno al numero di 1600. stimati otiosi. Et se sieno tali ò nò, oltre l'argomento che reca l'effetto stesso, pare poter’anchora più confermarci la serie medesima d’essi versi levati, di cui farò qui particolar mentione, perch’altri da se volendo li possa considerare. Nel primo atto, nella prima scena da quel verso</p>
<lb/>Che s’havess’io cotesta tua sì bella:
<lb/> inclusiue sino à quello:
<lb/>Una ninfa sì bella, e sì gentile.
<lb/> exclusiue, che intenderò	
<lb/> cosi ogni volta senza più speficare altro: e da quello.
<lb/>Lino di pur se sai. sino à quello.
<lb/>Come vita non sia,
<lb/>e da quello.
<lb/>Folle garzon lascia le fere, et ama;
<lb/>sino à quello.	
<lb/>Poi che lasciar non vuoi le selue almeno.
<lb/>Nella seconda scena, da quello. 
<lb/>Ma grider an per me le piagge, e i monti
<pb n= "58 recto"/> 
<lb/>sino a quello.
<lb/>Mirtillo amor fù sempre un fier tormento, 
<lb/>e da quello.
<lb/>Ed io più innanzi ricercar non oso; 
<lb/>sino à quello.
<lb/>Vorrei morir al men, si che la morte:
<lb/>e di quello. 
<lb/>Misera lei, se risapesse il padre.
<lb/>sino a quello.
<lb/>Ma se ti guardi il ciel cortese Ergasto.
<lb/>Nella terza scena, da quello.
<lb/>Tal’hor meco ragiono ò s’io potessi.
<lb/>sino a quello.
<lb/>Cosi sdegno, e destre, odio, de amore.
<lb/>e da quello.
<lb/>S’altro ben non hauessi, altro trastulo.
<lb/>sino a quello.
<lb/>Cosi nella città uiuon le donne.
<lb/>Nella quarta scena, da quello.
<lb/>E che la mia fin quì l’obligo solo.
<lb/>sino a quello.
<lb/>Titiro fà buon cuore,
<lb/>Nella quarta scena da quello.
<lb/>Che’n sua natura placido, e benigno.
<lb/>sino a quello.
<lb/>Dunque d’ogni suo fallo, e tua la colpia
<lb/>e da quello.
<lb/>Di se tutto presume, e del suo volto.
<lb/>sino a quello.
<lb/>Me no uedrà, nè provera Corisca.
<lb/>Nel secondo atto scena prima,
<lb/>da quello.
<lb/>Dolci sì, ma non grati.
<pb n= "58 verso"/> 
<lb/> sino à quello.
<lb/>Già fornito il su’ arringo hauea ciascuna.
<lb/>Nella seconda scena da quello. 
<lb/>Mentr’io, che l'amo tanto in uan sospiro: 
<lb/>sino a quello.
<lb/>Ma non sent’io trà queste selue un corno.
<lb/> e da quello.
<lb/>Chi crederia, che’n si soaue aspetto,
<lb/>sino a quello.
<lb/>Ninfa qui uenni à ricercare Melampo. 
<lb/>e da quello.
<lb/>Ascolta bella ninfa, tu mi usi.
<lb/>sino a quello.
<lb/>Ninfa non più parole.
<lb/>Nella terza scena, da quello.
<lb/>Ti seguirò compagna.
<lb/> sino a quello.
<lb/>Ma con chi parlo? ahi lassa.
<lb/>Nella quinta scena. da quello:
<lb/>Felice pastorella.
<lb/>sino a quello 
<lb/>Ma uedi là Corisca.
<lb/>Nella sesta scena da quello.
<lb/>Non ti bastaua hauer mentito il core.
<lb/> sino a quello.
<lb/>Amanti hor non son questi i uestri nodi?
<lb/> Nel terzo atto scena prima. da quello 
<lb/>Tu torni ben, tu torni.
<lb/>sino a quello.	
<lb/>Ma se le mie speranze hoggi non sono.
<lb/> e da quello.
<lb/>Lo’ altri non m'inganna.
<lb/> sino a quello.
<pb n= "59 recto"/> 
<lb/>Ma qui mandommi Ergasto, oue mi disse.
<lb/>Nella terza scena. da quello.
<lb/>Ch’i t’ami, e t’ami più de la mia uita.
<lb/> sino a quello.
<lb/>Deh bella, e cara, e sì soaue un tempo.
<lb/> e da quello.
<lb/>A chi parlo infelice à un muto marmo?
<lb/> sino a quello.
<lb/>Se dianci t’hauess’io.
<lb/> e da quello.
<lb/>Tu mi chiami crudele immaginando. 
<lb/>sino a quello.
<lb/>(Già no’l nego) è peccato.
<lb/>e da quello.
<lb/>Quella sana pietà, che dar potrei. 
<lb/>sino a quello.
<lb/>Viui dunque se m'ami,
<lb/>e da quello.
<lb/>Tù sè troppo guardinga, se cotali, 
<lb/>sino a quello.
<lb/>Non hò veduto mai la più ostinata.
<lb/> e da quello.
<lb/>Tal’ io gran tempo infermo , 
<lb/>sino a quello.
<lb/>Tanto è possente amore,
<lb/>e da quello.
<lb/>Caro Mirtillo, e come l’orsa suole.
<lb/> sino a quello.
<lb/>Però saggio è quel core.
<lb/>e da quello.
<lb/>Però, che la bellissima Amarilli. 
<lb/>sino a quello.
<lb/>O’bella impresa, ò ualoroso amante.
<pb n= "59 verso"/> 
<lb/>e da quello.	
<lb/>Infelice quel core.	
<lb/>sino a quello.
<lb/>M’è più dolce il penar per Amarilli.	
<lb/>e da quello.
<lb/>E se gioir di lei.
<lb/>sino a quello.
<lb/>O’core ammaliato.
<lb/>e da quello.
<lb/>E cortese, è gentile.
<lb/>sino a quello.
<lb/>Ascolt ami Mirtillo.
<lb/>e da quello. 
<lb/>Come l'ombra del corpo.
<lb/>sino a quello,
<lb/>À te stà comandare.	
<lb/>e da quello.	
<lb/>Proval solo una volta. 
<lb/>sino a quello.
<lb/>In somma io son fermato. 
<lb/>Nell’atto quarto. seconda scena.
<lb/>da quello. 	
<lb/>S'io fossi un fiero can, come son Linco. 
<lb/>sino a quello.	
<lb/>Ma dimmi oue trouasti.	
<lb/>e da quello.	
<lb/>Quiui confusa in fra la spessa turba.
<lb/>sino a quello.
<lb/>Quante volte bramai.
<lb/>e da quello.	
<lb/>Quante volte d’acorrerui, e di fare.
<lb/>sino a quello.
<lb/>Quand’egli di squamosa, e dura scorza.
<pb n= "60 recto"/> 
<lb/>e da quello. 
<lb/>Che più superba ogn’hora.
<lb/>sino à quello.
<lb/>E dopo hauerla impetuosamente. 
<lb/>Nelle terza sena da quello.
<lb/>Deh cortese pastor non ti sia graue.
<lb/>sino à quello.
<lb/>A Dio cari pastori.
<lb/>Nella quinta scena da quello.
<lb/>Che’l ueder sol cattiua una donzella. 
<lb/>sino à quello.	
<lb/>Se la miseria mia fosse mia colpa.
<lb/>e da quello.	
<lb/>Che ben giusto sarebbe. sino à quello.
<lb/>Ma troppo, oime, Nicandro.
<lb/>e da quello.	
<lb/>Ch’assai più ageuolmente hoggi potremo, 
<lb/>sino à quello
<lb/>Come dunque innocente?
<lb/> e da quello.
<lb/>Ninfa che parli? frena: sino à quello.
<lb/>Ninfa non ti lusingo, e parlo chiaro.
<lb/> e da quello. 
<lb/>Drizza ghi occhi nel cielo. 
<lb/>sino a quello. 
<lb/>O sentenza crudele.
<lb/>Nella sesta scena da quello.
<lb/>O fanciul glorioso,	
<lb/>Che sprezzi per altrui la propria uita.
<lb/>sino a quello
<lb/>O fanciul glorioso,
<lb/>Per cui le ricche, piagge.
<lb/>e da quello.
<pb n= "60 verso"/> 
<lb/>O fanciul glorioso,
<lb/>Come presago di tua gloria il cielo.
<lb/>sino a quello.
<lb/>O fanciul glorioso,
<lb/>Come il ualor con la pietate accopi:
<lb/>Nella settima scena da quello.
<lb/>Haurai dunque pietà di chi t’inganna? 
<lb/>sino a quello. 
<lb/>Troppo felice, ed honorata fora.
<lb/>Nella ottaua scena da quello.
<lb/>Ma che tempi dissi’io? più tosto asili. 
<lb/>sino a quello.
<lb/>Hor uà tù, che ti uanti.
<lb/>e da quello.
<lb/>Oper me fortunato. sino à quello
<lb/>Hor venga in proua, uenga.
<lb/>Nella nona scena da quello.
<lb/>O fanciul troppo sauio. sino à quello.
<lb/> Siluio lascia dir Linco.
<lb/> e da quello.
<lb/>O bellissimo scoglie.	sino à quello.
<lb/>Ma tu Siluio cortese.
<lb/>e da quello.
<lb/>E voi strali di lui, che’l fianco aperse.
<lb/> sino à quello.
<lb/>Deh Linco mio non mi condur ti prego.
<lb/> Nel quinto atto prima scena da quello.
<lb/>Gli è uero Vraino, e troppo ben per proua. 
<lb/>sino à quello.
<lb/>Nè sò qual altro in questa età canuta. 
<lb/>e da quello.
<lb/>Ma qual fù la cagion, che fè lasciarti.
<pb n= "61 recto"/> 
<lb/>sino à quello.
<lb/>Ma tempo e gìa di ricercar Mirtillo. 
<lb/>Nella ottaua scena da quello,
<lb/>Narri tù sogni, o pur sognando ascolto?
<lb/> sino a quello.	
<lb/>O se uedessi l’allegrezza immensa. 
<lb/>e da quello.
<lb/>Ma goder di colei, per cui morendo.	
<lb/>sino à quello.	
<lb/>E tu non ti rallegri? e tu non senti.
<lb/> e da quello. 
<lb/>O se tu hauessi.
<lb/>sino à quello. 
<lb/>Non posso più Corisca
<p>Et arriuano questi uersi leuati, com’hò predetto, oltre 16oo. che la fauola tutta era intorno à 6700. Di maniera che, s’altri uolesse prendere essempio dall'Aminta, essendo ella in torno à uersi 19oo. troppo notabile sarebbe la differenza. Anzi se uero è, come insegna il Sig. Angelo Ingegneri gentilhuomo, com’io dissi di gran letteratura, &amp; riputatone, che la pastorale non deurebbe eccedere uersi 2500. il Pastor Fido per poco uien'à contenere la grandezza di tre poemi. E tanto sia per la consideratio ne circa la grandezza. Ma passiamo alla terza conditione della fauola. Di questa farò poche parole, perche la cosa è da se molto piana. Vuole Aristotele nelle fauole l’unità; di che maniera <pb n= "61 verso"/> </p>
<lb/>la ricercasse, in cotai parole poi dichiarossi.
<p>Oportet igitur, ut in alys imitatricibus. una imitatio unius est, sic &amp; fabulam, quoniam actionis imitatio est, &amp; unius esse, &amp; huius totius &amp; partes con stare rerum sic, ut transposita aliqua, aut ablata diuersum reddatur, &amp; moueatur totum; quod enim cum adest, aut non adest, nihil facit, quod appareat, id nec pars quidem est.</p>
<p>Nel Pastor Fido due senza dubbio sono l'attioni contenute, e spiegate; ma altri dice tre; &amp; non forse in tutto fuor di ragione. L’auuenimento di Mirtillo, &amp; Amarilli per l'una. Quello di Siluio, &amp; Dorinda per l’altra. Et quello di Corisca la sua conuersione, per la terza. Hora le parole d'Aristotele fanno il dubbio apertissimo: Perche douendo questo tutto della fauola stare in guisa, che</p>
<lb/>Transposita aliqua, aut ablata diversum reddatur, &amp; moueatur. 
<p>Trasposto ò lasciato l’innamoramento di Dorinda, e Siluio, &amp; tutti i luoghi, doue insieme parlano; resta il poema illeso, anzi niente smosso dal suo ben’essere. E cosi medesimamente adiuiene trasposte, ò lasciate moltissime cose di corisca, &amp; in particolare la sua conuersione; perche in somma <pb n= "62 recto"/> </p>
<lb/>disse'l uero Aristotele, quando soggiunse.
<lb/>Quod enim cum adest, aut non adest nihil facit, quod appareat: id nec pars quidem est.
<p>In conformità del quale com’hanno parlato sempre gli huomini piu eruditi, cosi ultimamente l'academia nobilissima della Crusca ha affermato ch'il poema che non ha l'unità non solo non è ottimo, ma non è buono; che tali sono le loro stesse parole. Et se uoi Signori per iscusa m’apportaste perauuentura gl’inesti; Io ui direi prima ciò non hauer luogo in Aristotele, che si sarebbe riso di questo inestare. Poscia soggiugnerei, che se cotal fuga ualesse a moltiplicar l’attioni, si potrebbono formar'i poemi acconciamente d’otto, e di diece; perche l’innestar è poco, oue le persone si facciano della stessa contrada, ò professione; ò d’altre tai somi glianze fra loro. Vò dire, ch'ageuolissimo parrebbe l'inestarle, ò imbrogliarle insieme in qualche maniera. Nè se voleste seruare gl’inesti collo scudo di Terentio; la salua apparirebbe di molta stima; douendoci calere molto più dell'auttorità d’Aristotele, &amp; di tanti altri ualentissimi scrittori, che d’un semplice non dirò poeta, ma traduttore dell’altrui Comedie Greche. </p>
<pb n= "62 verso"/> 
<p>Et chi uorrà, contrapporre un capriccio di Terentio ad un leggitimo &amp; essentiale insegnamento d'Aristotele farà a mio credere paragone ridicolo. Oltre che vna anchora si potrebbe stimare l’Andria, promouendosi solamente l’attione di Carino, senz’altro finimento, che nella fauola comparisca: e percontrario tre distinti auuenimenti non già pinossi, ma compiutamente forniti appaiono nel Pastor Fido ò due senza fallo, come più uolte habbiamo di sopra fatto uedere. Facciamo hora passaggio al uerisimile cosa di tanto momento nelle fauole, che fuori di quello figure senza disegno sogliono apparire, e tanto piu sproportionate, e brutte alla uista, quanto errori più manifesti in quello si sono commessi. Che cosa sia uerisimile dichiarò il Filosofo nel proprio capitolo; &amp; però anch'io tralascierò di ragionarne più oltre, solo dirò con le sue parole; che. Verisimile est dicere qualia fieri debent, &amp; possunt. Et per entrare alla breue nel Pastor Fido in un gran fascio le dubitationi mi si fanno incontro. Ma per far capo da qualche d'una; Inuerisimile, ò uogliam dire non molto al uerisimile conforme, pare la scena, per l’attione finta in quella: Atteso che'l luogo preso per iscena si suppone molto frequentato; sendo <pb n= "63 recto"/> </p>
<p>questa la strada, che tiraua dritto al tempio, e in cui si ritruouò quel giorno tanta gente. Diciotto sono gl’interlocutori; &amp; quattro chori non meno di quaranta persone douean rileuare. E tanto più chiaro mi pare, che publica fosse, quanto secondo’l desiderio d’ogn’uno, e questo, e quello s’abbattea ageuolmente in chiunque cercaua: Segno che’l luogo era publico, &amp; di molta frequenza, com’hoggidì son le piazze. Anzi che Vranio, e Carino (cosa che maggiormente à ciò credere m'induce) Vranio, dico, &amp; Carino peregrini, che com’è costume de’passaggieri doueano far il uiaggio per la strada più commune, e maestra; per quella uennero à cercare di Mirtillo, e s’abbatterono poi ancora in tutte quelle torme di genti, ch’era no intorno al sacrificio. Inoltre dice Mirtillo di questo luogo:</p>
<p>Luogo à tutti sì noio, e si frequente. Hora stando la scena in questi termini; con poca uerisimilitudine par che ui si sia accommodata la fauola. E di gratia quanto uerisimilmente potrassi condurui Corisca, cioè donna, ch'in publico dica tante, e sì fatte ribalderie? e come i Satiri, &amp; altri à parlare soli tante cose e d’amori, e di uendette, e di stratagemi? anzi essequire uarie facende senza timore d’essere spiati, <pb n= "63 verso"/> </p>
<p>ò sentiti d’alcuno? le donzelle à tutte l’hore à trattare d’amore? ad ascoltare amanti? far balli, e giuochi? e da se senza punto di rossore fare all’amore co i giouani, chiedendo cose ò da altro tempo, o d'altro luogo più soletario, &amp; secreto? Et in somma, per finirla, persona nobile à gridare come pazza per sentire un'Echo? E ciò sia tocco quanto alla scena. Ma quanto alla fauola: dicesi che Mirtillo uenne à sapere solamente in quel giorno, che Amarilli à Siluio era promessa. Pure altroue si dice poi, che pubicamente la fede s’era data, in guisa, che non si puo stimare che’l grido; &amp; ben’ancho grande non fosse sparso per tutte quel le contrade: Epoi Mirtillo vuol'esser quel solo, che cio non sappia? Che publicamente si fosse celebrata la promessa, lo protesta Linco dicendo.</p>
<lb/>Da lei dunque la fede 
<lb/>Non riceuesti tu solennemente?
<p>Sò benissimo, da scusa di Mirtillo: Disse di non saperlo, perch’era nuouo habitatore, &amp; habitatore de i boschi. Di queste due cagioni ogn’vna par fuori el verisimile: Eran tre mesi, che dimoraua in Arcadia, &amp; in tre mesi mai nouella uerunna di ciò sentita non haurà da persona? fosse stato egli sempre sepolto. Amante tutto fuoco, qual'era Mirtillo, starà ne i boschi occulto <pb n= "64 recto"/> </p>
<p>à guisa di fera? à che fine? Non fu mai persona più curiosa dell'amante; un'hora gli sà mill’anni à sapere dell'amata sua. Et tra l'altre conditioni, c’haue la curiosità de gli amanti, un'è questa, di far diligentissima inquisitione. Se l'amata cerca l’amore altrui: s’è da marito: come, e quando sta per maritarsi; &amp; in somma cose simili spettanti allo stato, conditione, &amp; pensieri di lei. Onde non par da credere, che Mirtillo se ne stesse tanto à bada senza informarsi. Ne punto il primo inuerisimile di questo luogo pare aiutato da quanto si fà dire à Mirtillo, cioè, ch’egli per non dare altrui sospetto, non osasse cercare, s’era vero, ch’Amarilli, si maritaste, &amp; in</p>
<p>chi: perch'altri potrebbe dire, Qual sospetto? di che? gran cosa certo fra pastori il dimandare d’un maritaggio. Anzi si può quasi supporre, che bisognaua per ogni modo che lo sapesse, poich'era stata la promessa, (come fù detto) publica, e da lei s’attendea la salute dell’Arcadia da quell’horribile macello; si che d’altro quasi non douea quiui ragionarsi, da chi si fosse. Dicesi, che Corisca era dilettissima compagna d’Amarilli. Non par uerisimile, che d’honesta donzella compagna sì domestica fosse una sfacciatissima meretrice, per tale da molti del <pb n= "64 verso"/> </p>
<p>paese conosciuta. Et chi vuole uedere di che finezza era costei in cotal’arte legga nel primo atto la terza scena, di cui luogo particolare non apporto, per essere tutta piena d’infinite ribalderie Inoltre legga la quinta scena, oue ragiona il Satiro; e consideri l'opre sue. Che Corisca conoscesse Amarilli di saluto, ò in altro modo, passi; ma cotanta familiarità, cotanta fidanza non sembra punto uerisimile, che ui fosse. Corisca uenne presa dal Satiro per la chioma; e sendo à forza da quello tirata, la detta chioma si spiccò dal capo d’essa Corisca di maniera, che molto stranamente cadendo’l Satiro; sorte se ne dolse; quasi fracassato la uita tutta si fosse; dicendo egli.</p>
<lb/>Oime dolente, ahi lasso,	
<lb/>Oime il capo, oime il fianco, oime la schiena;
<lb/>O’ che fiera caduta; à pena i’ posso. 
<lb/>Mouermi, e riuelatmene.
<p>Peggio non direbbe, se li fosse stato rotto qualche grosso, e nerboruto legno sopra la schiena. In somma cotanta rouina verisimile non pare in questa caduta: poiche ciò suole auuenire, quando quello, che si trahe, stà bene affisso a qualche luogo, e che per gran forza del corpo, che poggia in contraria parte, d’indi si diuelle: Ma quella chioma si com'era posticcia, <pb n= "65 recto"/> </p>
<p>e non potea starsi attaccata a luogo alcuno del capo, che resistenza facesse; cosi nè anco sì fiera caduta douea cagionare. E qui si dè auuertire quanto poco bene comparisca, &amp; tolerabil sia questa inuentione all'occhio dello spettatore: posciache non può se non istomacare il uedere Corisca fuggire, &amp; tornare più volte in iscena senza chioma in habito feminile. E con che occasione tornò in palco? Sendo ella sì fieramente accesa di Mirtillo se ne viene a mandare ad effetto quanto promesso hauea a Mirtillo, &amp; Amarilli per mezo del giuoco della cieca: &amp; a discorrer con amendue, senza che punto sen'auueggia alcun di loro, con sì leggiadra presenza. Persuade Mirtillo ad altro amore, anzi quasi pure al suo proprio chiamandolo anima sua, se ben facea sembiante che ciò vscito li fosse senza molto auuedersene. Certo strana vista essere douea; percioche ò Corisca era di capelli corti come huomo, ò pure affatto spiumata, e pelata sembrando quella rasa tauola d’Aristotele, con che dinotò già l’anima nuda d’ogni scienza. Se diciamo’l primo, è male, se l'altro peggio; posciache più che troppo sconcia, e brutta pare in donna simile dispositione di capo. Anzi mi stupisco, che <pb n= "65 verso"/> </p>
<p>sendo se ne accorta costei, e forse itasene a casa, quando mandò Lisetta a ritrouar Coridone, acconcia non si hauesse in maniera meno sto macheuole, ouero con bende auuolgendosi'l capo, ò rimettendo nuova chioma in vece della perduta. Andò Amarilli insieme con certe altre ninfe a far giuochi in quella strada publica, che per iscena s’e finta. Non par uerisimile (tutto che questo giuoco sia stato introdotto anchora auanti'l Pastor Fido dall’auttore della Mirtia, stampata già in Parma sotto'l titolo di Martia,) non par verisimile, dico, che andassero senz’occasione a giocare alla cieca in luoghi publici. Et forse, che non douea hauerne de i più opportuni di quella nell'Arcadia per tale descritta, &amp; lodata, qual’altroue si disse. Parlato ch’hebbe Mirtillo ad Amarilli, &amp; hauuta la risposta, si parti. Restò ella, e cominciò a lamentarsi d'Amore, con molte parole. Par più tosto verisimile, che senza badare in istrada a parlere d’un amore illecito, &amp; a lei vietato; (che non sò come pur s'hauea posto a rischio d’udirlo sendoui pena la vita) si fosse andata per Corisca; con disegno, se la trouaua di accappar qualche nuouo consiglio intorno la presente occasione; se nondimeno si fà <pb n= "66 recto"/> </p>
<p>rimaner’à far’una tal sua diceria molto lunga. Dà Corisca ad intendere, ad Amarilli, che Siluio amaua certa sua fante. Inuentione, che par souerchio lontana dal verisimile; troppo bene sapendo la natura di Siluio Amarilli, poi ch'era egli noto ad ogn’uno per giouane freddissimo in amore, e disprezzatore delle donne, &amp; seguace solamente delle caccie. E forse douea sapersi anchora l'amore, che li venia portato da Dorinda; e che pure la disprezzaua, nella maniera, che nel poema si legga. In somma per ogni modo Amarilli credere non, lo douea; ma era forse mestieri fargliele credere per assestar l’altre cose, che si fanno seguire. Hauendo Corisca dato ad intendere ad Amarrilli, che Siluio era per giacere colla sua fante, le die l’hora, in che ciò auuenire douea. Non sò chi uerisimile ui sia, ch'ella andasse per trouarlo à quell’hora. Sembra più credibile, che sapesse della caccia, che facea Siluio quel giorno; atteso ch’era cosa come publica, essendo per vccidere quel cinghiale, che facea tanti danni. Solo il grido la douea hauere informata, non che diligenza in cercane. E però potea benissimo con maggior verisimile niente credere, di quanto le disse Corisca. Oltre che è da notare <pb n= "66 verso"/> </p>
<p>quell’antro parer finto in istrada publica poco verisimilmente por seruigi si fatti. Anzi che s’era luogo, punto famoso; com’esser tale s'è già detto per testimonio di Mirtillo; ritratto colà non s’harrebbe Siluio per godere colei; ricercandosi in tali affari luoghi lontani, &amp; riposti. Amarilli pria ch’entrasse nell’antro volle anda re a far orationi al tempio. Non par uerisimile; perche se affatto, come si finge, lo credette; di subito (che non molto le disse Corisca douere stare Siluio à venire) s'harebbe cacciata nell’antro: potendo ben'ella sospettare; se vi framettea tempo, di non perdere quell’occasione. S'imagina Corisca di far’andare Coridone nell'antro stesso, quando vi fosse andata Amarilli; e poscia condurre i ministri del tempio, e dar compimento al suo trattato. Tal risolutione sembra poco uerisimile in Corisca, ch'era cosi astuta, &amp; fraudolente. Percioche come potea condursi ad effetto questa sua trama, se’l tempo certo non hauea, nel quale ui fosse ò nò Amarilli, ch’era ita al tempio? Chi uolea indouinare; s'ella fosse tornata, ò nò? bisognaua tenerle dietro spia per poterlo sapere: ch’altrimenti se Corisca andaua in persona à vedere, se v’era; correa pericolo ch’in tanto uenisse <pb n= "67 recto"/> </p>
<p>Coridone, e la trouasse colà entro; ò uogliamo dire le ui trouasse ambedue, e'1 trattato restasse vano. Ma diamo anchora, che riuscito le fosse il primo disegno; &amp; poscia uenuti il ministri; auuenia però di due cose l'una; ò costoro, nell’antro sarebbono stati ritrouati in diversi luoghi; con pochisimo sospetto appo giusto giudice: ò s’auueniua che Coridone ito fosse, oue era Amarilli; conosciuta lei non essere Corisca, egli di già partito, ò Amarilli fuggita se ne sarebbe; onde beffato rimaneua il sacerdote, e fallito il disegno. Ma poniamo anchora caso, che fossero stati presi; quindi che ne succedea altro di male; se non il raccontar perch’oga’uno colà si fosse condotto? E troppo creduto harebbe'l sacerdote, non essendoui sospetto pur minimo d'amore fra questa copia. Sì che in fatti lo strattagema da si scaltro ingegno inventato, se si considera bene, par'anzi friuolo, che importante. Corisca femina ripiena di cotanta malitia con molto studio procura di far trauedere Mirtillo; e si fattamente perciò di tiene astuta; che da se stessa chiede corona; quasi maggior ingegno di mostrare non si potesse. Fù quando li diè ad intendere, che Amarilli per vil pastorello se douea colà entro ritirare: e gliele <pb n= "67 verso"/> </p>
<p>persuase; e fece appiattarlo vicino all'antro per accertarsene. Poscia con tutto il sottile suo auuedimento, benche amando grandemente, Mirtillo, non seppe imaginarsi; che cio veduto, egli, ò si sarebbe vcciso da se stesso per so dolore, come le disse più uolte; ò harrebbe vcciso il riuale, &amp; cosi stato saria costretto à fuggire di quei paesi. In ogni maniera dunque Corisca venia in rischio di perdere per la stessa via, che procuraua d’ottenere, quello, di ch’era tanto bramosa. Se ne và nell’antro Amarilli: &amp; nell'entrare dice varie cose, chiamando’l nome di Mirtillo. Non par uersimile, ch'in istrada, in occasione di prestezza, e di silentio, cicalasse tanto; &amp; fuori d’ogni proposito uolesse dare di se sospetto à chiunque per sorte vdire la potesse. Entra Mirtillo anch'egli, per risoultione fatta, nella spelonca. Nell’entrare chiacchiera gran pezzo. Amarilli non sente cosa ueruna. Egli si nasconde; &amp; non è veduto da lei, nè dal Satiro soprauegnente. Non par uerisimile, che non, fosse sentito da Amarilli, ò nel ragionare, ò nel caminare per la spelonca, se forse non era lunga qualche migliaio, &amp; ritorta; ed ella fin’entro alle uiscere del monte penetrata. Nè sembra potersi dire, che Mirtillo entro <pb n= "68 recto"/>nel principio dell'antro, &amp; quiui si mise; perche il Satiro l’harerebbe ageuolmente veduto; ò egli’l Satiro, &amp; impedito gl’il chiudere dell’antro; sì che punto seguito non sarebbe, di quanto poscia seguì. Chiuse dunque l’antro il Satiro sterpendo con un pezzo di legno trovato à caso una balza di monte. Fù per tanto vna sì fatta rouina di far cadere a terra una rupe; nè per quanto si sappia, Mirtillo ch'era forse poco adentro cosa ueruna sentì. E pur’ogn’uno si può imaginare lo strepito, che douette fare. Et riuolse cosi gran petrone con un pezzo di tronco d'elce, che non molto grosso douea essere, a quanto imaginare si può, tutto che forse a ciò fare bastata non sarebbe una quercia di quelle annose, stando ancho, qual egli dicea, il sasso molto fisso nel monte. Chi vuole uedere l’immensa fatica, che vi si ricercaua, legga quanto quì soggiugnerò di sua bocca: disse cosi</p>
<lb/>O come è greve, ò come.	
<lb/>E ben affisso: quì bisogna il tronco. 
<lb/>Spinger di forza, e penetrar sì dentro;
<lb/> Che questa mole alquanto si diuella. 
<lb/> Il consiglio fù buono, anco si faccia.
<lb/> Il medesimo di quà; come s’appoggia: 
<lb/>Tenacemente: è più dura l’impresa. 
<lb/>Suellerlo, nè per uito anco piegarlo.
<pb n= "68 verso"/>
<lb/>Forse il mondo è quì dentro, ò pur mi manca 
<lb/>Il solito vigor, stelle peruerse,
<lb/>Che machinate ?
<p>Ma diamo che lo moùesse, &amp; facesse cadere dal suo luogo: Come auuenne poi, che nel semplice cadere, il sasso in guisa s’accommodasse, che senz'altr’opera metterui turasse l’antro sì bene, ch’altri vscire non ne potesse? certo ciò non pare verisimile; se come di molta discretezza, &amp; intendimento si finse di sopra il Ladone, cotale non si finge qui anchora sì fatta rupe. Furono presi Mirtillo, &amp; Amarilli, &amp; ambo al tempio condotti; ma per diverse strade. Par necessità poco verisimile: A che proposito di gratia? se ciò non hauesse commandato qualche legge, ò mistero. Ma fù’l mistero, direbbe forse alcuno, perche poteste procedere la fauola, come di molt’altre cose anchora s’è fatto; ch’altrimenti difficile occasione sarebbe nata di condurla al suo fine; e qui da tale separatione s’è cagionata sa diceria d'Amarilli con Nicandro. Non si tosto giunse Amarilli innanzi al sacerdote, ch’incontanente alla morte fù condannata. Ciò non si fà verisimile; perche à i rei, c’hanno commesse le maggiori scelerità, che ci sieste, dassi tempo un giorno; &amp; tall'hora più; &amp; à costei niente? Senza vdire <pb n= "69 recto"/> </p>
<p>sua ragione uien condannata? strana giustitia sembra questa. Et forse, che per fuggire quel passo cosi duro, non'haurebbe confessato il sucesso del fatto, come si staua? E doue, mai s’udi ch'alcuno à morte si condannasse, senza sapersi a pieno il misfatto, ch'egli hà commesso? E dicesi pure.	</p>
<lb/>Fù quasi in un sol punte.
<lb/>Accusata, conuinta, condennata. 
<p>Nasce sospetto, che l’auttore, non le habbia fatto confessare il fatto, come forse douea, perche ne succedesse quel fine, che poi succede; altrimenti la cosa era spacciata. Ma consideriamo ancho questa parte come si sia felicemente condotta. Mirtillo è preso; Amarilli è presa; si tratta ch’el la adultera sia; nè Mirtillo, nè Amarilli confessano, perche uero non era; ne il sacerdote gl’interroga; il quale oltre ciò, che s’è già discorso, hauea ancho di farlo cagione tanto maggiore, quanto il Satiro gli hauea palesato, che nell'antro erano Corisca, e Mirtillo; tuttauia si ritrouaro Mirtillo, &amp; Amarilli. Potea dunque dubitarsi ò di stratagema, ò d'altro, in sì fatto caso: ò almeno era mestieri prenderne marauiglia, &amp; uoler risaperne il uero. Oltre che Mirtillo per ogni modo douea farsi innanzi al Sacerdote; e confessargli <pb n= "69 verso"/> </p>
<p>'l fatto, mettendo à partito il giuditio suo; >il quale ageuolmente alla morte d’Amarilli corso non sarebbe con tanta fretta: anzi considerato bene il caso, &amp; essaminate le persone, succeduta ne saria la liberatione di lei: Ma ogli si stette mutolo: &amp; l’ardore, &amp; l’ardire passarono tosto in fredezza, &amp; in fingardaggine. Vuole per lei morire; e non osa raccontando la uerità liberare lei, e se stesso da quel periglio? Amarilli finalmente per quanto si uede uolle confessare, ma poi non confessò cosa ueruna del fatto. Recò in testimonio della sua innocenza certa ninfa, nè più oltre procedette. Confesso d'hauer gran dubbio. Perche di gratia in caso di morte, &amp; morte obbrobriosa, non par laua chiaramente? perche non si lascia ua intendere? innanzi à Nicandro hauea pur già detto, che le pesaua il morire? E qui si torna à uedere di qual lega era il giudice. Costei allegaua Corisca per testimonio della sua innocenza, &amp; egli sopra questo badò tanto, quanto à sua discretione li parue; &amp; quando per termine di ragione douea andare pesato; &amp; informarsi ben bene di costei, ch'era allegata per testimonio; si lascio à rompi collo cader'in una sentenza ingiustissima della morte d’un’innocente.</p>
<pb n= "70 recto"/> 
<p>Condannata che fù Amarilli, &amp; stando di già per essere condotta al sacrificio, Mirtillo s’offerse di morire per lei; e tra loro nacque grande contesa, perche Amarilli à niun partito uolea; ma dapoi ch’era stata cosi dal sacerdote sententiata intendea morire. Questa contesa non pare molto uerisimile in donna, che per l'adietro s'era mostrata, come s’è detto, molto uolonterosa di uiuere: per ch'à dire'l uero il morire non è mica cosa di sì poco rileuo. Carino ritenne il Sacerdote, che uolea sacrificare Mirtillo, e uolle sapere il perche del fatto, &amp; li fù dato risposta di quanto chiese. Fuori del uerisimile pare cotal'informatione datali; non si facendo credibile, che quegli che reggea le diuine, &amp; l’humane cose in un sacrificio di tanta importanza s'abbassasse à rendere ragioni dell’attioni sue, e della sua giustitia, e racontarle ad un vecchio forastiero, ignoto, negletto, &amp; isgridato per pazzo, &amp; importuno. Volendo Carino saluare Mirtillo, fà mille contrasti, &amp; giurimenti inuolti di maniera che parea affermare cose contrarie. In caso di tanta importanza dubito non tengano del uerisimile cotali sue dicerie; parendo, che si douesse immantenente narrar’il fatto chiaro, come già era succeduto; &amp; in ogni <pb n= "70 verso"/> </p>
<p>modo quanto prima procurar di saluarlo, non che di modo badare, che lo sgridarono per pazzo, mentre in uero sembraua infingersi, come se la uita di Mirtillo saputa non hauesse. Doue è d’auuertire, che quell’hauer riconosciuto Dameta doppo lo spatio di 19. anni, tiene tanto poco del uerisimile, che niente più, in un uecchio, che ueduto l'hauea già tanto tempo solo una uolta, &amp; à cui douea per diffetto d'eta mancare una cosi buona memoria, quale pare douersi ricercare in huomo, che vecchio doppo spatio di 19. anni si uoglia ricordare d’uno, che già uide vna sol uolta. Siluio ammazzò un teribilissimo cinghiale poco uerisimilmente. Hercole persona di cotanta forza u'hebbe sì che fare, che l'ammazzare un sì fatto animale gli fù posto per una delle dodici fatiche sì famose: E poi un giouinetto molle di sedeci, o diecisett’anni l’ammazzerà, per cosi dire, per ischerzo? Dorinda offesa di graue ferita fà lunga diceria; ilche pare contra ogni uerisimile. E chi ueduto hà feriti; ò puato ferite; lo può ottimamente sapere. Anzi in tale stato, &amp; in cotanto dolore, ch'isuenire la fece; fingesi (com’io dubito) con poca verisimili rudine, ch’in un momento si sani, &amp; uenga à tanto, che Siluio la sposi, e la <pb n= "71 recto"/> faccia sua donna; per quanto habbiamo da Linco nella settima scena dell'atto quinto. Ch'ella mò fosse all’hora in pessimo stato, e che sol nel uederla si stessero attoniti.</p>
<lb/>E con tremante cuor’huomini, e donne.
<p>il luogo stesso ce ne fà fede: e lo riconferma l'altro nella scena settima del quinto atto; oue s’introduce, ch’il ferro della saetta era sì profondato, che possibile non fù di spiantarlo; ben che si faccia poi in un'istante con non so qual’herba souuenuta à Siluio dopo l’hauer prima cianciato tanto, &amp; tormentatala</p>
<lb/> Senza fatica, ò pena 
<lb/> La man seguendo ubbidiente uscirne.
<lb/> E si soggiunga.
<lb/> Tornò il uigor nella donzella, come 
<lb/> Se non hauesse mai piaga sofferta. 
<p>&amp; era ben dibisogno d’usar tale maniera, se strada uoleasi fare à quell'altro gentil concetto dell’esser poi subito stata ferita da Siluio d'altra piaga, &amp; descriuer la loro diuersità con queste gratiose parole.</p>
<lb/>L'una saldando si fà sana, e l’altra 
<lb/>Quanto si salda men, tanto più sana. 
<p>Trascorso il largo campo del Verisimile succede la quinta proprietà del la fauola, &amp; è che siano di tal modo contesti gli Episodi fra loro, chel nesso ò verisimile, o necessario sia. Nel</p>
<lb/> 
<p>Pastor Fido prima se consideriamo l’attione di Dorinda, e Siluio inestata, nesso veruno leggitimo contiene con la fauola principale; atteso che si leua ogni cosa senza molestare punto l’attione di Mirtillo, &amp; per ogni modo succeder può senza l'aiuto dell’inestata. Parimente in quell’altra di Corisca n'hà gran parte; che poco, ò nulla hà che fare con questa e sopra'l tutto la conuersione sua. Adunque par’affai chiaro, che questi tre auuenimenti ò diciamoli inestati, ò per altra uia ridotti insieme, non tengano nesso leggitimo fra loro. Vi sarebbe per secondo da considerare se le particelle di ciascuna attione, &amp; massimamente quelli dell'attione di Mirtillo habbiano anch’elle fra loro questo nesso pure da Aristotele ricercato: Ma’tal consideratione saria assai lunga: Quinci io me n’ispedirò con accennarne un particolare ò due, rimettendo il resto all’altrui giuditio. Nell’attione di Mirtillo u’è’l soliloquio di Amarilli da poi scopertole da lui’l suo amore, &amp; partitosi: che all’hora si finge hauer di ciò lungamente ragionato, &amp; à caso essere stata udita da Corisca, ch’era poco lunge nascosta, con la qual cosa, che tiene assai del freddo, &amp; dell inuersimile, si pretende di connetter’il rimanente di quei successi.</p>
<pb n= "72 recto"/>
<p>In quella di Siluio u'è la caccia, e’l trionfare di quel cinghiale intrecciato con la ferita di Dorinda per mezo dell'uscita di Siluio, &amp; del cicalamento intrauenuto con Echo. Lequali cose se necessariamente, ó uerisimilmente s’acconcino col successo, io stò molto dubbio. Necessità non ui scorgo: E più di uersimilitudine parrebbe hauere, che Siluio stato si fosse in gioia con li compagni, ch’uscito in palco solo, &amp; senza cagione con tanto poco decoro. Ma per non generare com’hò predetto molta più noia, che frutto; &amp; perche alcuna cosa à ciò conferente, s’è forse detta nel Verisimile, à questa parte si ponga fine. Assegna per sesta proprietà Aristotele alla fauola tragica il terribile, e’l miserabile. Possiamo per contrario conchiudere la comica hauere’l piaceuole, &amp; il ridicolo; Et la mista, quale si vuole, che sia la Tragicomedia, un misto di terribile, e miserabile, piaceuole, e ridicolo. Cosi mi pare appunto che si uenga à sentire nelle difese della Tragicomedia; anzi che nè altrimenti si può cauare cosa che dalle dette diuersa sia; nè intorno à questo io per hora intendo di far parole. Veggiamo dunque se nel Pastor Fido ui hà cotal misto: E di tanto mi pare lui mancare, quanto hò sentito sempre più abondar <pb n= "71 verso"/> </p>
<p>del contrario; cio è d’una proprietà semplice Tragica, ch’è’l terribile, e’l miserabile. Percioche i ridicoli, i piaceuoli casi non sò ritrouare quali si siano; parmi bene ch'ogni cosa tenda principalmente all’atrocità. Anzi qual cosa più terribile, &amp; miserabile s’aspetta, quanto ciò ch’alla persona di Mirtillo appartiene? Di uero se questo per ischerzo, o per cosa mista si reputa, io non sò di che natura debba essere il serio, &amp; il semplice. Et che in Mirtillo non cada terribilità, &amp; commiseratione tragica sembra a niunmodo potersi dire; quando, auuegna che la terribilità ad effetto compiutamente ridotta non uenga, ciò in Aristotele nulla gioua: Si perche: dice egli nel secondo della Fisica al testo 56. Quod est parum distans, tanquam nihil distare uidetur; si anco perche in particolare il terribile, &amp; il miserabile tragico senza fallo per questa sola propinquità uiene ad esser perfetto secondo lui. E chi di gratia non hà letto nel capo della buona costitutione della Tragedia, ottima esser quella; quando aliquis facturus, cum agouisset, non fecit? Non ci dà egli l’essempio anchora di Merope, che douendo ammazzare Cresfonte suo sigliuolo, riconosciutolo, se n’astenne? Non la chiama constitutione ottima di Tragedia?</p>
<pb n= "73 recto"/> 
<p>Certo se quello è caso tragico, &amp; ottimo, ui dee essere’l terribile, e’l miserabile, altrimenti dottrina falsa, e uana sarebbe questa. Et se il terribile, &amp; il miserabile semplice, e non misto u'hà in quello; haurà ben parimente in questo di Mirtillo, che poco diuersificato è nello stesso genere di constitutione? Onde parebbe restar poi chiaro quello che dianzi proposi, cioe che supposta la mistura tragicomica; questa non sia, ne si scorga nel Pastor Fido; ma si bene il terribile, e miserabile tragico. Intorno alle due proprietà rimanenti cioè settima, &amp; ottaua, altro per hora dir non m’occorre, se non che quanto alla passione hauente forza d'ammazzare, come si dice, richiesta d'Aristotele per la Tragedia, cosi pura tragica par ritrouaruisi (come conoscer si può da quanto s'è discorso) che malageuolmente si può negare. Ma poiche habbiamo assai minutamente considerata questa prima parte della qualità, passiamo alle rimanenti, &amp; diciamo de i Costumi. <pb n= "72 verso"/>Vattro cose proposi douersi considerare circa le parti della Qualità nel Pastor Fido; la Fauola; Costumi; la Sentenza; e la Locutione. Considerato habbiamo intorno alla Fauola; hora seguitiamo à i costumi. Questi tre conditioni uogliono hauere; (oltre l’esser migliori, ò peggiori; secondo che tragici, o comici sono;) tre dico, oltre quella; &amp; sono; Conueneuolezza al sesso; all’età: alla natione: &amp; finalmente alla conditione di ciascheduna persona: Similitudine: &amp; Equalità. Tanto ci lasciò scritto Aristotele a i suoi luoghi nella Poetica. Hora le di lui uestigia, come di sopra fatto habbiamo, tuttauia seguiremo, perche quanto di reo sembra ad essere ne i costumi delle persone del Pastor Fido tutto a questi tre capi si riduce. E per uenire al particolare, Siluio, (direm poscia de gli altri) uiene finto cacciatore grande, e famoso, e sommamente prattico in tale mistiere; come si predica nel quarto atto, alla sesta scena: poi all’ottaua, uedendo un lupo, e cercando di uolerlo ammazzare, si scorda delle proprie, e uere arme da cacciatore, lequali hà al fianco, e pensa ucciderlo co i sassi, li quali per la strada uà brancolando.</p>
<p>E' persona reale, ricca, e le sole speranze del padre: Et nel secondo atto, alla seconda scena si finge ristretto in casa di modo, ch’à sua uogiia disporre non possa di cosa uile; come d’un capro, ò d’un’agnella; massimamente in caso ragionevole, come nella ricuperatione <pb n= "74 recto"/> </p>
<p>del suo Melampo, cane à lui caro sopr’ogn'altro. Come persona reale s'introduce nel primo atto in istrada accompagnato da gran moltitudine di gente: E poscia nel quarto, alla scena ottaua, si fà uscire, senza bisogno ueruno, solo &amp; à gridare come un pazzo in uia publica. Religioso s'introduce, &amp; con molta uogla di uisitare gl’Iddij nel tempio; non dimeno poco poi diuiene disprezzatore, anzi bestemmiatore di quelli. Hà dato publica fede per lo matrimonio, che placare douea Diana chiamata da lui sua sola Dea; e pur se n’infinge; anzi nel quarto atto la bestemmia, dicendo verso Diana.</p>
<lb/>E tu, che lascorgesti,
<lb/>E tu, che l’essaudisti.
<lb/>Nume di lei più infaust o, e più funesto.
<p>Inoltre confessa Venere per Dea, poi bestemmiando, di molte ingiurie, e uillanie carica anchor lei. Come dissi per tanto zelo di religione era cosi uoglioso di girsene al tempio, &amp; hauea detto.</p>
<p>Nè si comincia ben, se non dal cielo: Poi ad un semplice cicalamento di cose uane, &amp; secondo essolui inhoneste, buona pezza si trattiene, anzi tra poscia d’andarui. E’ semplice , sì che con sà cose si sia amore: pure nel quarto atto s’à tanto del dotto, &amp; del <pb n= "73 verso"/> </p>
<p>prattico ne i traffichi amorosi quanto quiui si legge. Abborisce tali ragionamenti; ma tuttauia gli ascolta, e vuole sapere per uia d'interrogatione da Dorinda, che cosa sia questo Amore, sendouene’l minor bisogno, che mai si ritrouaffe: &amp; le uà proponendo anchora buon campo per cicalare amorosamente. Di nimico sì fiero d’Amore diuiene tosto sì suiscerato amante, che'l più perfetto mai non uide il regno amoroso; ch'è quello di cui Aristotele riprende Euripide; &amp; è luogo al parer mio irreparabile. Tutto che fanciullo si fà molto di se presumere, e si finge per quanto apparisce nel poema assai uano: Et tuttauia in parte di quello uà molto pesato, e fà piu che troppo del prudente, &amp; in particolare quando hà saettato’l lupo, &amp; riconosciutolo. Finalmente per fornire la consideratione sopra i costumi di lui, si fà molto al padre disubbidiente; poiche Montano uolea dargli moglie, &amp; esso a tutto suo potere ciò rifuggiua, per seguir’indarno quel, che nulla rileuaua per la salute d'Arcadia: Et a questa sua disubbidienza paiono contrastar due cose; la prima il fingerlo religioso molto: per che chiunque è tale non suole disubbidir al padre; la seconda, che nell’Attizzato si afferma quei pastori d'Arcadia, <pb n= "75 recto"/> </p>
<p>fra l'altre doti loro, esser’ubbidientissimi. Hora passiamoci a Mirtillo. Giouane modesto, e discreto si finge: La modestia; oltre che poco è di giouani propria, per quanto Aristotele vuole nella Retorica, non par’anchora in lui mantenersi eguale: Conciosia che alcune uolte apparisce freddeza, &amp; alcun'altre diuiene sfacciataggine. S’inamora d’Amarilli; non si contenta esserne acceso, che scuopre l'ardore; &amp; à chi poi? ad una sua sorella uergine; e perche? per uoler esser aiutato in questo suo accidente amoroso da lei; e fino à tanto ardisce, che si mescola trà le donne in gonna feminile; e giuoca; e la bacia, &amp; n’è coronaro: Vn'altra fiata tutto addolorato, tutto uoglioso dell’amore d’Amarilli brama hanersela innanzi; e poterle fauellare: Nasce l'occasione; &amp; egli se ne stà freddo, &amp; immobile, come tronco inanimato: sì che à Corisca conuenne spignerlo in braccio all’amata dicendosi.</p>
<lb/>Prendila da pochissimo, che badi
<lb/>Ch’ella ti corra in braccio?
<lb/>O'lasciati almen prendere: sù dammi 
<lb/>Cotesto dardo, e nulle incontra sciocco. 
<p>Inoltre, com’alle uolte è tutto freddo tutto ghiaccio, non osa parlare à pena di cose più, che ragionevoli, &amp; da huomo discretto: cosi poscia si lascia <pb n= "74 verso"/> </p>
<lb/>uscire di bocca quelle parole, che sono nell'ultima scena del quinto atto. 
<lb/>O’ mio tesoro.
<lb/>Ancor non son sicuro, ancoi’i’ tremo, 
<lb/>Nè sarò certo mai di possederti,
<lb/>Per fin che ne le case
<lb/>Non se’ del padre mio fatta mia donna; 
<lb/>Questi mi paion sogni.
<lb/>A’dirti’ l vero; e mi par d'hora in hora 
<lb/>Che’l sonno mi si rompa;	
<lb/>E che tu mi t’inuoli anima mia: 
<lb/>Vorrei pur ch’altra proua.
<lb/>Mi fosse homai sentire,
<lb/>Ch’el mio dolce vegghiar non è dormire. 
<p>Non pare potersi dire più alla scoperta, nè richiedere donna con maggiore ingordigia. Et Amarilli tutto che di cuore l’amasse, conobbe l’immodestia, &amp; ne lo tassò; dicendo. </p>
<lb/>Ben se’ tu frettoloso.
<p>E ciò per quanto appartiene à i costumi suoi. Montano è padre di famiglia; vecchio; persona regale; sacerdote; tutto pieno di grauità; &amp; di molte altre importantissime conditioni dotato; e pure garrisce come vn fanciullo con Titiro; anzi nè molto pensoso da douero si mostra della salute d’Arcadia: spera ne i sogni ha’l male presente; &amp; con la sua auttorità può rimediarli, facendosi ubbidire al figliuolo; e scioccamente rimette ogni cosa al tempo: si farà con tempo: e più <pb n= "76 recto"/>vuole che sì tenga per huomo, cui molto caglia la salute d'Arcadia. In somma tanto poco mantiene sua dignità, ch'in istrada publica; alla presenza della gente; in maestà di sacerdote sacrificante si mette a contendere, con vn vecchio huomo di niun rileuo; forastiero; non punto da lui conosciuto; &amp; da i ministri riputato importuno, &amp; pazzo &amp; à contender' in modo, ch’esce quasi de i gangheri. Titiro è vecchio tratta su’l serio, e si mette a fare una affettatissima descrittione della rosa; cosa, che douea in tutto essere aliena da i pensieri dalla professione, &amp; dal negotio di quel punto, se per uecchio rimbambito non volea esser tenuto. Altrone oppresso dal dolore per la morte creduta di sua figliuola in vece di correre al tempio per la salute di lei, si trattiene spargendo madrigali, quasi'l fatto non sia di lui. Ne vale a dire, che rimase dall'andarui, per quello, che li disse il messo, perche l’affetto douea in ogni modo trasportarlo, &amp; conduruelo. Linco istitutore di Siluio è vecchio; discreto; religioso; ma per ribambire nelle cose amorose, mentre v’essorta Siluio, con tanti giri trattenendosi più tosto in uaghezza da huomo spensierato; che seriamente discorrendo, &amp; con fundamento di <pb n= "75 verso"/> </p>
<p>cosa tanto importante, quant'erano quelle nozze. Nicandro ministro sacerdotale con poca conueueuolezza sembra ragionarsi, poi ch'esso anchora in caso di dolore, com’era quello ch’auuenne nella presa d’Amarilli, gentilmente tal’hora madrigaleza; anzi si mostra maligno. La misera donzella uariamente si scusa, &amp; egli che ueduto punto del fatto non hauea, le oppone gagliardissimamente, e uenendo essa all'atto del giuramento con più che troppo superbia la risiuta, &amp; oue pura consolatione usare doueua, &amp; con desterità procurar di non le accrescer dolore, usa con tanta asprezza, che per la disperatione conceputa isuenimento ne segue. Ne qui parimente la scusa sua può molto salvarlo, poiche douea usare con lei ogn'altra maniera, che quella che tenne, dovendo per ogni modo mostrare &amp; più prudentia, &amp; piú discretezza con Amarilli. Dorinda presupporre si dee giouane più tosto nobile, ch'altrimenti: &amp; donzella. Pur si finge cosi sfacciata, che non arrossa in publica uia alla presenza d'un seruo, &amp; del uecchio Linco parlare (rimossa ogni uergogna) di cose amorose: travestirli, &amp; mescolarsi, come incognita, in luogo, &amp; à spettacolo publico tra infiniti huomini; cosa da persona <pb n= "77 recto"/>sciolta, e di partito; e finalmente dimandar baci in istrada à Siluio, &amp; offerirgli le mammelle. Queste sono sue parole.</p>
<lb/>A me poma non mancano potrei 
<lb/>A te darne di quelle, che son forse 
<lb/>Più saporite, e belle, se i miei doni 
<lb/>Tu non hauessi à schiuo.
<p>Pare che peggio non fosse per dire una meretrice, non che giouane modesta, e uergine timorosa dell'honor suo. Amarilli puossi paragonare all’Ifigenia d'Euripide; teme la morte. </p>
<lb/>Quella, che fù pur dianzi 
<lb/>Si da la tema del morire oppressa.
<p>Et poscia in un subito altro non vuole che morte; nè può patire indugio; offerendosi di morire per lei Mirtillo. Di questa inequalità non dirò altro, senonne, che souuengano altrui le parole d’Aristotele intorno alla predetta Ifigenia. Corisca femina sfacciata è troppo audace non solo di que l'audacia, che tengono le meretrici, ma dell’audacia uirile. Et in una parola costei nel poema e un'Idea d'abominatione; cosi apunto uien’osseruato, &amp; detto di essa da colui, che nouellamente hà scritto quei discorsi contra le donne. E alle mani col Satiro, &amp; uiene perseguitata per ogni luogo da quello, anzi due fiate la prende, &amp; essa con inganni se ne fugge, &amp; ardisce <pb n= "76 verso"/>d'indi à poco tornare à trattenersi buona pezza nell’istesso luogo. Donna imbelle; atta solo à gli ruffianesmi, &amp; lasciuie d’amore; non temendo il Satiro, mostro potente, che suelle i monti, &amp; è solo nato alla forza, rapina, crudeltà. Di sì famosa meretrice si conuerte da se stessa, e diuiene la miglior donna, la più casta, la più honesta, e la più rimessa nelle uanità di questo mondo, che mai si trouasse. In qual modo in Aristotele si possa sostenere cotal mutatione io di nuouo replico non uedere; oltre che, si come da un de'nostri Academici ancho s'aggiunse, secondo gl’insegnamenti di quel Filosofo non è cosa men tolerabile ne i poeti, che’l far, che persona scelerata sortisca buono, e felice fine. E tuttauia s’è compiaciuto l'auttor del Pastor Fido di favole lo sortisca costei non solo scelerata, ma infame. Vltimi sono i costumi del Satiro. Si finge mostro, seluaggio, rozzo, amante di Corisca, ma corrucciato con essolei; anzi disposto se la poteua hauere nelle mani di farne crudelissimo stratio. Cosi mostro seluaggio, e rozzo, com’e discorre tanto cittadinescamente, che nulla più, contra la ragione; l’espresso diuieto d'Horatio. </p>
<lb/>Siluis deducti caueant me iudice Fauni 
<lb/>Ne ueluti innati triuijs, ac pene forenses
<pb n= "78 recto"/> 
<lb/>Aut nimiun teneris iuuenent versilus unque.
<p>Che'l Satiro faccia del salace, &amp; del dicace, passi; ma ne i termini; cioè rozzamente, &amp; alla rustica, meschiatoui qualche scintilla, non dirò d'urbanità, ma di cosa quella redolente, come giuoco, e mordacità leggiere nascenti dal fatto, in che per all'hora si truoua. Et questo seguitò’l Tasso nel suo Satiro. Che quanto à me chi uorrà condurlo nelle camere delle donne, &amp; nelle scuole d'Amore, facendolo discorrere de i lisci, e de i belletti, &amp; acconciature di teste, &amp; de i precetti d’Amore, con tanta cura, quanta ne ueggiamo nel Pastor Fido, non sò quanto lo farà conueneuolmente. Hà rissa mortale con Corisca, &amp; le promette prendendola di farne stratio grande: La prende; poi bada alla uendetta con infinite chiacchiere, send’egli mostro, com’io dicea, tutto dato alla crudeltà, &amp; alla fierezza, &amp; che poco per uerisimile douea cercare la ragione; tuttauia scherzano insieme con ragioni, come se da un mostro, ad un’huomo differenza non fosse. Cosi nel medesimo modo procede quando giudicatala esser nell’antro, quello chiuse con disegno di far’intendere sua ragione al Sacerdote. E tanto detto sia de i Costumi.</p>
<pb n= "77 verso"/> 
<p>LA Sentenza com’ogn’una dell’altre parti della Qualità à uarie conditioni soggiace anch'ella; e tanto più quanto in fronte assai souente portando'l costume di chi parla, &amp; con esso costume affacendosi, ò nò, secondo l’occasioni, conueneuole, &amp; non con- veneuole comparisce. Ma certo fra per altre sue conditioni importanti ui hà questi; che send'ella, com'hò predetto, cosi prossimana al costume, tale, quale sara’l costume apparir deo la sentenza. Inoltre send'ella ritrouata sì per amplificare; come per diminuire; monere gli affetti; dichiarare l’animo; e somiglianti cose, ch’insegna à propri luoghi Aristot. bisogna per ogni modo guardarsi, cosi dalla superfluità; come dal diffetto, doue ne fosse bisogno; e sì dal trasportare il concetto, oue non è mestieri; come dal seruirsi di ciò, che tal'hora e noci no à quanto uogliamo ò prouare; ò spiegare; &amp; che se non importa il contrario, almeno indebolisce, &amp; oscura il ragionamento, &amp; le pruoue, &amp; amplificationi. Hora si come io hò particolarmente dubitato d'intorno à i costumi, cosi potrei andare addattando gli stessi dubbi, ò gran parte, d’intorno à tutte quelle sentenze, che di essi costumi espressine sono, e per cosi dire, con essi hanno connessione, &amp; necessariamente <pb n= "79 recto"/> </p>
<p>participano de i loro diffetti; ma ciò tralasciò di fare per non esserne mestieri appo gl'intendenti. Et s’alle uolte io ne toccassi, sti missi fatto ò per annodare le cose da dirsi; ò per risuegliare in ciò la memoria dalle già dette. Et nel ritirarmi ad alcuni concetti del Pastor Fido lo farò scorrendo di scena in iscena. E per cominciar dalla prima; diciamo. Linco (e ciò fu pur ancho tocco ne i costumi) trattando Siluio di andare al tempio li risponde, che non è hora, e cosi prende occasione di persuaderlo ad amare. In questa sua persuasione Linco si seruì tra gli altri di certo concetto degno più tosto di qualche Filosofo Platonico, che di basso pastore; anzi per conditione quasi servo, dicendo:</p>
<lb/>E che sentiraai tù, s’amor non senti 
<lb/>Sola cagion di ciò, che sente il mondo? 
<p>Questo luogo istesso trattò innanzi il Tasso, e certo com’io credo assai più felicemente, il quale non abbandonandosi tanto sopra la Filosofia, ma tessendo ragionamento di concetti communi, &amp; gratiosi; come della dolcezza de i figliuoli; dell’età; e di cose simili, aggiuntaui quella sua par ticolare idea di fauella tanto conueneuole; e propria à giuditio d'ogn’uno della poesia pastorale; ci lascio bellissimo <pb n= "78 verso"/> </p>
<p>essemplare d’una persuasione all’amare. Doue si può notar, ciò che accresce infinita uaghezza al ragionamento suo, ch’alle ragioni di Dafne tal'hor Siluia risponde non certo contendendole, ò risiutandole à capo, à capo; ma in guisa piaceuole procurando da quelle schermirsi; cosi mostrando, come dir si fuole, per qualche cosa hauere la lingua; ond’è che molto piu contento lascia’l lettore di quello, che fà Siluio, il quale in poema cosi ridondante si mostra aridissimo nel risponder’à Linco. Seguitando Linco la sua persuasione; da Siluio gli uiene risposto cosi. </p>
<lb/>Nè sì famoso mai, ne mai si forte 
<lb/>Stato sarebbe’l domator de mostri 
<lb/>Dal cui gran fonte il sangue mio deriua 
<lb/>Se non hauesse pria domato Amore:
<p>Questa risposta uiene molto da lunge da quello, di che ragionauano, &amp; è tale, che perauuentura più tosto pare interserita per far che seguisse Linco à ragionare, che per esserne alcun bisogno. Vò dire che sotto il superfluo della Sentenza sembra potersi riporre. Oltre che non sò per me quanto vera si sia, non mi souuenendo mai d'hauer’udito nominar Hercole per idea d’Heroe, che domasse Amore. Quando di gratia domò egli Amore? se non deggio più tosto dire, <pb n= "80 recto"/> </p>
<p>quando non fù egli sottoposto, anzi calpestata la gloria sua dalle femine, &amp; da ogni sorte d’amore illecito? E di ciò non ne sono forse le carte piene? Io posso errare, ma dubito sommamente, che sia questo concetto non sol souerchio, ma non uero; e nociuo; Poi che immantinente presta etiandio occasione a Linco di dire. </p>
<lb/>ancor non saì,
<lb/>Che per piacer ad Onfale, non pure 
<lb/>Volle cangiar in feminili spoglie 
<lb/>Del feroce Leon, l’ hispido tergo,
<lb/>Ma della claua noderosa in uece 
<lb/>Trattare il fuso, e la conocchia imbelle 
<p>Ma con tutto ciò molto anchora nociuo pare quest'altro concetto alla persuasione pretenduta per Linco: perche potea anzi douea Siluio, che facea parole, quando meno importaua, rispondergli all'hora, e dirli; s'Amore conduce gli huomini ancho per altro generosi, a sì bassi , uili, &amp; odiosi uffici, non me ne ragionar più a modo ueruno, che non sia uero mai, ch’a sì fatte indignità io soggiacia. Dichiara Linco questo suo concetto d'Hercole, &amp; per approuare quanto dicea, uiene all’agguaglianza del ferro; soggiugnendo.</p>
<lb/>E come il rozzo, ed intrattabil ferro 
<lb/>Temprato con più tenero metallo. 
<lb/>Affina sì, che sempre più resiste,
<pb n= "79 verso"/> 
<lb/>E per uso più nobile s’adopra.
<lb/>Cosi vigor indomito, è foroce,
<lb/>Che nel proprio ualor spesso si rompe;
<lb/>Se con le sue dolcezze Amor il tempra 
<lb/>Diuine all’opra generoso, e forte;
<p>Oue si dee auuertire, che la comparatione stare potrebbe, se’l comparato fosse vero; ma io dubito, che non sia vero, che’l ferro per farlo forte all’opre si mescoli con altro metallo. E la tempra sua in ciò non consiste. La qual cosa, come che tocchi per accidente al poeta; conciosia ch’ei non sia nè fabro, nè altro simil’artefice, come dice Aristotele, tuttauia quando corresse il mio dubbio, disdirebbe, che prouando, ò amplificando si fossero narrate cose communemente, &amp; manifestamente hauute per false. Si finge inoltre disperato, tutto che non molta fratellanza tenga la disperatione con la modestia; come chiarissimo appare in Orlando, e Rodomonte. Chi lo vuol uedere disperato legga la seconda scena del primo atto; la sesta scena del terzo: &amp; l’ottaua dell'istesso terzo: nonpertanto benche sia cosi chiacchiera diffusissimamente, &amp; con ordine; fà dell’historico, inguisa, che tesse narratone, ch’appare più tosto ben bene premeditata per mano d’Oratore, c'hauesse l'animo più, che tranquillo, e composto, ch’uscita improusamente <pb n= "81 recto"/> </p>
<p>da un disperato. Di cio n’è testimonio la prima scena del secondo atto: oltre tant’altri luoghi, che sono per lo poema. E pure per lo più suole essere, che i disperati habbiano poche parole, concise, riuolte più a fatti, che otiose. Oltre che se comporteuoli giudicare douranno si i lamenti, porteranno poi dubbio le parole imitili, il lungo cicalamento ripieno di madrigali, &amp; adorno dì dilettosi concetti: Perche un’huomo disperato in par lando non bada molto ad ordinare il filo del ragionamento; ma spesso l’interrompe, &amp; lascia molti membri concisi. Cosi ne anco pon mente allo suogliere de i concetti; ouero al uestire i quelli; trasportandolo l'affetto, ne permettendoli cotanto conoscimento; come da i buoni maestri è insegnato; &amp; a uoi Signori ne dee souuenire. Lascio quanto pago restì lo spettatore giudicioso, ò il lettore, mentre credendo sentire una uera imitatione d’un disperato, sente una dissipita raccolta di madrigali. E s’egli è uero ciò c'hanno i predetti lasciato scritto del bene imitare gli affetti, e gli effetti col uerso, cioè ch’adoprare ui si debba hora durezza, &amp; asprezza, hora facilità, è piaceuolezza, &amp; altri somiglianti modi, come tante fiate fece Virgilio per accommodarsi a ciò, ch'imitaua; <pb n= "80 verso"/> se (dico) uero è questo, per ogni modo poca imitatione sembra poter si ripescare nel Pastor Fido: quando tra l’altre cose espresse per imitare Mirtillo disperato; ui sono Madrigali di cotal sorte:</p>
<lb/>Cruda Amarilli, che col nome ancora 
<lb/>D'amar, ahi lasso amaramente insegni, 
<lb/>Amarilli del candido ligusto.
<lb/>Più candida, e più bella,
<lb/>Ma de l'aspido sordo
<lb/>E più sorda, e più fera, e più fugace;
<lb/>Poiche col dir t’offendo,
<lb/>I’mi morrò tacendo.
<lb/>Ma gridera per me le piagge, e i monti,
<lb/>E questa selua, à cui 
<lb/>Si spesso il tuo bel nome 
<lb/>Di risonare insegno,
<lb/>Per me piangendo i fonti.
<lb/>E momorando i uenti 
<lb/>Diranno i miei lamenti,
<lb/>Parlerà nel mio uolte 
<lb/>La pietate, e’l dolore:
<lb/>E se si a muta ogn’altra cosa, al fine 
<lb/>Parlerà il mio morire,
<lb/>E ti dirà la morte il mio martire.
<lb/>&amp; altroue:
<lb/>Ah dolente partita;
<lb/>Ah fin de la mia uita.
<lb/>Da te parto, e non moro? e pur i prouo 
<lb/>La pena de la morte,
<lb/>E sento nel partire 
<lb/>Vn vivace morire,
<pb n= "82 recto"/>
<lb/> Che da uita al dolore,
<lb/>Per far che moia immortalmente il core.
<lb/> &amp; altroue:
<lb/>Vdite lagrimosi 
<lb/>Spirti d’Auerno, udite 
<lb/>Noua sorte di pena, e di tormento: 
<lb/>Mirate crudo affetto 
<lb/>In sembiante pietoso.
<lb/>La mia donna crudel più de l’ inferno, 
<lb/>Perch’ una sola morte 
<lb/>Non può far sazia la sua ingorda uoglia, 
<lb/>E la mia uita e quasi 
<lb/>Vna perpetua morte,
<lb/>Mi comanda, ch’i uiua,
<lb/>Perche la uita mia,
<lb/>Di mille morte il dì ricetto sia,
<lb/>&amp; altroue:
<lb/>Com’affettato infermo,
<lb/>Che bramò lungamente
<lb/>Il uietato licor, se mai ui giunge	
<lb/>Meschin beue la morte,
<lb/>E spegne anzi la uita, che la sete;
<lb/>Tal'io gran tempo infermo,
<lb/>E d’amorosa sete arso, e consunto.
<lb/>In duo bramati fonti,
<lb/>Che stillan ghiaccio da l'alpestre uina 
<lb/>D'un’indurato core,
<lb/>Hò beuuto il ueleno,
<lb/>E spento il uiuer mie,
<lb/>Più tosto, che’l desio. 
<lb/>&amp; altroue:
<lb/>Prima, che mai cangiar uoglia, ò pensiero 
<lb/>Cangerò uita in morte: 
<pb n= "81 verso"/> 
<lb/>Però, che la bellissima Amarilli 
<lb/>Cosi, com’è crudel, com’è spietata,
<lb/>E sol la uita mia,
<lb/>Nè può già sostener corporea salma 
<lb/>Piu d'un cor, più d’un alma.
<lb/>&amp; altroue:
<lb/>M’è più dolce il penar per Amarilli, 
<lb/>Che’l gioir di mill'altre:
<lb/>E se gioir di lei
<lb/>Mi uieta il mio destin, hoggi si moia 
<lb/>Par me pure ogni gioia.
<lb/>Viuer io fortunato
<lb/>Per altra donna mai, per altro amore: 
<lb/>Nè uolendo il potrei,
<lb/>Nè potendo il uorrei
<lb/>E s'esser può, ch'in alcun tempo mai
<lb/>Ciò uoglia il mio uolere,
<lb/>O possa il mio potere,
<lb/>Prego il cielo, ed amor, che tolto pria 
<lb/>Ogni uolor, ogni poter sia. 
<p>e de gli altri ue ne sono, ma troppo saria lungo il raccorgli; e cosi ne i ragionamenti dell’altre persone introdotte nel poema in occasione poco, anzi nulla opportuna di comparire sotto la propria forma, quasi niente si sono arrossati. 	Nella quarta scena dicendo Titiro quanto siano gli oracoli oscuri, soggiugne questo concetto in conformatione di quanto parlaua. </p>
<lb/>le parola loro
<lb/>Sono come il coltel, che se tu’l prendi 
<lb/>In quella parte, 0ue per uso humano 
<pb n= "83 recto"/>
<lb/>La man s’adatta, à chi l’adopra è buono
<lb/>Ma chi’l prende oue fere, è spesso morte.
<p>Sentenza in uero oltre l’essere falsa, fredda, &amp; di niun momento, poco poi esplicante ciò di che parlaua Titiro. Inoltre hauendo Montano narrato quel suo sogno à Titiro; ei li risponde, e dice.</p>
<lb/>Son ueramente i sogni 
<lb/>De le nostre speranze,
<lb/>Più che del auuenir uane sembianze, 
<lb/> Imagini del dì guaste, e corrotte 
<lb/>Da l’ombra della notte:
<lb/>Li replica Montano.
<lb/>Non è sempre co’ sensi 
<lb/>L'anima addormentata 
<lb/>Anzi tanto è piu desta,
<lb/>Quanto men trauiata 
<lb/>Dalle fallaci forme 
<lb/>Del senso, all’hor che dorme 
<p>Sembrano concetti da Filosofo Animastico, non da Pastore. Riferisce Mirtillo, che certa uergine Megarese proponendo un giuoco de i baci poco honesto; disse:</p>
<lb/>Prouiam hoggi tra noi cosi da scherzo tempo
<lb/>Noi le nostr’arme, come	
<lb/>Contra gli huomini all'hor, che ne fie 
<lb/>L’userem da douero.
<p>Certamente sentenza molto disdiceuole in bocca d'una uergine, cui la modestia, e l honestà nel ragionare, e non toccano la lasciuia, e la petulantia, per <pb n= "82 verso"/>cosi dire. Se proposto hauesse'l giuoco solamente, forse ualerebbe alquanto in iscusa il costume di quei paesi; ma l’hauer’aggiunto concetto sì poco honesto par macchiare il decoro uirginale, &amp; non poco. Dice Mirtillo, che baciando Amarilli poco mancò non le mordesse le labbra:	(ra odorata,</p>
<lb/>Ma(cosi dic'egli) mi ritenne ohime l’au 
<lb/>Che quasi spirto d'anima diuina 
<lb/>Risuegliò la modestia 
<lb/>E quel furore estinse.
<p>Io non ueggio qual cosa habbi’à fare il fiato della bocca, perch’in alcuno si risuegli la modestia; più non udij cotal proprietà del fiato. Et comunque sia; il Tasso nell'Aminta simile concetto spiegò altrimenti, e come stimo con maggior lode senza cacciarui l'aura odorata; parlaua del baciare Aminta. </p>
<lb/>Ne l’api d’alcun fiore	
<lb/>Coglion si dolce il mel, ch’all’hora io colsi
<lb/>Da quelle sresche rose; 
<lb/>Se ben gli ardenti baci,
<lb/>Che spingeua il desire à inhumidirsi, 
<lb/>Raffrenò la temenza,
<lb/>E la uergogna, ò felli 
<lb/>Più lenti, e meno audaci. 
<p>Nella seconda scena Dorinda chiede l'amor suo a Siluio, &amp; esso gliele concede. Quì Siluio potea partire, &amp; astringerla à dargli'l suo cane, atteso che la caccia l’aspettaua, &amp; egli poco <pb n= "84 recto"/>uolontieri udia le chiacchiere d’amore; tuttauia soggiugne.</p>
<lb/>Ascolta bella ninfa, te mi uai 
<lb/>Sempre di certo Amor parlando, ch'io 
<lb/>Non sò quel ch’e si sia, tù vuoi ch’i' t'ami,
<lb/>E t’amo, quanto posso, e quanto intendo, 
<lb/>Tù dì ch’io son crudele, e non conosco 
<lb/>Quel che sia crudeltà, ne sò che farti. 
<p>Concetto com'hò già detto, che non par conueneuole a i costumi di Siluio; nè all’occasione di quel punto; &amp; totalmente souerchio, poiche indi nacque infruttuosa diceria, e ben lunga. Siluio riceuuto'l cane si parte nella terza scena: Dorinda lo vede, nè molto cura di seguirlo; ma stando ferma in palco prorompe in quelle voci:</p>
<lb/>E’ questo il guiderdon Siluio crudele,
<lb/>E’ questa la mercè, che tù mi dai 
<lb/>Garzon ingrato? habbi Melanpo in dono,
<lb/>E me con lui,che tutto,
<lb/>Pur ch’à me torni, i’ti rimetto, e solo 
<lb/>De tuo’ begli occhi il sol non mi si neghi 
<lb/>Ti seguirò compagna 
<lb/>Del tuo fido Melampo assai più fida,
<lb/>E quando sarai stanco,
<lb/>T’asciugherò la fronte 
<lb/>E soura questo fianco,
<lb/>Che per te mai non posa, haur ai riposo. 
<lb/>Porterò l’armi, porterò la preda,
<lb/>E se ti mancherà mai fere al bosco,
<pb n= "83 verso"/>
<lb/>Saetterai Dorinda, in questo petto 
<lb/>L’arco tuo sempre essercitar potrai, 
<lb/>Che sol come vorrai
<lb/>Il porterò tua serua,
<lb/>Il prouerò ua preda;
<lb/>E sarò del tuo stral faretra, e segno; 
<lb/>Ma con chi parlo; Ahi lassa;
<lb/>Teco, che non m’ascolti, e uiate’n fuggi, 
<lb/>Ma fuggi pur, ti seguirà Dorinda 
<lb/>Nel crudo inferno ancor, s'alcun'inferno 
<lb/>Più crudo hauer poss’io 
<lb/>Della fierezza tua, del dolor mio.
<p>Questa sentenza io stò in dubbio, che chiamar si possa quasi tutta souerchia. Perche s'egli s’era ito, a che dire ciò, che nulla più rileuaua, come di gire à caccia con esso lui; di portarli la preda, e l’arco; d’asciugarli la fronte; di douerli esser riposo, e segno per l'arco suo, &amp; simili uaneggiamenti? Fra quali si puo ancho far memoria particolare di quello, oue dice :</p>
<lb/>in questo petto
<lb/>L’arco tuo sempre essercitar potrai 
<p>Perche s’ella indosso non hauesse hauuta qualche arme à colpo, come dicono, d'archibugio, in una fiata spedito si sarebbe l’essercitio dell’arco, &amp; queste sembrano impertinentie. Amarilli nella quinta scena andando à diporto per contrada riuolto all’ombre di certe selue dice: <pb n= "85 recto"/></p>
<lb/>I già co' campi Elisi
<lb/>Fortunato giardin de’ semidei
<lb/>La vostr’ombra gentil non cangerei.
<p>Non pare ch’Amarilli giouanetta, in cuì non si puo verisimilmente presuppore scienza di sì fatte cose; atta fosse a dire di questi campi Elisi, &amp; che sieno fortunato giardin de semi dei: e quello che legue.</p>
<p>Nel fine della scena sesta. Sendo Corisca fuggita dalle mani del Satiro, egli si traueste da poeta, &amp; Astrologo. Da poeta, quando dice. </p>
<lb/>Ecco poeti.
<lb/>Questo è l’oro nativo, o l’ambra pura
<lb/>Che paramonte voi lodate.
<lb/>e quel che segue
<lb/>Da Astrologo fauoloso, quando dice 
<lb/>Certo.
<lb/>Non fù mai si famosa, nè sì chiara
<lb/>La chioma, ch’è la sù con tante stelle
<lb/>Ornamento del ciel, come se questo. 
<lb/>Con ciò che segue.
<p>Nel terzo atto scena prima parlando Mirtillo di se stesso già caro ad Amarilli, hor fattole odioso; dice:</p>
<lb/>Ma non son’io già quel, ch’un tempo fui
<lb/>Sì caro à gli occhi altrui.
<p>Parmi di molto non comprendere il sentimento di questo concetto, perchioche non intendendo Nirtilo d’altro amore, che di quello d’Amarilli, non sò quanto à proposito di sè lo <pb n= "84 verso"/>possa tirare; atteso che fauori tali hauuti da lei non hauea, che li potessero far'entrare in pensiero, che molto caro fosse stato ad Amarilli. Perche s'ei la baciò; ella non lo conobbe nè per huomo; nè per amante; ò no’l volle conoscere. Se forse non ritrasse lo sguardo in Elide sdegnosamente, come fece in Arcadia; ella stessa li risponde altroue, che quanto fece per modestia fù, e non che sì fattamente caro li fosse stato, quale pare che dipinga egli à se stesso. Nella terza scena Amarilli hauendo preso Mirtillo pensando, che si fosso Corisca, chiedendo, che la sbendasse, dice.</p>
<lb/>E fà tosto cor mio,
<lb/>Ch'io uò poi darti il più soaue bacio
<lb/>C'hauessi mai.
<p>Et cosi medesimamente in molti altri luoghi, ch’io per hora tralascio, si fà del simile; i quai concetti a Donzella honestissima (ouero Amarilli si fosse, ò qualunque altra) non paiono affarsi; perche tiene troppo del lasciuo questa douitia de' baci. Nella stessa terza scena Mirtillo ragionando con Amarilli della grandezza dell’amor suo, dice :</p>
<lb/>In troppo picciol fascio 
<lb/>Crudelissima Ninfa 
<lb/>Stringer tù mi comandi
<lb/>Quell’immenso desio, che se con altre.
<pb n= "86 recto"/>
<lb/>Misurar si potesse,
<lb/>Che con pensiero humano,
<lb/>A pena il capiria, ciò che capire 
<lb/>Puote in pensiero humano.
<p>Questa sentenza par tropp’oscura, &amp; com'un’imbroglio di metafora, e di bisticcio da non usar con sua ninfa, &amp; in occasione, che ricercava somma chiarezza. Poco poi mostrando la necessità dell’ardor suo dice:</p>
<lb/>Mira quante uaghezze ha’l ciel sereno, 
<lb/>Quante la terra, e tutte 
<lb/>Raccogli in picciol giro, indi vedrai. 
<lb/>L’al tra necessità del'ardor mio. 
<p>Tropp’oscura per difetto pare questa anchora, perche non s'applica chiaramente ad Amarilli mancando altra cosa, la quale à ciò pare che soggiugnere si douesse per far’iscorrer l'illatione, Dice Dorinda, che itasene alla caccia stette	</p>
<lb/>Confusa infra la spessa turba. 
<lb/>De'uicini pastori,	
<lb/>Ch’eran concorsi alla famosa caccia. 
<lb/>Questa sentenza par molto nociua,
<lb/>ò diciam contraria à quanto poco sotto si dice; sono le sue parole:
<lb/>No’l sò perche me’n uenni
<lb/>Per non esser veduta innanzi a tutti.
<p>Se non uolea esser ueduta, come si cacciò ella sta la turba, e non più tosto ui stette à mirare di lontano? Nella quinta scena u'è quell’ammassamento <pb n= "85 verso"/>di sentenze alterne, che par: si noioso, c'hò uedato non potersi tolerare in lettura, non che in rappresentatione: &amp; per ciò non badando à qualch'essempio non lodeuole, che forse potrebbe addursi, questo cicale cio hebbe luogo tra le cose recise. </p>
<lb/>N. Dunque tu sol, che t’ingannasti accusa 
<lb/>A. M’ingannai si, ma nell’inganno altrui. 
<lb/>N. Non si fà inganno, a cui l’inganno,
<lb/> e caro.
<lb/>A. Dunque m'hai tù per impudica tanto? 
<lb/>N. Ciò non sò dirti: a l’opra pure il chiedi.
<lb/>A. Spesso del cor segno fallace è l’opra. 
<lb/>N. Pur l’opra sol, e non il cor si uede. 
<lb/>A. Con gli occhi dela mente il cor si uede 
<lb/>N. Ma ciechi son, se non gli scorge il senso 
<lb/>A. Se ragion nol gouerna ingiusto è il senso.
<lb/>N. E ingiusta è la ragion, se dubbio è il fatto.	
<lb/>A. Comunque sia, sò ben, che’l core ho giusto.
<lb/>N. E chi ti trasse altri, che tù nel’atto? 
<lb/>A. La mia semplicitade, e'l creder troppo. 
<lb/>N. Dunque al’amante l’honestà credesti? 
<lb/>A. A l’amica infedel, non à l’amante. 
<lb/>N. A qual amica? a l’amorosa uoglia? 
<lb/>A. A la suora d’Ormin, che m’ha tradita.
<lb/>N. O dolce con l’amante esser tradita. 
<lb/>A. Mirtillo entrò, che no'l sepp’io nell’antro.
<pb n= "87 recto"/>
<lb/>N. Come dunque u’entrasti? Ed a qual fine?
<lb/>A. Basta, che per Mirtillo io non u'entrai.
<lb/> N. Convinta sei, s’altra, cagion non rechi. 
<lb/>A.Chieda sua lei del'innocenza mia,
<lb/>N. A lui, che fù cagion de la tua colpa? 
<lb/>A. Ella, che me tradì fede ne faccia. 
<lb/>N. E qual fede può far, chi non hà fede? 
<lb/>A. Io giurerò nel nome di Diana. 
<lb/>N. Spergiurato pur troppo hai tu con l’opre.
<lb/>Nicandro dice con Amarilli, che rammaricandosi, trasferia la colpa del suo fatto nel cielo.
<lb/>Ninfa che parli? frena,
<lb/>Frena la lingua da souerchio sdegn0 
<lb/>Trasportata là, dove 
<lb/>Mente devuta à gran fatica sale.
<lb/>Non incolpar le stelle:
<lb/>Che noi soli a noi stessi.
<lb/>Fabri siam pur de le miserie nostre.
<lb/>Poco sotto par che dica il contrario, quando cosi pronuntia;
<lb/>Tutto quel, che c'incontra 
<lb/>O di bene,ò di male 
<p>Sol di là sù deriva: e ciò che segue. Del ragionamento di Coridone altro non uò dire, perche da quel, c‘hò detto à sofficienza di lui si può far giuditio, &amp; dubitare, che souerchio sia, &amp; tedioso, s’altro fù mai. Lo stesso dire si può del cicalamento di Linco, Dorinda, e Siluio nell’ultima scena.</p>
<pb n= "86 verso"/>
<lb/>Nel quinto atto, nella prima scena di se ragionando Carino dice:
<lb/>Vranio mio se da quel dì, che meco 
<lb/>Passò la musa mia d’Elide in Argo, 
<lb/>Hauessi hauuto di cantar tant’agio 
<lb/>Quanta cagion di lagrimar sempr’ hebbi 
<lb/>Con sì sublime stil forse cantato 
<lb/>Haurei del mio Signor l’arme, e gli ho nori:
<lb/>Che non hauria de la Meonia tromba 
<lb/>Da invidiar Achille, e la mia patria 
<lb/>Madre di Cigni sfortunati, andrebbe 
<lb/>Già per me cinta del secondo alloro: 
<lb/>Ma hoggi e fatta (o secolo inhumano) 
<lb/>L'arte del poetar troppo infelice: 
<lb/>Lieto nido, esca dolce, aura cortese 
<lb/>Bramano i cigni: e non si uà in Parnase 
<lb/>Con le cure mordaci; e chi per sempre 
<lb/>Col suo destin garrisce, e col disagio 
<lb/>Vien roco, e perde il canto, e la favella. 
<p>Nel qual fauellare par, che l’auttore non si ricordasse, c’hauea introdotto un pastore, e non da se stesso ragionaua. Sembra (per dirlo liberamente) scoprirsi chiaro ch’ei fosse in estasi! Nella seconda scena hauendo’l messo esposto in parte quanto era intrauenuto circa la persona d'Amarilli prorompe in certo concetto della fama dicendo.</p>
<lb/>Se tante lingue hauessi, e tante ucci 
<lb/>Quant’ occhi'l cielo, e quante arene il mare.
<pb n= "88 recto"/>
<lb/>Perdian tutte il suono,e la famella
<lb/>Nel dir'à pien le uostri loddi immense. 
<lb/>Figlia del cielo eterna.
<lb/>E gloriosa donna,
<lb/>Che l'opre de mortali al tempo inuoli, 
<lb/>Accogli tù la bella historia, e scriui 
<lb/>Con letre d'oro in solido diamante 
<lb/>L’alta pietà de l’uno, e l’altro amante. 
<p>>il quale concetto pare doppiamente danneuole, &amp; perche distorna dall'attentione, e per lo soggetto; poi ch'in bocca di uil seruo, e come una ueste di scarlatto addosso à un facchino. Nella quinta scena altercano Montano, e Carino à lungo, &amp; si a lungo; ch’io non oso que registrar le loro dicerie: >il qual contrasto oltra misura noioso, e souerchio par riuscire, potendo si forse ancho per altra uia più credibile, e più leggiadra uenir'al fine, che si ricercaua, come far si uede in Heliodoro, dal quale per poco sembra questa inuentione tolta di peso. Carino parlando con Dameta dice. </p>
<lb/>Non ti ricordi tù, quando nel tempio 
<lb/>De l'olimpico Gioue, hauendo quiui 
<lb/>Da l’oracolo hauuta
<lb/>Già la risposta, e stando 
<lb/>Tù per partire: i mi il feci incontro 
<lb/>Chiedendoti di quello 
<lb/>Che ricercaui i segni, e tu li desti.
<lb/>Con quel che segue.
<lb/>Non mi souuiene hauer letto, che
<pb n= "87 verso"/>
<p>Gioue hauesse oracalo nel tempio di cui qui si ragiona; e però se quanto dice Carino in dubbio non reuoco, mi sarà almeno gratissima l’auttorità di quarto egli afferma. Nella scena ottaua Ergasto descruie un bacio dato da Mirtillo ad Amarilli dicendo. </p>
<lb/>E per segno d’amor Mirtillo à lei . 
<lb/>Vn dolce sì ma non inteso bacio,
<lb/>Non sò se dir mi debba, o diede, o tolse: 
<lb/>Saresti certo di dolcezza morta. 
<lb/>Che purpurai che rose? 
<lb/>Ogni colore, o di natura, o d'arte 
<lb/>Vincean le belle guancie: 
<lb/>Che uergogna copriua
<lb/>Con vago soulo di beltà sanguigna:
<lb/>Che forza di ferite	
<lb/>Al feritor giongeva:
<lb/>Ed ella in atto ritrosetta, e schiua 
<lb/>Mostrava di fuggire 
<lb/>Per incontrar più dolcemente il colpo; 
<lb/>E lasciò in dubbio, se quel bacio fosse
<lb/>O’rapito, ò donato.
<lb/>Con sì mirabil arte
<lb/>Fù concedeto, e tolto, e quel soaue
<lb/>Mostrarsene ritrosa
<lb/>Era un nò che ueleua; un’atto mista 
<lb/>Di rapina e d’acquisto	,
<lb/>Vn negar si cortese, che bramaua 
<lb/>Quel, che negando daua,	
<lb/>Un vietar, ch'era inuito 
<lb/>Si dolce ad assalire,
<pb n= "89 recto"/>
<lb/>Ch’à rapir, chi rapina, era rapite. 
<lb/>Vn restar, e fuggire,
<lb/>Ch’affrettaua il rapire: 
<lb/>O dolcissimo bacio.
<p>>il quale racconto come pare oltre ogni misura drammatica lungo, &amp; assai freddo anchora; cosi giudiciosamente fù compreso anch’esso nella circoncisione. Oltre lequali cose v’è quel detto di Ergasto quando soggiunse. </p>
<lb/>Non posso più Corisca
<lb/>Vò dritte dritto
<lb/>A trouarmi uno sposa.
<lb/>Che se si trattasse tra gazettanti parrebbe sommamente à proposito per Butattino. 
<p>SEgue la Locutione; intorno alla quale io non proporrò molti dubbi, per due ragioni: L'una, perche sò questa esser l'ultima parte considerabile nel poeta; &amp; per cio posta ancho da Aristotele per infima in ordine trà queste di cui parliamo. L'altra, perche à ritrovar se la locutione del Pastor Fido meriti lode, bisognerebbe prima costituire qual locutione se li coeuenga: Et ciò par non solo malageuole, ma impossibile; conciosia cosa, che mentre si vuole hauer fatta mescolanza dell'attione tragica, &amp; della comica, saria mestieri hauer’ancho mescolate lo loro idee: ma all’una <pb n= "89 verso"/>pertiene, com’ognun sà, quella del magnifico; &amp; all'altra; come ci dinota Oratio, &amp; li più famosi spositori d’Aristotele, anzi egli stesso; pertiene quella del tenue; &amp; queste due, secondo la ragione, &amp; secondo Demetrio, mescolar non si puono; però io non vedo come poter dirittamente procedere in questa consideratione. Nè qui mi si ricordi il presupposto che si fà nel Verrato d’intorno alla mescolanza del magnifico &amp; del polito; percioche stando questo c’habbiamo detto, non pare che tal sua imaginatione porti seco nè ualido fundamento nè auttorità conueneuole. Meno mi si dica essere dalle genti cotal locutione stimata bella; perche prima al uolgo io non parlo, ma à gl’intendenti: Poscia soggiungo tale beltà potersi considerare con doppio modo; l’uno è riguardando i concetti, &amp; periodi in se stessi separatamente, &amp; quasi à dir'in astratto: l’altro riguardandogli come post’in poema drammatico; &amp; tali che debbano affarsi allo stato, all’età, a i costumi, &amp; ad ogn’altra simil parte delle persone introdotte. Nel primo modo vi può hauer delle cose fornite di uaghezza, come per essempio la spiegatura de i madrigali di Mirtillo mezo disperato; &amp; cosi di Dorinda ferita; la descrittione della <pb n= "90 recto"/>rosa, &amp; dell’altre anchora. Ma chi le considera come dette, &amp; ornate da coloro; &amp; in quei tempi; &amp; in quei propositi; non può lodarle; perche in tal modo fredde, &amp; indecenti riescono. Dice Titiro non douersi tener le donzelle lungamente senza marito, sendo simiglianti alle rose? &amp; con tal pretesto fà vna descrittione sì lunga della, natura della rosa, che rende gran satietà. Carino cercando di Mirtillo; &amp; la cagione palesando dell'esser venuto in Arcadia; vi trappone un lamento de i disaggi de i poeti sfortunati, ch’è importuno e vanissimo. Ergasto volendo dir ch’Amarilli fù da Mirtillo baciata, entra in una girandola di parole descriuenti quel bacio, che da molti leggendola vien’abborrita. Et di simili n'hà moltissime, le qual’io uolontieri tralascio, come parimente il considerar'il babbo, &amp; mamma; il gnaffe; gli habituri; il teste; &amp; qualch'altra uoce di questa fatta, per non esser più lungo, nè aggiugner dispute. Ma non tacerò già un dubbio tale, che comunque si sciolga, a mio credere non può non recar profitto: Li Signori Academici della Crusca, censurando il maggior poema di Torquato Tasso, notarono fra l'altre cose, alcune cacofonie, ò male sonorità di uoci congiuate, al numero di uenti, </p>
<pb n= "90 verso"/>ò là intorno; se ben mi ricorda; com è dire
<lb/>al fide al fier 
<lb/>che canuto
<lb/>man tremante
<lb/>risolti a ignoca
<lb/>bunbano barono
<lb/>Vibr’e il &amp; simile
<p>Hora io vò tra me argomentando in questo maniera. O' tal’ oppositione è valida; ò nò. Se dirianio che no, par seguire che s’imputino suoi Signori ò di poco intendenti, ò ci cauillosi. Se diciamo che sì; io dubito che nel medesimo caso sia il Pastor Fido; anzi che tanto più sia efficace l’oppositione contra di lui; quanto il poema del Tasso è lungo, &amp; obligato alle rime; &amp; questo in sua comparatione è breue, &amp; per lo più libero. Aggiungasi, che solamente scorrendolo partiti potersone trouar molto maggior numero; come ciasconno da se stesso potrà osseruare, bastando a me di far qui memoria di venti, ò trenta, affinche dien’occasione d’auuertir l’altre.</p>
<lb/>narr’e ride.
<lb/>leggiti m’amor
<lb/>bellism’Amarilli
<lb/>amorissim’Amarilli
<lb/>doleissim’Amarilli
<lb/>crudelissim’Amarilli
<lb/>anim’ amorosa
<pb n= "91 recto"/>
<lb/>pietosissim’amante
<lb/>giunge gli homeri
<lb/>amant’al tempio
<lb/>pomp’al piano
<lb/>miseria’ humano
<lb/>Ecco ch’Arcadia,
<lb/>che con la culla.
<lb/>Lagrim’amare
<lb/>quint’intendo.
<lb/>gloria arride.
<lb/>sentimento intorno
<lb/>anim’immonda.
<lb/>uero Vranio
<lb/>discopert'il tutto.
<lb/>tutt'i tuo
<lb/>tutto te’l dono.
<lb/>d'imic’e cara.
<lb/>d'ind’odorata.
<lb/>sordida Dea.
<lb/>canut’etate.
<lb/>Et ciò basti per la Locutione. 
<p>ULtimi furo tra le parti della Qualità l’apparato, &amp; la Melopeia, de i quali poco habbiamo che dire, ò dubitare, poiche nè molto anchora al poeta appartengono; pure quanto all'apparato, primieramente pare disdire, che si conduca la cieca in palco bendata, e non si faccia piu tosto bendare in iscena; oltre che’l giuoco poco felicemente si conduce à fine non <pb n= "91 verso"/>restando mai presa ninfa uerana, fuor che certo tronco. Cosi non saprei come preparare li potesse quel capo da Corisca con chioma sì fattamente, che per qualche poco resistesse à uiolenza fattali nel tirare, &amp; cagionasse leggiadro effetto in palco. Ne minor dubbio porta quel far cader di quella ruppe acconciamente, &amp; in guisa, che non appaia tela distessa sopra quattro pezzi di legno, com’un balcone, turar quel foro. Cosi quell’impaccio dell’Echo porta simil dubbio, poiche queste ripercosse di uoce in iscena ogni uolta riescono assai magra, e freddamente; e paiono non ripercosse di uoci imitanti l'Echo naturale, ma pure risposte di persona, che sia dietro la cortina; &amp; quì di ciò tanto più potrei ragionarne, quanto che l’inuendono di quest'Echo e fuori dell'ordinario, &amp; assai strana contenendosi la risposta nella fine del uerso misurata con detto uerfo. Ma lascio di dirne più oltre, perche altri hà notata simile inuentione à bastanza. Cosi nel ferire Dorinda bisogna douendosi effettuarlo, chi non vuole cagionare danno, ò disordine, trouar peritissimo arciero, se si pretende però d'ingannare lo spettatore. E tanto sia intorno le parti del la Qualità. Passiamo à quelle della Quantità, <pb n= "92 recto"/> </p>
<p>POi c’habbiamo trattato le parti della Qualità è douere, che passiamo, &amp; in poche parole, conforme alla materia, ci spediamo di quelle della Quantità. Di quattro parti, che riposo Aristotele nella Quantità, una solamente ne proporrò, ch'à dubitate mi muoue; &amp; questa s’è il choro nella consideratione del quale tanto piu sarò breue, quanto l’inuentione sua nel Pastor Fido non è molto conforme à quella de gli antichi; anzi più tosto egli à fantasia dell’auttore sembra introdotto. Dico dunque di detto choro (e parlo di quello, ch'e in fine de gli atti) di non saper molto intendere se stia nella scena à tutta la rappresentatione; ouero partendosi uenga appunto fra un'atto, e l’altro à cantare quella sua canzona: E sia si di questi due qual si uoglia ogn’uno dà cagione di dubitare di poca uerisimilitudine, e conueneuolezza. Percioche se’l choro si ritruoua presente à tutta la fauola, non può parere se non molto strano, che s’ordiscano tanti trattamenti, &amp; cosi trauagliosi, sino di morte, sopra persone notissime, &amp; costoro stiano presenti al tutto, &amp; uenendo l’occasione di palesare qualche cosa, o d'intromettersi nell’attione, come già nell'antiche s’è fatto si tacciano; o lascino succedere ogni rio, &amp; atroce disordine. </p>
<pb n= "92 verso"/> 
<p>Ma se’l choro uiene à cantare ogn'hora, che s’è finito l’atto; questo anchora con poco ò nullo uerisimile pare farsi: poiche non è credibile che i medesimi cosi di mente, &amp; in ispirito appunto in quel tempo, che fornisce l’atto ueugano, e sappiano fauellare à proposito di quanto senz’esserui essi, eta occorso. E però molta difficoltà sembra che ui sia; conceduti anchora al Pastor Fido opra pastorale tai chori. Dico concedutigli; perche ci hà molti, l’oppenione de i quali tengo per molto probabile, ch’à niun partito nelle pastorali ammettono chori, stimando che siano fuori di quei verisimile, col quale pur entrano nelle Tragedie: Perche sendo i pastori, e le genti rusticane persone, che tengono più del soletario ch’altro, e per gli loro essercitij l’uno, dall’altro s'allontanano non pare in pastorali cotai chori leggitimamente habbian luogo, si come nelle Tragedie l’uso hà portato, che strano bene per la frequenza delle Città, e delle piazze. Et per discendere un po più à particolar dubbio nei, chori del Pastor Fido; dirò del primo; che molto non intendo quanto s'accomodi alla fauola, poiche si parla del la prouidenza, e si diriccia il ragionamento à Dio. Pare che sendo la fauola etnica si douesse dricciare à Gioue, <pb n= "93 recto"/> </p>
<p>&amp; non al nostro uero, &amp; onnipotente Dio. Nè si può dire, che di Gioue finto Dio de i gentili gentili intenda, perch’egli non era sourà’l fato, come si dicea dal Choro; anzi pur’esso come gli altri falsi Iddij nel fato secondo l’antiche fauole inuolto, come talhora si può legger nei poeti, e massime tra Greci in Homero. Contiene il secondo choro tre sorti di concetti, ch’io non sò qual catena gli portrebbe stringere insieme; perche il concetto del romper fede, quello dell'amore all'oro, e la lunga descrittione de i baci sembrano cose oltre modo uarie, e di uerse &amp; tali, ch’io udì dir una fiata, che sarebbono attissime per lo giuoco de gli spropositi; com’ancho dopo tutte queste non ui discerno conchiusio ne ò connessione d’alcunmomente. Finalmente il quarto (che gli altri due tralascio) pare introdotto per puro garreggiamento coll'Aminta, com’etiandio altri luoghi, ch'io tacerò, perch’ogn’intendente da sè può offenuarli; ne i quali tutti io dubito affai, ch’il Pastor Fido rimanga à dietro. E quando egli sia cosi saria perauuentura stato il migliore non entrar in cotal zimbello.</p>
<lb/>E Tanti sono i miel principali dubbi intorno à questo poema; senza <pb n= "93 verso"/> 
<p>qualch’altro che forse potrebbe aggiugnersi. Li quali; ò Signori; io in compiacimento uostro, &amp; non senz'hauerne hauuto quì in Padoua honorato consiglio; mi risoluo di publicare: sperando, com'à principio l'amico nostro ci disse, che possano riuscire non ingrati à gli studiosi: Et hora maggiormente, che si uedono a gara gli huomini comporre ò appastricciar pastorali; chi mescolandoui due, ò tre compiute attioni; chi riempiendole d'alti; &amp; filosofici concetti; chi appicandoui qualche giunta; &amp; chi, per fornirla, recandosi à gloria in questi, &amp; simili particolari di parer simia del Pastor Fido. Là onde sia utilissimo l'andar et essaminando se buoni, o rei sieno sì fatti pensieri. Al qual’essame hauerò almeno suegliate VV. SS. se alla promessa del rispondermi non uorranno mancare. Il che però da persone tanto erudite, &amp; due delle quali sono nel l’Illustrissima, &amp; uertuosissima Academia Cornara, ò de'Ricourati, non dee temersi. Nondimeno comunque segua; di due cose le prego: l’una, che uogliano confermare prontamente, (occorrendo) la verità del fatto da me narrato nell’introdottione; il qual’alcuno potrebbe perauuentura tener per finto; benche uerissimo sia; &amp; oltre VV.SS. a molt’altri in Padoua noto.</p>
<pb n= "94 recto"/> 
<p>L’altra, che se nel filo del ragionamento io fossi scorso in qualcosa, che troppo paresse tener del uiuace; sappiano, &amp; cosi sappia ogn'uno, ciò non esser auuenuto per animosità, ò altro simil affetto; ma sì per l’età mia giouenile; come per quel calore, che parlando, e scriuendo suol’ordinariamente accender'i disputanti se ben'amicissimi, quali noi. E tutto ciò, che potesse dar’occasione di sospettar’il contrario, desidero, che s'habbia per non detto, &amp; per non iscritto.</p>
<lb/>IL FINE 
<pb n= "94 verso"/> 
<lb/>INDICE DE’ 
<lb/>capi principali.
<lb/>Introdottione							 ent. 5
<lb/>Contesi del Nores, &amp; del Guiarini, &amp; loro considerationi. 	6
<lb/>Intentione dell’auttore in questo discorso				10
<lb/>Ordine, &amp; metodo, co i quali egli procede				12
<lb/>Stendimento historico del Pastor Fido, &amp; della sua legge.	12
<lb/>Titolo di quel poema, &amp; suoi dubbi				25
<lb/>Consideratione delle persone veramente pastorali, &amp; di quelle
<lb/>del Pastor Fido; &amp; loro attioni, costumi, e concetti.		25
<lb/>Consideratione del luogo dell’Arcadia secondo altri, &amp; secondo
<lb/>il Pastor Fido.								30
<lb/>Ciò ch’importi ne i poemi il finger di nuovo, &amp; il tramutar
<lb/>le già finte cose				 	 34-52
<lb/>Prologo del Pastor Fido, &amp; sue essame. car.			34
<lb/>Luogo di Polibio dichiarante la vera conditione del gli Arcadi.	38
<lb/>Essame delle cose succeduto innanzi la fauola rappresentata
<lb/>nel Pastor Fido.					 	 42
<lb/>Dubbi in particolare sopra la legge del 
<pb n="95 recto"/>
<lb/>Pastor Fido, &amp; sue appendici.	 49
<lb/>Consideratione della fauola drammatica secondo Aristotele. 54
<lb/>Dubbi sopra quella del Pastor Fido.				55
<lb/>Sopra la conditione, che sia Tutta.					55
<lb/>Sopra la conditione, che sia Grande.				55
<lb/>Versi leuati dal Pastor Fido in Mantoua.			 67
<lb/>Sopra la conditione, che sia Una.					I
<lb/>Sopra la conditione che sia Versimile. car.		 62
<lb/>Qual’è il Verisimile poetico in Aristotele.			 62
<lb/>Sopra la conditione pertienente al nesso de li Episodi.		71
<lb/>Sopra la conditione Terribil’, e Miserabile.			72
<lb/>Sopra la condition della Passione.					73
<lb/>De i costumi, &amp; loro conditioni, &amp; essame.			73
<lb/>Della Sentenza.						 78
<lb/>Della Locutione.						 87
<lb/>Dell’Apparato.						 59
<lb/>De i Chori.							 90
<lb/>Conchiusione dell’opra.						91
<lb/>IL FINE
<pb n="95 verso"/>
<lb/>Il Registro
<lb/>A B C D E F G H.
<lb/>Tutti sono fogli.
<pb n="96 recto"/>
<lb/>Errori occorsi nello Stampare.
<lb/>a car. 5. di distruggitori		leggi distrugitoridi
<lb/>6. che più le prime	che che più sommasse le prime
<lb/>8. guidici	giudicij
<lb/>11 dubitando Vagliamo	dubitato Vagliami
<lb/>12 par di Qualità	parti di qualità
<lb/>16 inondo ent ò ne hebbe	inondò .Entrò n’hebbe
<lb/>16.18. disauentura	disauuentura
<lb/>18. Titirro	Titiro
<lb/>19. tiro	tirò
<lb/>21. incanta lè cerra	incanta li certa
<lb/>22. udir	ridir
<lb/>26. Parlando dell’	parlando del’
<lb/>28. dell’	d’
<lb/>31. potremo parre	potremmo parte
<lb/>33. n con	ne con
<lb/>35 souenuta	souuenuta
<lb/>36 popolli	popoli
<lb/>38. Proua dooea profunde	Proua douea profonde
<pb n="96 verso"/>
<lb/>39. , neq;					. Neq;
<lb/>40. mo						mò
<lb/>41. Commmunemente			communemente
<lb/>42. finge					finge
<lb/>44. filio Caliroe quondo			figlio Calliroe quando
<lb/>45. ineuitibili					inevitabili
<lb/>46 uè d’bistoria				u’è d’historia
<lb/>52. sampre					sempre
<lb/>53. uno nna douee succedcre 		un una douea 
<lb/>mallamente					succedere malamente
<lb/>54. semprc					sempre
<lb/>58. de trastulo				ed trastullo
<lb/>61. corisca					Corisca
<lb/>63. uerunna					ueruna
<lb/>67. strattagema				stratagema
<lb/>69. infotmarsi				informarsi
<lb/>70. sacrifirio					sacrificio
<lb/>73. Costumi;					I costumi;
<lb/>76. con tanta					cotanta
<lb/>82. Oom’					Com’
<lb/>84. ua riuolto					tua riuolta
<lb/>Oltre a questi ue ne sono alcuni altri nelle postille, quali si rimenttono a giuditiosi lettori.
</body>
</text>
</TEI>
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Based on the copy digitized by Google Books in partnership with the Biblioteca Nazionale Centrale di Roma. Considerationi di Gio. Pietro Malacreta, dot. Vicentino, detto nell'Accademia degli Orditi di Padova l'Innaspato, sopra il Pastor fido, tragicomedia pastorale del molto illustre Sig. Cavalier Battista Guarini. Seconda editione. Con Licenza de' Superiori. In Venetia, MDC. Ad Instantia de gli Vniti di Padoua. Per Marc' Antonio Zaltieri. Malacreta, Giovanni Pietro Venice Zaltieri, Marc' Antonio 1600.

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Considerationi Di GIO. PIETRO MALACRETA DOT. VICENTINO; detto nell’Academia de gli ORDITI di Padoua L’INNASPATO; Sopra il PASTOR FIDO tragicomedia pastorale del molto Illustre Sig. Cavalier Battista Guarini: SECONDA EDITIONE. Con Licenza de’ Superiori IN VENETIA, MDC. Ad Instantia de gli Vniti di Padoua Per Marc’Antonio Zaltieri. ALL'ECC. MO SIG. IL SIGNOR DON FERRANDO GONZAGA Signor di Guastalla; Prencipe di Molfetta ; &c.

TRA le somme lodi, onde la nobilissima Città di PADOVA merita per molti capi d’esser’ ornata; questa, Eccellentissimo Signore; al parer mio non è la minore, che quiui non solo sieno tante publiche, & famose scuole, quant'ognun sà; ma v’habbia anchora non poche priuate academie, & ridotti, oue chiunque si sia dopò gli suoi studi più graui può ageuolmente auanzarsi nelle lettere più gentili. Cotal dolcissima ricreatione hò prouato io in me stesso, mentre vi son dimorato per qualche tempo: nel quale essendomi occorso di trattar’, & scriuer’ alcune cose pertinenti alla Poesia; & douendo hora per degni rispetti far le palesi; penso, & ardisco di sacrarle à V. Eccell. per molte cause: Primieramente, perch’essendo la Tragicomedia pastorale intitolata il Pastor Fido; ch’è il soggetto, d’intorno alquale s’aggirano; dedicata all'vno de i principali, & piu risplendenti lumi dell'Italia; è ragione, che quest’etiandio escano sotto i felicissimi auspicij d’un’altro. Poscia, perche se dell'opre si dee far dono à chi sia atto à darne dirittamente giudicio; non è chi contenda, nè ponga in dubbio, ch’ella in questo particolare anchora à guisa del sol frà le stelle non sia tra quanti Prencipi hoggidì viuono eminentissima. Appresso, perche per l'infinita sua cortesia potrebbe auuenirmi, che talhora V.Eccell. non isdegnasse di farlesi legger’almeno in parte; ilche quando succedesse, qual maggior fauore, qual maggior’auuentura potrei bramare? Finalmente, perch’ammirando io le rare, & eccellenti sue doti; delle quali in ogni luogo, ma forse sour’ogn’altro in detta Illustrissima Città ne viue incredibil fama; & essendo perciò (benche forastiero) desiderosissimo di esser’accolto se non nella sua gratia, almen nella sua memoria; non deggio lasciar di farmici strada con questo per se picciolo; ma se si riguarda la vera, & virtuosa diuotione mia, affettuosissimo dono. Aggiungasi, che peruenendo elle à V. Ecc. per mezo dell’Illustrissimo & cortesissimo Signor Conte Mattia di Gazoldo tanto à me padrone, & à lei servitor’, & affettionato, non doueranno almeno per questo non l'esser care. Ma comunque sia, à me basta, ch’ella non isdegni almeno, ch’io l'habbia osate arricchir del glorioso suo nome: del che viuamente supplicandola, con ogn’humiltà le baccio la mano.

Di Vicenza il giorno xij. di Giugno M D C. Di V.Eccei. Diuotiss.Seru. Gio.Pietro Malacreta,

Noi F. Ieronimo Capagnano dell’Ordine de’Predicatori. Maestro in Teologia, & Inquisitore di Vicenza, habbiamo lette, & approvate perche si possaao stampare le Considerationi del Signor Malacreta sopra il Pastor Fido. In fede di che & c.

Dat.in Vicenza a 10. di Giugno l6oo. Cosi è F. Ieronimo Capugnano Inquisitore. CONDIDERATIONI INTORNO AL PASTRO FIDO.

LO scriuere; se dar vogliamo credenza à quanto dissero Platone, & Galeno; effetto non fù tra gli huomini di semplice cagione: sendo ch’à questo fare sospinti furono i letterati non solo da’ cenni de’ Prencipi naturali, ò stranieri; ò dall'ansietà della gloria appo’l mondo; ma etiandio dal desiderio, che c'infiamma talhora à compiacere à gli amici. Aggiungasi di parere de gli predetti; ch’altri s'auia dietro à si fatto pensiero da uoglia d'essercitato l’ingegno; & quel talento, che sortì dalle fascie: & altri in tal'acqua s’imbarca preparando ostacolo al Tempo, e riparo all’Obliuione di distruggitori quanto priuilegiata esser deurebbe la nostra misera (benche per altro riguardeuole) vecchiezza. Io veramente posso, anzi debbo affermare, c’havendo posto mano alla penna per iscriuere, intorno al Pastor Fido; à ciò fare mosso mi sia, & per l'essortationi, & per gl'inuiti, & per le preghiere anchora de gli amici. Conciosia che ne i mesi passati; e in quegli appunto, i quali meno di clemenza sogliono hauere all'humane complessioni; ritrouandomi vn giorno qui in Padoua con alcuni amici miei singolarissimi (ch'era nostro costume lo star'alle volte insieme) facemmo disegno di schermirci à nostro potere dal caldo. E parendone ben fatto lo starcene ritirati: massimamente in quell'hora, ch'egli con uiolenza la sua importunità sfogaua; per trappassare quell'otio secondo il gusto di tutti, andammo à visitare, vn'altro nostro commune amico; alquale, bench'ei fosse conualescente, nè lunga dimora con essolui, nè ragionamento prolisso interdetto veniua. Hora quiui condotti, & in camera entrati, lo salutammo; & intorno ad vn tauolino, che vi si ritrouaua, fummo fatti sedere. Et come che sopra quello (e forse à caso) fosse una mano di libricciuoli: perch’à diuisata materia si credettero appartenenti, stese ciascuno di noi la mano, accappandone, quale più in grado li venne. Ma tanto fù dissomigliante l’effetto dal creder nostro, che quei libri ogn'altra cosa contennero, che varietà, ò differenza; percioche all'aprirsi di quelli ci auedemmo ad

vno esser tocco il Pastor Fido & ad vn'altro la Poetica del Sig. Giasone: Cosi medesimamente à chi esser peruenuto il Verrato; à chi la risposta, & Apologia, & a chi'l risentimento dell'Attizzato. Era tutto in somma cosa spettante al Pastor Fido, & alle contese che s’hebbero non molt'anni fa sopra quello. Quindi nacque vario ragionamento; perch'altri s'atteneua alla bellezza sua, & commendaualo di gran leggiadria; altri ragionaua dell’oppositioni fatteli dal Signor Giasone, come per molto sode, e fundate l'hauesse: & altri delle risposte, che per contrario sofficienti stimaua. Ma non facendo capo il nostro discorfo; anzi dicendo sparsamente ciascuno che piú gli aggradiua; sembrauamo legno, che per lo mare si mouesse à più venti. Là onde acciò maggior diletto, e gusto s’hauesse; quegli; che fra noi, e per età, e per altri degni rispetti era di maggior auttorità, cercò, recidendo ogn’altro capo, di fare che s’attenesse il discorso nostro dietro à vn sol filo. Et perche da se parea lo più del ragionamento versare all’hora circa'l numero del l'oppositioni, & delle contese; dicendosi, che molte erano le proposte, e per poco non ordinate; infinite le risposte; & che somma difficoltà si durerebbe in distinguerle; quegli ch'io dissi maggior tra gli altri cosi prese à dire: Signori se i vostri ragionamenti non rimettete nella buona strada, di scorrendo di coteste cose con qualche metodo, non veggio che siate per riuscire à fine, che buono sia; io per: me ne stimo impossibile, nè perauuentura difficile molto il farlo, com’à voi pare; posciache s'alcuno sbandito l'interesse delle maledicenze, delle quali pur troppo raccorre se ne potrebbe, le prime ragioni della lite, assai piana à gusto mio renderebbe la causa: e cosi poi chi che sia, ciò sentendo non molto baderebbe à vederne il vero. Io per me se conceduto mi fosse (di che tutti all'hora assai io pregarono) à certi capi breui procurerei di ridurre tutto ciò ch'è sì lungamente trattato, & essaminato; & credo anchora, ch’attesi con diligenza n'hauremmo chiaro il torto, & la ragione di tante carte. Ma innanzi ch’à questo si procedesse, parrebbe forse degno di consideratione, quali fossero i ueri auttori del Verrato, & dell'Attizzato; conciosia che da vna parte sembra, che dal mondo si sia riceuuto per palese, che dal Signor Guarini non meno nascano quei discorsi, che’l Pastor Fido; sì per altre ragioni, come in particolare per essersi conosciuto da molti il Verrato non sofficiente, come diconò, à comporre quel discorso; >il quale troppo piú tiene in molte parti dell'erudito, ò vogliam dire dell’acuto, che non pare, che conuenisse ad vn’huomo tale. Et appresso per non esserci notitia veruna del personaggio, che, si mentoua l'Attizzato. Ma dall'altra parte, prima ei si legge assai souente in quei libri.

Parlate meco M. Giasone; perche l'auttor del Pastor Fido, non uuol briga con esso uoi, non parla, non si muoue; soffre: & simili cose. Poscia non si fa credibile c'huomo sì nobil', e costumato, qual'è il Signor Cavaliere; dopo l’hauer detto d'essere stato contra il suo genio strascinato in cotal zimbello, & di voler'ispedirsene in pochissime parole si fosse condotto a frapporre alcune sue non lunghe ragioni entro ad vn fascio di tediosissime ingiurie, & massimamente publicate mesi, & anni dopo la morte dell'auuer sario; & con tutto ciò l'hauesse ripiene di ridicole interrogationi contra di lui, com'à dire. Venite quà M. Giasone. Respondete à questa M. Giasone. Voi siete muto M. Giasone? & simili: che par'appunto il rappellare a tenzone vn morto. Et come che venga detto dall'Attizzato medesimo, ch'egli hauea scritto in viue di lui, ma per giuste cagioni, s'era trattenuto a publicar quei suoi scritti; non reca però altro ch'il detto suo, & egli medesimo, che se lo dice, protesta altro ue in molti luoghi a suo prò, contra M. Giasone, che non si dee per modo veruno credere a chi non pruoua; non altra maggior gratia chiede a i lettori, fuor che non credano senza pruoue. Oltre che sarebbe forse da vedere, se posto che il fatto stesse cosi; successa poi la morte dell’auuersario, si fosse tuttauia deuuto publicar il libro non mai, mentre visse, peruenuro a notitia sua, nesso stesso modo perappunto, che fu già scritto. Ma per me sconsiglierei dall’entrar in tal sottigliezze, ch’appartengono anzi alla creanza, che alla dottrina: Effortando però voi Signori, che se giamai per sinistra fortuna accappaste in cotal'in contri; debbiate quanto più modesta, & breuemente si può, discorrere, ò disputare; guardandoui dalle lunghe, e noiose inuettitfe: perche i virtuosi huomini stimandole proceder da animi souerchio turbati, nè le sentono volentieri; nè badano molte fiate allo scegliere quelli argomenti, & quelle ragioni, che ui sono sparse per entro. Voi dunque cotal consideratione, ò congiettura, lasciando , & appropinquandoui più allo stretto delle contese; haureste forse primieramente a vedere come si stia la ragione della querela, che nel Verrato, e nell’Attizzato è in tanti luoghi commemorata, & in tante maniere esposta; dell’intentione dico del Signor Giasone intorno al suo riprendere le Tragicomedie, & le Pastorali. Ma ciò parimente né molto importa al profitto, che voi trar vorreste d'intorno all'arte del poetare; nè par’ à me difficile da risoluersi vdendo il fatto. De'principi di tal'arte in vniuersale scrisse il Signor Giasone secondo l’oppenion sua: & con tal'occasione lasciossi intendere di cio, che sentiua in particolare contra i poemi soddettti, e fello a tempo che il Pastor Fido non era peruenuto alle stampe. Se ne dolse il Signor Caualiere; ò diciamo il Verrato; affermando, ch’egli hauesse cosi scritto principalmente per lo Pastor Fido: & à prouarlo produsse alcune congetture, c’hauesse pur potuto hauerne sentore. Negò il Signor Giasone; & oltre la negatiua, apportò ancho le risolutioni, che li paruero à dette congetture. Notificò inoltre da qual'altra cagione s’era mosso à discorrerne. E non contento di ciò il buon vecchio; che fu pur Christiano, gentilhuomno, e di molto grido; aggiunse in sua giustificatione efficacissimi giuramenti; & sendo all’hora in grauissima età, morì poco poi. Nel quale particolare, io vi replico, che tanto meno io sento, che ci habbiate à logorar tempo, quanto essendoci alcun di uoi, che delle leggi anchora hà notitia, può ageuolmente comprendere ciò, ch'etiandio ne’rigorosi giudici post’in campo dallo stesso Attizzato deciderebbe si sopra tal contesa. Intorno ciò dunque più in considerare non seguitando; succederebbe altro capo di molto maggiore importanza: Poiche mentre le Tragicomedio Pastorali hanno questo doppio titolo, quinci nasce doppia occasione di discorrere: l’una è circa le Pastorali, l'altra circa le Tragicomedie. Et disputando il Sig. Giasone cotal genere Pastorale esser al tutto dannabile, conciosia che regolarsi, ò riceuer costumi non possa dal Politico; parrebbe da vedere, se'l Poeta; ò le compositioni sue di necessità vengano regolate de Politico; e se da lui de’costumi, de'quali ammanta le sue fauole, si fornisca. Et per lo vero se le poesie, e sopra tutte la drammatica vuole cittadinanza, e di quella potersi ancho valere, si fà assai probabile che le convenga conformare i costumi suoi colle Città, che d'habitare si elesse. Verserebbe l'altra difficoltà d’intorno alle Tragicomedie, particella anch’essa principalissima di quello onde presero argomento di controuersia gli auttori di questi libri. Formalmente il problema starebbe; se secondo le regole del verisimile, e dell'arte in universale far misto, ò composto di Tragedia, e Comedia lecito sia. Hora dovendosi ridurre un tal misto, ò conponimento à propria, e legitima consistenza, è chiaro, che fà di mestieri mescolare insieme, ò comporre l’essenza (per cosi dire) sì della Tragedia,

come della Comedia. Dunque saria da vedere, se le qualità serie, graui, importanti, & atroci della Tragedia vnir si pungo, ò comporre colle ridicolose, e leggieri della Comedia, e colle fritte, & piaceuolezze di quella. Ma intorno à queste cose altri, come sappiamo, hà di già lungamente discorso; voi per mio consiglio lasciatene lor la cura. Tanti à me sono sempre paruti i capi da dicidersi, ò ricidersi, che vogliam dire. E se frà sì lunghe scritte sembrano inuolti, nè cosi ageuolmente disposti: ciò auuiene mercè del uario interesse de gli scrittori ; l>i quali il più delle volte si compiacciono in simili occorrenze di disputare con l’ordine, che loro torna bene; & implicare fra le dispute de gi'interpellamenti souerchi. Et s’altri mi dicesse ritrouarsene di molte delle questioni, ch'ad essi capi non si riducono: risponderei, ò quelle venir in conseguenza loro; ouero al tutto esser fuori del proposito principale; ò pure tali non essere, che quì numero per hora deggiamo farne. Ma, Signori, tuttoche di tanta importanza state siano le dette controuersie, ch'in esse, e per esse al mondo sono riuscite cotante carte; quasi ci si uenisse à significare, ch'intorno al Pastor Fido più che dire non rimanesse; non pertanto io, che più volte hò letto, e riletto quel poema, persuadere non mi son potuto giamai, che il fatto si stia cosi: anzi se deggio confessar'il vero parmi d'hauerui scorti per entro molti dubbi degnissimi per illustrar la facoltà di cui ragioniamo, d'esser considerati, & effeminati. Et questo è quello, che veggendo poco fà di uoi Signori affaticarsi le lingue circa materie già prolissamente discorse, mossemi al fauellare, & al ricordarui cofa, che pensai da stimarsi per hora più che le prime: sì per altro, come per la novità, che da se stessa diletto arreca, il quale à nome di tutti, & per tutti qui veggio, ch’è procacciato. Et di vero da che siamo condotti à discorrer del Pastor Fido; che ci rileua in gratia il rinouellar lo querele antiche; se di nuouo ci resta altro di gioueuole che vedere, e che dire? Già di quelle si disputò: hora che l'occasione ci si para innanzi, facciansi parole sopra le parti dell'opra stessa del Pastor Fido: & frà di uoi (ch'io detto hò assai) vno s’elegga, per fuggire il disordine, cui tocchi fare la detta consideratione: Sò ben’io, che ce n’hà molti fra voi, che saranno più che atti à ciò fare con diligenza, & con utile, ancho alla sproueduta. Queste parole furono da ogn’uno con non poco piacere ascoltate, onde cominiciammo a pregarlo (ch’ei di già taceua) riprender uolesse il ragionamento, & come quegli, ch'aprendoci tale strada douea ottimamente saperla, seguisse discorrendo intorno a’particolari del Pastor Fido. Ma per lunga istanza, che ne facessimo, ciò non potemmo ottenere, perch’egli ricusando gentilmente più volte questa carica, tornò a dire, che ciascuno di noi à ciò basterebbe, ogn’hor che volesse con ingenuità d'animo lasciarsi intendere; & di come, & di quanto glie ne paresse: il che vedendo; per non essere seco insolenti, risoluti ad ogni modo di compiacerlo ci demmo allo scegliere, chi douesse rimetter si in vecchia: Et hor l'uno, hor l'altro a gara fra di noi eleggendoci, che questi sendo eletto proponea quello, & quegli ricusando il peso, ad vn'altro lo rimettea: alla perfine parue al più di loro di uoler, ch'io entrassi in tale ragionamento. E quantunque facessi ogni mio potere per ischifarlo, dicendo, che à me, che di molto minor auedimento de gli altri era nelle cose di poesia, ciò imporre non si douea: tanto però di ualore non hebbe l’iscusa mia, che non mi fosse chiuso ogni calle per isbrigarmi. Cosi dovendo per ogni modo vbbidire, trà me stesso mi confortai; sperando (auuegna che fossi colto alla sproueduta) non douer del tutto mutolo rimanere; perche pur qualche poco di riflesso di già in leggendo quell’opera fatto hauea. Et prima, ch'altro dicessi, mi dichiarai, di piu non voler fare, che proporre alcuni miei dubbi intorno all’arte del Pastor Fido, l>i quali ò fosse la debolezza dell’ingegno mio, ò la difficoltà loro, io non sapea sciogliere: Et soggiunsi, che detti gli haurei, se pattouita mi veniua la risposta, e la risolutione loro, & non altrimenti. Di che ogn’uno molte promesse facendomi à dire cominciai: e con non poca attentione di tutta la brigata, à quanto m’auidi, quelle nel miglior modo, ch’io seppi, esposi. Compiuta la proposta, pregando io con istanza grandissima, che nel vegnente giorno buon’ordine per la risposta si desse; parue à ciascuno, che detto hauessi forse più di quello, ch'una tirata di memoria, cosi minutamente ritenere potesse: onde s'auifaro molto buono douer'essere, se postigli in carta glie l'hauessi lasciati agiatamente vedere: Quindi presi occasione di douerli rassettare. Ma fatto, ch’io l'hebbi non istette dentro à cotali termini la loro richiesta; perche con gagliarde essortationi cercarono'ancho di persuadermi, ch’io gli stampassi; con dirmi ch’era ciò via, se dubitando hauessi di loro, d’astringergli alla risposta: Anzi che se fosse auuenuto che per sinistro alcuno si fossero essi rimasti dall’attendere alla promessa; almeno senza risposta, non sarebbe stato al sicuro il discorso mio, perch'altri di leggieri harebbe sodisfatto à me, e supplito à quanto per loro mancato si fosse; & cosi de' miei dubbi si sarebbe veduto lo scioglimento. Vagliamo la verità, à me non ispiacque il loro pensiero; per tener io gran voglia di esserne certo. Anzi dopo l'hauere queste mie considerationi insieme ridotte, di douerle etiandio publicare tanto maggior argomento ripresi, quanto vedea nouellamente il detto poema hauer dato campo al Sig. Angelo Ingegneri gentil’huomo di grand’eruditione, & isperienza, & ad altri anchora, d’affermare non poche sconueneuolezze in quello osseruate; non ch’à me solo nasciuta fosse occasione di dubitare de gli artifici, che secondo; alcuni per entro ad esso s’han da ammirare. Lascierolle dunque vedere; hauendole scritte, e dirizzate solamente all'intentione, & al desiderio della sopradetta amicheuole, & gratiosa brigata; securo di douerne trar la risposta à me sopra ogn’altra cosa carissima; & quella sceurai da ogn’immodesta contesa, e da tutte le risse di parole non degne del cospetto de gli huomini virtuosi. Nè per ciò ch'io dico scriuere à quella, e per quella, di togliere intendo sua libertà a chiunque di siderasse cortesemente iscritto rimouermi da’ miei dubbi: Anzi (com’io dicea) nulla più gradito, & accetto occorrere mi potrebbe; quantunque pregato quel tale esser vorrei, che dotto, non maledico, ingegnoso non mordace mostrare si uolesse, conciosia che scopo mio non sia per hora, come nè all’hora sù, quando questo mi auuenne (ch'è pur fatto verissimo, & potrei darne sempre fido riscontro) di suscitare contese, ma solo di produrre sincero discorso, onde la verità con profitto de gli studiosi chi aramente si scopra.

DOuendo ragionare; anzi pure à vostra richiesta; Signori mettere queste mie considerationi in iscritto; m’ingegnerò di procedere con ordine, & di parte in parte: poiche la confusione; oltre al cagionar in loro meno chiarezza, & priuarle di quella facilità, che voi ricercaste, le renderebbe insieme poco grate ad ogn’altro, ch’à leggere le prendesse. Per tanto nello scriuere mi valerò più perfettamente del metodo, che discorrendo abbozzai: & fù (se ben mi ricordo) quello, col quale pare hauer' ordinato Aristotele i suoi ammaestra menti nella Poetica. Percioche dicemmo douersi ogni Fauola in pradi Qualità, & di Quantità compartire: & considerare anchora separatamente, e l'un’ e l'altre; e le conditioni loro: onde aggiunte non molte cose; siasi il poema drammatico, o narratiuo; comico, tragico, ò altro; ageuole, ed interamente può giudicarsi. Ma perche, qual’io dicea, hò per iscopo il seruirmi di quanta chiarezza mi sia possibile: innanzi ch’io: passi più oltre in queste scritture, proporrò cosa, che già nel ragionamento per molti rispetti lasciai: & questa sia la fauola del Pastor Fido historicamente stesa. Già (dico) ragionando alla famigliare la tacqui, sì per minor noia in quella stagione, & in quell'hora; come per hauer'io presupposto, che benissimo voi Signori à mente l'haueste. Qui la trappongo; non solo veggendo ciò dal luogo compatirsi; ma anchora chiedersi: posciache se bene le scritture alle Vostre Signorie indrizzate sono, però non è, ch'elleno à più scritte non vengano: & ogn’uno forse non hà cosi à mano tutto il tessimento di questa fauola: Et quello, che in capo di quel libro si legge serue più tosto à quei tali, ch’à loro modo, ch’à quegli altri, che secondo la contenenza del poema intero, & la di lui totale dispositura lo vogliono. Et quantunque certo sia, che questo racconto mio non haurà quella piaceuolezza, che perauuentura alcuno ci bramerebbe; pur di quello fare non uogliomi rimanere; perche almeno, spero, sarà di maggior chiarezza, & di più compiuta informatione del fatto. Anzi aggiungo, ch’io ne sono assolutamente costretto, non meno che sia il muratore di farsi piazza, & fermar le fundamenta; s’egli hà à fabricare: Percioche non hauendo l'historia pronta, & particolarmente distinta, come di gratia senza confusione dichiarare potrei quanto mi fà dubbio di passo in passo? In somma io tengo ueramente questa narratione per cosi necessaria à quanto sono per dire, che vò temendo, ch’oue altri senza vdirla con patienza scorresse innanzi; poco, ò nulla intenderebbe. Et chiunque altramente si stima la può tralasciar’ à sua voglia. Siasi questa dunque l’historia de i fatti del presente poema.

Fù in Arcadia, vn pastore chiamato Aminta Sacerdote di Diana, >il quale di Lucrina ninfa del paese era grandemente inuaghito. Costei quanto di beltà hauea, cotanto, e più di perfidia ritenea. Perche mostrato gran tempo di riamarlo: non si tosto l'occhio pose addosso ad vn’altro pouero, e vile pastorello, che di lui fieramente s'accese. Aminta di ciò non s'auedea: E pure tuttauia era crudelmente sprezzato: Ma alla fine auedutosene, & isdegnatosene pregò Diana, che vendicar lo volesse: & fù essaudito: conciosia che la Dea in vendetta di lui strali di morte scoccando per tutt’Arcadia, per alcun tempo stranamente l’afflisse. I popoli vedendo ogn'hor più contra di loro la pestilenza incrudelire, si risoluettero di mandar gente all'oracolo; & riportarono tal risposta, Che Cinthia era sdegnata, & che placarla Si sarebbe potuto, se Lucrina Perfida ninfa, ouero altri per lei D’Arcada gente à la gran Dea si fosse Per man d’ Aminta in sacrificio offerta. Standosi in questa guisa: l'oracolo; fu Lucrina; benche tutta di lagrime, e singolti ripiena, (non trouandosi chi per lei morire volesse) al sacrificio con dotta. Hora essendo ella à piedi del Sacerdote Aminta di già disprezzato, e tradito, & aspettandone il fiero colpo, adiuenne, che di doue morte certissima attendea, vita non isperata le nacque: perche postosi egli in atto di lei ferire, dettole queste parole.

Da la miseria tua Lucrina mira, Qual’ amante seguisti, e qual lasciasti, Miral da questo colpo.

Se stesso, e non Lucrina vccise. Ilche non tantosto vide la Ninsa, che rauedutasi dell'errore, piagnendo la di lui morte, cacciossi nel petto lo stesso ferro; & caduta sopra’l corpo dell’amante, morissi anch’ella. Morta Lucrina, per questo, non cessò la pestilenza; come l’oracolo predetto hauea; anzi perseverò Diana adirata, & afflisse di nuouo, & quasi più dell'usato l'Arcadia. Spedirono la seconda fiata messi all’oracolo gli Arcadi, & hebbero più che prima spaueatosa risposta, Che si sacrasse all’hora, e poscia ogn'anno Vergine, ò donna à la sdegnata Dea, Che'l terzo lustro empiesse, ed oltre al quarto

Non s’avanzasse, e cosi d'una il sangue. L’ira spegnesse apparecchiata à molti. Imposte fù anchora all’infelice sesso vna molto severa; anzi (dice l’auttore) inosseruabil legge composta di molti (come i Leggisti dicono) paragrafi, ouero appendici: Et questa era tale.

Qualunque

Donna, ò donzella habbia la fè d'amore. Come che sia contaminata, ò rotta, S’altri per lei non muore, à morte sia Irremissibilmente condannata.

Li Paragrafi, ouero appendici saranno le susseguenti.

La medesima legge, che commanda A la donna il seruar fede al suo speso, Hà comandato ancor, che ritrouando Ella'l suo sposo in atto dì perfidia, Possa malgrado de parenti suoi Negar d'essergli sposa, e d'altro amante Honestamente prouedersi.

Si dichiara quella particella della legge: s'altri per lei non muore, & dicesi, che dee chi muore per altrui non essere straniero. Volea Carino essere sacrificato per Mirtillo, e non potè; perche lo stimarono forastiero.

Car. E perch’à me si nega, Quel, ch’à lui si concede?

Mont. Perche se’ forastiero : Circa’l particolare di costui, che prendi de per altri à morire, si vuole, che chi s’offerse à morte piu ritrarre non si possa: & si viene in conseguenza ad incenderci, che chi campato viene per altrui non possa più uoler’egli morire, anzi costretto sia di riceuer vita.

Che campar per altrui Non può, chi per altrui, s'offerse à morte.

Da poi che s’è determinato delle persone douenti cotale patimento sofferire, si determina del luogo; e si dice.

Che si dà la pena, ove fu’l fallo.

Et tal’hora occorrendo, che per qualche rispetto nel luogo del fallo sacrificare non si potesse, è lecito trasferire il sacrificio altroue, come s’in un’antro qualche fallo auuenisse, distinguesi, che

A scoperto ciel sacrar si deve. Chiede inoltre la cerimonia di questa legge, che Taciturna la vittima si moia. Se parlaua la vittima il sacrificio era spedito. Mir. Deh padre homai t’acqueta. Mon. ò noi meschini, Conta minato e’l sacrificio, ò Dei. & altroue. Mir. Misero qual errore, Hò io commesso, ò come

La legge del tacer m’uscì di mente? Quindi nasce per commandamento, e vigore di essa, che bisognaua questa vittima rimenar tosto.

Al Tempio E nella sacra cella un'altra uolta Prender da quella il uolontario voto. Inoltre alli detti s'aggiugne la moderatione della cerimonia del sacrificare. Che’n faccia al sol, benche tramonti Era fallo il sacrar uittima humana. E quella vittima solo potea essere sacrificata dal Sacerdote maggiore: Montano lo dice.

Non può per altra man vittima humana Cader à questi altari: & altroue: Cosi commanda à noi la nostra legge.

Anzi à ministri minori non era letito fauellare co' rei condennati al sacrificio: Cosi dice Ergasto ministro minore.

Perche vieta la legge A i ministri minori Di favellar co' rei.

E in tanto che si apprestava la vittima, non douea alcuno entrare nel tempio; se non era sacerdote: Cosi dice il messo à Titiro.

Fermati, che le porte Del tempio ancor son chiuse, Non sai tù, che toccar la sacra soglia, Se non à piè sacerdotal non lice. Fin che non esca del sacrario adorna La desinata vittima à gli altari?

E per finirla, queste altre due particelle hebbe anchora; l'una, cioè, che quando si fosse quell’oracolo adempiuto, che dicca.

Non haurà prima fin qual; che u’offende, Che duo semi del ciel congiunga amore.

Ritrouati che si fossero, dico quei duo semi del cielo, si douessero in quello stesso giorno appunto congiugnere, nelquale si fossero ritrouati: cosi’l cieco Tirenio camò.

Dove conuien prima, che’l sol tramonti, Che sien congiunti i fortunati Heroi.

L’altra, che si mirasse bene alcuno di loro non hauer già data la fede altrui: perciò disse Montano d' Amarilli.

Ma guarda ben Tirenio, Che senza uiolar la santa legge, Non può ella à Mirtillo, Dar quella fè, che fù già data à Silvio.

Questa era la legge di Diana con tutte le sue appendici. Durò il sacrificio di humana vittima conditionato con essa per alcun tempo. Gli Arcadi finalmente portati dal desiderio di saperne l'essito mandarono la terza uolta all’oracolo; & n'hebbero questa risposta.

Non haurà prima fin quel, che u’offede, Che duo semi del ciel congiunga Amore E di de una infedel l'antico errore L 'alta pietà d’un Pastor Fido emende. Ritrouauasi in quel torno Montano Arcade Sacerdote di Cintia (ò Diana che uogliam dire) >il quale discendea dalla stirpe d'Hercole, & nel paese d’Arcadia le sacre, e l’humane cose reggea. Nacquero di costui due figliuoli, de i quali il primo fù per nome detto Siluio; & questi uolendo poi altrimenti’l cielo Mirtillo chiamossi: percioche sendo egli bambino anchora, inondo'l fiume Ladone le vicine à lui campagne dell’Arcadia; e lo rapì; & entro vna culla portandoselo fuori del paese Arcado; salvo in Elide, castello della banda occidentale del Peloponeso, il condusse; & sù le sponde d’un’isoletta, che s'abbatè al corso del fiume attrauersarsi, il ripose; oue custodito fù dall'acque per fino ch'a quel luogo uenne à capitare huomo, ch’era bene Arcado anch’egli (per nome Carino,) ma per all’hora dimorante in quelle contrade: il quale veduto il bambino: dall’acque lo raccolse. Mandò Montano un suo seruo nomato Dameta à cercar nouella del perduto figlio; alquale, mentre costeggiaua la riua del fiume Alfeo, venne fatto d'urtare apunto in Carino, & da lui lo rihebbe: entrò in pensiero à questo Dameta, pria che riportasse il figlio al padrone, di gir'all’oracolo: & gitoui, ne hebbe risposta, che se peruenisse quel fanciullo in Arcadia; correa periglio d’esser dalle mani del proprio padre sacrificato; per lo che Dameta cangio proposito, nè più per tema di tal periglio ritornar volendolo al padre, lasciollo à Carino, che dianzi dato glie l'hauea, & finse col padrone ritrouato non l’hauere. Carino cui Dameta donò il fanciullo, senza forse molto sapere dell'oracolo, e che, e come, e quando li portendea di strano, alleuollo; & tutto che il nome di già impostoli sapesse; pure a volontà di Dameta lo chiamò con nuouo nome Mirtillo; atteso che ritrouato l'hauea in un cespuglio di mirti. Hebbe poscia il detto Montano dopo la perdita di questo, vn'altro figliuolo, >il quale per rinouellar la memoria, & racconsolarsi della disauentura del primo nomò parimente Siluio. Questi che giouanetto era anchora, dilettossi grandemente della caccia, & più che troppo mostrossi abborrire gli amorosi pensieri, & perciò l’amore di certa Ninfa chiamata Dorinda hauuto hauea sempre in isprezzo, & pure all’hora piu che mai lo sprezzava. E tanto sia detto di Montano, & sua stirpe. In quel medesimo tempo, & in quello stesso paese era un pastore che Titiro s'addimandaua, discendente altresì da Pane famoso Dio de i Pastori, & haueua anch’esso vna figlia bellissima chiamata Amarilli. S’abbattè in Elide costei passare, appunto nel tempo di quei giuochi, >i quali in honor di Gioue gli Elei costumauano di celebrare. Per quelli dunque vedere andossi colà Amarilli, e ui dimorò più giorni. Hora Mirtillo (quelli, che già portato fuori d’Arcadia dal fiume, & ritrouato dicemmo da Carino, in Elide nodrito, & hormai cresciuto ) vedutala tra quei spettacoli, che di beltà frà l'altre, come sole risplendea, di lei tostamente s’accese. Soleano insieme ridursi molte donzelle d’Elide, di Pisa, e d’altri luoghi (in somma, e terriere, & straniere) abbigliate alla ninfale, & in luogo si ritirauano; doue sole con libertà nel tempo, che de i giuochi publici copia non s’hauea, danze, & ischerzi tra loro essercitare potessero. Tra queste si ritrouaua una figlia di Carino, >la quale Mirtillo per sorella, come per padre Carino anchora tenea: ond'ei che desideraua fruire la presenza d’Amarilli più che potesse, alla stimata sorella il suo amore scoperse; e la pregò, ch’aitare lo volesse: >la qualle promesso havendoli; perciò fare vn giorno lo vesti d’habito feminile in tutto à quel dell'altre simigliante, e si l’adornò di chioma; e de i portamenti feminili si l’istrusse, che nel drapello dell'altre fù da tutte donna creduto. Venne proposta in quel giorno tra gli altri vn certo giuoco chiamato de i baci: & perche ad ogn’una piaciuta era la proposta, in ordinanza si raffettaro, e dichiarata Amarilli giudicatrice de i baci di ciascuna, quale più dolce si fosse; per lo giuoco fare incominciaro. Hebbero à baciarla di

una in una tutte: onde Mirtillo, che nella compagnia ritrouossi bacciola anch'egli, & con modo tale, che vinse, e funne coronato della ghirlanda; che per ciò appunto apprestata s’era. Finito il tempo de gli spettacoli, ogni forastiero à sua patria tornossi, & Amarilli anchora in Arcadia: Onde l'innamorato Mirtillo non potendo sofferire l'amoroso tormento, fè anch'ei dalle natie contrade in Arcadia passaggio. Fù à Carino acerbissima la costui non preueduta partenza, e dal dolore oppresso grauemente infermo: perche Mirtillo fù costretto di ritornare; Risanossi Carino al ritorno di Mirtillo; ma egli ritrouandosi lontano da colei, ch'amava vità in vna graue febre, & stettesi in questa guisa afflitto ben sette mesi, anzi di quella morto sarebbe, se non che finalmente all’oracolo si ricorse; e fù la risposta.

Che sol potea sanarlo il ciel d’ Arcadia. Cosi tornossi la seconda uolta Mirtillo in Arcadia perseuerando più che mai nell’amore d'Amarilli. Hora in questo mentre, da che già la sentenza dell’oracolo (la terza, dico, sopranarrata) s'hauea sentita; Et Amarilli d’Elide s’era tornata; quei duo nominati pastori, ch’entrambi derivaro l’origine da gli Dei mossi dal sopra riferito vaticinio publicamente fecero i loro figli Siluio, & Amarilli darsi l'uno, all’altro la fede maritale; & andauano procurando l’ultimo compimento del matrimonio, ch’essere douea (credean’essi) la salute dell’Arcadia. Le quali nozze; tutto che grandemente sollecitate da questi Montano, e Titirio padri de gli sposi, non si recavano però à fine; conciofosse cosache il giouanetto, >il quale niuna maggior vaghezza hauea, che della caccia, da i pensieri amorosi; come dicemmo, lontanissimo si vivea. Fra tanto che'l negotio sembrava pure verso'l fine riuolgersi, Mirtillo avedutosene (che solo in quel punto venne à saperlo) ne fù sopra modo, dolente: & si mise in cuore (che pareali perduta hauere ogni speranza) di voler’almeno con Amarilli parlare, & raccontarle à pieno gli affanni suoi; ilche mai per adietro non hauea fatto; & poscia non impetrando aita morirsene. Cosi trauagliando in rammarichi, e fra di se fieramente dolendosi; li soruenne Ergasto suo compagno; & intesa la cagione de i suoi lamenti lo interuppe: cui dopò alquanti giri di parole, Mirtillo confessò l'amor suo uerso Amarilli, che dianzi taciuto hauea; & insieme lo prego, ch’adoprare si uolesse di maniera, che acquistasse vna sola fiata commo dità di con lei ragionare. Questi pietoso di sue disauenture tanto fè, che ritrouò Corisca d'Amarilli compagna, ed ottenne da lei, ch’affaticare si volesse per solo cotanto impetrare da quella in fauore di Mirtillo. Era Corisca donna come di partito, & più che molto nelle lussurie immersa: & all’hora si ritrouaua alle mani col Satiro per ragione d’amoreggiamenti tra di loro; benche dianzi sposa essere douesse di Coridone, à cui n’hauea dato fede; e tuttauia era insieme ardentemente di Mirtillo inuaghita. Quindi argomentossi ella, poiche à tale cosa fù richiesta, d’hauere ottima occasione per dare all'amor suo inganneuole compimento: Percioche auisandosi della legge sopranarrata, si pensò che per lo di lei vigore, ogni uolta, ch’Amarilli condotta si fosse ad ascoltare Mirtillo, nasceua modo di fare che fosse stata di morte punita, e Mirtillo (à suo pensiero) mancando la rivale al suo amore riuolto. Per poter dunque recare i desiderij suoi à tal fine, fè dire à Mirtillo, ch’ad impetrare quanto ei richiedea era mestieri, ch’essa Corisca per poter più cautamente adoprarsi, alcuno particolare di questo suo amore intendesse. Cosi prese Mirtillo occasione di narrarlo ad Ergasto, >il quale à lei sollecitamente lo rapportò. Informata dell’amor suo Corisca, se n'uscì per Amarilli ritrouare, & le uenne fatto. Entrò con essolei in ragionamenti di nozze: Et perche non molto uogliofa se ne mostrava, le disse, ch’ogn'hora che fosse contenta, daua à lei il cuor di sturbarle: di ch’ella molto cupida dopo cotai promesse mostrandosi, Corisca senza punto per all’hora favellarle della maniera, diterminò solamente di suo consenso quest’uniuersale, di douer farlo; tanto disse d'una in altra cosa montando, che tiro Amarilli in proposito di Mirtillo, & si le mise in capo, ch’ascoltare lo douesse, che pure costei gliele promise. Il modo le diò Corisca; sendo che Amarilli con alcune compagne soleano su'l meriggio menar certe danze in quel luogo: imperò se in quel giorno ridurre si volesse, quindi l'occasione con molto loro agio ne nascerebbe. Si ridusse Amarilli colle compagne, e fra di loro ordinarono’l giuoco della cieca. In tanto per commandamento di Corisca Mirtillo s'era nascosto in luogo vicino, & non osando meschiarsi nel giuoco, à vedere se ne staua, & rimasto si sarebbe dal frapporsi frà di loro, se da Corisca (che di là prima fuggita dal Satiro, che presa l'hauea, pure anchora per altre uie ricondotta: ui s’era) non ui fosse stato quasi contra sua uoglia condotto, ò spinto. Entrato dunque egli nel drapello venne preso dalla cieca, ch’era Amarilli, & immantenente alla di costui presa. partitesi le compagne; fuor che Corisca, >la quale in certo vicino cespuglio appiattossi; rimasti gli amanti soli; nacque à Mirtllo agio grandissimo di parlarlo. Narrò egli à lungo ad Amarilli le sue passioni amorose: & essa datali dubbia risposta, senz'altra particolar conchiusione, licentiollo. Cosi partitosi; & Corisca per anchora standosi là nascosta; Amarilli, che d'essere sola si credea, cominciò à rammentare l’amore, e le parolle di lui; & indi dolendosi di sua sorte si mise à ragionare fra se stessa, e dire che pure l'amaua anch'ella intensissimamente, ma scoprire non potea questo sua amore, nè condurlo permodo ueruno à buon fine. All’hora Corisca, che tutto veduto, & udito hauea, le si fece innanzi, e la conuinse dell’amore, ch'à Mirtillo portava’: Et ciò buono parendole per lo suo disegno, cominciò à tessere menzogne, o frodi promettendo ad Amarilli, che volea, ch’in ogni modo, e pure leggirimamente anchora, di questo amorosi godesse, mentre à ciò fare, che le additerebbe, fosse disposta: Conciosiache lo sposo di lei Siluio (cosi le di è ad intendere) amaua una fantesca d'essa Corisca molte fiate con essolei in cert’antro s’hauea trastullato. E già dicemmo, che v’era legge di poter rifiutarsi l'huomo per isposo dalla donna, ogni volta che poteasi da lei provare, che giaciuto, fosse con altra. Aggiunso la menzogniera, che in quel giorno stesso la sua fante dato hauea ordine con Silvio di ritrouarsi nell’antro; onde s'Amarilli atteso l’hauesse di leggieri colto l’haurebbe. E per compimento le diè l’hora, e il tempo, & l’antro additolle. Cosi vtile parendole per ouiare al matrimonio, deliberò d’esseguir’ Amarilli: Ma prima d’ogn’altra cosa uolle girsene al tempio à far’orationi à gli Dei, acciò bene le succedesse. Andossene, & restò Corisca, >la quale pensò fra tanto, che costei s’era gita, d'aggiugner nuouo inganno al primiero; affine, che poi e questo, e quello insieme riuscire per ogni modo le facessero i suoi dissegni: fù l'inganno di parlare à Coridone suo amante, ò sposo; e dirli, ch'essere vorrebbe con essolui in quel l’antro medesimo, & cosi, dapoi che Amarilli colà entro risposta si fosse, farloui capitar anch'esso, & indi per secreta via condur i ministri del Sacerdote, e quiui coglier’entrambi, come se à peccare venuti fossero. Mentr'ella pensa, & à cio si risolue; ecco uerfo di lei venire Mirtillo: l'aspetta, e con esso lui entra in ragionamento, dissegnando con altro partito di due l'uno conseguire: Procurar prima di trarlo à sue voglie, ilche se fatto le fosse uenuto, più intorno ad Amarilli rauolta non si sarebbe: Et se questo non succedea, con altro modo accelerarle la morte. Non le riusci’l primo; onde al secondo volgendosi, à Mirtillo soggiunse, che molta ragione fatta gli haurebbe dell'amor suo sì costante uerso Amarilli, ogn’hora che riamato fosse stato; ò se pur non amato, non isprezzato; in guisa, ch'ella se schifa di lui si mostraua, de gli altri almeno il somigliante facesse. Ma di questo disse Corisca tutto essere il contrario in lei, conciosiache lui sprezzando à rozzo pastorello già data s’era; & godeasi seco in quell’antro pria riferito. Mirtillo ciò per modo ueruno credere non volea; pure perch'ella s’offerì di prouargliele; à nolerlo vedere si dispose. Et in tal modo affestò il secondo trattamento per la morte della riuale; dando buon'ordine à Mirtillo, onde potesse il tutto mirare compiutamente, e senz’altrui noia: Et poscia quindi partissi andando per Coridone. Tutto ciò fatto s’hauea in quello spatio, ch’Amarilli dìmorata s’era nel tempio, & nel viaggio à quello, & nella partenza. Venne dunque Amarilli (andatasi già Corisca, & per comandamento di lei nascostosi vicino Mirtillo) & incanta secondo’l consiglio hauuto s'andò in quell'antro. Mirtillo si perciò uedere, come per cert’altro ragionamento udire , che fatto hauea Amarilli in entrando, tenne per certo, che per alcun drudo gita vi fosso: onde uari pensieri le sursero nella mente: Ma si risolse alla perfine d’appiattarsi in cerra parte ben’interna, ma propinqua al’entrata della spelonca; & come accostarsi uedesse alcuno; incontanente d'agguato vscire, & ucciderlo; vendicandosi in tal maniera ad un tratto di due, ch’oltraggio facevano all’amor suo. Riposesi dunque in luogo assai commodo, e nascosto della spelonca. Auuenne ch’il Satiro soprauegnente lo vide entrare, & vdillo parlar di Corisca; quasi dell'amor suo all’hora all'hora Mirtillo douesse là entro esser compiaciuto. Onde il Satiro cosi credendo, per uendacarsi dell’ingiurie fatteli; conciosia che' molto, come si disse, amata l'hauea, ma sempre n’era stato spregiato, & uillanamente scherniro; pensò di chiudere l’antro, si che più indi uscire non potessero, & auisare poi’l Sacerdote, che mandaffe colà ministri, >i quali per lei punire del fallo, commesso contra la data fede, la prendessero: sendoche Corisca veramente data hauea la fè à Coridone, ma egli si tacea, & per tema del Satiro di ciò consapeuole di chiederla non ardiva. Chiuse dunque l'antro con cetto sasso, & andato al Sacerdote il tutto li fè palese. Ritrouauasi all'hora il Sacerdote nel tempio., oue la mattina insieme con Titiro s’era uenuto per ageuolar co i prieghi, e sacrifici le nozze de i loro figli Siluio, & Amarilli; & auuenuto era, ch’alle vittime offerite haueano ritrovate viscere bellissime; & la fiamma del fuoco era stata purissima: onde Tirenio indouino hauea subito cominciato à predire, che’n quel giorno le nozze si compirebbono. Il che sentendo Titiro per l’apparecchio partito s’era; quando sursero inaspettatamente altri segni di sinistro augurio spaventosi, e tremendi: All'apparir de i quali gli Sacerdoti, che la cagione non ne sapeano, si rinchiusero nel sacrario maggiore per consigliare onde ciò auuenisse. Hora mentre cosi passauano queste cose, giugie il Satiro frettoloso, & à Sacerdoti fà chiaro il tutto. Parne loro à tal detti trovata hauere la cagione dei i segni infausti: onde con ogni celerità gente fù spedita, ch’à prendere la rea femina andasse. Fù colta Amarilli, che dentro riposta s’era, e Mirtillo anchora già ridotto nell modo, & per lo fine, che si disse in altra parte dell'antro stesso; & ambo al tempio, ma per diuerse strade furon condotti. Non tantosto innanzi ai Sacerdote te arriuaro, ch'ella quasi in va punto fù accusata, convinta, e condennata; e liberato Mirtillo. Et perche tuttavia appariuano uari, & istraordinari prodigi; determinarono, che nulla il sacrificio prolungar si douesso; & di già uoleano aviarsi al luogo, dove s'era il fallo commesso, per punirla di morte conforme alla legge; quando ciò vedendo Mirtillo; non bene però certo s’ella colpeuole, ò innocente si fosse; offerissi di dar con la propria; morte la vita à lei. Contesero buona pezza insieme volendo Amarilli in ogni modo morire, nè sofferir ch’altri per lei à morte n’andasse; e Mirtillo ostinatamente procacciando il contrario: Ma poscia perche la necessità delle legge all’altrui cortesia accettare lei costrignea, Mirtillo al sacrificio condotto fù. Hauea già’l Sacerdote fornito quasi tutto’l rito; cosi che rimaneua solo il recidere il capo alla vittima; & ecco apparir Carino. Questi ansio di sapere del suo Mirtillo, & per ciò ricorso all’oracolo n'hauea ritratta cotal risposta.

Torna à l'antica patria, oue felice Sarai col tuo dolcissimo Mirtillo, Però ch’iui à gran cose il ciel sortillo, Ma fuor d'Arcadia il ciò udir non lice: Dopò >la quale ritornato s’era, & di

lui diligentemente andaua chiedendo. Occorsoli dunque d’esser all’antidetto spettacolo; & trattosi innanzi il riconobbe, & del Sacerdote, che vicino gli era, il braccio, & il colpo di già sopra Mirtillo cadente ritenne, lo sacrificio sturbando, & intender volendo come, e perche lo sacrificassero.

La cagione breuemente detta li venne. Et egli che non meno di uero figlio l'amaua, vdita che l'hebbe, cominciò à mostrare secondo la legge lui sacrificarsi non potere in Arcadia. In questa interrotto s’era l’ordine; e’l douere del sacrificio: perche la uittima parlato hauea: Onde commandò Montano, ch'al tempio fosse rimenata, & di nuouo per lo sacrificio si preparasse. Seguitò Carino in procurare con sue ragioni di liberarlo da morte; affermando ch’egli era forastiero, e però incapace à poter esser vittima per altrui; & con questo modo non accorgendosen'egli stesso; venne ad iscoprirsi Mirtillo vero figlio di Montano: della qual cosa infinito dolore sentì il Sacerdote, conciosiache'l proprio figlio sacrificare li fosse mestieri. Inteso hauea l'indouino Tirenio ciò ch’era occorso intorno à Mirtillo; onde uenuto al luogo del sacrificio interpretò l'oracolo, & mostrò ch'egli appunto essere douea quel Pastor Fido, che finalmente la salute all'Arcadia con Amarilli congiugnendosi apporterebbe. Il che riconoscendo ogn’uno per vero, ella incontanente gli fù sposata. Et ciò quanto alla prima historia. Ma perche si vuole che in questo poema contenga più d'un'auuenimento; & cosi lietamente concedesi; prima che fornisca questo racconto, mi conuiene dar qualche notitia anchora dell'altro; ò de gli altri. E' l'uno di cotal modo. In questo giorno stesso Siluio leuatosi per tempo mattina, & à caccia secondo il suo costume andatosene preso hauea un terribilissimo Cinghiale: indi à casa tornatosi era tutto allegro in se stesso, & da i pastori à gara essaltato sin’alle stelle. Venne à costui in pensiero d'uscir di nuouo di casa, & vscinne: & dopò alquante cose con Echo ragionare d'Amore; vide, ò parueli uedere un lupo nascosto dietro un cespuglio, onde tosto messo mano all’arco, & alle saette lo colse, ma non prima ferito l’hebbe, che s’auide quello essere non lupo, ma Dorinda da cui, come fù detto, ardentissimamente, ma indarno, era amato. Costei quantunque ritroso, & l’amore di lei non curante il provasse, pure lo seguia, & quello stesso giorno con esso lui molto lungamente, con occasione d’un cane di Siluio da lei ritrovato, & trattenuto, dello stesso suo amore ragionato gli hauea; anzi sin per entro la caccia trauvstita da capraio con una pelle di Lupo seguitolo. Hora mentre aspettava Linco mandato per ritrovare Lupino suo servo, c’haueasi le sue restimenta donnesche; nascosta s’era in quel cespuglio, & quiui (come dissi) colta fù in iscambio di lupo, & da lui ferita. Per questo accidente Silvio, la solita sua durezza in amorosa pietà cangiata, ad amarla si riuolse; quello che nè per lunghe persuasioni di Linco suo famigliare, nè per preghi di lei hauea uoluto far per l’adietro. E quindi portandola in braccio alle proprie case; e di sua mano la piaga medicando, che dianzi creduta s’era mortale; poiche à termini di salute fù ridotta (ch'in un momento ciò fatto uenne) essendo già di Mirtillo sposa diuenuta Amarilli; anch’esso fatto amante, sposossi incontanente à Dorinda. Per cagione de i quali (che non fuor di ragione pare potersi dire il terzo aunenimento) oltre ad ogni sua credenza felicissimi successi, Corisca; quella, che prima destinata moglie di Coridone, poi di Mirtillo inuaghita, procurato hauea la morte d’Amarilli sua riuale; e creduto che succedese al sicuro, beffando il Satiro, e Coridone suo amante, e sposo, fuggita s’era; alla fine rauedutasi di sua malignità tentò d'ottener perdono da Mirtillo, & Amarilli: & mentre ueniano dal tempio, in istrada trouatigli, quello impetrò: di che tutta racconsolata, & di già satia del mondo si risolse di cangiar vita.

E Tanto sia circa l'historia di questo poema. Io sò ch’altri forse à poco riguardando mi dirà lungo; & alcuno etiandio trascurato, in qualche cosetta per me tralasciata: Ma gli uni, & gli altri credo rimarranno sodisfatti, ogn’hora che un pò più da vicino intenderanno le mie ragioni: conciosia che à narrare, quanto s’è narrato, non sò come ristringerlo in minor giro di parole si potea, se però di cio fare con chiarezza, e pianezza intendeasi. E poi chi vorrà farsi marauiglia della lunghezza del passato racconto, e non maravigliarsi della lunghezza del Pastor Fido? Per lo che quella oppositione ch’à me si viene à fare, molto più ferisce il detto poema; essendo questa la stessa historia diuersa da quello nella spiegatura solamente. S'altri poi (che fù la seconda obbiettione) tassarmi di trascuraggine s’argomentasse; ridponderò c’hò detto le cose più necessarie, & importanti; & se qualche minutia tralasciata si ritrouasse; vò si sappia, che di ciò tal’è stata la cagione, ch'io non solo hò procurato di far piana, e chiara la medesima historia; ma corrente anchora; lasciando di frappor ciò, che poco alla notitia del fatio conferendo potea render'il filo di quella intricato. E delle sì fatte à luogo, e tempo forse mentione haurassi. Hor questo detto, segue, ch’al rimanente io discenda; & ad isporre cominci tutto ciò, che più volte: hò detto mi tiene l'animo sospeso circa l’arte della fauola del Pastor Fido: Alche prima condurre non mi uoglio, che certe considerationi non anteponga intorno à cose attenenti à quello sì; ma però di maniera attenenti, che fuori del commune ordine, e della commune serie appaiono douersi considerare. Cosi ad un tratto solo da quelle mi uerrò isbrigando; per attendere ad altre; e terrò anchora quell'ordine in iscriuere à noi Signori, ch’io tenni in ragionare à uostra presenza. Et questo di ch’io parlo fù, ed hor sarà, il titolo del poema; il prologo, e cert’altre cose sì prime, e fuori alquanto dell’altre, come particolari. E’ dunque il Titolo del poema II PASTOR FIDO TRAGICOMEDIA PASTORALE. Questo in tre particelle si distingue, delle quali, dirittamente considerando, è la prima TRAGICOMEDIA; la seconda PASTORALE; La terza PASTOR FIDO. Potrebbesi parláre di tuttatre; parendo ogn’una di loro non poco di scrupolo hauere; conciosia che la voce stessa Tragicomedia con la sua significatione lo porta. Ma di ciò più oltre il dirne tralascio; che non uoglio essere quell’io, che dopo cotanti famosi scrittori adesso metta in campo il mio parere. Scritt’hanno pur che molto in questa materia il Sig. Giasone; il Verrato; l’Attizzato; & altri; à gli scritti de’ quali per hora mi rimetto. Passo dunque alla seconda parte del titolo, ch’è l’aggiunto di Pastorale, al soggetto Tragicomedia. Secondo quest'aggiunto un pare potersi dubitare, ch’à verun patto ciò, che nell’opra si contiene al significato della detta voce non corrisponda. Imperoche ò si prende essa voce in senso, ch’inferisca Tragicomedia di persone pastorali: ò Tragicomedia d’attioni pastorali: ò pure ancho Tragicomedia, cio è componimento d’attione mista; ma con sentimenti, e costumi pastorali. Tralascierò'l luogo; perche non meno pratense, ò campestre, ò boschereccia si deurebbe chiamare, che pastorale; atteso che in tal intrauiene: Ma di uero in alcuno de i predetti modi non si può questo poema pigliare; dunque chiara sembra la conseguenza. Hora per ritrouar pienamente il vero, assestiamoci alla ragione, all’auttorità, alla pratica di questo cauata d'auttori grandi: Definisce Virg. nella 6. Egloga il pastore dall’ufficio suo dicendo.

Pastorem Titire pingues. Pascere oportet oves.

E Platone medesimamente nel primo de Iusto descrivendoci l'arte pastorale (ilche meglio è dichiarato da quanto poi disse Virgilio) si lasciò intendere in queste parole.

Profecto pastorali arti nihil aliuil cure est, quammi id, quod custodet, oprime se habeat, in giusa che solamente quello pastore sia, e sotto cotal nome venga significato, >il quale conduca gli armenti alla pastura, & proveggia, che bene stiano. E questo uiene ad essere cosi uero, ch’altri senz'attendere alla cura d'armenti al modo sopradetto propriamente non si puo dire pastore: E se con tal nome si chiama, ò malamente si favella; ò diremo impropriamente senz'alcun fallo: che se cosi non è, Virgilio, e Platone Parlando ex professo dell’essenza del pastore, e de l'arte pastorale falsamente per le già poste conditioni ce gli herrebbono definiti. Lo stesso approvando Varrone nel 2. libro de re rustica al primo capo fece dire à quello Scrofa introdotto nel ragionamento di questa materia.

Igitur (e parlava di sopra dell’arte pastorale) est scientia pecoris parandi, ac pascendi, ut fructus quam possint ma zimi capi antur eu ea: & quello che segue: Oue è da notare quanto v’aggiunse, perch’altri non dicesse il nome di pastore di sopra definito douere essere solo de i famigli, ch’escono cogli armenti alla pastura: E d’auuertire, dico, Varrone hauer posto quelle due particelle, scientia pecoris parandi, e l'altra, vt fructus, quam possint maximi capiantur ex ea; per uolerci dare ad intendere, com'egli definaua l'arte, ò professione pastoritia spettante al pastore padrone, e che ufficio suo era sapere le predette cose per lo detto suo fine. Da quello, che s’è discorso, possiamo cauare l'attioni de i pastori, come pastori non essere altro che attendere alla greggia, comprendendo quanto suole intorno à quella occorrere; come sarebbe à dire.

Alcun saggi pastor le mandre murano Con alti legni, e tutte le circondano, Che nel latrar de’ can non s’assicurano. E quello anchora; altri cosi dicendo. Omnem operam gregibus pastorem impendere oportet,

Ire, redire, lupos arcere, mapalia sepe Cingere, mercari paleas, & pabularvictum

Quarere: Et in somma quanto ci lascio scritto Virgilio nel 3. della Georgica dell’attioni pastorali. Alle predette s’aggiungono dell'altre, che con molto verisimile s’accoppiano colle prime: com’è ritrouandosi due pastori insieme fuori per gli campi coll’armento per fuggire l'otio, e la noia si mettano à gara à cantare, e sonare la sampogna, ouero

Aliquid quorum indiget vsus Viminibus, molliq; parent detexere iuneo. Là onde reca à me non poco stupore, che s'attribuisca à gente cotale nel Pastor Fido

Ch’altri sia vago Di spiar tra le stelle, e gli elementi

Di natura, e del ciel gli alti secreti. Lequali cose basterebbono à vn Tolomeo, à vn Platone; e cosi molt’altre com'andare à sacrifici, sacrificare, far all’amore, ballare, beffare, che sò io. I costumi poscia, e concetti pastorali sono quelli, che l'essenza conseguitano della persona pastorale, & intorno à: materia pastorale s’aggirano. Hora che veduto habbiamo, quai sono le vere persone pastorali, quali lo proprie loro attioni, e quali i conseguenti costami, e concetti, ritornando alla già fatta divisione diciamo: Le persone del Pastor Fido sono di due sorte, huomini, e donne; & de gli huomini altri sono padroni, altri serui, & altri sono che nè servi, nè padroni (tutto che fossero) appariscono: Per quanto appartiene alle Donne, la cosa è chiara, cioè che per loro pastorale non viene chiamato,: sì perche tali denominationi circoscriventi la sorte del poema per li più non si tolgono dirittamente dal meno, ma dal più delle persone, che di tale qualità essendo sogliono tale anchora far lui chiamare; i, dico, per questo; come anchora perche le donne del Pastor Fido pastorelle non sono nè di nome, nè d'opre: Et se si dicesse; Ninfe queste s’appellano; si potrebbe rispondere Ninfa non voler dire pastorella: E però à niun partito per cagion loro conchiudemento 'l Pastor Fido poema pastorale potersi dire. Adunque resta, che la ragione del Titolo si prenda, come sembra douere anchora, dalle persone de i padroni, e da coloro, che se ben non appariscono ne servi, ne padroni; tuttavia sono gente da più de i familgi, e di simil’altra torma soggetta: Ma nè da gli uni, nè da gli altri (com’io stimo) puote hauere titolo di pastorale questo poema: Perche stando la definition dara del pastore, e quale di gratia delle persone del Pastor Fido era veramente pastore? certo niuna. Forse mi dirà in difesa di ciò alcuno, che quasi tutti si chiamano pastori nel poema. Rispondo, ch’altro è chiamarli, altro è, che per tali si conoscano dall'attioni veramente. Et di gratia un luogo mi s’accenni, che conuinca, e dimostri, ò Titiro, ò Montano, ò Silvio, ò Mirtllo, ò Ergasto, ò Nicandro, ò Carino, ò Vranio essere stati pastori. Oh, si chiamano pastori: & io dico di non vedere operationi, e concetti, che li dimostrino tali: E ragioneuolmente mi pare di dirlo: poiche s’alcuno chiamando un componimento Tragedia; i personaggi di quella solamente andasse dicendo, e Regi, e consiglieri, e capitani: nè mai facesse comparire attioni, costumi, ò sentenze tali, che per Regi, consiglieri, e capitani li manifestassero; addimando à chi parrebbe tal cosa ben fatta; e che secondo l'intention sua cotal poema li riuscisse Tragedia, & quelli per tali persone fossero tenuti? certo à niuno: Hor dunque chi vorrà chiamare il Pastor Fido pastorale, se'l nome solo apparisce, e non altro? Bene mi dirà alcuno, e che vorresti si facesse per cagionare tal’iscoprimento di persone pastorali? Forse che quelle tal persone introdotte conducessero armenti per iscena? Questo nò, ma bene che l’attioni loro sortissero cotai conditioni; & i ragionamenti anchora fossero di tai concetti diuisati, che se bene altri'l nome di pastore mai non vdisse, tuttauia coloro per altro non hauesse, che per huomini di vita pastorale: anzi sforzato fosse da quei ragionamenti à riconoscerli per pastori. Et in uero di tai concetti, e di tai particolari conditioni addittantici la persona de i pastori pare totalmente mancare il Pastor Fido; percioche leuati via certi pochi de nomi, come sarebbe Pastor, caprar; pecoraia; e le mandre, e gli armenti; Vn capro, ed un'agnella; & cotali cosuccie posteui anzi per ispianzo, che per altro, chi mai lo riconoscerebbe per pastorale: se pur non uogliam dire, chi per ogn'altro poema non lo stimerebbe che pastorale? Nè il leuare quelle poche parole fora cosa di noia al poema, ouero porterebbe contrasto di molto rileuo; atteso che senza punto alterare l’essenza sua, ò le sue parti, ò qualche altra cosa d’importanza, che dall’esser suo primiero lo trasformi, si può ageuolmente fare, rimettendo in loro vece parole altra cosa significanti: Per essempio quando si dice.

Non mi tacer qual è il Pastor tra nol; che importerebbe, se si mutasse, e si dicesse .

Non mi tacer qual’ è, colui tra noi; ouero cosa altra simile? Nulla per certo: Cosi stà del rimanente. Ma se vogliamo, quanto s’è detto dedurre in prattica dell’eccellentissimi Scrittori; pigliamo la terza egloga di Virgilio, il quarto Idillio di Teocrito. Chi di gratia, & bene ancho senza sapere se coloro fossero pastori, ò nò; in leggendo quei duo componimenti non li crederà, e terra fermissimamente per pastorali, e le persone introdotte per pastori? Le conditioni pastorali vi sono troppo bene espresse; & i concetti pastorali troppo bene inseriti: E cosi vuolsi fare à metterci auanti gli occhi (come si dice) le cose. Seguì (in ciò ben consigliato) queste medesime vestigia, e tenne questo medesimo stile il Sannazzaro nella sua Arcadia: onde se bene in quella non hauesse frapposto più uolte il nome di pastore, tuttavia chi fare potrebbe di non giudicarla opra pastorale? Cosi nel genere pescatorio l'Ongaro compose l'Alceo in cui non mica i nomi soli propose, ma si bene l'adornò d'attioni, costumi, e concetti pescatorij; che quantunque trattasse attione appartenente ad altra sorte di gente, pure non potremmo fare di me no di non dirla pescatoria dalle persone, costumi, e concetti pescatorij, com’io dicea. Dunque per conchiudere questa parte, le persone del Pastor Fido veramente, da quanto appare, non sono pastori; ne l’attione è pastorale. E di già s'è mostro, & si può anche sapere dalla sopra scritta definitione di che forte siano l’attioni pastorali; onde nè io. più m’affatichero a ripetere quanto s’e detto. Nel Pastor Fido si tratta vn maritaggio per liberare l'Arcadia dalla pestilenza con aggiunte d'amori, di caccie, d’inganni, di passioni amorose, d’oracoli, di sacrifici, & d'altre tante già dette cose; è chi uorrà stimare in gratia, ò nomar quest'attione Pastorale? Se fosse de’Pastori; d'altra gente (propriamente parlando) essere non potrebbe, che pastorale, e pure de i maritaggi, e per tali cause occorrenti, cioè per uia d'oracoli, di frodi, e d’amori, & simili accidenti sono ripiene le cittadi molto più; Sengo che ò sono proprie di queste, ò almeno di gran lunga più proprie loro, che del contado. Non parlo adesso ex professo de i costumi del Pastor Fido, e de i concetti; se siano pastorali, ò nò, sì perche è cosa da se stessa chiara, come perche altroue a i luoghi propri ne faro forse particolar mentione: ma tanto mi basta d'hauer detto hora per l'intitolatione di Pastorale. Sta dunque in tal guisa la terza parte del titolo: IL PASTOR FIDO. Si ritruoua composta di due uoci, sostantiua, & aggiunta: IL PASTOR, è’l sostantiuo; FIDO è l'aggiunto.

Se li riceuiamo entrambi formalmente, da che non uiene ristretto con particolare annessoui, come sarrebbe fido in amore, ò simile; non sò come questo titolo al poema si conuegna, perche bisognerebbe sotto ui si contenesse qualche fedeltà, ch’il pastore hauesse vsata in quanto pastore: che per essempio essendo padrone hauesse negotiato fedelmente co i compratori del cascio, delle lane, e sì fatte cose: ouero essendo famiglio, non hauesse ingannato il padrone; che per l'opposito Virgilio definì’l famiglio, ch'era pastore men fido al padrone, quando disse:

Hic alienus ouescustos bis.mulget in hora:

Volendoci dare ad intendere quel lo essere in istato di servo fido pastore, che cotali cose altri seruendo non cornmettea. Hora secondo questa consideratione il Titolo non appare contenere in se quel senso. ch’à lei corrisponde: Sendo che questo pastore, di cui s'incendo niuna delle cose alla fedeltà di pastore, ò padrone, ò servo appartenente habbia fatto, per cui’l titolo possa, affarsi al tessimento dell’attione di lui. Che se quel pastore uolesse significare amante & amico; pare

prendersi un nome per l'altro, e haurebbe à dirsi fido amante, come in altro poema disse giudiciosamemente l’Illustrissimo Sig. Curtio Gonzaga: e fido amico: ch’all’hora bene accoppierebbesi l’aggiunto col sostantiuo. Altrimenti ne pastore vuole dire amante, ò amico (si come ben dichiara Platone nel di sopra riferito luogo, doue difinisce'l pastore per quello ch'attende à procurare, che gli armenti stiano bene, e di pastura, e d’ogn’altra cosa) nè fido per la presente occasione li si conuiene. E se si dicesse qui nel titolo, come in tutta l'opra, ilche s’è fatto infinite uolte, quel fido stare per costante, ò perseverante in amore, ò pure pietoso verso l’amata, poscia che in ciò par che consista la fedeltà di Mirtillo, del quale nel titolo s’intende. Primieramente la fede, e la pietà sono differentissime, tra loro, in guisa che la difinitione dell’una non conuiene all’altra. E poi sono molto dubbio, se nel buon'uso della lingua per cosi fatto significato questa uoce si possa stare. Et tanto sopra quest'ultima parte ci sia à bastanza. Vengo all'Arcadia regione oue la scena si finge; dellla quale subito che sbrigato mi sia, al prologo farò passaggio. Quanto mi trauaglia circa tal capo, é che considerando io la descrittione dell'Arcadia, e de’suoi popoli, loro leggi, e costami fattaci da Pausania nel 8.lib. della sua Grecia, non comprendo come con lei convegna la presente Arcadia, nella quale si finge il Pastor Fido. Se non hauesse certi nomi antichi d’Arcadia, >i quali sono ben pochi; e se non si chiamasse il luogo per tutto’l poema Arcadia, per me non saprei punto riconoscerla per Arcadia. Hora diciamo di quella, che ci scriue Pausania. Descriuendo egli particolarmente le regioni della Grecia, & i costumi suoi nell'ottauo libro, uiene à ragionare del paese Arcado, & narra varie cose del sito suo, e suoi confini, e della successione de i suoi regi. Questo compiuto, passa alla descrittione particolare de i suoi popoli, uillaggi, e Castella, fonti, & altre cofe notabili, delle quali fa professione darcene minuto ragguaglio. Inoltre uà frapponendo di molti costumi de i popoli particolari. E questa in breue è la sommagenerale di quanto scrisse in quell'ottauo libro. Da questa potremo, appropriandola al particolare del Pastor Fido, uedere la differenza tra l'una, e l’altra. L’Arcadia del poema presente, per quanto da certi suoi luoghi habbiamo, hebbe popoli di genti cittadine, e pastoritie in buona copia; Cio si legge nel prologo.

E gli altri suoi guerrieri Popoli armò l'Arcadia con quel che segue:

Questo non hebbe l’Arcadia descritta da Pausania. E ben uero c’hebbe certi pochi pecorai, e pascitori de cavalli, d'asini, e buoi, come suole havere più, e meno ogni cittade nel suo contado: ma non già soggetti Heroici, quali s’affermano nell'Arcadia del Pastor Fido. Di questi popoli pastori si dice prima che sono Filososi, e che spiano li segreti del cielo, e della natura, come s’è riferito di sopra: Poscia si segue:

E quando piu di guerre, e di tumulti Arse la Grecia, e gli altri suoi guerrieri Popoli armò l'Arcadia, A'questa sola fortunata parte. A'questo sacro Asilo Strepito mai non giunse nè d’amica. Nè di nemica tromba.

Se considereremo questo, & i luoghi di Pausania, gli troueremo contrari. Questa parre d’Arcadia è luogo à piè dell’Erimanto in quella banda, à lato cui scorre Ladone: cosi dal poema si caua.

A piè dell'Erimanto Nobilissima caccia: e quel che segue: E che inaffiato'l paese si fosse dal Ladone, eccoui ancora il luogo

Quando

Il timido Ladon ruppe le sponde: Simile paese; à prima uista però; mette Pausania; e dice che Psofide città dell’Arcadia si ritruova poco distante dall’Erimanto, e che per quella passa il fiume Ladone: Ma però non l’hà per cosi saggia, santa, e pacifica. Mi pare, che le imponga certo tradimento fatto ad Alemeone; & risse antiche per questo da i suoi regi co i capitani Argiui. Onde se’l paese è lo stesso, l’una delle descrittioni è falsa, sendo ambedue contrarie, non che diuerse. Hebbe inoltre l'Arcadia del Pastor Fido lo Rè, ch’era insieme e Rè, e Sacerdote: Cosi altroue si dice:

Sai tù, che quì con una sola uerga

Reggo l’humane, e le diuine cosi. Ciò l'Arcadia di Pausania non hebbe. Di più u’era in quella del Pastor Fido un famoso sacrificio d’humana uittima, per certa pestilenza occorsa; >il quale sacrificio era conditionato con una legge, anzi, dirò, molte leggi, e uarie cerimonie. Di tutto questo nè pure uestigio si uede in Pausania: & è verifimile, che trattato n'hauesse, se vero fosse stato; si perche fe mentione di cose più minute, come anchora, perche nell’historia dell’Achaia racconta un fatto simile, anzi pure pau eis mutatis lo stesso. Nell'Arcadia del Pastor Fido si vuole ch'Alfeo fiume habbia l’origin sua in quella: Leggete’l prologo, doue dice:

O cara genitrice, ò dal tuo figlio Riconosciuta Arcadia.

In quella di Pausania ciò non si dice, nè pure si sogna. Riferisce ben'egli, come per essa scorre Alfeo; ma non già, ch’in essa nasca. Hor dunque se l'Arcadia del Pastor Fido hà popoli, regi, sacrifici, costumi, fiumi, e fors’altre cose differentissime da quella di Pausania, e ben di necessità, che con quella non si raffronti. Ma altri potrebbe dirmi, che l'auttore del Pastor Fido si sia seruito dell’Arcadia fintamente posta dal Sannazaro; in ciò seguendo la fama di quel grand’huomo.

Aut famam sequere.

Ciò tuttauia mi pare accrescere non pochi dubbi; poiche prima il contrario si dice, & presuppone chiaramente nell’Attizzato (cioè che si parli della uera Arcadia) e sopra tal detto, e presupposto si procura di sostenere, & difendere i costumi, & la locutione; sì che mutando questo principio tutto il suo argomento anderebbe a terra. Poscia soggiungo, che qual’intentione habbiano i più famosi spositori della Poetica nel far giudicio di detta opra (per non dir poema) del Sannazaro; & ciò che se ne possa dire in uia d’Aristotele, ciascuno il sà. Finalmente dico, che questa del Pastor Fido al mio parere non si affà nè ancho a quella del Sannazaro: ilche quando fosse uero, resterebbe l'hauerne finta una terza di suo capriccio. Hora andiamo considerando se questo sia cosi.

L’Arcadia del Sannazaro primieramente era molto seluatica , & tale che stupire facea ogn’uno à pensare, come le fere (sue proprie parole) non che gli huomiui ui dimorassero. Li Pastori in quella habitanti non erano molti come si comprendo d'alcuni luoghi; anzi che’l Sannazaro in quel racconto di attione, che durò più giorni, non introdusse se non uentinoue, ò trenta persone. Di questi pastori altro miltiere non era, che pascere armenti, e con quelli per trovar pascoli trascorer quà, e là. se uoleauo essere insieme, bisognaua, che la mattina uscissero uniti alla pastura; altrimenti rade uolte ui s'incontrauano. Andavano tal’hora per ispatio di due, ò tre giorni uagabondi, e la notte poi col gregge si ricouerauano sotto gli arbori. I costumi loro, si come le attioni, erano pastorali. Le sentenze, ò i concetti dedotti quasi sempre da materia pastorale, e rustica. Lo stile humile, e basso. Il sauer loro non si stendea più oltre, che intorno à certe offeruationi de gli effetti de i tempi dell'anno per utilità de suoi greggi: intorno alla statura de gli animali; all’età loro idonea per generare; al castrare de i uitelli; & à mill’altre cose sì fatte, che si ponno leggere nelle prose del Sannazaro. Non erano gouernati d’alcuno. E finalmente le loro femine non erano ninfe, n con tal nome s’addimandauano. Per lo contrario nell'Arcadia del Pastor Fido, ogn’una è Ninfa, ò se non è; almeno tale s’addimada. Viene retta con regia auttorità da persona Sacerdotale. Gli huomini in essa habitanti diconsi bene pastori, ma nè di sapere, ne d'opre, ne di costumi sono pastori. Più che troppo sono dotti, e sententiosi. Mai non pascono pecore, che si sappia. E senza insieme accopiarsi, ò per tempo mattina, ò pure altrimenti, sono ad ogn'hora, ad ogni batter di ciglio insieme. Si ritirano à casa la sera, e bene per tempo. Sono tanti ch’in un’attione d’un sol giorno, senza punto hauer prima pensato di ritrouaruisi, concorrono in numero di diciotto; & etiandio quattro chori, che certo per lo meno doueano essere altri quaranta; oltre la tanta moltitudine, che à uedere corse. Et in somma cotanto è delicato, e uago il paese, ch’à testimonio di chi parla, haue ombre amemissime, degne che fossero alle delitie de i campi Elisi agguagliate; antri bellissimi per le piaceuolezze di Venere; stanze meglio nate, che fatte. E quello, ch’essalta l’eccelenza del paese; oltre tutte queste cose, haue giardini. In guisa che luogo caro, e beato meritò d’essere chiamata cotal’Arcadia. Onde chi non concluderà, e l’una e l’altra essere differentissime, se tanto nelle qualità del paese, e de gli habitanti discordano? Crederò dunque, che da quello, c'hò detto fin'hora, prouato ui rimanga l'Arcadia del Pastor Fido effere distinta, e da quella di Pausania, e da quella del Sannazaro. Perche mò cosi: fatto si sia, dire non lasaprei. Altri forse direbbe, c’havesse hauuto in pensiero l'auttore di sua starsi dall’uno, e dall’altro, e fingere a suo senno altra nuoua Arcadia per poter'ancho fingere persone, attione, leggi, oracoli, & mill’altre cose a modo suo. Ma a ciò contrasta, com’io dicea, il luogo: dell’Attizzato; & l’altro oue dice notabilmente, che’l Pastor Fido mutate solo alcune cose sarebbe Tragedia. Et se pure uogliamo starci alla costoro interpretatione; par’a me, che ci nasca molto chè dubitare. Ò mi diranno, perche cosi cotesto è ch'importa finger di nuouo, e tramutare lo di già finto secondo: che pare; e piace? Rileua più di quello, che si pensa: Primieramente c’è l’ detto d' Horatio sopra ricordaro.

Aut faman sequere, con qual che segue: E poi chi sarà quegli, cui sia per essere punto difficile l’annodamento delle favole, & lo scioglimento di quelle, & in buona parte i concetti, e le poetiche inuentioni; se ogn’ hora che uorrassi nel poema, occorrendo qual che cosa bella, e difficile da annodare, ò da sciorre; si ricorrera a fingere a modo suo luoghi; persone; attioni; costumi; usanze di popoli; meze dozzine di risposte d'oracoli; leggi nuoue, nè mai piu udite; & in somma se peggio, che per machine scioglierassi? Ma, perche di ciò per hora scritto hò assai, & altroue perauentura ci sarà occasione anchora di parlarne; seguiamo quanto ci resta a considerare.

DI quanto proposi trattare, anzi ch’alla tessitura della fauola procedessi, ultimo ci resta il prologo: Intorno alquale proporrò alquante considerationi; lasciando certi minuti scrupoli forse non tanto degni d’accurata auuertenza. Appare che gli antichi poeti per due cagioni (per quanto veggiamo dalle Comedie loro) costumassero di preporre alle fauole il prologo: la prima per iscusare il poeta, e difenderlo da certe imputationi dateli da i suoi emoli, e calonniatori; per mezo delle quali scuse ueniansi poi ad acquistar’attentione, e fauore, anzi lode, & applauso dal popolo: La seconda, per dare qualche contezza delle persone, dell’attione, & del luogo intorno a cui, & in cui poco dopò quei della scena doueuano trauagliare. E ciò ragioneuole stimarono; atteso che facendosi le Comedie de'casi privati, i quali per lo più sogliono essere di non molto grido, pensarono al tutto di quelli al primo tratto douersi dare a gli spettatori qualche ragguaglio. Hora il prologo di cui parliamo non fù composto per la prima ragione: Ciò è chiaro; perche non si difende l’auttore, nè ciò cade in consideratione alcuna. Molto meno per la seconda; perche non ci reca notitia ueruna ò delle persone, ò dell’attione: Che quanto al luogo; oltre che nel poema stesso ue ne sia basteuole mentione; dice bene Alfeo d’una certa Arcadia, c'hebbe pastori; ma però non applica più oltre appropriando’l luogo all’attione; anzi non accenna a che habbia da seruire questa mentouata Arcadia. Ma forse mi potrebbe oppore alcuno, ch'una terza causa tralasciato hauessi oltre le due di sopranarrate: Cioè, che appaia molti esserssi mosi a fare prologhi per lodare Prencipi, ch'essere douessono, presentì alla rappresentatione della fauola: E però se per le due assegnate non fù composto’l prologo del Pastor Fido, forse hà luogo la terza. Alla quale oppositione rispondo, omessa non hauerla, perche souenuta non mi forse, ma si bene perche tale non riputai questo rispetto, che poteffe sottentrare al nome di cagione atta a mover’un poeta à prologare innanzi le fauole sue. Senza che dato anchora, ch'alcuni si fussero in ciò lasciati trasportare à seguir’un cotal rispetto; moderatamente l'hanno seguito, e per uia d’insinuatione più tosto, che apertamente. Nel Pastor Fido auuiene tutto’l contrario, cioè troppo scoperto, e troppo diffuso è il ragionamento delle lodi di quei Prencipi; percioche s’entra in esso a ragionare del sito, delle qualità, e delle genti d’Arcadia: poi con pretesti forse per ciò non basteuoli s’entra dirittamente nella essaltatione d'essi Prencipi, & mai più nel di prima cominciato ragionamento non si rientra; anzi ad altre cose assai meno alla persona d'esso prologo conuenienti si mette mano. Che per l’opposto, se d’alcuni s'è costumato di trapporre lode; l’hanno almen fatto con riguardo di concludere poi à proposito dell’incominciato ragionamento. Ma simil sorte di prologhi non legati co i poemi, massimamente quello del Pastor Fido (per finire questo particolare) io non posso darmi à credere che siano secondo l’arte; anzi mi par molto ragioneuole, che in tal maniera non si deurebbono fare, ò almeno da chi pur far gli si compiacesse, co i poemi stamparsi. Della qual cosa, oltre che ce lo detta la ragione stessa, ce ne dà anco efficacissimo segno in questo, di cui parliamio, il uedere, che leuandolo dal poema, non s’offende punto l’orecchia, o'l gusto dell’auditore, ò del lettore: nè in maniera imaginabile ò si muta l'essenza, ò si turba l'ordine, ò s’interrompe il filo della fauola; ò si rende men chiaro'l principo, ond’ella dipende. E sappiamo, ch’in fatti s'è leuato più d’una uolta; soppostine de gli altri; nè però meno intelligibile s’è renduta: Et in Vicenza appunto mia patria, douendosi rapresentare , fù leuato'l prologo d'Alfeo, & sopposta la persona d'Iride, che disse cose del tutto uarie, e diuerse da quelle d’Alfeo. Segue il trattare della persona introdotta da questo auttore. Nel fare di cotai prologhi s’hanno forte compiaciuto li nostri poeti d'introdure à fauellare Dei come fecero ancho de gli antichi: consumando molta parte del loro discorso in iscoprirsi per uari segni à gli spettatori. La ragione perche cosi habbiano uoluto introdurre Dei à prologare fù, che pensarono d’accostarsi più al credibile in questo modo, che in altro. Doueasi alle uolte predire qualche cosa di ciò, ch’à fare s’hauea; però u’era bisogno di persona diuina, altrimenti credenza non s'harrebbe ritrouata appo gli uditori. Secondo tal uso nel prologo presente s’introduce uno de i Dei. Intorno a questa inuentione hò due dubbi Il primo è che si potrebbe negare Alfeo essere un de i Dei; perche non sostenta la conditione diuina, & non racconta più di quello, ch'alti’huomo semplice un pò poco informato haurebbe saputo fare: Percioche qual’è non dirò quel Dio, ma quell'huomo, che si marauigliasse realmente di uedere l'Arcadia in iscena rappresentata, & dipinta per recitarui sopra una fauola: & con tant'apparato di parole vi mettesse io opera il valore di sì gran prencipessa? & pur si dice

Miracolo stupendo?

Ch’insolito valor, che virtù nova Vegg’io di traspiantar popolli, e terre? E se si rispondesse Alfeo pensaua realmente quella fosse Arcadia trasportata da luogo a luogo, non finta in iscena; replicherei cio non esser verò, perch’egli di sopra confessa di venire à vedere l’imagine di quell’Arcadia, che già solea esser libera, e bella, & hora è desolata, e serua: Cosi parla nel prologo:

Ecco lasciando il corso antico, e noto Per incognito mar l'onda incontrando Del Rè de fiumi altero,

Qui sorgo, o lieto à riueder ne uegno, Qual esser già solea libera, e bella, Hor desolata, e serua: Quell’antica mia terra ond'io deriuo: A chi supporre uolesse reale traspiantatione d’Arcadia, sarebbe mestieri anchora supporre, che la vedesse qual’e al presente, e non qual'era; per che colle conditioni passate per alcun modo realmente traspiantare non si può, sendo già del tutto smarrite per iniurie del tempo: Se dunque traspiantar si dee, colle presenti si traspianti. Ma se colle presenti; ella è desolata, e serua, dice Alfeo, & è uero. Et essendo cosi, come poi s’accommo derà all'attione che ui si finge, douendo per la fauola essere libera, e bella? Onde per ogni modo bisogna conchiudere, ch’Alfeo intendesse di uenire à uedere una scena; e d’una scena dipinta, & artificiale un Dio ne facesse tai merauiglie. Et pare in somma, ò ch’all’auttore non sia succeduto d’ispiegare il suo concetto come conueniua; ò che trasportato dalla uaghezza de i contraposti non habbia fatto pensiero sopra quelle parole: hor desolata, e serva. Si conferma il dubbio, ch’Alfeo non sostenti acconciamente la persona diuina: Poiche mostra di saper molto bene, ch’all'Italia non fa dibisogno più d'alpestre rupi per sito riparo; e che seranno augusti, e grandi i parti, e l’opre di quei prencipi: e che’l cielo lor prepara corone d’oro: cose tutte, che ricercano diuin preuedere. E poi non sà di cotale già fatto traspiantamento, ò rappresentatione, ò dipintura, & sembra stupirne tanto.

Il secondo dubbio intorno à questo Dio sarà, che seguendosi’l commune uso della descritione delle persone introdotte, Alfeo poco bene pare descriuersi: si dice:

Se per antica, e forse Da voi negletta, e non creduta fama Havete mai d’innamorato fiume Le merauiglio udite; Che per seguir l’onda fugace, e schiua De l'amata Aretusa Corse (ò forza d’amor) le più profonde Viscore della terra, E del mar penetrando: Là dove sotto alla gran mole Etnea Non sò se fulminato, fulminante Vibra il fiero gigante, Contro'l nemico ciel fiamme di sdegno; Quel son’io. Già l’udiste: hor ne uedete Proua tal, ch’a uoi stessi Fede negar non lice,

Comparisce dunque Alfeo, e pretendendo di farsi conoscere paesano de gli Arcadi, giunto in Arcadia, manifesta la sua origine, e dice d’essere figliuolo di quella. E quando si douea sforzare d'informaro altri ueracemente de i suoi progenitori, al primo tratto gl'inganna, conciosia che non d’Arcadia sia prodotto Alfeo; ma di Tessaglia il suo nascimento to riconosca: cosi dicendo Pausania nell'ultimo dell’historia Arcadica; Eius caput (parla d'Alfeo) ad Phylacen: Et questo è luogo in Tessaglia. Inoltre narra di se stesso certo amore, che portò ad Aretusa, per lo quale fu costretto di correrle dietro per lo più profunde uiscere della terra penetrando il mare per aggiugner quella. Hora dubitando; che la gente non credesse le cose successe ad Alfeo per fama conosciute esser proprie di lui, che dicea d’essere Alfeo, quando ciascun’altro di esse consapeuole riferir le potea: volle addurne pruoua, e testimo nianza tale, che dire à modo alcuno non si potesse lui non esser’Alfeo. In che dunque consistono queste pruoue? in proposta sola di quelle: Vdire ’l suo parlare. Di sopra ragionò del l'amore d'un fiume uerso Aretusa: hor dice d'esser quello, & insieme lo pruoua.

Quel son'io; già l’udiste, hor ne udete Proua tal, ch’a a noi stessi Fede negar non lice.

Qual’è la pruoua, per cui fà credere, ch'egli sia Alfeo, e quel tale fiume; ch’innamorato corse dietro ad Aretusa? & per cui lo fà credere in modo, che non è pur lecito il dubitarne? io non so vederla; quand’egli non presumesse, che il semplice detto fosse il medesimo colla pruoua. Ma finalmente uolendo Alfeo che li si credesse, e fosse tenuto per paesano, si mise a ragionare delli costumi del paese, e disse tra l'altre cose hauersi vsata in Arcadia la poesia, in guisa che

La maggior parte amica

Fù de le sacre muse amore, e studio Beato un tempo hor infelice, e vile. Ilche potrebbesi forse passare, se come in Arcadia par che tutto il resto à propria volontà sia stato finto, cosi questo anchora per finto si confessasse: Ma come intendo si difende da molti essere stati nell’Arcadia pastori di poesia intendentisi, & in gran copia: Anzi pure ciò si sostenta nell’Attizzato, cauandolo da Polibio nel quarto delle sue historie. E perche il luogo è molto ad una delle parti fauoreuole, graue non mi sarà trasportarlo quì tutto intero, come si stà appo l'auttore. Dice dunque Polibio trasferito in latino.

Musicam enim (de vera nunc usica loquor) vniuersis homimbus vtilem esse constat, Arcadibus vero etiam necessariam, neq; verum est quod Ephorus haud quaquam recte pronuntians in proœmio historiarum scribit, musican ad fallendos, & deludendos homines inuentam esse: Neque est exist mandum ueteres Cretenses, & Lacedamonios superuacuo Tibiam, ac rithmos pro tuba in bellum introduxisse, neque antiquissimos Arcadas tanto in honore, musican in eorum vebus publicis habuisse, ut in eo non solum pueros, uerum etiam adolescentes, & iuuenes vsque ad trigesimun annum necessario exerceri vellent: homines alioquin uita difficilis, atque austera: haud enim est obscurum: apud solos ferè Arcadas pueros ab ineunte atate secundum leges Hymnos canere & peana, quibus singuli iuxta patria morem genia, & horoas, & deos laudare consueuerunt: Post hac Philoxeni, & Timothei discplinis instructi cum cantibus, & chorais annuos ludos libero

patri faciunt: Pueri quidem, quos pueriles uocant, iuuenes quos ueriles. Omnis denique corum vita in huiusmodi cantionibus uersatur, non tam quod audiendis modulis delecten 'ur, quan vt se inuicen cantando exerceant. Ad hac si quis ali quid in cateris artibus ignoret, nulla a pud eos ignominia habetur; Musicam vero neque ignorare quisquam eorum potest, quia necessario discitur, neque fateri nescire, quia hoc apad eos turpissimum putatur. Postremo spectacula, ac ludos in theatris cum cantibus, & chorais singulis quibusque annis publicis sumptibus adolesentes ciuibus prabent. Qua res mibi quidem uidetur ab eorum maioribus sapientissime fuisse instituta, non delitiarum, ac lasciuia, gratia; sed cum animaduerteriut assiduos eius gentis labores in colendis agris, &, duritiem, atque asperiatem vita, praterea etiam morum austeritaten, qua ex frigiditate; ac tristitia aeris prouenit, cui nos silmiles gigni necessario oporet (non enim obscurum est plagas cœli esse, qua gentes moribus, & forma, & colere, & plerisq; disciplinis inter se dissimiles faciunt) volentes mitem, atque trasta bilem reddere naturam, qua per se ferocior, ae durior uidebatur, primo ea omnia, qua supra memoravimus introduxerunt, deinde conuentus communes, & sacrificia plurima, in quibus viri, ac mulieres congregantur, postremo virginum, ac puerorum choros; qua omnia, ad eum finem facere, ut id quod in animis hominum natura durius erat, consuetudine placaretur, & mitius fieret.

Questo è’l luogo, onde si fà nascere tanta poesia ne gli Arcadi. Certo oltre'l cauarsi di quì che gli Arcadi non erano pastori, altro hauere non si può, se non ch'erano ottimamente in musica ammaestrati, e tuttauia durauano in procurare, che la giouentù alla musica s'accommodasse, ritirandola dalla natia rigidezza, e fierezza. Quì non si fà mai mentione di compor uersi, ò di poetare in maniera pur’imaginabile. Se mo'l musico non si facesse lo stesso co'l poeta: E credo, che se imporre menzogna à Polibio non uogliamo, alcuno per dotto, ch’ei sia trarre non saprà dalle sue parole sospitione di poesia ne gli Arcadi, non che certezza tale, quale pare tuttauia quì, & altroue si afferma, come se d’altro che di poetare non parlasse Polibio. In uero più uolte hò considerato questo luogo, & sommamente marauigliato mi sono, come si caui da quello, che gli Arcadi fossero poeti, & Arcipoeti, e finalmente hò conchiuso, ò di non l'intendere io, ouero ch’altri non l’habbia uoluto intendere.

Vltimamente per fornire quanto dubbio mi rende sopra di questo prologo: si dice nel fine d’esso La cetra che per noi Vezzosamente hor canta: con quanto segue.

Questo anchora io non sò intendere quanto bene, & con l’arte si possa fare; cioè, che passi persona drammatica in quella del poeta in poesia puramente drammatica: E ui passa chiaramente Alfeo, quando dice:

Ma uoi mentre u'annuntio Corone d'oro, e le prepara il Fato Non isdegnate queste Ne le piagge di Pindo D’herbe, e di fior conteste Per man di quelle uergini canore, Che mal grado di morte altrui dan vita. Picciole offerte sì, ma però tali, Che se con puro affetto il cor le dona, Anco il ciel non le sdegna: E se dal uostro Serenissimo ciel d'aura cortese Qualche spirto non manca La cetra, che per uoi Vezzosamente hor canta

Teneri amori, & placidi himenei Sonerà fatta tromba arme, e trofei. Ma se s’apportasse iscusa di profetia, con affermar ch’Alfeo vuol predire ciò, che farà l’auttore del Pastor Fido altra uolta; (ilche però sarebbe cosa assai fredda) potrebbe replicarsi ch’Alfeo tal’hora si fà sommo profeta, tal hora si mostra ignorar'alquante cose, che doueuano esserli notissime; come di sopra fù tòcco. Et inoltre bene non istà allontanare la poesia drammatica dalla sua natura. Allontanasi, dandole la cetra, che sua non è: & significandola per quello, per lo quale mai, ch'io sappia (se uoi Signori non lo mi ricordate) nè uenne, nè potè da altri poeti essere denotata; e poesia spetialmente tragica, e comica: Per lo suono della cetra pare che s'habbia commmunemente costumato d’intendere componimenti lirici, come hinni, ode, & altre tali sorti anchora di poesie; ma non drammati della guisa sopradetta. Et per si fatti componimenti pose la lira (ch’è lo stesso nel proposito nostro con la cetra) Ouidio in quei uersi, ragionando pure d’Horatio poeta lirico. (aures, Detinuit nostras numerosus Horatius Dum ferit Ausonia carmina culta lira. E’l Petrarca di compositione lirica parlando disse.

E la Cetera mia riuolta in pianto. Siamo giunti hoggimai al termine di quanto proposi intorno al prologo. E quantunque certe altre cose, minute s'harebbono potute addurre, ho nondimeno uoluto nelle apportate fermarmi; sì perche il discorso troppo fuori di mia intentione crescerebbe, come ancho perche altri da quanto si è detto le può ageuolmente comprendere da se stesso.

HOra da che sono uscito, di quei generali titolo, prologo, e scena; seguirò quanto di più particolare, e più prossimo, alla fauola del Pastor Fido ci resta. Signori, come uoi benissimo sapete, ogni fauola soule hauere origine da cosa, che si ritruoui fuori di lei. Diciamo per essempio che l’ira d’Achille, fauola, ò soggetto del poema d’Homero, hebbe origine delle cose; ch'à lei precedettero nella guerra Troiana; le quali erano fuor di essa, poscia che’in altro tempo accaddottero, che quella non auuenne. Cosi nell'Edipo (per non partirmi dall'altro essempio communemente approuato) origine alla fauola dierono le cose di già occorse uiuendo Laio, e morendo egli, circa Edipo. Ciò fù l'oracolo; l’essere esposto; alleuato da Polibo; d'ammazzare suo padre; l’hauere per moglie sua madre; e per questo il uenire addosso de gli Thebani crudelissima pestilenza. Lo stesso hà medesimamente la favola del Pastor Fido; e uiene ad essere tutto ciò, che nel principio dell'historia raccontai; cauandolo per lo più dalla seconda scena del primo atto di detto poema. Questo e’l fondamento, la base, l'origine di quanto auuenne poscia in quel giorno, che fù liberata l'Arcadia dall’ira di Diana per mezo della ricognitione di Mirtillo. E questo anchor'io considererò; e poi passerò all’attioni di quel giorno. Sò che ne gli episodi, ò nel uerisimile altri harrebbe forse collocata questa parte. A’me altrimenti è paruto; da che l'ordine non si confonde, e l'essenza delle cose non si muta. Dunque vari dubbi stimo, che nascer possano intorno all’inuentione, ò diciam’origine del Pastor Fido. Apporterò’l testo; proponendo sopra’l luogo addotto il dubbio. Narrasi nella seconda scena del primo atto l'origine della promessione d'Amarilli à Siluio fatta per gli padri loro, & si tesse historia di certe usanze uecchie fra gli Arcadi, circa’l sacerdotio di Diana dicendosi.

In quell’età che'l sacerdotio santo, E la cura del tempio ancor non era. A'sacerdote giouane contesa, Vn nobile pastor chiamato Aminta Sacerdote in quel tempo, amò Lucrina Ninfa leggiadra à merauiglia, e bella.

Ma senza fede à merauiglia, e vana. Nell’inuentione presente si finge che’l Sacerdote di Diana potesse fare all'amore colle ninfe, e tuttauia da modo nell'impurità accostarsi all’altare per sacrificare alla Dea. Io non sò quanto bene, e conueneuolmente ciò si finga: Percioche se ne gli altri sacrifici, e sacerdotij spettanti ad altre deità la castità, e la purità di mente si ricercaua ne i Sacerdoti (& appunto nell'atto del Sacrificare) quanto maggiormente credere dourassi, che ciò sommamente, & a bello studio s’habbia da procurare nel sacrificio, e sacerdotio di Diana Dea della virginità? E per gli primi che uogliano questa purità ne i sacerdoti, ui sono li poeti. Tibullo nel 2. libro, nella prima Elegia, parlando di sacrificio pertenente à Bacco, & à Cerere, dice così, (ab aris Vos quoque abesse procul iubeo; discedat Cui tulit externa gaudia nocte uenus. Casta placent superis:) con ciò, che segue: E quell'altro poeta molto più isquisita purità giudicò douer ritrouarsi nel Sacerdote, che staua per sacrificare, quando disse:

Perque nouem noctes Venerem, tactusque uirorum In vetitis memorant.

Onde uenia ad essere somma sceleratezza nel sacerdote l'accostarsi per fare il sacrificio, sendo contaminato non d'homicidio, ò sì fatta enormità, ma solo di contatto uenereo, e bene ancho poco. Quindi è ch’i Sacerdoti di Cibele si priuauano de i genitali (come d'Ati si legge) per uiuere castamente.

Et in Atene altri si ritrouaro, che si beuettero la cicuta per rimanere senza io stimolo della carne. Anzi che si legge anchora molte femine douenti initiarsi nel sacerdotio per frenare la concupiscenza hauersi fatti letti di folgie di uitice. Inoltre chi è colui, che non sappia la purità, ch’osseruauano le Vestali sacerdotesse della Dea Vesta? Ma sentiamo lo stesso da Demostene affermante cosi nell'oratione contra Neaeram.

Sum enim pudica, & pura, & casta ab alijs puritati adversantibus, & ab hominum congressii.

E più chiaramente nell’oratione contra Timocratem:

Ego sanè sic existimo, eum, qui ad sacra accedit, & res sacras sit tractaturus, aut res ad Deos spectantes curaturus, oportere non pradictum, aut statutum numerum dierum esse castum, sed per uniuersa uita sue cursum ab huiusmodi tu upibus studijs abstinuisse.

Però se à far Aminta Sacerdote; e di Diana; che non solo non ui ua casto per tutto’l tempo di sua uita, ma neancho s'astenga da gli atti pertenenti ad amoreggiamenti, e lasciuie nel uolere sacrificare, bene stia: torno à dire; io ne stò molto dubbio. A questo medesimo non pote Platone acconsentire giamai, anzi determinò nel sesto delle leggi, ch’i Sacerdoti, e le Sacerdotesse entrando in quest'officio non hauessero meno di sessant’anni; contra pure quanto si suppone, che si facesse per l’adietro in quei uersi:

In quell’età, che’l sacerdotio santo, E la cura del Tempio ancor non era A’sacerdote giovane contesa:

Secondariamente potrebbesi portar dubbio (che dal primiero sono sbrigato) circa quanto si dice in que sti uerfi:

Volto pregando a la gran Dea, se mai Disse con puro cor Cintia, se mai Con innocente man fiamma t'accosi, Vendica tù la mia sotto la fede Di bella Ninfa, e perfida tradita.

Si finge ch'Aminta ardendo d’amore d'una Ninfa, e quella rompendogli la fede, ò per meglio dire non uolendo lui amare, & assentir à sue richieste, si dispose di uederne la uendetta; Et cosi pregò Diana, che uendicare uolesse il suo amore da quella sprezzato. Io per me ritruouo, che quando alcuno vuole impetrare gratia; à chi là può fare suole ricorere, è non à colui, alquale non aspetta la richiesta di quanto si prega: ch’altrimenti fuori di proposito sarebbe. Da Cerere la fertilità di biade; da Bacco l’abondanza del uino; da Pallade la sapienza; & da Venere, & da Cupido si prega di potere ottenere la gratia dell'amata: ò dello spregiato amore la uendetta: Et l'essempio per non andare altroue cercando, si può hauere nello stesso Pastor Fido: Amarilli entra in certa spelonca per corre Siluio in amore furtiuo, & cosi potersi liberare dalla fede à quello datta, dimandando aiuto celeste, ricorre à Venere Dea, cui spetta l'amministrare d'equità nell’amore: Queste sono le parole sue.

Bella madre d'Amore Fauorisci colei, Che'l tuo soccorso attende. Donna del terzo giro, Se mai prouasti di tuo filio il fuoco. Habbi del mio pietade: Scorgi, cortesi Dea, Con piè ueloce, e scaltro Il pastorello, a cui la fede ho data. Il Satiro, che diuellere non potea quel sasso, inuoca Pane suo Dio potente in ogni cosa; e dice. O’Pan, che tutto puoi, che tutto sei. Muouiti a preghi miei.

Cosi Giunone uolendo scommouere il mare se ne corre ad Eolo Rè de uenti, e non a Plutone. Vn altra uolta si uolle congiugnere insieme di copola carnale Didone, & Enea; & si ricorse à Venere, è non à Diana, ò Pallade.

E cosi per finirla dee passare il negotio circa’l potere dell’altre deità. Nella presente fintione riccorre Aminta per aiuto dell'amor suo à Diana, che non hà potere in quest’ufficio; & uale più tosto per contrario effetto; fìngendosi, ch'ella hauesse sempre mai in odio le cose ueneree. E chi la uolesse pure pregare, send’essa Dea della uirginità, per conseruatione di quella inuocare la potrebbe come appunto habbiamo, che fece in Ouidio Aretusa, nel 5. delle sue Trafformationi, dicendo.

Fer opem, deprendimur, inquam, Armigera Diana tua, cui sepe de disti Ferre tuos arusus, inclusaq tela pharetra

Anzi castigò, come sappiamo, seueramente la figlia di Licaone Calisto, diuota del suo coro per hauere à Gioue fatto di se copia; benche ingannata; & isforzatamente; tanto puote la cura, e’l zelo della uirginità in lei. Onde pare potersi dire della presente inuentione, che pecchi nella conueneuolezza dei fingere cose non riceuute communemente. Odesi, che questo si difende coll’auttorità di Pausania, (che di là e tratta questa favola) & è dou'egli narra l’historia di Coreso, e Caliroe. Ma in ciò sento maggior dubbio, quondo che non mi sò persuadere, che’l pescare in auttori antichi l’inuerisimilitudini, & sconueneuolezze perrapportarle à i nostri tempi sotto l’ombra loro in poemi: & massimamente drammatici; sia lodeuolè. E più dirò, che Pausania più giudiciosamente, finge, ò narra simil caso; percioche Coreso era di Bacco Sacerdote, & pregò Bacco, uendicare uolesse l’amor suo; & esso Dio seruendosi dell'armi proprie, cioè dell'ebrezza, mandò castigo acerbissimo sopra’l popolo: la qual'inuentione pare potersi meglio tolerare, ò almeno difendere, che questa. Passo ad altra sorte di dubbio, e dico circa quelle parole

E saettò nel seno Della misera Arcadia non ueduti. Strali, & ineuitibili di morte. Perian senza pietà, senza soccorso D’ogni sesso le genti, e d’ogni et ade; Vani erano i rimedi, il fuggir tardo: Inutil l’arte ,e prima che l’infermo Spesso nel’opra il medico cadea.

Sembra molto conueneuole fingendo simili fatti, fare che quegli patisca, di cui è la colpa; ò siasi stato l'auttore, o pure ancho habbia prestato consenso al fatto: Perciochc punire chi non hà in se colpa veruna, senza produrre punto di causa, per cui a punirlo si venga, è cosa troppo inguista; indegna d’huomo, non che d’un Dio.

Quì si finge punita l’Arcadia di copa non commessa, nè mai sognata, non che mandata ad effetto: E'l castigo è tale, che se tutta l’Arcadia hauesse congiuato contra la virginità della stessa Diana, forse non sarebbe seguita sì horribile pestilenza, nè si sarebbe sopra di lei moltiplicata la pena, & cosi horrende leggi, & atroci sacrifici, per non dire macelli, imposti. Onde chi dubitasse sopra’l conueniente, e’l verisimile di questo fatto, non dubiterebbe, cred’io senza somma ragione. Et in particolare quella reduplication di castigo non hà punto del verisimile, mancando la cagione. Anzi altre volte Diana mandando pestilenze, non le replicò più d’una volta; come si legge appunto in Pausania nell’ottauo della sua Grecia. Ma sia, che ciò fosse poco, ogni uolta, che non fosse stato viuo'l delinquente. Quella, sopra della quale doueasi fingere so sfogamento dell’ira di Diana, viuea; & era Lucrina: hora perche non si castigaua al primo tratto Lucrina, senza frapporui l'innocente Arcadia, e suscitare tante lagrime, tanti horrori, e tante morti fra la gente?

Succede l'oracolo. E per dire il vero nel Pastor Fido vi hà gran numero d'oracoli per poema drammatico. Nell’Eneide ch’è poema narratiuo, & si lungo, non credo ve n’habbia più di quattro, ò cinque intesi però formalmente; nel Pastor Fido ne sono per fino à sei, e fors’anco sette; annouerandogli le parole del vecchio Tirenio, che sono anch’esse come oracolo.

Oltre à ciò varie conditioni sì nel le predittioni dell’ocacolo, come ne i riti del sacrificio si trouarono; delle quali tutte succedendo di mano in mano ragioneremo. E quanto alle preditioni conditionate tra l’altre vè quella, quando si dico

Per man d'Aminta in sacrificio offerta.

Dice l'oracolo: sdegnata è la Dea; si placherà sacrificandosele ò Lucrina, ò altra vergine Arcada: ma uota, che dee essere sacrificata per mano d’Aminta: E' dunque d’auuertiro questa appendice: perche da so l’historia à ciò non si conducea, se non v’era finito aggiunta. Quindi pare ch’a molto debil filo s’attenga la fauola del Pastor Fido; percioche, se com’era’l douere alla prima si castigaua Lucrina (se pur castigar doueasi) e da chi’n tal caso saria stato conueneuole, senza cotante cerimonie d’orocoli, forse che non succedea; quanto successe, e cagionò la presente fauola. Inoltre se l'oracolo non commandaua, che si sacrificasse Lucrina per mano d’Aminta, forse (anzi di certo) ei non s'uccidea: perche la cura s'harebbe commessa à i ministri, & egli non essendo presente à quel fatto, & in procinto di sacrificare altrui, non haurebbe hauuta forse occasione d’ammazzare se stesso. Et in vero io non sò, che necessità vi fosse per la parte dell'oracolo finto, che douesse importe la morte di Lucrina per mano d'Aminta. Lucrina hauea peccato; sù; doueasi castigare: Muoia per mano d’un ministro, poiche potea farsi, & anticamente si facea: Perche non si viene à sodisfare all’ira divina, s’è morta la peccatrice, sopra cui cadea l'ira? In somma, che necessità la condanni à morire per le mani d’Aminta, non veggio. Hora per ritornare al primo proposito; il filo à cui s'attiene si gran mole di fauola par molto debole, come s’è veduto. Se mò lodeuole ciò sia, lascio, ch'altri ne dia sentenza. Mentre s'attendea la morte di Lucrina da gli astanti al sacrificio; Aminta in vece di lei repentinamente vccise se stesso; dicendosi nei racconto di tale historia.

e cosi detto

Ferì se stesso, e nel sen proprio immersi Tutto’l ferro ed essangue in braccio a lei Vittima, e sacerdote in un cadeo,

Quanto dunque à si fatta parte, fingendosi

ch’Aminta s’uccida, appare più tosto delusione dell'oracolo, che altro. S’hauea finto, che l’oracolo commandasse la morte di Lucrina; e poi si fà morir Aminta: Doueasi prima adempiere ciò, che pria fù commandato, & indi se si uolea morto Aminta, uccider poscia lui parimente. Oltre ch’è da dubitare, quanto si dia ad intendere uerisimilmente, ch'alcuno si risolua à cosi fatta impresa, come di morire in un punto, in un subito per altrui; e per una, sopra della quale egli stesso dalla sua Dea istantissimamente pregato l'hauea, & ottenuto uendetta.

Predisse l’oracolo, che per la salute d’Arcadia si douea uccidere Lucrina. Morì uiolentemente Lucrina, e pagò la pena del fallo; ma non cessò la pestilenza: dicendosi:

L’ira s’intepidì, ma non s'estinse, Che dopo l'anno in quel medesmo tempo Con ricaduta più spietata, e fiera Incrudelì lo sdegno.

Continoandofi dunque nel fingere più che mai afflitta l’Arcadia, etiandio morta Lucrina, par necessario ò di conchiudere l’oracolo non hauer saputo predire, ò’l resto della pestilenza fingersi contra ogni douere, e contra l'intentione dell’oracolo stesso; ma solo per dare materia, e dipendenza

all'attione del Pastor Fido; ch'in altra maniera nulla riuscia; douendo per ragione immediate alla morte di Lucrina cessare la pestilenza, & spegnersi l’ira di Diana. Che se mi si dicesse, che per la morte d’Aminta seguì; qual colpa di cio hauea l'Arcadia? & perche introdur, che s’intepidi, & poscia più fiera, che mai ne risorse? anzi perche badò à farsi sentire à capo l’anno? Pare che poco ò niun conto più tenere ne dovesse Diana: mentre hauendola Aminta pregata con buona ragione di uendetta, egli poi cosi fuori d’ogni proposito era uenuto ad atto furioso d’uccidere se medesimo.

L'oracolo ch’impose à gli Arcadi’l sacrificio di humana vittima, commandò anchora, che douendoli sacrificare togliessero.

Vergine, ò donna quarto Che'l terzo lustro empiesse, ed oltro a Non s’auanzasse.

Qui necessità non si scorge molto ragioneuole di questa limitatione di età nel sesso feminile. Almeno se poi ch'altro non hà, fosse cauata da cerimonia simile antica ne i sacrifici di Diana (come faria mestieri che molt’altre fossero di la tolte) forse scorrerebbe. Perche di gratia donna ò di quattordici, io di uent ‘un’anno uien

esclusa dal sacrificio? Ma non solo senza necessità appare questa legge perdotta; ma etiandio più che troppo ingiusta, che solamente le donne, ò uergini di quindici, fin’ à i uent’anni hauessero ad hauere timore della, propria uita, ch’un giorno loro non conuenisse darla in horrendo tributo alla Dea sdegnata. In somma ò douea cadere sopra tutte, o sopra niuua. Conchiudiamo dunque, che quell'esclusione necessità, o ragioneuolezza non habbia. E quando pure iscludesse le donne maritate dall’essere sacrificate; passerebbe; potendo per auuentuta inuentarsene la cagione. Non così già si facea nella region Taurica, doue si sacrificauano tutti, fossero vecchi, soffero giouani; senz’hauer riguardo uetono all’età.

Hora quello stesso oracolo, ch’impose’l crudele sacrificio, u’aggiunse di più l’infrascritta legge. Qualunque Donna, ò donzela habbia la fe d’amore Come che sia contaminata, ò rotta, S’altri per lei non muore, à morte sia Irremissibilimente condannata.

Hò già dubitato di non poche inuerisimilitudimi, cioè di qualità di uita, e costumi del sacerdote; di deita malamente usurpata; d’atrocità grande, e moltiplicata; di numero d’oracoli, e

conditioni sue, e d'altro: Hora passando ne i dubbi propri d'essa legge; par’anchora essere inuerisimile per l’altre infrascritte cagioni. Primieramente nel punir la maniera del peccato, quando si dice:

Come che sia contaminata, ò rotta.

Inaudito genere di giustitia par questo, e da non credere, che si possa ritrouare appo verun popolo; Ciò dico, perch’in quel contaminata, si deue intendere fino'parlare, ouero ascoltare semplicemente alcuno amante, come in quel luogo s’accenna:

Misera lei se risapesse il padre Ch'ella à prieghi furtiui hauesse mai Inclinate l'or ecchie, ò pur ne fosse Al Sacerdote suocero accusata.

Dimandaua Mirtillo di solo poterle dire due parole, & Ergasto li tocca la pena grande in cui potrebbe incorrere: Se dunque la pena della uita di stendea fin'alle parole; dura, & incredibil era la legge, perche i peccati non si castigano tutti con vgual pena: & suprèmo è’l castigo della morte. Onde se hauesse violato à bella posta co i fatti la detta fede, maggior pena non si uenia à ritrouaio per castigar più acerbamente il maggior delitto. Perche altro dire non possiamo in cotal fatto, se non che troppo immanità albergasse in un petto diuino.Et con che

ragione si sia varcato all’eccesso non veggio. Alle predette cose aggiugnere si ponno due altre considerationi sopra questa legge: l’una è, che per fè d'amore fede maritale s'intende: l'altra sopra quella conditione, ch’annessa è alla legge:

S’altri per lei non more.

Quanto alla prima, per cosa euidente si dee tenere, che fè d’amore altro non significhi nel poema, che fede ma ritale, come si fà manifesto in Amarilli, c’hauendo data la fede maritale à Siluio fù detta hauer peccato contra la fede: e quell'era la fè d'amore nominata nella legge: cosi dice anchora di Corisca il Satiro. Quanto dunque à cotai due uocaboli, io dubito, ch’altro non ispecifato, mai non potranno significare, quanto si pretende; atteso che Amore non è lo stesso con Himeneo. Quanto poi à quella particella della legge:

S'altri per lei non more.

Altro non sembra potersi dire, se non ch’introdotta sia solo per seruire alla fauola, perch’altrimenti Amarilli era spedita. Oltre che troppo e ingiusta, e fors’anco superflua; quando in tal caso, come di profanare la fede, cosa iniqua parrebbe, com’io predissi, il punire persona, che colpeuole non sia; e lasciar'andar senza pena colui, che

fece’l delitto. Nè suole auuenire ch’altri uoglia per altrui publicamente morire senz’occasione, e forse poco giusto, & giuditioso stimato sarebbe quel legislatore, che imponendo pena di morte, aggiugnesse uoler’assoluere il delinquente, s'altri per lui al patibolo s’offerisse.

La stessa legge, come di sopra habbiamo raccolto, venne limitata, e sua intentione dichiarata da molte appendici; lequali medesimamente furo ordinatamente registrate. Onde poiche detto habbiamo di lei, & della sostanza sua; passeremo à fauellare d’esse appendici; ò paragrafi, che uogliam dire. Fù’l primo quando si determinò; che se la sposa ritrouaua lo sposo in atto di perfidia, potesse rifiutarlo; altro però di male non auuenendò à lui, come alle donne auueniua. Conditione in uero com'io dubito troppo ingiusta; di legge, che lieuemente castighi l’huomo & sì atrocemente la donna; poiche non meno contamina; e rompe la fè d’Amore, ò maritale, che s'intenda, l’huomo, che la donna. E di tale statuto potrebbono le donne giustamente richiamarsi; come appo il Boccaccio Monna Filippa. In questa parte scorgere possiamo quella particolare intentione, con che s’è ì detto parer finta la legge, che fù di

poter condurre, e tessere, la favola del Pastor Fido: Perche se ciò non era, non venia in cuore à Corisca di persuadere ad Amarilli, quanto le persuase per lo disturbo delle nozze con Siluio. Il secondo glosaua quel membro:

S’altri per lei non muore, dicendo, non douere essere forastiero, chi morir per altri volea. In questo particolate chiedere si potrebbe che cosa quivi l’essere forastiero importasse; atteso che non morendo chi peccò, nulla più doueasi guardare allo scegliere vno, che un'altro; tutto che ciò sarebbe poco, quando la sopra scritta, conditione s’offeruasse. Carino vo Iendo morire per Mirtillo non pare e Mirtillo forastiero pure può per Amarilli. E che fosse Arcade, chi in gratia sapere lo potea; s’erano solo tre mesi, ch’era in Aradia, e mai più per lo passato quiui alcuno veduto non l’hauea in 19 anni, à i quali era giunto? Oltre che Ergasto benissimo sapea, ch’Arcade non era Mirtillo, e potea farne auuertito’l Sacerdote Montano. Onde n’auuiene di questo doppio dubbio: i1 primo, che non s' osserua quanto commanda la legge. Il secondo, che troppo negligenti si fingono i sacerdoti; perche senz’altro si mettono à sacrificare vno, che per

Arcade ò niun patto potevano riconoscere. Il terzo, & quarto paragrafi di detta legge furono, come dicemmo, che s'alcuno à morire per altrui togliea, campare per altrui offerentesi allo scampo suo non potesse; e c’havendo à morire, sacrificar si douesse nel luogo; oue fu commesso il fallo. Il che sembra per puntellare la fauola del Pastor Fido; benche più del terzo, che del quarto ciò si può dire, perche'l quarto appunto per far vedere'l sacrificio in iscena par finto: altrimenti s’à Carino riguardiamo, tant’era, se nel tempio si facea il sacrificio, conducendoui esso Carino, e per vn messo facendolo raccontare. Ma perche à far vedere al popolo il sacrificio nè ancho ciò bastaua, bifognò volgere sozzopra tutte le leggi, & mettere glose sopra glose, e dire (che fù nel quinto S.) ch' à cielo scoperto sacrar si douea: senza la qual conditione hauerebbesi hauuto à fare il sacrificio nell'antro. Il sesto vuole che taciturna la vittima si moia. Pare veramente, che sia posto solo per fare interrompere il sacrificio al parlare di Mirtillo; ch’altrimenti non succedea la disputa di Carino, e del sacerdote; perche senz'altro indugio si douea sacrificare, non aspettando altre ciancie d’un tal vechio forastiero, importuno.

E poco di grauità à legge sacra conueneuole sembra contenere la presente appendice; mentre sturbandosi il sacrificio al parlare della uittima doueasi reiterare tutta la cerimonia ogni uolta. S'à chiunque sia; c’hauesse tolto à morire per altrui fosse saltato in capriccio di far ridere la gente, e beffare la Dea, e la sua legge, e’l Sacerdote; la migliore occasione del mondo hauuta n’haurebbe; cioè col cauellar; solo quando staua per doversi sacrificare; cosa in uero à materia così importante, come Dei, e cose sacre, disdiceuole, & che col pensiero riducendola in prattica, non si può quasi ramentar senza riso. Ma di non minor ualore è’l settimo, anzi ch'appare, se bene si considera. contrario al sentimento dell'antecedente. Di sopra si disse, che chi s’offerse per altri à morte, per altrui non potea più campare. Fù detto poi; che parlandola uittima si reiteravano le cerimonie tutte, e tra l’altre di nuouo faceasi’l uolontario uoto di morire. Consideriamo quanto si dice. Costui; da cui uenia sturbato il sacrificio douea prender di nuouo il uoluntario uoto (se pur lo uogliamo dir uoto) e questo per saluar altrui. Hora mentre di nuouo prendeasi uoto; chiaro è, ch’egli, che facea il secondo

uoto, era fuori dell’obligatione già contratta per lo primo: altrimenti non sarebbe occorso rinouellarlo. S’era fuori, dunque era di sua libertà; potea sì prendere il uoto di nuouo; come non: E di ragione, se più non hauesse uoluto prenderlo, succedea di tre cose l’una: O’ che non morisse egli, nè anchor la rea; il che deludendosi l’oracolo, era sconueneuole; O'che si facesso morir la rea, il che era fuori di ragione, poiche fù assoluta una uolta: O’ ch'un’altra terza persona s’offerisce al morire: il che sarebbe stato (come dicemmo) contra la legge chiarissimamente.

L’ottauo, come gli altri, anch’esso pare mera inuentione per seruire alla scena. In cosi poco la uita di Mirtillo consistea: se’l sacerdote non fingea la presente legge (cio è di non poter sacrificare humana uittima in faccia al sole) non lo riconoscea Carino, e necessariamente moria Ma secondo, che si finge Carino essere dietro à Mirtillo; e però bisognò fingere di nuouo legge per fargli uoltare la faccia uerso Carino; forse con minore impaccio collocar si poteua Carino in parte, che mirasse Mirtillo, senza produrre appendici. E tanto più quanto la ricognitione potea seguire medesimamente con la contrasti; come

seguì. E finalmente il nono, e’l decimo, sono dello stesso tenore, che gli altri. L'uno vuole, che per altra mano cadere non possa le uittima, che per quella del maggior Sacerdote. L'altro, che li ministri minori non possano fauellare co i rei. In quello non credo si scolgerà ueruna ragione: bene vsanza in contrario si può leggere nell’Ifigenia in Tauris; doue Ifigenia ch’era la maggior sacerdotessa, di ce di far sacrificare alle ministre le humane uittime. Nè di quest'altro parimente penso ragione si sappia, ò sapere si possa. A che si uog]ia, che serua, è ben chiaro. S’Ergasto ministro minore potea favellare con Mirtillo, tutti li trattamenti di Corisca; & gli auuenimenti d’Amarilli, e di Mirtillo si palesauano per mezo suo; e’l sacrificio andaua in nulla, insieme con la ricognitione. De gli ultimi tre non dirò altro, parendo finti fuori d’ogni necessità imaginabile, ma solo per dar’occasione che senza interuallo, cioè all’hora all'hora, le nozze tra Mirtillo, & Amarilli conchiuder, & effettuar si douessero. Per le quali tutte già dette cose, hora di nuouo, & piu gagliardamente mi si fa innanzi’l dubbio, che di sopra accennai; se sia lecito fingere à suo modo senza fondamento d'historia il luogo; le persone; l’attione;

sei oracoli, una legge imaginata con 13. appendici, che siano il factotum della fauola; & un’indouino anchora seruente alla causa; & sopra cotali fondamenti ergere la fabrica d’un lungo poema drammatico; & non solo ciò; ma professare anchora, ch’egli mutate sol'alcune cose sarrebbe Tragedia. Pare certo che molto facile fariasi in questo modo il compor le Tragedie, che per altra uia sono di tanta importanza. Et in somma le sì fatte inuentioni à me hanno sampre sembrato peggio, che lo scioglimento tentato da gli antichi per le machine; mentre non sapendo sciorre le fauole, introduceano Dei, ò altra spetie di machina ciò operante. Ma quì non folo si scioglie, ma s’annoda anchora; & tutta la fauola pare condursi & formarsi per questa uia. Intorno alla quale per che maggiormente appaia la ragioneuolezza del dubbio mio, non uoglio rimanermi, fra le auttorità de gli spositori, di notar quì le proprie parole d’uno d’essi di molto grido; che seruono cosi per le Tragedie, come per le Comedie; & per l Epopee: & son tali.

Non si creda perciò alcuno, che i formatore della fauola della Comedia habbia licentia di trouare ò Città nuoue

& imaginate da lui; ò fiumi; ò monti; ò regni; ò costumi; ò leggi; ò di tramutar’il corso delle cose della natura &c. Percioche li conviene seguire l’ historia, & la uerità, se in formare la fauola auuerrà, che li facia bisogno di tali cose si come parimente conuiene a colui che forma la fauola della tragedia. & dell'epopea.

Ma procedendo innanzi: Oltre quanto s’è detto, & discorso sin'hora, sembra esserui etiandio altre cose che fanno pur dubbio intorno all’intrapresa parte di ciò, ch'antecede la fauola come sarebbe; Che'l fiume Ladone inondando portasse uia Mirtillo in culla, & lo riponesse sopra un’isoletta, conseruandolo intatto da ogni rouina. Prima non par uerisimile ch’un popoco di schena d’un’isoletta attrauersante uno fiume, o torrente sì grande, & sì rapido, in tal caso coperto non fosse dall’acque; poiche furon tali, che come si dice seco portaro.

le mandre E gli animali:

Sì che la culla ui si hauesse potuto tra tenere. Se ciò si dicesse d’un uassello, >il quale ben carico à forza di uenti fosse stato rispinto in secco, & cacciato buona parte sotto l'arene passerebbe; ma d’una culla con pochissimo

peso, ch’andaua secondo, che’l furor dell’onde trasportare la douee, pare altrimenti. Si dice in oltre, che Dameta seruo trouato Mirtillo, poiche li uenne in pensiero di sapere la uentura di lui per uia dell’oracolo, andò ad Apollo, e seppe ogni’cosa, che succedere di sinistro: E per ciò non lo ritornò al padre, ma finse di non l’hauer trouato. Non par uerisimile, ch'ad un seruo intento all'ubbidire al padrone uenisse capriccio di questa sorta: egli é da otioso più tosto. Fassi ben uerisimile per contraria che ritornasse, quanto più tosto potè, al padre, per consolarlo del rammarico, qual egli sapea, che sentiua per la perdita del figliuolo. E finalmente si dice, ch’essendosi Mirtillo acceso d'Amarilli, scoperse il suo amore ad una sua sorella; >la quale lo uessi da semina; e s’introdusse fra la compagnia d'Amarilli per mezo di detta sua sorella, nè fu da ueruna per huomo, e per Mirtillo riconosciuto: Varie cose ha qui, che se bene ui si considera, paiono contra'l verisimile. Prima, che sua sorella ardisse di condurlo seco fra lo stuolo di quelle donzelle, e non temesse, che fossero ambedue scoperti, e mallamente trattati: Atteso che potea facilissimamente imaginarsi, che Mirtillo era conosciuto

in Elide, & che nella detta compagnia sendouene di paesane poco ui harrebbe uoluto ad iscoprire ogni cosa. E forse che poscia à baciar’Amarilli non s'accostò, ma stette in disparte per celarsi, o pure baciandola à pena la toccò, & subito partì non piu ueduto da lei: Stette sempre fra quel le giouani à uiso chiaro, ch’ogn’una uedere lo potea; & era d’anni 19. (se ben mi ricorda) e saporosissimamente baciatola, come dic’egli stesso:

Poco mancò, che l’houuicide labbra, Non mordessi, ò segnassi.

Anzi che n’hebbe in premio la ghirlanda, >la quale donò poi subito con molte cerimonie à colei, che l’hauea coronato. Ma oltre di questo, cioè ch'inuerisimilmente paia condursi Mirtillo fra quelle giouani; dico ch'Amarilli forse lo douea hauere ueduto. E se ueduto l’hauea, come stà, ch'egli à quella s’accoltasse, & senz’esserne conosciuto la baciasse? ò pure se conosciuto fu da lei come non escluso per uiolatore dell’honestà sua, & dell'altre? Ma se tacque per modestia, perche, coronarlo poi dandosi uanto della più scaltra baciatrice fra tutte? Non era questo dono della corona un’inuito efficacissimo al rimanente della brigata d’offeruarlo, & di uoler per ogni modo saper chi fosse, come’auuiene

per ordinario ne i vincitori? Ma ch’Amarilli non lo conoscesse, & quando fù baciata non sapesse da lui esser baciata, non si può quasi dire, poiche cosi ella ragiona nel terzo atto alla scena terza.

I dico all’hor, che tù tra nobil coro Di vergini pudiche Libidinoso amante Sotto habito mentito di donzella Ti mescolasti, e i puri scherzi altrui Contaminando ardisti Meschiar tra finti, & innocenti baci

e quello, che segue. Onde se lo sapeua pare essere stata l'attione sua dishonesta, & pericolosa: & l'hauergli attribuita poi la uittoria; & coronatolo, & riceuuta in dietro da lui la corona esser’introdotto importunamente, rispetto all'atto del colarsi, & del dissimulare, che si pretende; alche ciascuna di queste cose era senza fallo contraria, & nociua molto.

Ma è tempo che passiamo à i dubbi sopra la Fauola stessa, nel modo che fù proposto.

DIstinse Aristotele il componimento drammatico in parte di Qualità, e di Quantità. Lasciamo per hora quelle della Quantità, & appigliamoci all’altre. Queste sono sei, cioè, Fauola, Costumi Sentenza, Locutione,

Apparato, è l'ultimo) dirollo con uoce Greca) Melopeia. Di più uolle Aristotele (per quanto appartiene al nostro presente discorso, & à dubbi, che ci ritrouiamo) che la buona fauola fosse Tutta: Grande proportionatamente: Vna: Verisimile: Non Episodica: & Ammirabile. Presupposti quest'insegnamenti, andremo considerando, come s'affacciano al Pastor Fido. Primieramente si vuole che la fauola sia Tutta. Il Tutto è composto di principio, mezo, e fine; però la fauola dee hauere principio, mezo, e fine. Principio e quello, che se bene altronde dipende, tuttauia per se stesso può stare quasi d'altro non dipendesse: In questo principio non solo si ricerca, che per se stesso possa stare, ma che sia cagione anchora, & origine di cosa, che dopo lui, & per lui naturalmente auuenga. Il Pastor Fido hà principio: nè di questo si può dubitare. Quanto c'è di scrupolo intorno ad esso suo principio è per una conditione com’io, dicea in lui richiesta; cioè, ché per esso, & da esso si faccia, e dipenda quanto poscia succede. Et di questo, che uien etiandio à condurci alla consideratione de i mezi li quali deono esser dipendenti, come si e detto, io non uo stendermi à ragionare: bastando il legger con diligenza l'historia già registrata;

& dal contenuto di essa far giu dicio dell’un’, & l’altro. Dirò dunque due parole d'intorno al fine: Conciosia che send’egli quello, dopó cui niente altro accade; pare in questo poema fuori di sua natura compariui arricchito; mentre alle ricognitione di Mirtillo può leggitimamente cessare la fauola, bastando supporre lo sposalitio, & tutto il resto; & nondimeno si pospone à quello non solo l'andata; uenuta dal Tempio d'Amarilli, e Mirtillo, ma le nouelle anchora uenute à Corisca de i successi passati, & la conuersione di lei; >la quale punto non hà che fare col uero principio, ò co i ueri mezi, ò col uero fine di questo fauola.

Vuole per seconda conditione Aristotele, acciò bella riesca la fauola, che sia grande, ma non però d’ogni grandezza, sol di quella, ch’à lei si proportiona; in guisa che s’attenda la sua bellezza da due cose; da grandezza proportionata; e da leggiadra ordinanza delle sue parti. Supposta questa conclusione, dubitiamo del Pastor Fido. E, primieramente non si potrebbe negare, se la semplice grandezza facesse bello il poema, che questo non fosse oltre modo bello; poiche non è grande, ma per poema drammatico è grandissimo; Ma i termini, che circoscriuono

la grandezza lodeuole sono quelli, che rittocano in dubbio questa sua lo de; poi che e troppo lungo apparisce, & che un siano anchora le parti mal ordinate. La lunghezza per piu ragioni suole nascere ne i poemi: O perche la fauola non sia una: ò perche l’attione in se stessa quantunque una sia molto lunga: O perche gli episodi siano troppi; O finalmente, perche la spiegatura si sia tirata souerchio in lungo; come non poche fiate veggiamo farsi da i poeti trattenentisi in uaghezze, in descrittionti, e simili cose. Di tutti questi capi, per gli quali riesce troppo lungo un poema, buona parte pare ha uerne il Pastor Fido perche cresciuto pare più che troppo per la doppiezza di fauola, di cui à suo luogo ragioneremo: & per l'immensa mole de gli episodi: & per la qualità della spiegatura. Et di gratia chi non dubiterrebbe, che fosse più tosto tanta materia d’Episodi per un poema Epico, che drammatico? per un poema di molti giorni, che d’un solo? E che dico d’un solo? d'un’ambito di Sole sopra la terra? Sono gli Episodi tanti, e sì lunghi; che solamente lo sceglierli tutti foranoioso. Quinci io ne ramniemorero alcuni con alla sfuggita. Vi sono le cose tutte di'Sìluio, Linco, e Dorinda, Siluio ua à caccia; disputa d'amore

con Dorinda; corre quà, e là dietro à cani, ammazza un terribilissimo Cinghiale; trionfa; ferisce di nuouo uscito di casa Dorinda stimatala un lupo; se n'accende all’improuiso; tutto che l'odiasse poco à dietro à morte; diuenta dottissimo in Amore; la sposa; & la fa sua donna in quello stesso giorno, guarendola di una molto graue ferita. Tutte cose per quali fornire non sembra à bastanza una settimana quasi, non che un sol giro di Sole sopra la terra. Nell’historia poi di Mirtillo u'è lo scoprire l’amor suo ad Ergasto; l’andata d'Ergasto à Corisca per Mirtillo; il ritrouare Mirtillo, da poiche era corso.

Al fiume, al poggio, Al prato, al fonte, a la palestra, al corso,

per ritrouarlo; la narratione dell’amor di Mirtillo; il rapportarla à Corisca; le trame di lei con Amarilli; l'essere presa dal Satiro; & egli schernito: i balli: il giuoco della cieca fatto d'Amarilli: l’esser presto Mirtillo: il racconto delle sue passioni amorose: il cicalamento d'Amarilli, e di Corisca: le nuoue frodi di costei con Amarilli, e Mirtillo: le dicerie di Mirtillo disperato: d'occultarsi nell’antro: l'esserui dentro chiuso dal Satiro insieme con Amarilli: l'esser auisato il Sacerdote dal Satiro; la presa de gli

amanti: la disputa di Nicandro, & Amarilli: gli suenimenti, e rinuenimenti; l’essere costei sententiata à morte, l'offerirsi al morire di Mirtillo in uece di lei. la pugna d'ambedue: l'apparecchio al sacrificio di Mirtillo: le lunghe filatterie di Carino: il disturbo del sacrificio: la contesa caduta fra’l Sacerdote, e costui: la dichiaratione dell’oracolo per uia di Tirenio, l'andarsi al tempio per congiugner in matrimonio Mirtillo, & Amarilli: il successo dello sponsalitio: la uenuta loro dal tempio: l’incontro di Corisca: & il perdono da lei finalmente pregato, impetrato: e tanti altri diuisamenti: li quali sono stati compartiti in sì lunghi soliloqui, che credo di questi soli ne n'habbia dodici à numero di uersi mille, e più; in messi; condoglienze; descrittioni; & altre sì fatte cose. Se mò la serie di questi accidenti verisimilmente possa occorrere in un giro di Sole; se questa sia la grandezza ricercata d'Aristotele, io stò in gran dubbio; poiche non solo non par moderata, ouero eccedente di poco la statura ordinaria; ma trappassar di molto l'eccesso. La spiegatura poi, che fù l'ultima cagione, per cui dissi crescer le favole oltre i confini ragioneuoli, sembra anch'essa molto lunga. Il tempo, che si consuma in recitarla lo manifesta;

che dicesi communemente render lo spettacolo suo scommodissimo, anzi noioso. Ond’è forse che douendo recitarsi quest'ultima fiata in Mantoua alla presenza della Serenissima Regina d’Hispagna fù questo poema (si può dire) d’una mala maniera circonciso: conciosiache senza punto sconsertare cosa pur minima della favola, ch’importante fosse; li si leuarono versi intorno al numero di 1600. stimati otiosi. Et se sieno tali ò nò, oltre l'argomento che reca l'effetto stesso, pare poter’anchora più confermarci la serie medesima d’essi versi levati, di cui farò qui particolar mentione, perch’altri da se volendo li possa considerare. Nel primo atto, nella prima scena da quel verso

Che s’havess’io cotesta tua sì bella: inclusiue sino à quello: Una ninfa sì bella, e sì gentile. exclusiue, che intenderò cosi ogni volta senza più speficare altro: e da quello. Lino di pur se sai. sino à quello. Come vita non sia, e da quello. Folle garzon lascia le fere, et ama; sino à quello. Poi che lasciar non vuoi le selue almeno. Nella seconda scena, da quello. Ma grider an per me le piagge, e i monti sino a quello. Mirtillo amor fù sempre un fier tormento, e da quello. Ed io più innanzi ricercar non oso; sino à quello. Vorrei morir al men, si che la morte: e di quello. Misera lei, se risapesse il padre. sino a quello. Ma se ti guardi il ciel cortese Ergasto. Nella terza scena, da quello. Tal’hor meco ragiono ò s’io potessi. sino a quello. Cosi sdegno, e destre, odio, de amore. e da quello. S’altro ben non hauessi, altro trastulo. sino a quello. Cosi nella città uiuon le donne. Nella quarta scena, da quello. E che la mia fin quì l’obligo solo. sino a quello. Titiro fà buon cuore, Nella quarta scena da quello. Che’n sua natura placido, e benigno. sino a quello. Dunque d’ogni suo fallo, e tua la colpia e da quello. Di se tutto presume, e del suo volto. sino a quello. Me no uedrà, nè provera Corisca. Nel secondo atto scena prima, da quello. Dolci sì, ma non grati. sino à quello. Già fornito il su’ arringo hauea ciascuna. Nella seconda scena da quello. Mentr’io, che l'amo tanto in uan sospiro: sino a quello. Ma non sent’io trà queste selue un corno. e da quello. Chi crederia, che’n si soaue aspetto, sino a quello. Ninfa qui uenni à ricercare Melampo. e da quello. Ascolta bella ninfa, tu mi usi. sino a quello. Ninfa non più parole. Nella terza scena, da quello. Ti seguirò compagna. sino a quello. Ma con chi parlo? ahi lassa. Nella quinta scena. da quello: Felice pastorella. sino a quello Ma uedi là Corisca. Nella sesta scena da quello. Non ti bastaua hauer mentito il core. sino a quello. Amanti hor non son questi i uestri nodi? Nel terzo atto scena prima. da quello Tu torni ben, tu torni. sino a quello. Ma se le mie speranze hoggi non sono. e da quello. Lo’ altri non m'inganna. sino a quello. Ma qui mandommi Ergasto, oue mi disse. Nella terza scena. da quello. Ch’i t’ami, e t’ami più de la mia uita. sino a quello. Deh bella, e cara, e sì soaue un tempo. e da quello. A chi parlo infelice à un muto marmo? sino a quello. Se dianci t’hauess’io. e da quello. Tu mi chiami crudele immaginando. sino a quello. (Già no’l nego) è peccato. e da quello. Quella sana pietà, che dar potrei. sino a quello. Viui dunque se m'ami, e da quello. Tù sè troppo guardinga, se cotali, sino a quello. Non hò veduto mai la più ostinata. e da quello. Tal’ io gran tempo infermo , sino a quello. Tanto è possente amore, e da quello. Caro Mirtillo, e come l’orsa suole. sino a quello. Però saggio è quel core. e da quello. Però, che la bellissima Amarilli. sino a quello. O’bella impresa, ò ualoroso amante. e da quello. Infelice quel core. sino a quello. M’è più dolce il penar per Amarilli. e da quello. E se gioir di lei. sino a quello. O’core ammaliato. e da quello. E cortese, è gentile. sino a quello. Ascolt ami Mirtillo. e da quello. Come l'ombra del corpo. sino a quello, À te stà comandare. e da quello. Proval solo una volta. sino a quello. In somma io son fermato. Nell’atto quarto. seconda scena. da quello. S'io fossi un fiero can, come son Linco. sino a quello. Ma dimmi oue trouasti. e da quello. Quiui confusa in fra la spessa turba. sino a quello. Quante volte bramai. e da quello. Quante volte d’acorrerui, e di fare. sino a quello. Quand’egli di squamosa, e dura scorza. e da quello. Che più superba ogn’hora. sino à quello. E dopo hauerla impetuosamente. Nelle terza sena da quello. Deh cortese pastor non ti sia graue. sino à quello. A Dio cari pastori. Nella quinta scena da quello. Che’l ueder sol cattiua una donzella. sino à quello. Se la miseria mia fosse mia colpa. e da quello. Che ben giusto sarebbe. sino à quello. Ma troppo, oime, Nicandro. e da quello. Ch’assai più ageuolmente hoggi potremo, sino à quello Come dunque innocente? e da quello. Ninfa che parli? frena: sino à quello. Ninfa non ti lusingo, e parlo chiaro. e da quello. Drizza ghi occhi nel cielo. sino a quello. O sentenza crudele. Nella sesta scena da quello. O fanciul glorioso, Che sprezzi per altrui la propria uita. sino a quello O fanciul glorioso, Per cui le ricche, piagge. e da quello. O fanciul glorioso, Come presago di tua gloria il cielo. sino a quello. O fanciul glorioso, Come il ualor con la pietate accopi: Nella settima scena da quello. Haurai dunque pietà di chi t’inganna? sino a quello. Troppo felice, ed honorata fora. Nella ottaua scena da quello. Ma che tempi dissi’io? più tosto asili. sino a quello. Hor uà tù, che ti uanti. e da quello. Oper me fortunato. sino à quello Hor venga in proua, uenga. Nella nona scena da quello. O fanciul troppo sauio. sino à quello. Siluio lascia dir Linco. e da quello. O bellissimo scoglie. sino à quello. Ma tu Siluio cortese. e da quello. E voi strali di lui, che’l fianco aperse. sino à quello. Deh Linco mio non mi condur ti prego. Nel quinto atto prima scena da quello. Gli è uero Vraino, e troppo ben per proua. sino à quello. Nè sò qual altro in questa età canuta. e da quello. Ma qual fù la cagion, che fè lasciarti. sino à quello. Ma tempo e gìa di ricercar Mirtillo. Nella ottaua scena da quello, Narri tù sogni, o pur sognando ascolto? sino a quello. O se uedessi l’allegrezza immensa. e da quello. Ma goder di colei, per cui morendo. sino à quello. E tu non ti rallegri? e tu non senti. e da quello. O se tu hauessi. sino à quello. Non posso più Corisca

Et arriuano questi uersi leuati, com’hò predetto, oltre 16oo. che la fauola tutta era intorno à 6700. Di maniera che, s’altri uolesse prendere essempio dall'Aminta, essendo ella in torno à uersi 19oo. troppo notabile sarebbe la differenza. Anzi se uero è, come insegna il Sig. Angelo Ingegneri gentilhuomo, com’io dissi di gran letteratura, & riputatone, che la pastorale non deurebbe eccedere uersi 2500. il Pastor Fido per poco uien'à contenere la grandezza di tre poemi. E tanto sia per la consideratio ne circa la grandezza. Ma passiamo alla terza conditione della fauola. Di questa farò poche parole, perche la cosa è da se molto piana. Vuole Aristotele nelle fauole l’unità; di che maniera

la ricercasse, in cotai parole poi dichiarossi.

Oportet igitur, ut in alys imitatricibus. una imitatio unius est, sic & fabulam, quoniam actionis imitatio est, & unius esse, & huius totius & partes con stare rerum sic, ut transposita aliqua, aut ablata diuersum reddatur, & moueatur totum; quod enim cum adest, aut non adest, nihil facit, quod appareat, id nec pars quidem est.

Nel Pastor Fido due senza dubbio sono l'attioni contenute, e spiegate; ma altri dice tre; & non forse in tutto fuor di ragione. L’auuenimento di Mirtillo, & Amarilli per l'una. Quello di Siluio, & Dorinda per l’altra. Et quello di Corisca la sua conuersione, per la terza. Hora le parole d'Aristotele fanno il dubbio apertissimo: Perche douendo questo tutto della fauola stare in guisa, che

Transposita aliqua, aut ablata diversum reddatur, & moueatur.

Trasposto ò lasciato l’innamoramento di Dorinda, e Siluio, & tutti i luoghi, doue insieme parlano; resta il poema illeso, anzi niente smosso dal suo ben’essere. E cosi medesimamente adiuiene trasposte, ò lasciate moltissime cose di corisca, & in particolare la sua conuersione; perche in somma

disse'l uero Aristotele, quando soggiunse. Quod enim cum adest, aut non adest nihil facit, quod appareat: id nec pars quidem est.

In conformità del quale com’hanno parlato sempre gli huomini piu eruditi, cosi ultimamente l'academia nobilissima della Crusca ha affermato ch'il poema che non ha l'unità non solo non è ottimo, ma non è buono; che tali sono le loro stesse parole. Et se uoi Signori per iscusa m’apportaste perauuentura gl’inesti; Io ui direi prima ciò non hauer luogo in Aristotele, che si sarebbe riso di questo inestare. Poscia soggiugnerei, che se cotal fuga ualesse a moltiplicar l’attioni, si potrebbono formar'i poemi acconciamente d’otto, e di diece; perche l’innestar è poco, oue le persone si facciano della stessa contrada, ò professione; ò d’altre tai somi glianze fra loro. Vò dire, ch'ageuolissimo parrebbe l'inestarle, ò imbrogliarle insieme in qualche maniera. Nè se voleste seruare gl’inesti collo scudo di Terentio; la salua apparirebbe di molta stima; douendoci calere molto più dell'auttorità d’Aristotele, & di tanti altri ualentissimi scrittori, che d’un semplice non dirò poeta, ma traduttore dell’altrui Comedie Greche.

Et chi uorrà, contrapporre un capriccio di Terentio ad un leggitimo & essentiale insegnamento d'Aristotele farà a mio credere paragone ridicolo. Oltre che vna anchora si potrebbe stimare l’Andria, promouendosi solamente l’attione di Carino, senz’altro finimento, che nella fauola comparisca: e percontrario tre distinti auuenimenti non già pinossi, ma compiutamente forniti appaiono nel Pastor Fido ò due senza fallo, come più uolte habbiamo di sopra fatto uedere. Facciamo hora passaggio al uerisimile cosa di tanto momento nelle fauole, che fuori di quello figure senza disegno sogliono apparire, e tanto piu sproportionate, e brutte alla uista, quanto errori più manifesti in quello si sono commessi. Che cosa sia uerisimile dichiarò il Filosofo nel proprio capitolo; & però anch'io tralascierò di ragionarne più oltre, solo dirò con le sue parole; che. Verisimile est dicere qualia fieri debent, & possunt. Et per entrare alla breue nel Pastor Fido in un gran fascio le dubitationi mi si fanno incontro. Ma per far capo da qualche d'una; Inuerisimile, ò uogliam dire non molto al uerisimile conforme, pare la scena, per l’attione finta in quella: Atteso che'l luogo preso per iscena si suppone molto frequentato; sendo

questa la strada, che tiraua dritto al tempio, e in cui si ritruouò quel giorno tanta gente. Diciotto sono gl’interlocutori; & quattro chori non meno di quaranta persone douean rileuare. E tanto più chiaro mi pare, che publica fosse, quanto secondo’l desiderio d’ogn’uno, e questo, e quello s’abbattea ageuolmente in chiunque cercaua: Segno che’l luogo era publico, & di molta frequenza, com’hoggidì son le piazze. Anzi che Vranio, e Carino (cosa che maggiormente à ciò credere m'induce) Vranio, dico, & Carino peregrini, che com’è costume de’passaggieri doueano far il uiaggio per la strada più commune, e maestra; per quella uennero à cercare di Mirtillo, e s’abbatterono poi ancora in tutte quelle torme di genti, ch’era no intorno al sacrificio. Inoltre dice Mirtillo di questo luogo:

Luogo à tutti sì noio, e si frequente. Hora stando la scena in questi termini; con poca uerisimilitudine par che ui si sia accommodata la fauola. E di gratia quanto uerisimilmente potrassi condurui Corisca, cioè donna, ch'in publico dica tante, e sì fatte ribalderie? e come i Satiri, & altri à parlare soli tante cose e d’amori, e di uendette, e di stratagemi? anzi essequire uarie facende senza timore d’essere spiati,

ò sentiti d’alcuno? le donzelle à tutte l’hore à trattare d’amore? ad ascoltare amanti? far balli, e giuochi? e da se senza punto di rossore fare all’amore co i giouani, chiedendo cose ò da altro tempo, o d'altro luogo più soletario, & secreto? Et in somma, per finirla, persona nobile à gridare come pazza per sentire un'Echo? E ciò sia tocco quanto alla scena. Ma quanto alla fauola: dicesi che Mirtillo uenne à sapere solamente in quel giorno, che Amarilli à Siluio era promessa. Pure altroue si dice poi, che pubicamente la fede s’era data, in guisa, che non si puo stimare che’l grido; & ben’ancho grande non fosse sparso per tutte quel le contrade: Epoi Mirtillo vuol'esser quel solo, che cio non sappia? Che publicamente si fosse celebrata la promessa, lo protesta Linco dicendo.

Da lei dunque la fede Non riceuesti tu solennemente?

Sò benissimo, da scusa di Mirtillo: Disse di non saperlo, perch’era nuouo habitatore, & habitatore de i boschi. Di queste due cagioni ogn’vna par fuori el verisimile: Eran tre mesi, che dimoraua in Arcadia, & in tre mesi mai nouella uerunna di ciò sentita non haurà da persona? fosse stato egli sempre sepolto. Amante tutto fuoco, qual'era Mirtillo, starà ne i boschi occulto

à guisa di fera? à che fine? Non fu mai persona più curiosa dell'amante; un'hora gli sà mill’anni à sapere dell'amata sua. Et tra l'altre conditioni, c’haue la curiosità de gli amanti, un'è questa, di far diligentissima inquisitione. Se l'amata cerca l’amore altrui: s’è da marito: come, e quando sta per maritarsi; & in somma cose simili spettanti allo stato, conditione, & pensieri di lei. Onde non par da credere, che Mirtillo se ne stesse tanto à bada senza informarsi. Ne punto il primo inuerisimile di questo luogo pare aiutato da quanto si fà dire à Mirtillo, cioè, ch’egli per non dare altrui sospetto, non osasse cercare, s’era vero, ch’Amarilli, si maritaste, & in

chi: perch'altri potrebbe dire, Qual sospetto? di che? gran cosa certo fra pastori il dimandare d’un maritaggio. Anzi si può quasi supporre, che bisognaua per ogni modo che lo sapesse, poich'era stata la promessa, (come fù detto) publica, e da lei s’attendea la salute dell’Arcadia da quell’horribile macello; si che d’altro quasi non douea quiui ragionarsi, da chi si fosse. Dicesi, che Corisca era dilettissima compagna d’Amarilli. Non par uerisimile, che d’honesta donzella compagna sì domestica fosse una sfacciatissima meretrice, per tale da molti del

paese conosciuta. Et chi vuole uedere di che finezza era costei in cotal’arte legga nel primo atto la terza scena, di cui luogo particolare non apporto, per essere tutta piena d’infinite ribalderie Inoltre legga la quinta scena, oue ragiona il Satiro; e consideri l'opre sue. Che Corisca conoscesse Amarilli di saluto, ò in altro modo, passi; ma cotanta familiarità, cotanta fidanza non sembra punto uerisimile, che ui fosse. Corisca uenne presa dal Satiro per la chioma; e sendo à forza da quello tirata, la detta chioma si spiccò dal capo d’essa Corisca di maniera, che molto stranamente cadendo’l Satiro; sorte se ne dolse; quasi fracassato la uita tutta si fosse; dicendo egli.

Oime dolente, ahi lasso, Oime il capo, oime il fianco, oime la schiena; O’ che fiera caduta; à pena i’ posso. Mouermi, e riuelatmene.

Peggio non direbbe, se li fosse stato rotto qualche grosso, e nerboruto legno sopra la schiena. In somma cotanta rouina verisimile non pare in questa caduta: poiche ciò suole auuenire, quando quello, che si trahe, stà bene affisso a qualche luogo, e che per gran forza del corpo, che poggia in contraria parte, d’indi si diuelle: Ma quella chioma si com'era posticcia,

e non potea starsi attaccata a luogo alcuno del capo, che resistenza facesse; cosi nè anco sì fiera caduta douea cagionare. E qui si dè auuertire quanto poco bene comparisca, & tolerabil sia questa inuentione all'occhio dello spettatore: posciache non può se non istomacare il uedere Corisca fuggire, & tornare più volte in iscena senza chioma in habito feminile. E con che occasione tornò in palco? Sendo ella sì fieramente accesa di Mirtillo se ne viene a mandare ad effetto quanto promesso hauea a Mirtillo, & Amarilli per mezo del giuoco della cieca: & a discorrer con amendue, senza che punto sen'auueggia alcun di loro, con sì leggiadra presenza. Persuade Mirtillo ad altro amore, anzi quasi pure al suo proprio chiamandolo anima sua, se ben facea sembiante che ciò vscito li fosse senza molto auuedersene. Certo strana vista essere douea; percioche ò Corisca era di capelli corti come huomo, ò pure affatto spiumata, e pelata sembrando quella rasa tauola d’Aristotele, con che dinotò già l’anima nuda d’ogni scienza. Se diciamo’l primo, è male, se l'altro peggio; posciache più che troppo sconcia, e brutta pare in donna simile dispositione di capo. Anzi mi stupisco, che

sendo se ne accorta costei, e forse itasene a casa, quando mandò Lisetta a ritrouar Coridone, acconcia non si hauesse in maniera meno sto macheuole, ouero con bende auuolgendosi'l capo, ò rimettendo nuova chioma in vece della perduta. Andò Amarilli insieme con certe altre ninfe a far giuochi in quella strada publica, che per iscena s’e finta. Non par uerisimile (tutto che questo giuoco sia stato introdotto anchora auanti'l Pastor Fido dall’auttore della Mirtia, stampata già in Parma sotto'l titolo di Martia,) non par verisimile, dico, che andassero senz’occasione a giocare alla cieca in luoghi publici. Et forse, che non douea hauerne de i più opportuni di quella nell'Arcadia per tale descritta, & lodata, qual’altroue si disse. Parlato ch’hebbe Mirtillo ad Amarilli, & hauuta la risposta, si parti. Restò ella, e cominciò a lamentarsi d'Amore, con molte parole. Par più tosto verisimile, che senza badare in istrada a parlere d’un amore illecito, & a lei vietato; (che non sò come pur s'hauea posto a rischio d’udirlo sendoui pena la vita) si fosse andata per Corisca; con disegno, se la trouaua di accappar qualche nuouo consiglio intorno la presente occasione; se nondimeno si fà

rimaner’à far’una tal sua diceria molto lunga. Dà Corisca ad intendere, ad Amarilli, che Siluio amaua certa sua fante. Inuentione, che par souerchio lontana dal verisimile; troppo bene sapendo la natura di Siluio Amarilli, poi ch'era egli noto ad ogn’uno per giouane freddissimo in amore, e disprezzatore delle donne, & seguace solamente delle caccie. E forse douea sapersi anchora l'amore, che li venia portato da Dorinda; e che pure la disprezzaua, nella maniera, che nel poema si legga. In somma per ogni modo Amarilli credere non, lo douea; ma era forse mestieri fargliele credere per assestar l’altre cose, che si fanno seguire. Hauendo Corisca dato ad intendere ad Amarrilli, che Siluio era per giacere colla sua fante, le die l’hora, in che ciò auuenire douea. Non sò chi uerisimile ui sia, ch'ella andasse per trouarlo à quell’hora. Sembra più credibile, che sapesse della caccia, che facea Siluio quel giorno; atteso ch’era cosa come publica, essendo per vccidere quel cinghiale, che facea tanti danni. Solo il grido la douea hauere informata, non che diligenza in cercane. E però potea benissimo con maggior verisimile niente credere, di quanto le disse Corisca. Oltre che è da notare

quell’antro parer finto in istrada publica poco verisimilmente por seruigi si fatti. Anzi che s’era luogo, punto famoso; com’esser tale s'è già detto per testimonio di Mirtillo; ritratto colà non s’harrebbe Siluio per godere colei; ricercandosi in tali affari luoghi lontani, & riposti. Amarilli pria ch’entrasse nell’antro volle anda re a far orationi al tempio. Non par uerisimile; perche se affatto, come si finge, lo credette; di subito (che non molto le disse Corisca douere stare Siluio à venire) s'harebbe cacciata nell’antro: potendo ben'ella sospettare; se vi framettea tempo, di non perdere quell’occasione. S'imagina Corisca di far’andare Coridone nell'antro stesso, quando vi fosse andata Amarilli; e poscia condurre i ministri del tempio, e dar compimento al suo trattato. Tal risolutione sembra poco uerisimile in Corisca, ch'era cosi astuta, & fraudolente. Percioche come potea condursi ad effetto questa sua trama, se’l tempo certo non hauea, nel quale ui fosse ò nò Amarilli, ch’era ita al tempio? Chi uolea indouinare; s'ella fosse tornata, ò nò? bisognaua tenerle dietro spia per poterlo sapere: ch’altrimenti se Corisca andaua in persona à vedere, se v’era; correa pericolo ch’in tanto uenisse

Coridone, e la trouasse colà entro; ò uogliamo dire le ui trouasse ambedue, e'1 trattato restasse vano. Ma diamo anchora, che riuscito le fosse il primo disegno; & poscia uenuti il ministri; auuenia però di due cose l'una; ò costoro, nell’antro sarebbono stati ritrouati in diversi luoghi; con pochisimo sospetto appo giusto giudice: ò s’auueniua che Coridone ito fosse, oue era Amarilli; conosciuta lei non essere Corisca, egli di già partito, ò Amarilli fuggita se ne sarebbe; onde beffato rimaneua il sacerdote, e fallito il disegno. Ma poniamo anchora caso, che fossero stati presi; quindi che ne succedea altro di male; se non il raccontar perch’oga’uno colà si fosse condotto? E troppo creduto harebbe'l sacerdote, non essendoui sospetto pur minimo d'amore fra questa copia. Sì che in fatti lo strattagema da si scaltro ingegno inventato, se si considera bene, par'anzi friuolo, che importante. Corisca femina ripiena di cotanta malitia con molto studio procura di far trauedere Mirtillo; e si fattamente perciò di tiene astuta; che da se stessa chiede corona; quasi maggior ingegno di mostrare non si potesse. Fù quando li diè ad intendere, che Amarilli per vil pastorello se douea colà entro ritirare: e gliele

persuase; e fece appiattarlo vicino all'antro per accertarsene. Poscia con tutto il sottile suo auuedimento, benche amando grandemente, Mirtillo, non seppe imaginarsi; che cio veduto, egli, ò si sarebbe vcciso da se stesso per so dolore, come le disse più uolte; ò harrebbe vcciso il riuale, & cosi stato saria costretto à fuggire di quei paesi. In ogni maniera dunque Corisca venia in rischio di perdere per la stessa via, che procuraua d’ottenere, quello, di ch’era tanto bramosa. Se ne và nell’antro Amarilli: & nell'entrare dice varie cose, chiamando’l nome di Mirtillo. Non par uersimile, ch'in istrada, in occasione di prestezza, e di silentio, cicalasse tanto; & fuori d’ogni proposito uolesse dare di se sospetto à chiunque per sorte vdire la potesse. Entra Mirtillo anch'egli, per risoultione fatta, nella spelonca. Nell’entrare chiacchiera gran pezzo. Amarilli non sente cosa ueruna. Egli si nasconde; & non è veduto da lei, nè dal Satiro soprauegnente. Non par uerisimile, che non, fosse sentito da Amarilli, ò nel ragionare, ò nel caminare per la spelonca, se forse non era lunga qualche migliaio, & ritorta; ed ella fin’entro alle uiscere del monte penetrata. Nè sembra potersi dire, che Mirtillo entro nel principio dell'antro, & quiui si mise; perche il Satiro l’harerebbe ageuolmente veduto; ò egli’l Satiro, & impedito gl’il chiudere dell’antro; sì che punto seguito non sarebbe, di quanto poscia seguì. Chiuse dunque l’antro il Satiro sterpendo con un pezzo di legno trovato à caso una balza di monte. Fù per tanto vna sì fatta rouina di far cadere a terra una rupe; nè per quanto si sappia, Mirtillo ch'era forse poco adentro cosa ueruna sentì. E pur’ogn’uno si può imaginare lo strepito, che douette fare. Et riuolse cosi gran petrone con un pezzo di tronco d'elce, che non molto grosso douea essere, a quanto imaginare si può, tutto che forse a ciò fare bastata non sarebbe una quercia di quelle annose, stando ancho, qual egli dicea, il sasso molto fisso nel monte. Chi vuole uedere l’immensa fatica, che vi si ricercaua, legga quanto quì soggiugnerò di sua bocca: disse cosi

O come è greve, ò come. E ben affisso: quì bisogna il tronco. Spinger di forza, e penetrar sì dentro; Che questa mole alquanto si diuella. Il consiglio fù buono, anco si faccia. Il medesimo di quà; come s’appoggia: Tenacemente: è più dura l’impresa. Suellerlo, nè per uito anco piegarlo. Forse il mondo è quì dentro, ò pur mi manca Il solito vigor, stelle peruerse, Che machinate ?

Ma diamo che lo moùesse, & facesse cadere dal suo luogo: Come auuenne poi, che nel semplice cadere, il sasso in guisa s’accommodasse, che senz'altr’opera metterui turasse l’antro sì bene, ch’altri vscire non ne potesse? certo ciò non pare verisimile; se come di molta discretezza, & intendimento si finse di sopra il Ladone, cotale non si finge qui anchora sì fatta rupe. Furono presi Mirtillo, & Amarilli, & ambo al tempio condotti; ma per diverse strade. Par necessità poco verisimile: A che proposito di gratia? se ciò non hauesse commandato qualche legge, ò mistero. Ma fù’l mistero, direbbe forse alcuno, perche poteste procedere la fauola, come di molt’altre cose anchora s’è fatto; ch’altrimenti difficile occasione sarebbe nata di condurla al suo fine; e qui da tale separatione s’è cagionata sa diceria d'Amarilli con Nicandro. Non si tosto giunse Amarilli innanzi al sacerdote, ch’incontanente alla morte fù condannata. Ciò non si fà verisimile; perche à i rei, c’hanno commesse le maggiori scelerità, che ci sieste, dassi tempo un giorno; & tall'hora più; & à costei niente? Senza vdire

sua ragione uien condannata? strana giustitia sembra questa. Et forse, che per fuggire quel passo cosi duro, non'haurebbe confessato il sucesso del fatto, come si staua? E doue, mai s’udi ch'alcuno à morte si condannasse, senza sapersi a pieno il misfatto, ch'egli hà commesso? E dicesi pure.

Fù quasi in un sol punte. Accusata, conuinta, condennata.

Nasce sospetto, che l’auttore, non le habbia fatto confessare il fatto, come forse douea, perche ne succedesse quel fine, che poi succede; altrimenti la cosa era spacciata. Ma consideriamo ancho questa parte come si sia felicemente condotta. Mirtillo è preso; Amarilli è presa; si tratta ch’el la adultera sia; nè Mirtillo, nè Amarilli confessano, perche uero non era; ne il sacerdote gl’interroga; il quale oltre ciò, che s’è già discorso, hauea ancho di farlo cagione tanto maggiore, quanto il Satiro gli hauea palesato, che nell'antro erano Corisca, e Mirtillo; tuttauia si ritrouaro Mirtillo, & Amarilli. Potea dunque dubitarsi ò di stratagema, ò d'altro, in sì fatto caso: ò almeno era mestieri prenderne marauiglia, & uoler risaperne il uero. Oltre che Mirtillo per ogni modo douea farsi innanzi al Sacerdote; e confessargli

'l fatto, mettendo à partito il giuditio suo; >il quale ageuolmente alla morte d’Amarilli corso non sarebbe con tanta fretta: anzi considerato bene il caso, & essaminate le persone, succeduta ne saria la liberatione di lei: Ma ogli si stette mutolo: & l’ardore, & l’ardire passarono tosto in fredezza, & in fingardaggine. Vuole per lei morire; e non osa raccontando la uerità liberare lei, e se stesso da quel periglio? Amarilli finalmente per quanto si uede uolle confessare, ma poi non confessò cosa ueruna del fatto. Recò in testimonio della sua innocenza certa ninfa, nè più oltre procedette. Confesso d'hauer gran dubbio. Perche di gratia in caso di morte, & morte obbrobriosa, non par laua chiaramente? perche non si lascia ua intendere? innanzi à Nicandro hauea pur già detto, che le pesaua il morire? E qui si torna à uedere di qual lega era il giudice. Costei allegaua Corisca per testimonio della sua innocenza, & egli sopra questo badò tanto, quanto à sua discretione li parue; & quando per termine di ragione douea andare pesato; & informarsi ben bene di costei, ch'era allegata per testimonio; si lascio à rompi collo cader'in una sentenza ingiustissima della morte d’un’innocente.

Condannata che fù Amarilli, & stando di già per essere condotta al sacrificio, Mirtillo s’offerse di morire per lei; e tra loro nacque grande contesa, perche Amarilli à niun partito uolea; ma dapoi ch’era stata cosi dal sacerdote sententiata intendea morire. Questa contesa non pare molto uerisimile in donna, che per l'adietro s'era mostrata, come s’è detto, molto uolonterosa di uiuere: per ch'à dire'l uero il morire non è mica cosa di sì poco rileuo. Carino ritenne il Sacerdote, che uolea sacrificare Mirtillo, e uolle sapere il perche del fatto, & li fù dato risposta di quanto chiese. Fuori del uerisimile pare cotal'informatione datali; non si facendo credibile, che quegli che reggea le diuine, & l’humane cose in un sacrificio di tanta importanza s'abbassasse à rendere ragioni dell’attioni sue, e della sua giustitia, e racontarle ad un vecchio forastiero, ignoto, negletto, & isgridato per pazzo, & importuno. Volendo Carino saluare Mirtillo, fà mille contrasti, & giurimenti inuolti di maniera che parea affermare cose contrarie. In caso di tanta importanza dubito non tengano del uerisimile cotali sue dicerie; parendo, che si douesse immantenente narrar’il fatto chiaro, come già era succeduto; & in ogni

modo quanto prima procurar di saluarlo, non che di modo badare, che lo sgridarono per pazzo, mentre in uero sembraua infingersi, come se la uita di Mirtillo saputa non hauesse. Doue è d’auuertire, che quell’hauer riconosciuto Dameta doppo lo spatio di 19. anni, tiene tanto poco del uerisimile, che niente più, in un uecchio, che ueduto l'hauea già tanto tempo solo una uolta, & à cui douea per diffetto d'eta mancare una cosi buona memoria, quale pare douersi ricercare in huomo, che vecchio doppo spatio di 19. anni si uoglia ricordare d’uno, che già uide vna sol uolta. Siluio ammazzò un teribilissimo cinghiale poco uerisimilmente. Hercole persona di cotanta forza u'hebbe sì che fare, che l'ammazzare un sì fatto animale gli fù posto per una delle dodici fatiche sì famose: E poi un giouinetto molle di sedeci, o diecisett’anni l’ammazzerà, per cosi dire, per ischerzo? Dorinda offesa di graue ferita fà lunga diceria; ilche pare contra ogni uerisimile. E chi ueduto hà feriti; ò puato ferite; lo può ottimamente sapere. Anzi in tale stato, & in cotanto dolore, ch'isuenire la fece; fingesi (com’io dubito) con poca verisimili rudine, ch’in un momento si sani, & uenga à tanto, che Siluio la sposi, e la faccia sua donna; per quanto habbiamo da Linco nella settima scena dell'atto quinto. Ch'ella mò fosse all’hora in pessimo stato, e che sol nel uederla si stessero attoniti.

E con tremante cuor’huomini, e donne.

il luogo stesso ce ne fà fede: e lo riconferma l'altro nella scena settima del quinto atto; oue s’introduce, ch’il ferro della saetta era sì profondato, che possibile non fù di spiantarlo; ben che si faccia poi in un'istante con non so qual’herba souuenuta à Siluio dopo l’hauer prima cianciato tanto, & tormentatala

Senza fatica, ò pena La man seguendo ubbidiente uscirne. E si soggiunga. Tornò il uigor nella donzella, come Se non hauesse mai piaga sofferta.

& era ben dibisogno d’usar tale maniera, se strada uoleasi fare à quell'altro gentil concetto dell’esser poi subito stata ferita da Siluio d'altra piaga, & descriuer la loro diuersità con queste gratiose parole.

L'una saldando si fà sana, e l’altra Quanto si salda men, tanto più sana.

Trascorso il largo campo del Verisimile succede la quinta proprietà del la fauola, & è che siano di tal modo contesti gli Episodi fra loro, chel nesso ò verisimile, o necessario sia. Nel

Pastor Fido prima se consideriamo l’attione di Dorinda, e Siluio inestata, nesso veruno leggitimo contiene con la fauola principale; atteso che si leua ogni cosa senza molestare punto l’attione di Mirtillo, & per ogni modo succeder può senza l'aiuto dell’inestata. Parimente in quell’altra di Corisca n'hà gran parte; che poco, ò nulla hà che fare con questa e sopra'l tutto la conuersione sua. Adunque par’affai chiaro, che questi tre auuenimenti ò diciamoli inestati, ò per altra uia ridotti insieme, non tengano nesso leggitimo fra loro. Vi sarebbe per secondo da considerare se le particelle di ciascuna attione, & massimamente quelli dell'attione di Mirtillo habbiano anch’elle fra loro questo nesso pure da Aristotele ricercato: Ma’tal consideratione saria assai lunga: Quinci io me n’ispedirò con accennarne un particolare ò due, rimettendo il resto all’altrui giuditio. Nell’attione di Mirtillo u’è’l soliloquio di Amarilli da poi scopertole da lui’l suo amore, & partitosi: che all’hora si finge hauer di ciò lungamente ragionato, & à caso essere stata udita da Corisca, ch’era poco lunge nascosta, con la qual cosa, che tiene assai del freddo, & dell inuersimile, si pretende di connetter’il rimanente di quei successi.

In quella di Siluio u'è la caccia, e’l trionfare di quel cinghiale intrecciato con la ferita di Dorinda per mezo dell'uscita di Siluio, & del cicalamento intrauenuto con Echo. Lequali cose se necessariamente, ó uerisimilmente s’acconcino col successo, io stò molto dubbio. Necessità non ui scorgo: E più di uersimilitudine parrebbe hauere, che Siluio stato si fosse in gioia con li compagni, ch’uscito in palco solo, & senza cagione con tanto poco decoro. Ma per non generare com’hò predetto molta più noia, che frutto; & perche alcuna cosa à ciò conferente, s’è forse detta nel Verisimile, à questa parte si ponga fine. Assegna per sesta proprietà Aristotele alla fauola tragica il terribile, e’l miserabile. Possiamo per contrario conchiudere la comica hauere’l piaceuole, & il ridicolo; Et la mista, quale si vuole, che sia la Tragicomedia, un misto di terribile, e miserabile, piaceuole, e ridicolo. Cosi mi pare appunto che si uenga à sentire nelle difese della Tragicomedia; anzi che nè altrimenti si può cauare cosa che dalle dette diuersa sia; nè intorno à questo io per hora intendo di far parole. Veggiamo dunque se nel Pastor Fido ui hà cotal misto: E di tanto mi pare lui mancare, quanto hò sentito sempre più abondar

del contrario; cio è d’una proprietà semplice Tragica, ch’è’l terribile, e’l miserabile. Percioche i ridicoli, i piaceuoli casi non sò ritrouare quali si siano; parmi bene ch'ogni cosa tenda principalmente all’atrocità. Anzi qual cosa più terribile, & miserabile s’aspetta, quanto ciò ch’alla persona di Mirtillo appartiene? Di uero se questo per ischerzo, o per cosa mista si reputa, io non sò di che natura debba essere il serio, & il semplice. Et che in Mirtillo non cada terribilità, & commiseratione tragica sembra a niunmodo potersi dire; quando, auuegna che la terribilità ad effetto compiutamente ridotta non uenga, ciò in Aristotele nulla gioua: Si perche: dice egli nel secondo della Fisica al testo 56. Quod est parum distans, tanquam nihil distare uidetur; si anco perche in particolare il terribile, & il miserabile tragico senza fallo per questa sola propinquità uiene ad esser perfetto secondo lui. E chi di gratia non hà letto nel capo della buona costitutione della Tragedia, ottima esser quella; quando aliquis facturus, cum agouisset, non fecit? Non ci dà egli l’essempio anchora di Merope, che douendo ammazzare Cresfonte suo sigliuolo, riconosciutolo, se n’astenne? Non la chiama constitutione ottima di Tragedia?

Certo se quello è caso tragico, & ottimo, ui dee essere’l terribile, e’l miserabile, altrimenti dottrina falsa, e uana sarebbe questa. Et se il terribile, & il miserabile semplice, e non misto u'hà in quello; haurà ben parimente in questo di Mirtillo, che poco diuersificato è nello stesso genere di constitutione? Onde parebbe restar poi chiaro quello che dianzi proposi, cioe che supposta la mistura tragicomica; questa non sia, ne si scorga nel Pastor Fido; ma si bene il terribile, e miserabile tragico. Intorno alle due proprietà rimanenti cioè settima, & ottaua, altro per hora dir non m’occorre, se non che quanto alla passione hauente forza d'ammazzare, come si dice, richiesta d'Aristotele per la Tragedia, cosi pura tragica par ritrouaruisi (come conoscer si può da quanto s'è discorso) che malageuolmente si può negare. Ma poiche habbiamo assai minutamente considerata questa prima parte della qualità, passiamo alle rimanenti, & diciamo de i Costumi. Vattro cose proposi douersi considerare circa le parti della Qualità nel Pastor Fido; la Fauola; Costumi; la Sentenza; e la Locutione. Considerato habbiamo intorno alla Fauola; hora seguitiamo à i costumi. Questi tre conditioni uogliono hauere; (oltre l’esser migliori, ò peggiori; secondo che tragici, o comici sono;) tre dico, oltre quella; & sono; Conueneuolezza al sesso; all’età: alla natione: & finalmente alla conditione di ciascheduna persona: Similitudine: & Equalità. Tanto ci lasciò scritto Aristotele a i suoi luoghi nella Poetica. Hora le di lui uestigia, come di sopra fatto habbiamo, tuttauia seguiremo, perche quanto di reo sembra ad essere ne i costumi delle persone del Pastor Fido tutto a questi tre capi si riduce. E per uenire al particolare, Siluio, (direm poscia de gli altri) uiene finto cacciatore grande, e famoso, e sommamente prattico in tale mistiere; come si predica nel quarto atto, alla sesta scena: poi all’ottaua, uedendo un lupo, e cercando di uolerlo ammazzare, si scorda delle proprie, e uere arme da cacciatore, lequali hà al fianco, e pensa ucciderlo co i sassi, li quali per la strada uà brancolando.

E' persona reale, ricca, e le sole speranze del padre: Et nel secondo atto, alla seconda scena si finge ristretto in casa di modo, ch’à sua uogiia disporre non possa di cosa uile; come d’un capro, ò d’un’agnella; massimamente in caso ragionevole, come nella ricuperatione

del suo Melampo, cane à lui caro sopr’ogn'altro. Come persona reale s'introduce nel primo atto in istrada accompagnato da gran moltitudine di gente: E poscia nel quarto, alla scena ottaua, si fà uscire, senza bisogno ueruno, solo & à gridare come un pazzo in uia publica. Religioso s'introduce, & con molta uogla di uisitare gl’Iddij nel tempio; non dimeno poco poi diuiene disprezzatore, anzi bestemmiatore di quelli. Hà dato publica fede per lo matrimonio, che placare douea Diana chiamata da lui sua sola Dea; e pur se n’infinge; anzi nel quarto atto la bestemmia, dicendo verso Diana.

E tu, che lascorgesti, E tu, che l’essaudisti. Nume di lei più infaust o, e più funesto.

Inoltre confessa Venere per Dea, poi bestemmiando, di molte ingiurie, e uillanie carica anchor lei. Come dissi per tanto zelo di religione era cosi uoglioso di girsene al tempio, & hauea detto.

Nè si comincia ben, se non dal cielo: Poi ad un semplice cicalamento di cose uane, & secondo essolui inhoneste, buona pezza si trattiene, anzi tra poscia d’andarui. E’ semplice , sì che con sà cose si sia amore: pure nel quarto atto s’à tanto del dotto, & del

prattico ne i traffichi amorosi quanto quiui si legge. Abborisce tali ragionamenti; ma tuttauia gli ascolta, e vuole sapere per uia d'interrogatione da Dorinda, che cosa sia questo Amore, sendouene’l minor bisogno, che mai si ritrouaffe: & le uà proponendo anchora buon campo per cicalare amorosamente. Di nimico sì fiero d’Amore diuiene tosto sì suiscerato amante, che'l più perfetto mai non uide il regno amoroso; ch'è quello di cui Aristotele riprende Euripide; & è luogo al parer mio irreparabile. Tutto che fanciullo si fà molto di se presumere, e si finge per quanto apparisce nel poema assai uano: Et tuttauia in parte di quello uà molto pesato, e fà piu che troppo del prudente, & in particolare quando hà saettato’l lupo, & riconosciutolo. Finalmente per fornire la consideratione sopra i costumi di lui, si fà molto al padre disubbidiente; poiche Montano uolea dargli moglie, & esso a tutto suo potere ciò rifuggiua, per seguir’indarno quel, che nulla rileuaua per la salute d'Arcadia: Et a questa sua disubbidienza paiono contrastar due cose; la prima il fingerlo religioso molto: per che chiunque è tale non suole disubbidir al padre; la seconda, che nell’Attizzato si afferma quei pastori d'Arcadia,

fra l'altre doti loro, esser’ubbidientissimi. Hora passiamoci a Mirtillo. Giouane modesto, e discreto si finge: La modestia; oltre che poco è di giouani propria, per quanto Aristotele vuole nella Retorica, non par’anchora in lui mantenersi eguale: Conciosia che alcune uolte apparisce freddeza, & alcun'altre diuiene sfacciataggine. S’inamora d’Amarilli; non si contenta esserne acceso, che scuopre l'ardore; & à chi poi? ad una sua sorella uergine; e perche? per uoler esser aiutato in questo suo accidente amoroso da lei; e fino à tanto ardisce, che si mescola trà le donne in gonna feminile; e giuoca; e la bacia, & n’è coronaro: Vn'altra fiata tutto addolorato, tutto uoglioso dell’amore d’Amarilli brama hanersela innanzi; e poterle fauellare: Nasce l'occasione; & egli se ne stà freddo, & immobile, come tronco inanimato: sì che à Corisca conuenne spignerlo in braccio all’amata dicendosi.

Prendila da pochissimo, che badi Ch’ella ti corra in braccio? O'lasciati almen prendere: sù dammi Cotesto dardo, e nulle incontra sciocco.

Inoltre, com’alle uolte è tutto freddo tutto ghiaccio, non osa parlare à pena di cose più, che ragionevoli, & da huomo discretto: cosi poscia si lascia

uscire di bocca quelle parole, che sono nell'ultima scena del quinto atto. O’ mio tesoro. Ancor non son sicuro, ancoi’i’ tremo, Nè sarò certo mai di possederti, Per fin che ne le case Non se’ del padre mio fatta mia donna; Questi mi paion sogni. A’dirti’ l vero; e mi par d'hora in hora Che’l sonno mi si rompa; E che tu mi t’inuoli anima mia: Vorrei pur ch’altra proua. Mi fosse homai sentire, Ch’el mio dolce vegghiar non è dormire.

Non pare potersi dire più alla scoperta, nè richiedere donna con maggiore ingordigia. Et Amarilli tutto che di cuore l’amasse, conobbe l’immodestia, & ne lo tassò; dicendo.

Ben se’ tu frettoloso.

E ciò per quanto appartiene à i costumi suoi. Montano è padre di famiglia; vecchio; persona regale; sacerdote; tutto pieno di grauità; & di molte altre importantissime conditioni dotato; e pure garrisce come vn fanciullo con Titiro; anzi nè molto pensoso da douero si mostra della salute d’Arcadia: spera ne i sogni ha’l male presente; & con la sua auttorità può rimediarli, facendosi ubbidire al figliuolo; e scioccamente rimette ogni cosa al tempo: si farà con tempo: e più vuole che sì tenga per huomo, cui molto caglia la salute d'Arcadia. In somma tanto poco mantiene sua dignità, ch'in istrada publica; alla presenza della gente; in maestà di sacerdote sacrificante si mette a contendere, con vn vecchio huomo di niun rileuo; forastiero; non punto da lui conosciuto; & da i ministri riputato importuno, & pazzo & à contender' in modo, ch’esce quasi de i gangheri. Titiro è vecchio tratta su’l serio, e si mette a fare una affettatissima descrittione della rosa; cosa, che douea in tutto essere aliena da i pensieri dalla professione, & dal negotio di quel punto, se per uecchio rimbambito non volea esser tenuto. Altrone oppresso dal dolore per la morte creduta di sua figliuola in vece di correre al tempio per la salute di lei, si trattiene spargendo madrigali, quasi'l fatto non sia di lui. Ne vale a dire, che rimase dall'andarui, per quello, che li disse il messo, perche l’affetto douea in ogni modo trasportarlo, & conduruelo. Linco istitutore di Siluio è vecchio; discreto; religioso; ma per ribambire nelle cose amorose, mentre v’essorta Siluio, con tanti giri trattenendosi più tosto in uaghezza da huomo spensierato; che seriamente discorrendo, & con fundamento di

cosa tanto importante, quant'erano quelle nozze. Nicandro ministro sacerdotale con poca conueueuolezza sembra ragionarsi, poi ch'esso anchora in caso di dolore, com’era quello ch’auuenne nella presa d’Amarilli, gentilmente tal’hora madrigaleza; anzi si mostra maligno. La misera donzella uariamente si scusa, & egli che ueduto punto del fatto non hauea, le oppone gagliardissimamente, e uenendo essa all'atto del giuramento con più che troppo superbia la risiuta, & oue pura consolatione usare doueua, & con desterità procurar di non le accrescer dolore, usa con tanta asprezza, che per la disperatione conceputa isuenimento ne segue. Ne qui parimente la scusa sua può molto salvarlo, poiche douea usare con lei ogn'altra maniera, che quella che tenne, dovendo per ogni modo mostrare & più prudentia, & piú discretezza con Amarilli. Dorinda presupporre si dee giouane più tosto nobile, ch'altrimenti: & donzella. Pur si finge cosi sfacciata, che non arrossa in publica uia alla presenza d'un seruo, & del uecchio Linco parlare (rimossa ogni uergogna) di cose amorose: travestirli, & mescolarsi, come incognita, in luogo, & à spettacolo publico tra infiniti huomini; cosa da persona sciolta, e di partito; e finalmente dimandar baci in istrada à Siluio, & offerirgli le mammelle. Queste sono sue parole.

A me poma non mancano potrei A te darne di quelle, che son forse Più saporite, e belle, se i miei doni Tu non hauessi à schiuo.

Pare che peggio non fosse per dire una meretrice, non che giouane modesta, e uergine timorosa dell'honor suo. Amarilli puossi paragonare all’Ifigenia d'Euripide; teme la morte.

Quella, che fù pur dianzi Si da la tema del morire oppressa.

Et poscia in un subito altro non vuole che morte; nè può patire indugio; offerendosi di morire per lei Mirtillo. Di questa inequalità non dirò altro, senonne, che souuengano altrui le parole d’Aristotele intorno alla predetta Ifigenia. Corisca femina sfacciata è troppo audace non solo di que l'audacia, che tengono le meretrici, ma dell’audacia uirile. Et in una parola costei nel poema e un'Idea d'abominatione; cosi apunto uien’osseruato, & detto di essa da colui, che nouellamente hà scritto quei discorsi contra le donne. E alle mani col Satiro, & uiene perseguitata per ogni luogo da quello, anzi due fiate la prende, & essa con inganni se ne fugge, & ardisce d'indi à poco tornare à trattenersi buona pezza nell’istesso luogo. Donna imbelle; atta solo à gli ruffianesmi, & lasciuie d’amore; non temendo il Satiro, mostro potente, che suelle i monti, & è solo nato alla forza, rapina, crudeltà. Di sì famosa meretrice si conuerte da se stessa, e diuiene la miglior donna, la più casta, la più honesta, e la più rimessa nelle uanità di questo mondo, che mai si trouasse. In qual modo in Aristotele si possa sostenere cotal mutatione io di nuouo replico non uedere; oltre che, si come da un de'nostri Academici ancho s'aggiunse, secondo gl’insegnamenti di quel Filosofo non è cosa men tolerabile ne i poeti, che’l far, che persona scelerata sortisca buono, e felice fine. E tuttauia s’è compiaciuto l'auttor del Pastor Fido di favole lo sortisca costei non solo scelerata, ma infame. Vltimi sono i costumi del Satiro. Si finge mostro, seluaggio, rozzo, amante di Corisca, ma corrucciato con essolei; anzi disposto se la poteua hauere nelle mani di farne crudelissimo stratio. Cosi mostro seluaggio, e rozzo, com’e discorre tanto cittadinescamente, che nulla più, contra la ragione; l’espresso diuieto d'Horatio.

Siluis deducti caueant me iudice Fauni Ne ueluti innati triuijs, ac pene forenses Aut nimiun teneris iuuenent versilus unque.

Che'l Satiro faccia del salace, & del dicace, passi; ma ne i termini; cioè rozzamente, & alla rustica, meschiatoui qualche scintilla, non dirò d'urbanità, ma di cosa quella redolente, come giuoco, e mordacità leggiere nascenti dal fatto, in che per all'hora si truoua. Et questo seguitò’l Tasso nel suo Satiro. Che quanto à me chi uorrà condurlo nelle camere delle donne, & nelle scuole d'Amore, facendolo discorrere de i lisci, e de i belletti, & acconciature di teste, & de i precetti d’Amore, con tanta cura, quanta ne ueggiamo nel Pastor Fido, non sò quanto lo farà conueneuolmente. Hà rissa mortale con Corisca, & le promette prendendola di farne stratio grande: La prende; poi bada alla uendetta con infinite chiacchiere, send’egli mostro, com’io dicea, tutto dato alla crudeltà, & alla fierezza, & che poco per uerisimile douea cercare la ragione; tuttauia scherzano insieme con ragioni, come se da un mostro, ad un’huomo differenza non fosse. Cosi nel medesimo modo procede quando giudicatala esser nell’antro, quello chiuse con disegno di far’intendere sua ragione al Sacerdote. E tanto detto sia de i Costumi.

LA Sentenza com’ogn’una dell’altre parti della Qualità à uarie conditioni soggiace anch'ella; e tanto più quanto in fronte assai souente portando'l costume di chi parla, & con esso costume affacendosi, ò nò, secondo l’occasioni, conueneuole, & non con- veneuole comparisce. Ma certo fra per altre sue conditioni importanti ui hà questi; che send'ella, com'hò predetto, cosi prossimana al costume, tale, quale sara’l costume apparir deo la sentenza. Inoltre send'ella ritrouata sì per amplificare; come per diminuire; monere gli affetti; dichiarare l’animo; e somiglianti cose, ch’insegna à propri luoghi Aristot. bisogna per ogni modo guardarsi, cosi dalla superfluità; come dal diffetto, doue ne fosse bisogno; e sì dal trasportare il concetto, oue non è mestieri; come dal seruirsi di ciò, che tal'hora e noci no à quanto uogliamo ò prouare; ò spiegare; & che se non importa il contrario, almeno indebolisce, & oscura il ragionamento, & le pruoue, & amplificationi. Hora si come io hò particolarmente dubitato d'intorno à i costumi, cosi potrei andare addattando gli stessi dubbi, ò gran parte, d’intorno à tutte quelle sentenze, che di essi costumi espressine sono, e per cosi dire, con essi hanno connessione, & necessariamente

participano de i loro diffetti; ma ciò tralasciò di fare per non esserne mestieri appo gl'intendenti. Et s’alle uolte io ne toccassi, sti missi fatto ò per annodare le cose da dirsi; ò per risuegliare in ciò la memoria dalle già dette. Et nel ritirarmi ad alcuni concetti del Pastor Fido lo farò scorrendo di scena in iscena. E per cominciar dalla prima; diciamo. Linco (e ciò fu pur ancho tocco ne i costumi) trattando Siluio di andare al tempio li risponde, che non è hora, e cosi prende occasione di persuaderlo ad amare. In questa sua persuasione Linco si seruì tra gli altri di certo concetto degno più tosto di qualche Filosofo Platonico, che di basso pastore; anzi per conditione quasi servo, dicendo:

E che sentiraai tù, s’amor non senti Sola cagion di ciò, che sente il mondo?

Questo luogo istesso trattò innanzi il Tasso, e certo com’io credo assai più felicemente, il quale non abbandonandosi tanto sopra la Filosofia, ma tessendo ragionamento di concetti communi, & gratiosi; come della dolcezza de i figliuoli; dell’età; e di cose simili, aggiuntaui quella sua par ticolare idea di fauella tanto conueneuole; e propria à giuditio d'ogn’uno della poesia pastorale; ci lascio bellissimo

essemplare d’una persuasione all’amare. Doue si può notar, ciò che accresce infinita uaghezza al ragionamento suo, ch’alle ragioni di Dafne tal'hor Siluia risponde non certo contendendole, ò risiutandole à capo, à capo; ma in guisa piaceuole procurando da quelle schermirsi; cosi mostrando, come dir si fuole, per qualche cosa hauere la lingua; ond’è che molto piu contento lascia’l lettore di quello, che fà Siluio, il quale in poema cosi ridondante si mostra aridissimo nel risponder’à Linco. Seguitando Linco la sua persuasione; da Siluio gli uiene risposto cosi.

Nè sì famoso mai, ne mai si forte Stato sarebbe’l domator de mostri Dal cui gran fonte il sangue mio deriua Se non hauesse pria domato Amore:

Questa risposta uiene molto da lunge da quello, di che ragionauano, & è tale, che perauuentura più tosto pare interserita per far che seguisse Linco à ragionare, che per esserne alcun bisogno. Vò dire che sotto il superfluo della Sentenza sembra potersi riporre. Oltre che non sò per me quanto vera si sia, non mi souuenendo mai d'hauer’udito nominar Hercole per idea d’Heroe, che domasse Amore. Quando di gratia domò egli Amore? se non deggio più tosto dire,

quando non fù egli sottoposto, anzi calpestata la gloria sua dalle femine, & da ogni sorte d’amore illecito? E di ciò non ne sono forse le carte piene? Io posso errare, ma dubito sommamente, che sia questo concetto non sol souerchio, ma non uero; e nociuo; Poi che immantinente presta etiandio occasione a Linco di dire.

ancor non saì, Che per piacer ad Onfale, non pure Volle cangiar in feminili spoglie Del feroce Leon, l’ hispido tergo, Ma della claua noderosa in uece Trattare il fuso, e la conocchia imbelle

Ma con tutto ciò molto anchora nociuo pare quest'altro concetto alla persuasione pretenduta per Linco: perche potea anzi douea Siluio, che facea parole, quando meno importaua, rispondergli all'hora, e dirli; s'Amore conduce gli huomini ancho per altro generosi, a sì bassi , uili, & odiosi uffici, non me ne ragionar più a modo ueruno, che non sia uero mai, ch’a sì fatte indignità io soggiacia. Dichiara Linco questo suo concetto d'Hercole, & per approuare quanto dicea, uiene all’agguaglianza del ferro; soggiugnendo.

E come il rozzo, ed intrattabil ferro Temprato con più tenero metallo. Affina sì, che sempre più resiste, E per uso più nobile s’adopra. Cosi vigor indomito, è foroce, Che nel proprio ualor spesso si rompe; Se con le sue dolcezze Amor il tempra Diuine all’opra generoso, e forte;

Oue si dee auuertire, che la comparatione stare potrebbe, se’l comparato fosse vero; ma io dubito, che non sia vero, che’l ferro per farlo forte all’opre si mescoli con altro metallo. E la tempra sua in ciò non consiste. La qual cosa, come che tocchi per accidente al poeta; conciosia ch’ei non sia nè fabro, nè altro simil’artefice, come dice Aristotele, tuttauia quando corresse il mio dubbio, disdirebbe, che prouando, ò amplificando si fossero narrate cose communemente, & manifestamente hauute per false. Si finge inoltre disperato, tutto che non molta fratellanza tenga la disperatione con la modestia; come chiarissimo appare in Orlando, e Rodomonte. Chi lo vuol uedere disperato legga la seconda scena del primo atto; la sesta scena del terzo: & l’ottaua dell'istesso terzo: nonpertanto benche sia cosi chiacchiera diffusissimamente, & con ordine; fà dell’historico, inguisa, che tesse narratone, ch’appare più tosto ben bene premeditata per mano d’Oratore, c'hauesse l'animo più, che tranquillo, e composto, ch’uscita improusamente

da un disperato. Di cio n’è testimonio la prima scena del secondo atto: oltre tant’altri luoghi, che sono per lo poema. E pure per lo più suole essere, che i disperati habbiano poche parole, concise, riuolte più a fatti, che otiose. Oltre che se comporteuoli giudicare douranno si i lamenti, porteranno poi dubbio le parole imitili, il lungo cicalamento ripieno di madrigali, & adorno dì dilettosi concetti: Perche un’huomo disperato in par lando non bada molto ad ordinare il filo del ragionamento; ma spesso l’interrompe, & lascia molti membri concisi. Cosi ne anco pon mente allo suogliere de i concetti; ouero al uestire i quelli; trasportandolo l'affetto, ne permettendoli cotanto conoscimento; come da i buoni maestri è insegnato; & a uoi Signori ne dee souuenire. Lascio quanto pago restì lo spettatore giudicioso, ò il lettore, mentre credendo sentire una uera imitatione d’un disperato, sente una dissipita raccolta di madrigali. E s’egli è uero ciò c'hanno i predetti lasciato scritto del bene imitare gli affetti, e gli effetti col uerso, cioè ch’adoprare ui si debba hora durezza, & asprezza, hora facilità, è piaceuolezza, & altri somiglianti modi, come tante fiate fece Virgilio per accommodarsi a ciò, ch'imitaua; se (dico) uero è questo, per ogni modo poca imitatione sembra poter si ripescare nel Pastor Fido: quando tra l’altre cose espresse per imitare Mirtillo disperato; ui sono Madrigali di cotal sorte:

Cruda Amarilli, che col nome ancora D'amar, ahi lasso amaramente insegni, Amarilli del candido ligusto. Più candida, e più bella, Ma de l'aspido sordo E più sorda, e più fera, e più fugace; Poiche col dir t’offendo, I’mi morrò tacendo. Ma gridera per me le piagge, e i monti, E questa selua, à cui Si spesso il tuo bel nome Di risonare insegno, Per me piangendo i fonti. E momorando i uenti Diranno i miei lamenti, Parlerà nel mio uolte La pietate, e’l dolore: E se si a muta ogn’altra cosa, al fine Parlerà il mio morire, E ti dirà la morte il mio martire. & altroue: Ah dolente partita; Ah fin de la mia uita. Da te parto, e non moro? e pur i prouo La pena de la morte, E sento nel partire Vn vivace morire, Che da uita al dolore, Per far che moia immortalmente il core. & altroue: Vdite lagrimosi Spirti d’Auerno, udite Noua sorte di pena, e di tormento: Mirate crudo affetto In sembiante pietoso. La mia donna crudel più de l’ inferno, Perch’ una sola morte Non può far sazia la sua ingorda uoglia, E la mia uita e quasi Vna perpetua morte, Mi comanda, ch’i uiua, Perche la uita mia, Di mille morte il dì ricetto sia, & altroue: Com’affettato infermo, Che bramò lungamente Il uietato licor, se mai ui giunge Meschin beue la morte, E spegne anzi la uita, che la sete; Tal'io gran tempo infermo, E d’amorosa sete arso, e consunto. In duo bramati fonti, Che stillan ghiaccio da l'alpestre uina D'un’indurato core, Hò beuuto il ueleno, E spento il uiuer mie, Più tosto, che’l desio. & altroue: Prima, che mai cangiar uoglia, ò pensiero Cangerò uita in morte: Però, che la bellissima Amarilli Cosi, com’è crudel, com’è spietata, E sol la uita mia, Nè può già sostener corporea salma Piu d'un cor, più d’un alma. & altroue: M’è più dolce il penar per Amarilli, Che’l gioir di mill'altre: E se gioir di lei Mi uieta il mio destin, hoggi si moia Par me pure ogni gioia. Viuer io fortunato Per altra donna mai, per altro amore: Nè uolendo il potrei, Nè potendo il uorrei E s'esser può, ch'in alcun tempo mai Ciò uoglia il mio uolere, O possa il mio potere, Prego il cielo, ed amor, che tolto pria Ogni uolor, ogni poter sia.

e de gli altri ue ne sono, ma troppo saria lungo il raccorgli; e cosi ne i ragionamenti dell’altre persone introdotte nel poema in occasione poco, anzi nulla opportuna di comparire sotto la propria forma, quasi niente si sono arrossati. Nella quarta scena dicendo Titiro quanto siano gli oracoli oscuri, soggiugne questo concetto in conformatione di quanto parlaua.

le parola loro Sono come il coltel, che se tu’l prendi In quella parte, 0ue per uso humano La man s’adatta, à chi l’adopra è buono Ma chi’l prende oue fere, è spesso morte.

Sentenza in uero oltre l’essere falsa, fredda, & di niun momento, poco poi esplicante ciò di che parlaua Titiro. Inoltre hauendo Montano narrato quel suo sogno à Titiro; ei li risponde, e dice.

Son ueramente i sogni De le nostre speranze, Più che del auuenir uane sembianze, Imagini del dì guaste, e corrotte Da l’ombra della notte: Li replica Montano. Non è sempre co’ sensi L'anima addormentata Anzi tanto è piu desta, Quanto men trauiata Dalle fallaci forme Del senso, all’hor che dorme

Sembrano concetti da Filosofo Animastico, non da Pastore. Riferisce Mirtillo, che certa uergine Megarese proponendo un giuoco de i baci poco honesto; disse:

Prouiam hoggi tra noi cosi da scherzo tempo Noi le nostr’arme, come Contra gli huomini all'hor, che ne fie L’userem da douero.

Certamente sentenza molto disdiceuole in bocca d'una uergine, cui la modestia, e l honestà nel ragionare, e non toccano la lasciuia, e la petulantia, per cosi dire. Se proposto hauesse'l giuoco solamente, forse ualerebbe alquanto in iscusa il costume di quei paesi; ma l’hauer’aggiunto concetto sì poco honesto par macchiare il decoro uirginale, & non poco. Dice Mirtillo, che baciando Amarilli poco mancò non le mordesse le labbra: (ra odorata,

Ma(cosi dic'egli) mi ritenne ohime l’au Che quasi spirto d'anima diuina Risuegliò la modestia E quel furore estinse.

Io non ueggio qual cosa habbi’à fare il fiato della bocca, perch’in alcuno si risuegli la modestia; più non udij cotal proprietà del fiato. Et comunque sia; il Tasso nell'Aminta simile concetto spiegò altrimenti, e come stimo con maggior lode senza cacciarui l'aura odorata; parlaua del baciare Aminta.

Ne l’api d’alcun fiore Coglion si dolce il mel, ch’all’hora io colsi Da quelle sresche rose; Se ben gli ardenti baci, Che spingeua il desire à inhumidirsi, Raffrenò la temenza, E la uergogna, ò felli Più lenti, e meno audaci.

Nella seconda scena Dorinda chiede l'amor suo a Siluio, & esso gliele concede. Quì Siluio potea partire, & astringerla à dargli'l suo cane, atteso che la caccia l’aspettaua, & egli poco uolontieri udia le chiacchiere d’amore; tuttauia soggiugne.

Ascolta bella ninfa, te mi uai Sempre di certo Amor parlando, ch'io Non sò quel ch’e si sia, tù vuoi ch’i' t'ami, E t’amo, quanto posso, e quanto intendo, Tù dì ch’io son crudele, e non conosco Quel che sia crudeltà, ne sò che farti.

Concetto com'hò già detto, che non par conueneuole a i costumi di Siluio; nè all’occasione di quel punto; & totalmente souerchio, poiche indi nacque infruttuosa diceria, e ben lunga. Siluio riceuuto'l cane si parte nella terza scena: Dorinda lo vede, nè molto cura di seguirlo; ma stando ferma in palco prorompe in quelle voci:

E’ questo il guiderdon Siluio crudele, E’ questa la mercè, che tù mi dai Garzon ingrato? habbi Melanpo in dono, E me con lui,che tutto, Pur ch’à me torni, i’ti rimetto, e solo De tuo’ begli occhi il sol non mi si neghi Ti seguirò compagna Del tuo fido Melampo assai più fida, E quando sarai stanco, T’asciugherò la fronte E soura questo fianco, Che per te mai non posa, haur ai riposo. Porterò l’armi, porterò la preda, E se ti mancherà mai fere al bosco, Saetterai Dorinda, in questo petto L’arco tuo sempre essercitar potrai, Che sol come vorrai Il porterò tua serua, Il prouerò ua preda; E sarò del tuo stral faretra, e segno; Ma con chi parlo; Ahi lassa; Teco, che non m’ascolti, e uiate’n fuggi, Ma fuggi pur, ti seguirà Dorinda Nel crudo inferno ancor, s'alcun'inferno Più crudo hauer poss’io Della fierezza tua, del dolor mio.

Questa sentenza io stò in dubbio, che chiamar si possa quasi tutta souerchia. Perche s'egli s’era ito, a che dire ciò, che nulla più rileuaua, come di gire à caccia con esso lui; di portarli la preda, e l’arco; d’asciugarli la fronte; di douerli esser riposo, e segno per l'arco suo, & simili uaneggiamenti? Fra quali si puo ancho far memoria particolare di quello, oue dice :

in questo petto L’arco tuo sempre essercitar potrai

Perche s’ella indosso non hauesse hauuta qualche arme à colpo, come dicono, d'archibugio, in una fiata spedito si sarebbe l’essercitio dell’arco, & queste sembrano impertinentie. Amarilli nella quinta scena andando à diporto per contrada riuolto all’ombre di certe selue dice:

I già co' campi Elisi Fortunato giardin de’ semidei La vostr’ombra gentil non cangerei.

Non pare ch’Amarilli giouanetta, in cuì non si puo verisimilmente presuppore scienza di sì fatte cose; atta fosse a dire di questi campi Elisi, & che sieno fortunato giardin de semi dei: e quello che legue.

Nel fine della scena sesta. Sendo Corisca fuggita dalle mani del Satiro, egli si traueste da poeta, & Astrologo. Da poeta, quando dice.

Ecco poeti. Questo è l’oro nativo, o l’ambra pura Che paramonte voi lodate. e quel che segue Da Astrologo fauoloso, quando dice Certo. Non fù mai si famosa, nè sì chiara La chioma, ch’è la sù con tante stelle Ornamento del ciel, come se questo. Con ciò che segue.

Nel terzo atto scena prima parlando Mirtillo di se stesso già caro ad Amarilli, hor fattole odioso; dice:

Ma non son’io già quel, ch’un tempo fui Sì caro à gli occhi altrui.

Parmi di molto non comprendere il sentimento di questo concetto, perchioche non intendendo Nirtilo d’altro amore, che di quello d’Amarilli, non sò quanto à proposito di sè lo possa tirare; atteso che fauori tali hauuti da lei non hauea, che li potessero far'entrare in pensiero, che molto caro fosse stato ad Amarilli. Perche s'ei la baciò; ella non lo conobbe nè per huomo; nè per amante; ò no’l volle conoscere. Se forse non ritrasse lo sguardo in Elide sdegnosamente, come fece in Arcadia; ella stessa li risponde altroue, che quanto fece per modestia fù, e non che sì fattamente caro li fosse stato, quale pare che dipinga egli à se stesso. Nella terza scena Amarilli hauendo preso Mirtillo pensando, che si fosso Corisca, chiedendo, che la sbendasse, dice.

E fà tosto cor mio, Ch'io uò poi darti il più soaue bacio C'hauessi mai.

Et cosi medesimamente in molti altri luoghi, ch’io per hora tralascio, si fà del simile; i quai concetti a Donzella honestissima (ouero Amarilli si fosse, ò qualunque altra) non paiono affarsi; perche tiene troppo del lasciuo questa douitia de' baci. Nella stessa terza scena Mirtillo ragionando con Amarilli della grandezza dell’amor suo, dice :

In troppo picciol fascio Crudelissima Ninfa Stringer tù mi comandi Quell’immenso desio, che se con altre. Misurar si potesse, Che con pensiero humano, A pena il capiria, ciò che capire Puote in pensiero humano.

Questa sentenza par tropp’oscura, & com'un’imbroglio di metafora, e di bisticcio da non usar con sua ninfa, & in occasione, che ricercava somma chiarezza. Poco poi mostrando la necessità dell’ardor suo dice:

Mira quante uaghezze ha’l ciel sereno, Quante la terra, e tutte Raccogli in picciol giro, indi vedrai. L’al tra necessità del'ardor mio.

Tropp’oscura per difetto pare questa anchora, perche non s'applica chiaramente ad Amarilli mancando altra cosa, la quale à ciò pare che soggiugnere si douesse per far’iscorrer l'illatione, Dice Dorinda, che itasene alla caccia stette

Confusa infra la spessa turba. De'uicini pastori, Ch’eran concorsi alla famosa caccia. Questa sentenza par molto nociua, ò diciam contraria à quanto poco sotto si dice; sono le sue parole: No’l sò perche me’n uenni Per non esser veduta innanzi a tutti.

Se non uolea esser ueduta, come si cacciò ella sta la turba, e non più tosto ui stette à mirare di lontano? Nella quinta scena u'è quell’ammassamento di sentenze alterne, che par: si noioso, c'hò uedato non potersi tolerare in lettura, non che in rappresentatione: & per ciò non badando à qualch'essempio non lodeuole, che forse potrebbe addursi, questo cicale cio hebbe luogo tra le cose recise.

N. Dunque tu sol, che t’ingannasti accusa A. M’ingannai si, ma nell’inganno altrui. N. Non si fà inganno, a cui l’inganno, e caro. A. Dunque m'hai tù per impudica tanto? N. Ciò non sò dirti: a l’opra pure il chiedi. A. Spesso del cor segno fallace è l’opra. N. Pur l’opra sol, e non il cor si uede. A. Con gli occhi dela mente il cor si uede N. Ma ciechi son, se non gli scorge il senso A. Se ragion nol gouerna ingiusto è il senso. N. E ingiusta è la ragion, se dubbio è il fatto. A. Comunque sia, sò ben, che’l core ho giusto. N. E chi ti trasse altri, che tù nel’atto? A. La mia semplicitade, e'l creder troppo. N. Dunque al’amante l’honestà credesti? A. A l’amica infedel, non à l’amante. N. A qual amica? a l’amorosa uoglia? A. A la suora d’Ormin, che m’ha tradita. N. O dolce con l’amante esser tradita. A. Mirtillo entrò, che no'l sepp’io nell’antro. N. Come dunque u’entrasti? Ed a qual fine? A. Basta, che per Mirtillo io non u'entrai. N. Convinta sei, s’altra, cagion non rechi. A.Chieda sua lei del'innocenza mia, N. A lui, che fù cagion de la tua colpa? A. Ella, che me tradì fede ne faccia. N. E qual fede può far, chi non hà fede? A. Io giurerò nel nome di Diana. N. Spergiurato pur troppo hai tu con l’opre. Nicandro dice con Amarilli, che rammaricandosi, trasferia la colpa del suo fatto nel cielo. Ninfa che parli? frena, Frena la lingua da souerchio sdegn0 Trasportata là, dove Mente devuta à gran fatica sale. Non incolpar le stelle: Che noi soli a noi stessi. Fabri siam pur de le miserie nostre. Poco sotto par che dica il contrario, quando cosi pronuntia; Tutto quel, che c'incontra O di bene,ò di male

Sol di là sù deriva: e ciò che segue. Del ragionamento di Coridone altro non uò dire, perche da quel, c‘hò detto à sofficienza di lui si può far giuditio, & dubitare, che souerchio sia, & tedioso, s’altro fù mai. Lo stesso dire si può del cicalamento di Linco, Dorinda, e Siluio nell’ultima scena.

Nel quinto atto, nella prima scena di se ragionando Carino dice: Vranio mio se da quel dì, che meco Passò la musa mia d’Elide in Argo, Hauessi hauuto di cantar tant’agio Quanta cagion di lagrimar sempr’ hebbi Con sì sublime stil forse cantato Haurei del mio Signor l’arme, e gli ho nori: Che non hauria de la Meonia tromba Da invidiar Achille, e la mia patria Madre di Cigni sfortunati, andrebbe Già per me cinta del secondo alloro: Ma hoggi e fatta (o secolo inhumano) L'arte del poetar troppo infelice: Lieto nido, esca dolce, aura cortese Bramano i cigni: e non si uà in Parnase Con le cure mordaci; e chi per sempre Col suo destin garrisce, e col disagio Vien roco, e perde il canto, e la favella.

Nel qual fauellare par, che l’auttore non si ricordasse, c’hauea introdotto un pastore, e non da se stesso ragionaua. Sembra (per dirlo liberamente) scoprirsi chiaro ch’ei fosse in estasi! Nella seconda scena hauendo’l messo esposto in parte quanto era intrauenuto circa la persona d'Amarilli prorompe in certo concetto della fama dicendo.

Se tante lingue hauessi, e tante ucci Quant’ occhi'l cielo, e quante arene il mare. Perdian tutte il suono,e la famella Nel dir'à pien le uostri loddi immense. Figlia del cielo eterna. E gloriosa donna, Che l'opre de mortali al tempo inuoli, Accogli tù la bella historia, e scriui Con letre d'oro in solido diamante L’alta pietà de l’uno, e l’altro amante.

>il quale concetto pare doppiamente danneuole, & perche distorna dall'attentione, e per lo soggetto; poi ch'in bocca di uil seruo, e come una ueste di scarlatto addosso à un facchino. Nella quinta scena altercano Montano, e Carino à lungo, & si a lungo; ch’io non oso que registrar le loro dicerie: >il qual contrasto oltra misura noioso, e souerchio par riuscire, potendo si forse ancho per altra uia più credibile, e più leggiadra uenir'al fine, che si ricercaua, come far si uede in Heliodoro, dal quale per poco sembra questa inuentione tolta di peso. Carino parlando con Dameta dice.

Non ti ricordi tù, quando nel tempio De l'olimpico Gioue, hauendo quiui Da l’oracolo hauuta Già la risposta, e stando Tù per partire: i mi il feci incontro Chiedendoti di quello Che ricercaui i segni, e tu li desti. Con quel che segue. Non mi souuiene hauer letto, che

Gioue hauesse oracalo nel tempio di cui qui si ragiona; e però se quanto dice Carino in dubbio non reuoco, mi sarà almeno gratissima l’auttorità di quarto egli afferma. Nella scena ottaua Ergasto descruie un bacio dato da Mirtillo ad Amarilli dicendo.

E per segno d’amor Mirtillo à lei . Vn dolce sì ma non inteso bacio, Non sò se dir mi debba, o diede, o tolse: Saresti certo di dolcezza morta. Che purpurai che rose? Ogni colore, o di natura, o d'arte Vincean le belle guancie: Che uergogna copriua Con vago soulo di beltà sanguigna: Che forza di ferite Al feritor giongeva: Ed ella in atto ritrosetta, e schiua Mostrava di fuggire Per incontrar più dolcemente il colpo; E lasciò in dubbio, se quel bacio fosse O’rapito, ò donato. Con sì mirabil arte Fù concedeto, e tolto, e quel soaue Mostrarsene ritrosa Era un nò che ueleua; un’atto mista Di rapina e d’acquisto , Vn negar si cortese, che bramaua Quel, che negando daua, Un vietar, ch'era inuito Si dolce ad assalire, Ch’à rapir, chi rapina, era rapite. Vn restar, e fuggire, Ch’affrettaua il rapire: O dolcissimo bacio.

>il quale racconto come pare oltre ogni misura drammatica lungo, & assai freddo anchora; cosi giudiciosamente fù compreso anch’esso nella circoncisione. Oltre lequali cose v’è quel detto di Ergasto quando soggiunse.

Non posso più Corisca Vò dritte dritto A trouarmi uno sposa. Che se si trattasse tra gazettanti parrebbe sommamente à proposito per Butattino.

SEgue la Locutione; intorno alla quale io non proporrò molti dubbi, per due ragioni: L'una, perche sò questa esser l'ultima parte considerabile nel poeta; & per cio posta ancho da Aristotele per infima in ordine trà queste di cui parliamo. L'altra, perche à ritrovar se la locutione del Pastor Fido meriti lode, bisognerebbe prima costituire qual locutione se li coeuenga: Et ciò par non solo malageuole, ma impossibile; conciosia cosa, che mentre si vuole hauer fatta mescolanza dell'attione tragica, & della comica, saria mestieri hauer’ancho mescolate lo loro idee: ma all’una pertiene, com’ognun sà, quella del magnifico; & all'altra; come ci dinota Oratio, & li più famosi spositori d’Aristotele, anzi egli stesso; pertiene quella del tenue; & queste due, secondo la ragione, & secondo Demetrio, mescolar non si puono; però io non vedo come poter dirittamente procedere in questa consideratione. Nè qui mi si ricordi il presupposto che si fà nel Verrato d’intorno alla mescolanza del magnifico & del polito; percioche stando questo c’habbiamo detto, non pare che tal sua imaginatione porti seco nè ualido fundamento nè auttorità conueneuole. Meno mi si dica essere dalle genti cotal locutione stimata bella; perche prima al uolgo io non parlo, ma à gl’intendenti: Poscia soggiungo tale beltà potersi considerare con doppio modo; l’uno è riguardando i concetti, & periodi in se stessi separatamente, & quasi à dir'in astratto: l’altro riguardandogli come post’in poema drammatico; & tali che debbano affarsi allo stato, all’età, a i costumi, & ad ogn’altra simil parte delle persone introdotte. Nel primo modo vi può hauer delle cose fornite di uaghezza, come per essempio la spiegatura de i madrigali di Mirtillo mezo disperato; & cosi di Dorinda ferita; la descrittione della rosa, & dell’altre anchora. Ma chi le considera come dette, & ornate da coloro; & in quei tempi; & in quei propositi; non può lodarle; perche in tal modo fredde, & indecenti riescono. Dice Titiro non douersi tener le donzelle lungamente senza marito, sendo simiglianti alle rose? & con tal pretesto fà vna descrittione sì lunga della, natura della rosa, che rende gran satietà. Carino cercando di Mirtillo; & la cagione palesando dell'esser venuto in Arcadia; vi trappone un lamento de i disaggi de i poeti sfortunati, ch’è importuno e vanissimo. Ergasto volendo dir ch’Amarilli fù da Mirtillo baciata, entra in una girandola di parole descriuenti quel bacio, che da molti leggendola vien’abborrita. Et di simili n'hà moltissime, le qual’io uolontieri tralascio, come parimente il considerar'il babbo, & mamma; il gnaffe; gli habituri; il teste; & qualch'altra uoce di questa fatta, per non esser più lungo, nè aggiugner dispute. Ma non tacerò già un dubbio tale, che comunque si sciolga, a mio credere non può non recar profitto: Li Signori Academici della Crusca, censurando il maggior poema di Torquato Tasso, notarono fra l'altre cose, alcune cacofonie, ò male sonorità di uoci congiuate, al numero di uenti,

ò là intorno; se ben mi ricorda; com è dire al fide al fier che canuto man tremante risolti a ignoca bunbano barono Vibr’e il & simile

Hora io vò tra me argomentando in questo maniera. O' tal’ oppositione è valida; ò nò. Se dirianio che no, par seguire che s’imputino suoi Signori ò di poco intendenti, ò ci cauillosi. Se diciamo che sì; io dubito che nel medesimo caso sia il Pastor Fido; anzi che tanto più sia efficace l’oppositione contra di lui; quanto il poema del Tasso è lungo, & obligato alle rime; & questo in sua comparatione è breue, & per lo più libero. Aggiungasi, che solamente scorrendolo partiti potersone trouar molto maggior numero; come ciasconno da se stesso potrà osseruare, bastando a me di far qui memoria di venti, ò trenta, affinche dien’occasione d’auuertir l’altre.

narr’e ride. leggiti m’amor bellism’Amarilli amorissim’Amarilli doleissim’Amarilli crudelissim’Amarilli anim’ amorosa pietosissim’amante giunge gli homeri amant’al tempio pomp’al piano miseria’ humano Ecco ch’Arcadia, che con la culla. Lagrim’amare quint’intendo. gloria arride. sentimento intorno anim’immonda. uero Vranio discopert'il tutto. tutt'i tuo tutto te’l dono. d'imic’e cara. d'ind’odorata. sordida Dea. canut’etate. Et ciò basti per la Locutione.

ULtimi furo tra le parti della Qualità l’apparato, & la Melopeia, de i quali poco habbiamo che dire, ò dubitare, poiche nè molto anchora al poeta appartengono; pure quanto all'apparato, primieramente pare disdire, che si conduca la cieca in palco bendata, e non si faccia piu tosto bendare in iscena; oltre che’l giuoco poco felicemente si conduce à fine non restando mai presa ninfa uerana, fuor che certo tronco. Cosi non saprei come preparare li potesse quel capo da Corisca con chioma sì fattamente, che per qualche poco resistesse à uiolenza fattali nel tirare, & cagionasse leggiadro effetto in palco. Ne minor dubbio porta quel far cader di quella ruppe acconciamente, & in guisa, che non appaia tela distessa sopra quattro pezzi di legno, com’un balcone, turar quel foro. Cosi quell’impaccio dell’Echo porta simil dubbio, poiche queste ripercosse di uoce in iscena ogni uolta riescono assai magra, e freddamente; e paiono non ripercosse di uoci imitanti l'Echo naturale, ma pure risposte di persona, che sia dietro la cortina; & quì di ciò tanto più potrei ragionarne, quanto che l’inuendono di quest'Echo e fuori dell'ordinario, & assai strana contenendosi la risposta nella fine del uerso misurata con detto uerfo. Ma lascio di dirne più oltre, perche altri hà notata simile inuentione à bastanza. Cosi nel ferire Dorinda bisogna douendosi effettuarlo, chi non vuole cagionare danno, ò disordine, trouar peritissimo arciero, se si pretende però d'ingannare lo spettatore. E tanto sia intorno le parti del la Qualità. Passiamo à quelle della Quantità,

POi c’habbiamo trattato le parti della Qualità è douere, che passiamo, & in poche parole, conforme alla materia, ci spediamo di quelle della Quantità. Di quattro parti, che riposo Aristotele nella Quantità, una solamente ne proporrò, ch'à dubitate mi muoue; & questa s’è il choro nella consideratione del quale tanto piu sarò breue, quanto l’inuentione sua nel Pastor Fido non è molto conforme à quella de gli antichi; anzi più tosto egli à fantasia dell’auttore sembra introdotto. Dico dunque di detto choro (e parlo di quello, ch'e in fine de gli atti) di non saper molto intendere se stia nella scena à tutta la rappresentatione; ouero partendosi uenga appunto fra un'atto, e l’altro à cantare quella sua canzona: E sia si di questi due qual si uoglia ogn’uno dà cagione di dubitare di poca uerisimilitudine, e conueneuolezza. Percioche se’l choro si ritruoua presente à tutta la fauola, non può parere se non molto strano, che s’ordiscano tanti trattamenti, & cosi trauagliosi, sino di morte, sopra persone notissime, & costoro stiano presenti al tutto, & uenendo l’occasione di palesare qualche cosa, o d'intromettersi nell’attione, come già nell'antiche s’è fatto si tacciano; o lascino succedere ogni rio, & atroce disordine.

Ma se’l choro uiene à cantare ogn'hora, che s’è finito l’atto; questo anchora con poco ò nullo uerisimile pare farsi: poiche non è credibile che i medesimi cosi di mente, & in ispirito appunto in quel tempo, che fornisce l’atto ueugano, e sappiano fauellare à proposito di quanto senz’esserui essi, eta occorso. E però molta difficoltà sembra che ui sia; conceduti anchora al Pastor Fido opra pastorale tai chori. Dico concedutigli; perche ci hà molti, l’oppenione de i quali tengo per molto probabile, ch’à niun partito nelle pastorali ammettono chori, stimando che siano fuori di quei verisimile, col quale pur entrano nelle Tragedie: Perche sendo i pastori, e le genti rusticane persone, che tengono più del soletario ch’altro, e per gli loro essercitij l’uno, dall’altro s'allontanano non pare in pastorali cotai chori leggitimamente habbian luogo, si come nelle Tragedie l’uso hà portato, che strano bene per la frequenza delle Città, e delle piazze. Et per discendere un po più à particolar dubbio nei, chori del Pastor Fido; dirò del primo; che molto non intendo quanto s'accomodi alla fauola, poiche si parla del la prouidenza, e si diriccia il ragionamento à Dio. Pare che sendo la fauola etnica si douesse dricciare à Gioue,

& non al nostro uero, & onnipotente Dio. Nè si può dire, che di Gioue finto Dio de i gentili gentili intenda, perch’egli non era sourà’l fato, come si dicea dal Choro; anzi pur’esso come gli altri falsi Iddij nel fato secondo l’antiche fauole inuolto, come talhora si può legger nei poeti, e massime tra Greci in Homero. Contiene il secondo choro tre sorti di concetti, ch’io non sò qual catena gli portrebbe stringere insieme; perche il concetto del romper fede, quello dell'amore all'oro, e la lunga descrittione de i baci sembrano cose oltre modo uarie, e di uerse & tali, ch’io udì dir una fiata, che sarebbono attissime per lo giuoco de gli spropositi; com’ancho dopo tutte queste non ui discerno conchiusio ne ò connessione d’alcunmomente. Finalmente il quarto (che gli altri due tralascio) pare introdotto per puro garreggiamento coll'Aminta, com’etiandio altri luoghi, ch'io tacerò, perch’ogn’intendente da sè può offenuarli; ne i quali tutti io dubito affai, ch’il Pastor Fido rimanga à dietro. E quando egli sia cosi saria perauuentura stato il migliore non entrar in cotal zimbello.

E Tanti sono i miel principali dubbi intorno à questo poema; senza

qualch’altro che forse potrebbe aggiugnersi. Li quali; ò Signori; io in compiacimento uostro, & non senz'hauerne hauuto quì in Padoua honorato consiglio; mi risoluo di publicare: sperando, com'à principio l'amico nostro ci disse, che possano riuscire non ingrati à gli studiosi: Et hora maggiormente, che si uedono a gara gli huomini comporre ò appastricciar pastorali; chi mescolandoui due, ò tre compiute attioni; chi riempiendole d'alti; & filosofici concetti; chi appicandoui qualche giunta; & chi, per fornirla, recandosi à gloria in questi, & simili particolari di parer simia del Pastor Fido. Là onde sia utilissimo l'andar et essaminando se buoni, o rei sieno sì fatti pensieri. Al qual’essame hauerò almeno suegliate VV. SS. se alla promessa del rispondermi non uorranno mancare. Il che però da persone tanto erudite, & due delle quali sono nel l’Illustrissima, & uertuosissima Academia Cornara, ò de'Ricourati, non dee temersi. Nondimeno comunque segua; di due cose le prego: l’una, che uogliano confermare prontamente, (occorrendo) la verità del fatto da me narrato nell’introdottione; il qual’alcuno potrebbe perauuentura tener per finto; benche uerissimo sia; & oltre VV.SS. a molt’altri in Padoua noto.

L’altra, che se nel filo del ragionamento io fossi scorso in qualcosa, che troppo paresse tener del uiuace; sappiano, & cosi sappia ogn'uno, ciò non esser auuenuto per animosità, ò altro simil affetto; ma sì per l’età mia giouenile; come per quel calore, che parlando, e scriuendo suol’ordinariamente accender'i disputanti se ben'amicissimi, quali noi. E tutto ciò, che potesse dar’occasione di sospettar’il contrario, desidero, che s'habbia per non detto, & per non iscritto.

IL FINE INDICE DE’ capi principali. Introdottione ent. 5 Contesi del Nores, & del Guiarini, & loro considerationi. 6 Intentione dell’auttore in questo discorso 10 Ordine, & metodo, co i quali egli procede 12 Stendimento historico del Pastor Fido, & della sua legge. 12 Titolo di quel poema, & suoi dubbi 25 Consideratione delle persone veramente pastorali, & di quelle del Pastor Fido; & loro attioni, costumi, e concetti. 25 Consideratione del luogo dell’Arcadia secondo altri, & secondo il Pastor Fido. 30 Ciò ch’importi ne i poemi il finger di nuovo, & il tramutar le già finte cose 34-52 Prologo del Pastor Fido, & sue essame. car. 34 Luogo di Polibio dichiarante la vera conditione del gli Arcadi. 38 Essame delle cose succeduto innanzi la fauola rappresentata nel Pastor Fido. 42 Dubbi in particolare sopra la legge del Pastor Fido, & sue appendici. 49 Consideratione della fauola drammatica secondo Aristotele. 54 Dubbi sopra quella del Pastor Fido. 55 Sopra la conditione, che sia Tutta. 55 Sopra la conditione, che sia Grande. 55 Versi leuati dal Pastor Fido in Mantoua. 67 Sopra la conditione, che sia Una. I Sopra la conditione che sia Versimile. car. 62 Qual’è il Verisimile poetico in Aristotele. 62 Sopra la conditione pertienente al nesso de li Episodi. 71 Sopra la conditione Terribil’, e Miserabile. 72 Sopra la condition della Passione. 73 De i costumi, & loro conditioni, & essame. 73 Della Sentenza. 78 Della Locutione. 87 Dell’Apparato. 59 De i Chori. 90 Conchiusione dell’opra. 91 IL FINE Il Registro A B C D E F G H. Tutti sono fogli. Errori occorsi nello Stampare. a car. 5. di distruggitori leggi distrugitoridi 6. che più le prime che che più sommasse le prime 8. guidici giudicij 11 dubitando Vagliamo dubitato Vagliami 12 par di Qualità parti di qualità 16 inondo ent ò ne hebbe inondò .Entrò n’hebbe 16.18. disauentura disauuentura 18. Titirro Titiro 19. tiro tirò 21. incanta lè cerra incanta li certa 22. udir ridir 26. Parlando dell’ parlando del’ 28. dell’ d’ 31. potremo parre potremmo parte 33. n con ne con 35 souenuta souuenuta 36 popolli popoli 38. Proua dooea profunde Proua douea profonde 39. , neq; . Neq; 40. mo mò 41. Commmunemente communemente 42. finge finge 44. filio Caliroe quondo figlio Calliroe quando 45. ineuitibili inevitabili 46 uè d’bistoria u’è d’historia 52. sampre sempre 53. uno nna douee succedcre un una douea mallamente succedere malamente 54. semprc sempre 58. de trastulo ed trastullo 61. corisca Corisca 63. uerunna ueruna 67. strattagema stratagema 69. infotmarsi informarsi 70. sacrifirio sacrificio 73. Costumi; I costumi; 76. con tanta cotanta 82. Oom’ Com’ 84. ua riuolto tua riuolta Oltre a questi ue ne sono alcuni altri nelle postille, quali si rimenttono a giuditiosi lettori.

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Giovanni Pietro Malacreta's Considerationi (1600): A Basic TEI Edition Galileo’s Library Digitization Project Galileo’s Library Digitization Project Ingrid Horton OCR cleaning Crystal Hall XML creation the TEI Archiving, Publishing, and Access Service (TAPAS)
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Based on the copy digitized by Google Books in partnership with the Biblioteca Nazionale Centrale di Roma. Considerationi di Gio. Pietro Malacreta, dot. Vicentino, detto nell'Accademia degli Orditi di Padova l'Innaspato, sopra il Pastor fido, tragicomedia pastorale del molto illustre Sig. Cavalier Battista Guarini. Seconda editione. Con Licenza de' Superiori. In Venetia, MDC. Ad Instantia de gli Vniti di Padoua. Per Marc' Antonio Zaltieri. Malacreta, Giovanni Pietro Venice Zaltieri, Marc' Antonio 1600.

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This work was chosen to maintain a balance in the corpus of works by Galileo, his opponents, and authors not usually studied in the history of science.

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Considerationi Di GIO. PIETRO MALACRETA DOT. VICENTINO; detto nell’Academia de gli ORDITI di Padoua L’INNASPATO; Sopra il PASTOR FIDO tragicomedia pastorale del molto Illustre Sig. Cavalier Battista Guarini: SECONDA EDITIONE. Con Licenza de’ Superiori IN VENETIA, MDC. Ad Instantia de gli Vniti di Padoua Per Marc’Antonio Zaltieri. ALL'ECC. MO SIG. IL SIGNOR DON FERRANDO GONZAGA Signor di Guastalla; Prencipe di Molfetta ; &c.

TRA le somme lodi, onde la nobilissima Città di PADOVA merita per molti capi d’esser’ ornata; questa, Eccellentissimo Signore; al parer mio non è la minore, che quiui non solo sieno tante publiche, & famose scuole, quant'ognun sà; ma v’habbia anchora non poche priuate academie, & ridotti, oue chiunque si sia dopò gli suoi studi più graui può ageuolmente auanzarsi nelle lettere più gentili. Cotal dolcissima ricreatione hò prouato io in me stesso, mentre vi son dimorato per qualche tempo: nel quale essendomi occorso di trattar’, & scriuer’ alcune cose pertinenti alla Poesia; & douendo hora per degni rispetti far le palesi; penso, & ardisco di sacrarle à V. Eccell. per molte cause: Primieramente, perch’essendo la Tragicomedia pastorale intitolata il Pastor Fido; ch’è il soggetto, d’intorno alquale s’aggirano; dedicata all'vno de i principali, & piu risplendenti lumi dell'Italia; è ragione, che quest’etiandio escano sotto i felicissimi auspicij d’un’altro. Poscia, perche se dell'opre si dee far dono à chi sia atto à darne dirittamente giudicio; non è chi contenda, nè ponga in dubbio, ch’ella in questo particolare anchora à guisa del sol frà le stelle non sia tra quanti Prencipi hoggidì viuono eminentissima. Appresso, perche per l'infinita sua cortesia potrebbe auuenirmi, che talhora V.Eccell. non isdegnasse di farlesi legger’almeno in parte; ilche quando succedesse, qual maggior fauore, qual maggior’auuentura potrei bramare? Finalmente, perch’ammirando io le rare, & eccellenti sue doti; delle quali in ogni luogo, ma forse sour’ogn’altro in detta Illustrissima Città ne viue incredibil fama; & essendo perciò (benche forastiero) desiderosissimo di esser’accolto se non nella sua gratia, almen nella sua memoria; non deggio lasciar di farmici strada con questo per se picciolo; ma se si riguarda la vera, & virtuosa diuotione mia, affettuosissimo dono. Aggiungasi, che peruenendo elle à V. Ecc. per mezo dell’Illustrissimo & cortesissimo Signor Conte Mattia di Gazoldo tanto à me padrone, & à lei servitor’, & affettionato, non doueranno almeno per questo non l'esser care. Ma comunque sia, à me basta, ch’ella non isdegni almeno, ch’io l'habbia osate arricchir del glorioso suo nome: del che viuamente supplicandola, con ogn’humiltà le baccio la mano.

Di Vicenza il giorno xij. di Giugno M D C. Di V.Eccei. Diuotiss.Seru. Gio.Pietro Malacreta,

Noi F. Ieronimo Capagnano dell’Ordine de’Predicatori. Maestro in Teologia, & Inquisitore di Vicenza, habbiamo lette, & approvate perche si possaao stampare le Considerationi del Signor Malacreta sopra il Pastor Fido. In fede di che & c.

Dat.in Vicenza a 10. di Giugno l6oo. Cosi è F. Ieronimo Capugnano Inquisitore. CONDIDERATIONI INTORNO AL PASTRO FIDO.

LO scriuere; se dar vogliamo credenza à quanto dissero Platone, & Galeno; effetto non fù tra gli huomini di semplice cagione: sendo ch’à questo fare sospinti furono i letterati non solo da’ cenni de’ Prencipi naturali, ò stranieri; ò dall'ansietà della gloria appo’l mondo; ma etiandio dal desiderio, che c'infiamma talhora à compiacere à gli amici. Aggiungasi di parere de gli predetti; ch’altri s'auia dietro à si fatto pensiero da uoglia d'essercitato l’ingegno; & quel talento, che sortì dalle fascie: & altri in tal'acqua s’imbarca preparando ostacolo al Tempo, e riparo all’Obliuione di distruggitori quanto priuilegiata esser deurebbe la nostra misera (benche per altro riguardeuole) vecchiezza. Io veramente posso, anzi debbo affermare, c’havendo posto mano alla penna per iscriuere, intorno al Pastor Fido; à ciò fare mosso mi sia, & per l'essortationi, & per gl'inuiti, & per le preghiere anchora de gli amici. Conciosia che ne i mesi passati; e in quegli appunto, i quali meno di clemenza sogliono hauere all'humane complessioni; ritrouandomi vn giorno qui in Padoua con alcuni amici miei singolarissimi (ch'era nostro costume lo star'alle volte insieme) facemmo disegno di schermirci à nostro potere dal caldo. E parendone ben fatto lo starcene ritirati: massimamente in quell'hora, ch'egli con uiolenza la sua importunità sfogaua; per trappassare quell'otio secondo il gusto di tutti, andammo à visitare, vn'altro nostro commune amico; alquale, bench'ei fosse conualescente, nè lunga dimora con essolui, nè ragionamento prolisso interdetto veniua. Hora quiui condotti, & in camera entrati, lo salutammo; & intorno ad vn tauolino, che vi si ritrouaua, fummo fatti sedere. Et come che sopra quello (e forse à caso) fosse una mano di libricciuoli: perch’à diuisata materia si credettero appartenenti, stese ciascuno di noi la mano, accappandone, quale più in grado li venne. Ma tanto fù dissomigliante l’effetto dal creder nostro, che quei libri ogn'altra cosa contennero, che varietà, ò differenza; percioche all'aprirsi di quelli ci auedemmo ad

vno esser tocco il Pastor Fido & ad vn'altro la Poetica del Sig. Giasone: Cosi medesimamente à chi esser peruenuto il Verrato; à chi la risposta, & Apologia, & a chi'l risentimento dell'Attizzato. Era tutto in somma cosa spettante al Pastor Fido, & alle contese che s’hebbero non molt'anni fa sopra quello. Quindi nacque vario ragionamento; perch'altri s'atteneua alla bellezza sua, & commendaualo di gran leggiadria; altri ragionaua dell’oppositioni fatteli dal Signor Giasone, come per molto sode, e fundate l'hauesse: & altri delle risposte, che per contrario sofficienti stimaua. Ma non facendo capo il nostro discorfo; anzi dicendo sparsamente ciascuno che piú gli aggradiua; sembrauamo legno, che per lo mare si mouesse à più venti. Là onde acciò maggior diletto, e gusto s’hauesse; quegli; che fra noi, e per età, e per altri degni rispetti era di maggior auttorità, cercò, recidendo ogn’altro capo, di fare che s’attenesse il discorso nostro dietro à vn sol filo. Et perche da se parea lo più del ragionamento versare all’hora circa'l numero del l'oppositioni, & delle contese; dicendosi, che molte erano le proposte, e per poco non ordinate; infinite le risposte; & che somma difficoltà si durerebbe in distinguerle; quegli ch'io dissi maggior tra gli altri cosi prese à dire: Signori se i vostri ragionamenti non rimettete nella buona strada, di scorrendo di coteste cose con qualche metodo, non veggio che siate per riuscire à fine, che buono sia; io per: me ne stimo impossibile, nè perauuentura difficile molto il farlo, com’à voi pare; posciache s'alcuno sbandito l'interesse delle maledicenze, delle quali pur troppo raccorre se ne potrebbe, le prime ragioni della lite, assai piana à gusto mio renderebbe la causa: e cosi poi chi che sia, ciò sentendo non molto baderebbe à vederne il vero. Io per me se conceduto mi fosse (di che tutti all'hora assai io pregarono) à certi capi breui procurerei di ridurre tutto ciò ch'è sì lungamente trattato, & essaminato; & credo anchora, ch’attesi con diligenza n'hauremmo chiaro il torto, & la ragione di tante carte. Ma innanzi ch’à questo si procedesse, parrebbe forse degno di consideratione, quali fossero i ueri auttori del Verrato, & dell'Attizzato; conciosia che da vna parte sembra, che dal mondo si sia riceuuto per palese, che dal Signor Guarini non meno nascano quei discorsi, che’l Pastor Fido; sì per altre ragioni, come in particolare per essersi conosciuto da molti il Verrato non sofficiente, come diconò, à comporre quel discorso; >il quale troppo piú tiene in molte parti dell'erudito, ò vogliam dire dell’acuto, che non pare, che conuenisse ad vn’huomo tale. Et appresso per non esserci notitia veruna del personaggio, che, si mentoua l'Attizzato. Ma dall'altra parte, prima ei si legge assai souente in quei libri.

Parlate meco M. Giasone; perche l'auttor del Pastor Fido, non uuol briga con esso uoi, non parla, non si muoue; soffre: & simili cose. Poscia non si fa credibile c'huomo sì nobil', e costumato, qual'è il Signor Cavaliere; dopo l’hauer detto d'essere stato contra il suo genio strascinato in cotal zimbello, & di voler'ispedirsene in pochissime parole si fosse condotto a frapporre alcune sue non lunghe ragioni entro ad vn fascio di tediosissime ingiurie, & massimamente publicate mesi, & anni dopo la morte dell'auuer sario; & con tutto ciò l'hauesse ripiene di ridicole interrogationi contra di lui, com'à dire. Venite quà M. Giasone. Respondete à questa M. Giasone. Voi siete muto M. Giasone? & simili: che par'appunto il rappellare a tenzone vn morto. Et come che venga detto dall'Attizzato medesimo, ch'egli hauea scritto in viue di lui, ma per giuste cagioni, s'era trattenuto a publicar quei suoi scritti; non reca però altro ch'il detto suo, & egli medesimo, che se lo dice, protesta altro ue in molti luoghi a suo prò, contra M. Giasone, che non si dee per modo veruno credere a chi non pruoua; non altra maggior gratia chiede a i lettori, fuor che non credano senza pruoue. Oltre che sarebbe forse da vedere, se posto che il fatto stesse cosi; successa poi la morte dell’auuersario, si fosse tuttauia deuuto publicar il libro non mai, mentre visse, peruenuro a notitia sua, nesso stesso modo perappunto, che fu già scritto. Ma per me sconsiglierei dall’entrar in tal sottigliezze, ch’appartengono anzi alla creanza, che alla dottrina: Effortando però voi Signori, che se giamai per sinistra fortuna accappaste in cotal'in contri; debbiate quanto più modesta, & breuemente si può, discorrere, ò disputare; guardandoui dalle lunghe, e noiose inuettitfe: perche i virtuosi huomini stimandole proceder da animi souerchio turbati, nè le sentono volentieri; nè badano molte fiate allo scegliere quelli argomenti, & quelle ragioni, che ui sono sparse per entro. Voi dunque cotal consideratione, ò congiettura, lasciando , & appropinquandoui più allo stretto delle contese; haureste forse primieramente a vedere come si stia la ragione della querela, che nel Verrato, e nell’Attizzato è in tanti luoghi commemorata, & in tante maniere esposta; dell’intentione dico del Signor Giasone intorno al suo riprendere le Tragicomedie, & le Pastorali. Ma ciò parimente né molto importa al profitto, che voi trar vorreste d'intorno all'arte del poetare; nè par’ à me difficile da risoluersi vdendo il fatto. De'principi di tal'arte in vniuersale scrisse il Signor Giasone secondo l’oppenion sua: & con tal'occasione lasciossi intendere di cio, che sentiua in particolare contra i poemi soddettti, e fello a tempo che il Pastor Fido non era peruenuto alle stampe. Se ne dolse il Signor Caualiere; ò diciamo il Verrato; affermando, ch’egli hauesse cosi scritto principalmente per lo Pastor Fido: & à prouarlo produsse alcune congetture, c’hauesse pur potuto hauerne sentore. Negò il Signor Giasone; & oltre la negatiua, apportò ancho le risolutioni, che li paruero à dette congetture. Notificò inoltre da qual'altra cagione s’era mosso à discorrerne. E non contento di ciò il buon vecchio; che fu pur Christiano, gentilhuomno, e di molto grido; aggiunse in sua giustificatione efficacissimi giuramenti; & sendo all’hora in grauissima età, morì poco poi. Nel quale particolare, io vi replico, che tanto meno io sento, che ci habbiate à logorar tempo, quanto essendoci alcun di uoi, che delle leggi anchora hà notitia, può ageuolmente comprendere ciò, ch'etiandio ne’rigorosi giudici post’in campo dallo stesso Attizzato deciderebbe si sopra tal contesa. Intorno ciò dunque più in considerare non seguitando; succederebbe altro capo di molto maggiore importanza: Poiche mentre le Tragicomedio Pastorali hanno questo doppio titolo, quinci nasce doppia occasione di discorrere: l’una è circa le Pastorali, l'altra circa le Tragicomedie. Et disputando il Sig. Giasone cotal genere Pastorale esser al tutto dannabile, conciosia che regolarsi, ò riceuer costumi non possa dal Politico; parrebbe da vedere, se'l Poeta; ò le compositioni sue di necessità vengano regolate de Politico; e se da lui de’costumi, de'quali ammanta le sue fauole, si fornisca. Et per lo vero se le poesie, e sopra tutte la drammatica vuole cittadinanza, e di quella potersi ancho valere, si fà assai probabile che le convenga conformare i costumi suoi colle Città, che d'habitare si elesse. Verserebbe l'altra difficoltà d’intorno alle Tragicomedie, particella anch’essa principalissima di quello onde presero argomento di controuersia gli auttori di questi libri. Formalmente il problema starebbe; se secondo le regole del verisimile, e dell'arte in universale far misto, ò composto di Tragedia, e Comedia lecito sia. Hora dovendosi ridurre un tal misto, ò conponimento à propria, e legitima consistenza, è chiaro, che fà di mestieri mescolare insieme, ò comporre l’essenza (per cosi dire) sì della Tragedia,

come della Comedia. Dunque saria da vedere, se le qualità serie, graui, importanti, & atroci della Tragedia vnir si pungo, ò comporre colle ridicolose, e leggieri della Comedia, e colle fritte, & piaceuolezze di quella. Ma intorno à queste cose altri, come sappiamo, hà di già lungamente discorso; voi per mio consiglio lasciatene lor la cura. Tanti à me sono sempre paruti i capi da dicidersi, ò ricidersi, che vogliam dire. E se frà sì lunghe scritte sembrano inuolti, nè cosi ageuolmente disposti: ciò auuiene mercè del uario interesse de gli scrittori ; l>i quali il più delle volte si compiacciono in simili occorrenze di disputare con l’ordine, che loro torna bene; & implicare fra le dispute de gi'interpellamenti souerchi. Et s’altri mi dicesse ritrouarsene di molte delle questioni, ch'ad essi capi non si riducono: risponderei, ò quelle venir in conseguenza loro; ouero al tutto esser fuori del proposito principale; ò pure tali non essere, che quì numero per hora deggiamo farne. Ma, Signori, tuttoche di tanta importanza state siano le dette controuersie, ch'in esse, e per esse al mondo sono riuscite cotante carte; quasi ci si uenisse à significare, ch'intorno al Pastor Fido più che dire non rimanesse; non pertanto io, che più volte hò letto, e riletto quel poema, persuadere non mi son potuto giamai, che il fatto si stia cosi: anzi se deggio confessar'il vero parmi d'hauerui scorti per entro molti dubbi degnissimi per illustrar la facoltà di cui ragioniamo, d'esser considerati, & effeminati. Et questo è quello, che veggendo poco fà di uoi Signori affaticarsi le lingue circa materie già prolissamente discorse, mossemi al fauellare, & al ricordarui cofa, che pensai da stimarsi per hora più che le prime: sì per altro, come per la novità, che da se stessa diletto arreca, il quale à nome di tutti, & per tutti qui veggio, ch’è procacciato. Et di vero da che siamo condotti à discorrer del Pastor Fido; che ci rileua in gratia il rinouellar lo querele antiche; se di nuouo ci resta altro di gioueuole che vedere, e che dire? Già di quelle si disputò: hora che l'occasione ci si para innanzi, facciansi parole sopra le parti dell'opra stessa del Pastor Fido: & frà di uoi (ch'io detto hò assai) vno s’elegga, per fuggire il disordine, cui tocchi fare la detta consideratione: Sò ben’io, che ce n’hà molti fra voi, che saranno più che atti à ciò fare con diligenza, & con utile, ancho alla sproueduta. Queste parole furono da ogn’uno con non poco piacere ascoltate, onde cominiciammo a pregarlo (ch’ei di già taceua) riprender uolesse il ragionamento, & come quegli, ch'aprendoci tale strada douea ottimamente saperla, seguisse discorrendo intorno a’particolari del Pastor Fido. Ma per lunga istanza, che ne facessimo, ciò non potemmo ottenere, perch’egli ricusando gentilmente più volte questa carica, tornò a dire, che ciascuno di noi à ciò basterebbe, ogn’hor che volesse con ingenuità d'animo lasciarsi intendere; & di come, & di quanto glie ne paresse: il che vedendo; per non essere seco insolenti, risoluti ad ogni modo di compiacerlo ci demmo allo scegliere, chi douesse rimetter si in vecchia: Et hor l'uno, hor l'altro a gara fra di noi eleggendoci, che questi sendo eletto proponea quello, & quegli ricusando il peso, ad vn'altro lo rimettea: alla perfine parue al più di loro di uoler, ch'io entrassi in tale ragionamento. E quantunque facessi ogni mio potere per ischifarlo, dicendo, che à me, che di molto minor auedimento de gli altri era nelle cose di poesia, ciò imporre non si douea: tanto però di ualore non hebbe l’iscusa mia, che non mi fosse chiuso ogni calle per isbrigarmi. Cosi dovendo per ogni modo vbbidire, trà me stesso mi confortai; sperando (auuegna che fossi colto alla sproueduta) non douer del tutto mutolo rimanere; perche pur qualche poco di riflesso di già in leggendo quell’opera fatto hauea. Et prima, ch'altro dicessi, mi dichiarai, di piu non voler fare, che proporre alcuni miei dubbi intorno all’arte del Pastor Fido, l>i quali ò fosse la debolezza dell’ingegno mio, ò la difficoltà loro, io non sapea sciogliere: Et soggiunsi, che detti gli haurei, se pattouita mi veniua la risposta, e la risolutione loro, & non altrimenti. Di che ogn’uno molte promesse facendomi à dire cominciai: e con non poca attentione di tutta la brigata, à quanto m’auidi, quelle nel miglior modo, ch’io seppi, esposi. Compiuta la proposta, pregando io con istanza grandissima, che nel vegnente giorno buon’ordine per la risposta si desse; parue à ciascuno, che detto hauessi forse più di quello, ch'una tirata di memoria, cosi minutamente ritenere potesse: onde s'auifaro molto buono douer'essere, se postigli in carta glie l'hauessi lasciati agiatamente vedere: Quindi presi occasione di douerli rassettare. Ma fatto, ch’io l'hebbi non istette dentro à cotali termini la loro richiesta; perche con gagliarde essortationi cercarono'ancho di persuadermi, ch’io gli stampassi; con dirmi ch’era ciò via, se dubitando hauessi di loro, d’astringergli alla risposta: Anzi che se fosse auuenuto che per sinistro alcuno si fossero essi rimasti dall’attendere alla promessa; almeno senza risposta, non sarebbe stato al sicuro il discorso mio, perch'altri di leggieri harebbe sodisfatto à me, e supplito à quanto per loro mancato si fosse; & cosi de' miei dubbi si sarebbe veduto lo scioglimento. Vagliamo la verità, à me non ispiacque il loro pensiero; per tener io gran voglia di esserne certo. Anzi dopo l'hauere queste mie considerationi insieme ridotte, di douerle etiandio publicare tanto maggior argomento ripresi, quanto vedea nouellamente il detto poema hauer dato campo al Sig. Angelo Ingegneri gentil’huomo di grand’eruditione, & isperienza, & ad altri anchora, d’affermare non poche sconueneuolezze in quello osseruate; non ch’à me solo nasciuta fosse occasione di dubitare de gli artifici, che secondo; alcuni per entro ad esso s’han da ammirare. Lascierolle dunque vedere; hauendole scritte, e dirizzate solamente all'intentione, & al desiderio della sopradetta amicheuole, & gratiosa brigata; securo di douerne trar la risposta à me sopra ogn’altra cosa carissima; & quella sceurai da ogn’immodesta contesa, e da tutte le risse di parole non degne del cospetto de gli huomini virtuosi. Nè per ciò ch'io dico scriuere à quella, e per quella, di togliere intendo sua libertà a chiunque di siderasse cortesemente iscritto rimouermi da’ miei dubbi: Anzi (com’io dicea) nulla più gradito, & accetto occorrere mi potrebbe; quantunque pregato quel tale esser vorrei, che dotto, non maledico, ingegnoso non mordace mostrare si uolesse, conciosia che scopo mio non sia per hora, come nè all’hora sù, quando questo mi auuenne (ch'è pur fatto verissimo, & potrei darne sempre fido riscontro) di suscitare contese, ma solo di produrre sincero discorso, onde la verità con profitto de gli studiosi chi aramente si scopra.

DOuendo ragionare; anzi pure à vostra richiesta; Signori mettere queste mie considerationi in iscritto; m’ingegnerò di procedere con ordine, & di parte in parte: poiche la confusione; oltre al cagionar in loro meno chiarezza, & priuarle di quella facilità, che voi ricercaste, le renderebbe insieme poco grate ad ogn’altro, ch’à leggere le prendesse. Per tanto nello scriuere mi valerò più perfettamente del metodo, che discorrendo abbozzai: & fù (se ben mi ricordo) quello, col quale pare hauer' ordinato Aristotele i suoi ammaestra menti nella Poetica. Percioche dicemmo douersi ogni Fauola in pradi Qualità, & di Quantità compartire: & considerare anchora separatamente, e l'un’ e l'altre; e le conditioni loro: onde aggiunte non molte cose; siasi il poema drammatico, o narratiuo; comico, tragico, ò altro; ageuole, ed interamente può giudicarsi. Ma perche, qual’io dicea, hò per iscopo il seruirmi di quanta chiarezza mi sia possibile: innanzi ch’io: passi più oltre in queste scritture, proporrò cosa, che già nel ragionamento per molti rispetti lasciai: & questa sia la fauola del Pastor Fido historicamente stesa. Già (dico) ragionando alla famigliare la tacqui, sì per minor noia in quella stagione, & in quell'hora; come per hauer'io presupposto, che benissimo voi Signori à mente l'haueste. Qui la trappongo; non solo veggendo ciò dal luogo compatirsi; ma anchora chiedersi: posciache se bene le scritture alle Vostre Signorie indrizzate sono, però non è, ch'elleno à più scritte non vengano: & ogn’uno forse non hà cosi à mano tutto il tessimento di questa fauola: Et quello, che in capo di quel libro si legge serue più tosto à quei tali, ch’à loro modo, ch’à quegli altri, che secondo la contenenza del poema intero, & la di lui totale dispositura lo vogliono. Et quantunque certo sia, che questo racconto mio non haurà quella piaceuolezza, che perauuentura alcuno ci bramerebbe; pur di quello fare non uogliomi rimanere; perche almeno, spero, sarà di maggior chiarezza, & di più compiuta informatione del fatto. Anzi aggiungo, ch’io ne sono assolutamente costretto, non meno che sia il muratore di farsi piazza, & fermar le fundamenta; s’egli hà à fabricare: Percioche non hauendo l'historia pronta, & particolarmente distinta, come di gratia senza confusione dichiarare potrei quanto mi fà dubbio di passo in passo? In somma io tengo ueramente questa narratione per cosi necessaria à quanto sono per dire, che vò temendo, ch’oue altri senza vdirla con patienza scorresse innanzi; poco, ò nulla intenderebbe. Et chiunque altramente si stima la può tralasciar’ à sua voglia. Siasi questa dunque l’historia de i fatti del presente poema.

Fù in Arcadia, vn pastore chiamato Aminta Sacerdote di Diana, >il quale di Lucrina ninfa del paese era grandemente inuaghito. Costei quanto di beltà hauea, cotanto, e più di perfidia ritenea. Perche mostrato gran tempo di riamarlo: non si tosto l'occhio pose addosso ad vn’altro pouero, e vile pastorello, che di lui fieramente s'accese. Aminta di ciò non s'auedea: E pure tuttauia era crudelmente sprezzato: Ma alla fine auedutosene, & isdegnatosene pregò Diana, che vendicar lo volesse: & fù essaudito: conciosia che la Dea in vendetta di lui strali di morte scoccando per tutt’Arcadia, per alcun tempo stranamente l’afflisse. I popoli vedendo ogn'hor più contra di loro la pestilenza incrudelire, si risoluettero di mandar gente all'oracolo; & riportarono tal risposta, Che Cinthia era sdegnata, & che placarla Si sarebbe potuto, se Lucrina Perfida ninfa, ouero altri per lei D’Arcada gente à la gran Dea si fosse Per man d’ Aminta in sacrificio offerta. Standosi in questa guisa: l'oracolo; fu Lucrina; benche tutta di lagrime, e singolti ripiena, (non trouandosi chi per lei morire volesse) al sacrificio con dotta. Hora essendo ella à piedi del Sacerdote Aminta di già disprezzato, e tradito, & aspettandone il fiero colpo, adiuenne, che di doue morte certissima attendea, vita non isperata le nacque: perche postosi egli in atto di lei ferire, dettole queste parole.

Da la miseria tua Lucrina mira, Qual’ amante seguisti, e qual lasciasti, Miral da questo colpo.

Se stesso, e non Lucrina vccise. Ilche non tantosto vide la Ninsa, che rauedutasi dell'errore, piagnendo la di lui morte, cacciossi nel petto lo stesso ferro; & caduta sopra’l corpo dell’amante, morissi anch’ella. Morta Lucrina, per questo, non cessò la pestilenza; come l’oracolo predetto hauea; anzi perseverò Diana adirata, & afflisse di nuouo, & quasi più dell'usato l'Arcadia. Spedirono la seconda fiata messi all’oracolo gli Arcadi, & hebbero più che prima spaueatosa risposta, Che si sacrasse all’hora, e poscia ogn'anno Vergine, ò donna à la sdegnata Dea, Che'l terzo lustro empiesse, ed oltre al quarto

Non s’avanzasse, e cosi d'una il sangue. L’ira spegnesse apparecchiata à molti. Imposte fù anchora all’infelice sesso vna molto severa; anzi (dice l’auttore) inosseruabil legge composta di molti (come i Leggisti dicono) paragrafi, ouero appendici: Et questa era tale.

Qualunque

Donna, ò donzella habbia la fè d'amore. Come che sia contaminata, ò rotta, S’altri per lei non muore, à morte sia Irremissibilmente condannata.

Li Paragrafi, ouero appendici saranno le susseguenti.

La medesima legge, che commanda A la donna il seruar fede al suo speso, Hà comandato ancor, che ritrouando Ella'l suo sposo in atto dì perfidia, Possa malgrado de parenti suoi Negar d'essergli sposa, e d'altro amante Honestamente prouedersi.

Si dichiara quella particella della legge: s'altri per lei non muore, & dicesi, che dee chi muore per altrui non essere straniero. Volea Carino essere sacrificato per Mirtillo, e non potè; perche lo stimarono forastiero.

Car. E perch’à me si nega, Quel, ch’à lui si concede?

Mont. Perche se’ forastiero : Circa’l particolare di costui, che prendi de per altri à morire, si vuole, che chi s’offerse à morte piu ritrarre non si possa: & si viene in conseguenza ad incenderci, che chi campato viene per altrui non possa più uoler’egli morire, anzi costretto sia di riceuer vita.

Che campar per altrui Non può, chi per altrui, s'offerse à morte.

Da poi che s’è determinato delle persone douenti cotale patimento sofferire, si determina del luogo; e si dice.

Che si dà la pena, ove fu’l fallo.

Et tal’hora occorrendo, che per qualche rispetto nel luogo del fallo sacrificare non si potesse, è lecito trasferire il sacrificio altroue, come s’in un’antro qualche fallo auuenisse, distinguesi, che

A scoperto ciel sacrar si deve. Chiede inoltre la cerimonia di questa legge, che Taciturna la vittima si moia. Se parlaua la vittima il sacrificio era spedito. Mir. Deh padre homai t’acqueta. Mon. ò noi meschini, Conta minato e’l sacrificio, ò Dei. & altroue. Mir. Misero qual errore, Hò io commesso, ò come

La legge del tacer m’uscì di mente? Quindi nasce per commandamento, e vigore di essa, che bisognaua questa vittima rimenar tosto.

Al Tempio E nella sacra cella un'altra uolta Prender da quella il uolontario voto. Inoltre alli detti s'aggiugne la moderatione della cerimonia del sacrificare. Che’n faccia al sol, benche tramonti Era fallo il sacrar uittima humana. E quella vittima solo potea essere sacrificata dal Sacerdote maggiore: Montano lo dice.

Non può per altra man vittima humana Cader à questi altari: & altroue: Cosi commanda à noi la nostra legge.

Anzi à ministri minori non era letito fauellare co' rei condennati al sacrificio: Cosi dice Ergasto ministro minore.

Perche vieta la legge A i ministri minori Di favellar co' rei.

E in tanto che si apprestava la vittima, non douea alcuno entrare nel tempio; se non era sacerdote: Cosi dice il messo à Titiro.

Fermati, che le porte Del tempio ancor son chiuse, Non sai tù, che toccar la sacra soglia, Se non à piè sacerdotal non lice. Fin che non esca del sacrario adorna La desinata vittima à gli altari?

E per finirla, queste altre due particelle hebbe anchora; l'una, cioè, che quando si fosse quell’oracolo adempiuto, che dicca.

Non haurà prima fin qual; che u’offende, Che duo semi del ciel congiunga amore.

Ritrouati che si fossero, dico quei duo semi del cielo, si douessero in quello stesso giorno appunto congiugnere, nelquale si fossero ritrouati: cosi’l cieco Tirenio camò.

Dove conuien prima, che’l sol tramonti, Che sien congiunti i fortunati Heroi.

L’altra, che si mirasse bene alcuno di loro non hauer già data la fede altrui: perciò disse Montano d' Amarilli.

Ma guarda ben Tirenio, Che senza uiolar la santa legge, Non può ella à Mirtillo, Dar quella fè, che fù già data à Silvio.

Questa era la legge di Diana con tutte le sue appendici. Durò il sacrificio di humana vittima conditionato con essa per alcun tempo. Gli Arcadi finalmente portati dal desiderio di saperne l'essito mandarono la terza uolta all’oracolo; & n'hebbero questa risposta.

Non haurà prima fin quel, che u’offede, Che duo semi del ciel congiunga Amore E di de una infedel l'antico errore L 'alta pietà d’un Pastor Fido emende. Ritrouauasi in quel torno Montano Arcade Sacerdote di Cintia (ò Diana che uogliam dire) >il quale discendea dalla stirpe d'Hercole, & nel paese d’Arcadia le sacre, e l’humane cose reggea. Nacquero di costui due figliuoli, de i quali il primo fù per nome detto Siluio; & questi uolendo poi altrimenti’l cielo Mirtillo chiamossi: percioche sendo egli bambino anchora, inondo'l fiume Ladone le vicine à lui campagne dell’Arcadia; e lo rapì; & entro vna culla portandoselo fuori del paese Arcado; salvo in Elide, castello della banda occidentale del Peloponeso, il condusse; & sù le sponde d’un’isoletta, che s'abbatè al corso del fiume attrauersarsi, il ripose; oue custodito fù dall'acque per fino ch'a quel luogo uenne à capitare huomo, ch’era bene Arcado anch’egli (per nome Carino,) ma per all’hora dimorante in quelle contrade: il quale veduto il bambino: dall’acque lo raccolse. Mandò Montano un suo seruo nomato Dameta à cercar nouella del perduto figlio; alquale, mentre costeggiaua la riua del fiume Alfeo, venne fatto d'urtare apunto in Carino, & da lui lo rihebbe: entrò in pensiero à questo Dameta, pria che riportasse il figlio al padrone, di gir'all’oracolo: & gitoui, ne hebbe risposta, che se peruenisse quel fanciullo in Arcadia; correa periglio d’esser dalle mani del proprio padre sacrificato; per lo che Dameta cangio proposito, nè più per tema di tal periglio ritornar volendolo al padre, lasciollo à Carino, che dianzi dato glie l'hauea, & finse col padrone ritrouato non l’hauere. Carino cui Dameta donò il fanciullo, senza forse molto sapere dell'oracolo, e che, e come, e quando li portendea di strano, alleuollo; & tutto che il nome di già impostoli sapesse; pure a volontà di Dameta lo chiamò con nuouo nome Mirtillo; atteso che ritrouato l'hauea in un cespuglio di mirti. Hebbe poscia il detto Montano dopo la perdita di questo, vn'altro figliuolo, >il quale per rinouellar la memoria, & racconsolarsi della disauentura del primo nomò parimente Siluio. Questi che giouanetto era anchora, dilettossi grandemente della caccia, & più che troppo mostrossi abborrire gli amorosi pensieri, & perciò l’amore di certa Ninfa chiamata Dorinda hauuto hauea sempre in isprezzo, & pure all’hora piu che mai lo sprezzava. E tanto sia detto di Montano, & sua stirpe. In quel medesimo tempo, & in quello stesso paese era un pastore che Titiro s'addimandaua, discendente altresì da Pane famoso Dio de i Pastori, & haueua anch’esso vna figlia bellissima chiamata Amarilli. S’abbattè in Elide costei passare, appunto nel tempo di quei giuochi, >i quali in honor di Gioue gli Elei costumauano di celebrare. Per quelli dunque vedere andossi colà Amarilli, e ui dimorò più giorni. Hora Mirtillo (quelli, che già portato fuori d’Arcadia dal fiume, & ritrouato dicemmo da Carino, in Elide nodrito, & hormai cresciuto ) vedutala tra quei spettacoli, che di beltà frà l'altre, come sole risplendea, di lei tostamente s’accese. Soleano insieme ridursi molte donzelle d’Elide, di Pisa, e d’altri luoghi (in somma, e terriere, & straniere) abbigliate alla ninfale, & in luogo si ritirauano; doue sole con libertà nel tempo, che de i giuochi publici copia non s’hauea, danze, & ischerzi tra loro essercitare potessero. Tra queste si ritrouaua una figlia di Carino, >la quale Mirtillo per sorella, come per padre Carino anchora tenea: ond'ei che desideraua fruire la presenza d’Amarilli più che potesse, alla stimata sorella il suo amore scoperse; e la pregò, ch’aitare lo volesse: >la qualle promesso havendoli; perciò fare vn giorno lo vesti d’habito feminile in tutto à quel dell'altre simigliante, e si l’adornò di chioma; e de i portamenti feminili si l’istrusse, che nel drapello dell'altre fù da tutte donna creduto. Venne proposta in quel giorno tra gli altri vn certo giuoco chiamato de i baci: & perche ad ogn’una piaciuta era la proposta, in ordinanza si raffettaro, e dichiarata Amarilli giudicatrice de i baci di ciascuna, quale più dolce si fosse; per lo giuoco fare incominciaro. Hebbero à baciarla di

una in una tutte: onde Mirtillo, che nella compagnia ritrouossi bacciola anch'egli, & con modo tale, che vinse, e funne coronato della ghirlanda; che per ciò appunto apprestata s’era. Finito il tempo de gli spettacoli, ogni forastiero à sua patria tornossi, & Amarilli anchora in Arcadia: Onde l'innamorato Mirtillo non potendo sofferire l'amoroso tormento, fè anch'ei dalle natie contrade in Arcadia passaggio. Fù à Carino acerbissima la costui non preueduta partenza, e dal dolore oppresso grauemente infermo: perche Mirtillo fù costretto di ritornare; Risanossi Carino al ritorno di Mirtillo; ma egli ritrouandosi lontano da colei, ch'amava vità in vna graue febre, & stettesi in questa guisa afflitto ben sette mesi, anzi di quella morto sarebbe, se non che finalmente all’oracolo si ricorse; e fù la risposta.

Che sol potea sanarlo il ciel d’ Arcadia. Cosi tornossi la seconda uolta Mirtillo in Arcadia perseuerando più che mai nell’amore d'Amarilli. Hora in questo mentre, da che già la sentenza dell’oracolo (la terza, dico, sopranarrata) s'hauea sentita; Et Amarilli d’Elide s’era tornata; quei duo nominati pastori, ch’entrambi derivaro l’origine da gli Dei mossi dal sopra riferito vaticinio publicamente fecero i loro figli Siluio, & Amarilli darsi l'uno, all’altro la fede maritale; & andauano procurando l’ultimo compimento del matrimonio, ch’essere douea (credean’essi) la salute dell’Arcadia. Le quali nozze; tutto che grandemente sollecitate da questi Montano, e Titirio padri de gli sposi, non si recavano però à fine; conciofosse cosache il giouanetto, >il quale niuna maggior vaghezza hauea, che della caccia, da i pensieri amorosi; come dicemmo, lontanissimo si vivea. Fra tanto che'l negotio sembrava pure verso'l fine riuolgersi, Mirtillo avedutosene (che solo in quel punto venne à saperlo) ne fù sopra modo, dolente: & si mise in cuore (che pareali perduta hauere ogni speranza) di voler’almeno con Amarilli parlare, & raccontarle à pieno gli affanni suoi; ilche mai per adietro non hauea fatto; & poscia non impetrando aita morirsene. Cosi trauagliando in rammarichi, e fra di se fieramente dolendosi; li soruenne Ergasto suo compagno; & intesa la cagione de i suoi lamenti lo interuppe: cui dopò alquanti giri di parole, Mirtillo confessò l'amor suo uerso Amarilli, che dianzi taciuto hauea; & insieme lo prego, ch’adoprare si uolesse di maniera, che acquistasse vna sola fiata commo dità di con lei ragionare. Questi pietoso di sue disauenture tanto fè, che ritrouò Corisca d'Amarilli compagna, ed ottenne da lei, ch’affaticare si volesse per solo cotanto impetrare da quella in fauore di Mirtillo. Era Corisca donna come di partito, & più che molto nelle lussurie immersa: & all’hora si ritrouaua alle mani col Satiro per ragione d’amoreggiamenti tra di loro; benche dianzi sposa essere douesse di Coridone, à cui n’hauea dato fede; e tuttauia era insieme ardentemente di Mirtillo inuaghita. Quindi argomentossi ella, poiche à tale cosa fù richiesta, d’hauere ottima occasione per dare all'amor suo inganneuole compimento: Percioche auisandosi della legge sopranarrata, si pensò che per lo di lei vigore, ogni uolta, ch’Amarilli condotta si fosse ad ascoltare Mirtillo, nasceua modo di fare che fosse stata di morte punita, e Mirtillo (à suo pensiero) mancando la rivale al suo amore riuolto. Per poter dunque recare i desiderij suoi à tal fine, fè dire à Mirtillo, ch’ad impetrare quanto ei richiedea era mestieri, ch’essa Corisca per poter più cautamente adoprarsi, alcuno particolare di questo suo amore intendesse. Cosi prese Mirtillo occasione di narrarlo ad Ergasto, >il quale à lei sollecitamente lo rapportò. Informata dell’amor suo Corisca, se n'uscì per Amarilli ritrouare, & le uenne fatto. Entrò con essolei in ragionamenti di nozze: Et perche non molto uogliofa se ne mostrava, le disse, ch’ogn'hora che fosse contenta, daua à lei il cuor di sturbarle: di ch’ella molto cupida dopo cotai promesse mostrandosi, Corisca senza punto per all’hora favellarle della maniera, diterminò solamente di suo consenso quest’uniuersale, di douer farlo; tanto disse d'una in altra cosa montando, che tiro Amarilli in proposito di Mirtillo, & si le mise in capo, ch’ascoltare lo douesse, che pure costei gliele promise. Il modo le diò Corisca; sendo che Amarilli con alcune compagne soleano su'l meriggio menar certe danze in quel luogo: imperò se in quel giorno ridurre si volesse, quindi l'occasione con molto loro agio ne nascerebbe. Si ridusse Amarilli colle compagne, e fra di loro ordinarono’l giuoco della cieca. In tanto per commandamento di Corisca Mirtillo s'era nascosto in luogo vicino, & non osando meschiarsi nel giuoco, à vedere se ne staua, & rimasto si sarebbe dal frapporsi frà di loro, se da Corisca (che di là prima fuggita dal Satiro, che presa l'hauea, pure anchora per altre uie ricondotta: ui s’era) non ui fosse stato quasi contra sua uoglia condotto, ò spinto. Entrato dunque egli nel drapello venne preso dalla cieca, ch’era Amarilli, & immantenente alla di costui presa. partitesi le compagne; fuor che Corisca, >la quale in certo vicino cespuglio appiattossi; rimasti gli amanti soli; nacque à Mirtllo agio grandissimo di parlarlo. Narrò egli à lungo ad Amarilli le sue passioni amorose: & essa datali dubbia risposta, senz'altra particolar conchiusione, licentiollo. Cosi partitosi; & Corisca per anchora standosi là nascosta; Amarilli, che d'essere sola si credea, cominciò à rammentare l’amore, e le parolle di lui; & indi dolendosi di sua sorte si mise à ragionare fra se stessa, e dire che pure l'amaua anch'ella intensissimamente, ma scoprire non potea questo sua amore, nè condurlo permodo ueruno à buon fine. All’hora Corisca, che tutto veduto, & udito hauea, le si fece innanzi, e la conuinse dell’amore, ch'à Mirtillo portava’: Et ciò buono parendole per lo suo disegno, cominciò à tessere menzogne, o frodi promettendo ad Amarilli, che volea, ch’in ogni modo, e pure leggirimamente anchora, di questo amorosi godesse, mentre à ciò fare, che le additerebbe, fosse disposta: Conciosiache lo sposo di lei Siluio (cosi le di è ad intendere) amaua una fantesca d'essa Corisca molte fiate con essolei in cert’antro s’hauea trastullato. E già dicemmo, che v’era legge di poter rifiutarsi l'huomo per isposo dalla donna, ogni volta che poteasi da lei provare, che giaciuto, fosse con altra. Aggiunso la menzogniera, che in quel giorno stesso la sua fante dato hauea ordine con Silvio di ritrouarsi nell’antro; onde s'Amarilli atteso l’hauesse di leggieri colto l’haurebbe. E per compimento le diè l’hora, e il tempo, & l’antro additolle. Cosi vtile parendole per ouiare al matrimonio, deliberò d’esseguir’ Amarilli: Ma prima d’ogn’altra cosa uolle girsene al tempio à far’orationi à gli Dei, acciò bene le succedesse. Andossene, & restò Corisca, >la quale pensò fra tanto, che costei s’era gita, d'aggiugner nuouo inganno al primiero; affine, che poi e questo, e quello insieme riuscire per ogni modo le facessero i suoi dissegni: fù l'inganno di parlare à Coridone suo amante, ò sposo; e dirli, ch'essere vorrebbe con essolui in quel l’antro medesimo, & cosi, dapoi che Amarilli colà entro risposta si fosse, farloui capitar anch'esso, & indi per secreta via condur i ministri del Sacerdote, e quiui coglier’entrambi, come se à peccare venuti fossero. Mentr'ella pensa, & à cio si risolue; ecco uerfo di lei venire Mirtillo: l'aspetta, e con esso lui entra in ragionamento, dissegnando con altro partito di due l'uno conseguire: Procurar prima di trarlo à sue voglie, ilche se fatto le fosse uenuto, più intorno ad Amarilli rauolta non si sarebbe: Et se questo non succedea, con altro modo accelerarle la morte. Non le riusci’l primo; onde al secondo volgendosi, à Mirtillo soggiunse, che molta ragione fatta gli haurebbe dell'amor suo sì costante uerso Amarilli, ogn’hora che riamato fosse stato; ò se pur non amato, non isprezzato; in guisa, ch'ella se schifa di lui si mostraua, de gli altri almeno il somigliante facesse. Ma di questo disse Corisca tutto essere il contrario in lei, conciosiache lui sprezzando à rozzo pastorello già data s’era; & godeasi seco in quell’antro pria riferito. Mirtillo ciò per modo ueruno credere non volea; pure perch'ella s’offerì di prouargliele; à nolerlo vedere si dispose. Et in tal modo affestò il secondo trattamento per la morte della riuale; dando buon'ordine à Mirtillo, onde potesse il tutto mirare compiutamente, e senz’altrui noia: Et poscia quindi partissi andando per Coridone. Tutto ciò fatto s’hauea in quello spatio, ch’Amarilli dìmorata s’era nel tempio, & nel viaggio à quello, & nella partenza. Venne dunque Amarilli (andatasi già Corisca, & per comandamento di lei nascostosi vicino Mirtillo) & incanta secondo’l consiglio hauuto s'andò in quell'antro. Mirtillo si perciò uedere, come per cert’altro ragionamento udire , che fatto hauea Amarilli in entrando, tenne per certo, che per alcun drudo gita vi fosso: onde uari pensieri le sursero nella mente: Ma si risolse alla perfine d’appiattarsi in cerra parte ben’interna, ma propinqua al’entrata della spelonca; & come accostarsi uedesse alcuno; incontanente d'agguato vscire, & ucciderlo; vendicandosi in tal maniera ad un tratto di due, ch’oltraggio facevano all’amor suo. Riposesi dunque in luogo assai commodo, e nascosto della spelonca. Auuenne ch’il Satiro soprauegnente lo vide entrare, & vdillo parlar di Corisca; quasi dell'amor suo all’hora all'hora Mirtillo douesse là entro esser compiaciuto. Onde il Satiro cosi credendo, per uendacarsi dell’ingiurie fatteli; conciosia che' molto, come si disse, amata l'hauea, ma sempre n’era stato spregiato, & uillanamente scherniro; pensò di chiudere l’antro, si che più indi uscire non potessero, & auisare poi’l Sacerdote, che mandaffe colà ministri, >i quali per lei punire del fallo, commesso contra la data fede, la prendessero: sendoche Corisca veramente data hauea la fè à Coridone, ma egli si tacea, & per tema del Satiro di ciò consapeuole di chiederla non ardiva. Chiuse dunque l'antro con cetto sasso, & andato al Sacerdote il tutto li fè palese. Ritrouauasi all'hora il Sacerdote nel tempio., oue la mattina insieme con Titiro s’era uenuto per ageuolar co i prieghi, e sacrifici le nozze de i loro figli Siluio, & Amarilli; & auuenuto era, ch’alle vittime offerite haueano ritrovate viscere bellissime; & la fiamma del fuoco era stata purissima: onde Tirenio indouino hauea subito cominciato à predire, che’n quel giorno le nozze si compirebbono. Il che sentendo Titiro per l’apparecchio partito s’era; quando sursero inaspettatamente altri segni di sinistro augurio spaventosi, e tremendi: All'apparir de i quali gli Sacerdoti, che la cagione non ne sapeano, si rinchiusero nel sacrario maggiore per consigliare onde ciò auuenisse. Hora mentre cosi passauano queste cose, giugie il Satiro frettoloso, & à Sacerdoti fà chiaro il tutto. Parne loro à tal detti trovata hauere la cagione dei i segni infausti: onde con ogni celerità gente fù spedita, ch’à prendere la rea femina andasse. Fù colta Amarilli, che dentro riposta s’era, e Mirtillo anchora già ridotto nell modo, & per lo fine, che si disse in altra parte dell'antro stesso; & ambo al tempio, ma per diuerse strade furon condotti. Non tantosto innanzi ai Sacerdote te arriuaro, ch'ella quasi in va punto fù accusata, convinta, e condennata; e liberato Mirtillo. Et perche tuttavia appariuano uari, & istraordinari prodigi; determinarono, che nulla il sacrificio prolungar si douesso; & di già uoleano aviarsi al luogo, dove s'era il fallo commesso, per punirla di morte conforme alla legge; quando ciò vedendo Mirtillo; non bene però certo s’ella colpeuole, ò innocente si fosse; offerissi di dar con la propria; morte la vita à lei. Contesero buona pezza insieme volendo Amarilli in ogni modo morire, nè sofferir ch’altri per lei à morte n’andasse; e Mirtillo ostinatamente procacciando il contrario: Ma poscia perche la necessità delle legge all’altrui cortesia accettare lei costrignea, Mirtillo al sacrificio condotto fù. Hauea già’l Sacerdote fornito quasi tutto’l rito; cosi che rimaneua solo il recidere il capo alla vittima; & ecco apparir Carino. Questi ansio di sapere del suo Mirtillo, & per ciò ricorso all’oracolo n'hauea ritratta cotal risposta.

Torna à l'antica patria, oue felice Sarai col tuo dolcissimo Mirtillo, Però ch’iui à gran cose il ciel sortillo, Ma fuor d'Arcadia il ciò udir non lice: Dopò >la quale ritornato s’era, & di

lui diligentemente andaua chiedendo. Occorsoli dunque d’esser all’antidetto spettacolo; & trattosi innanzi il riconobbe, & del Sacerdote, che vicino gli era, il braccio, & il colpo di già sopra Mirtillo cadente ritenne, lo sacrificio sturbando, & intender volendo come, e perche lo sacrificassero.

La cagione breuemente detta li venne. Et egli che non meno di uero figlio l'amaua, vdita che l'hebbe, cominciò à mostrare secondo la legge lui sacrificarsi non potere in Arcadia. In questa interrotto s’era l’ordine; e’l douere del sacrificio: perche la uittima parlato hauea: Onde commandò Montano, ch'al tempio fosse rimenata, & di nuouo per lo sacrificio si preparasse. Seguitò Carino in procurare con sue ragioni di liberarlo da morte; affermando ch’egli era forastiero, e però incapace à poter esser vittima per altrui; & con questo modo non accorgendosen'egli stesso; venne ad iscoprirsi Mirtillo vero figlio di Montano: della qual cosa infinito dolore sentì il Sacerdote, conciosiache'l proprio figlio sacrificare li fosse mestieri. Inteso hauea l'indouino Tirenio ciò ch’era occorso intorno à Mirtillo; onde uenuto al luogo del sacrificio interpretò l'oracolo, & mostrò ch'egli appunto essere douea quel Pastor Fido, che finalmente la salute all'Arcadia con Amarilli congiugnendosi apporterebbe. Il che riconoscendo ogn’uno per vero, ella incontanente gli fù sposata. Et ciò quanto alla prima historia. Ma perche si vuole che in questo poema contenga più d'un'auuenimento; & cosi lietamente concedesi; prima che fornisca questo racconto, mi conuiene dar qualche notitia anchora dell'altro; ò de gli altri. E' l'uno di cotal modo. In questo giorno stesso Siluio leuatosi per tempo mattina, & à caccia secondo il suo costume andatosene preso hauea un terribilissimo Cinghiale: indi à casa tornatosi era tutto allegro in se stesso, & da i pastori à gara essaltato sin’alle stelle. Venne à costui in pensiero d'uscir di nuouo di casa, & vscinne: & dopò alquante cose con Echo ragionare d'Amore; vide, ò parueli uedere un lupo nascosto dietro un cespuglio, onde tosto messo mano all’arco, & alle saette lo colse, ma non prima ferito l’hebbe, che s’auide quello essere non lupo, ma Dorinda da cui, come fù detto, ardentissimamente, ma indarno, era amato. Costei quantunque ritroso, & l’amore di lei non curante il provasse, pure lo seguia, & quello stesso giorno con esso lui molto lungamente, con occasione d’un cane di Siluio da lei ritrovato, & trattenuto, dello stesso suo amore ragionato gli hauea; anzi sin per entro la caccia trauvstita da capraio con una pelle di Lupo seguitolo. Hora mentre aspettava Linco mandato per ritrovare Lupino suo servo, c’haueasi le sue restimenta donnesche; nascosta s’era in quel cespuglio, & quiui (come dissi) colta fù in iscambio di lupo, & da lui ferita. Per questo accidente Silvio, la solita sua durezza in amorosa pietà cangiata, ad amarla si riuolse; quello che nè per lunghe persuasioni di Linco suo famigliare, nè per preghi di lei hauea uoluto far per l’adietro. E quindi portandola in braccio alle proprie case; e di sua mano la piaga medicando, che dianzi creduta s’era mortale; poiche à termini di salute fù ridotta (ch'in un momento ciò fatto uenne) essendo già di Mirtillo sposa diuenuta Amarilli; anch’esso fatto amante, sposossi incontanente à Dorinda. Per cagione de i quali (che non fuor di ragione pare potersi dire il terzo aunenimento) oltre ad ogni sua credenza felicissimi successi, Corisca; quella, che prima destinata moglie di Coridone, poi di Mirtillo inuaghita, procurato hauea la morte d’Amarilli sua riuale; e creduto che succedese al sicuro, beffando il Satiro, e Coridone suo amante, e sposo, fuggita s’era; alla fine rauedutasi di sua malignità tentò d'ottener perdono da Mirtillo, & Amarilli: & mentre ueniano dal tempio, in istrada trouatigli, quello impetrò: di che tutta racconsolata, & di già satia del mondo si risolse di cangiar vita.

E Tanto sia circa l'historia di questo poema. Io sò ch’altri forse à poco riguardando mi dirà lungo; & alcuno etiandio trascurato, in qualche cosetta per me tralasciata: Ma gli uni, & gli altri credo rimarranno sodisfatti, ogn’hora che un pò più da vicino intenderanno le mie ragioni: conciosia che à narrare, quanto s’è narrato, non sò come ristringerlo in minor giro di parole si potea, se però di cio fare con chiarezza, e pianezza intendeasi. E poi chi vorrà farsi marauiglia della lunghezza del passato racconto, e non maravigliarsi della lunghezza del Pastor Fido? Per lo che quella oppositione ch’à me si viene à fare, molto più ferisce il detto poema; essendo questa la stessa historia diuersa da quello nella spiegatura solamente. S'altri poi (che fù la seconda obbiettione) tassarmi di trascuraggine s’argomentasse; ridponderò c’hò detto le cose più necessarie, & importanti; & se qualche minutia tralasciata si ritrouasse; vò si sappia, che di ciò tal’è stata la cagione, ch'io non solo hò procurato di far piana, e chiara la medesima historia; ma corrente anchora; lasciando di frappor ciò, che poco alla notitia del fatio conferendo potea render'il filo di quella intricato. E delle sì fatte à luogo, e tempo forse mentione haurassi. Hor questo detto, segue, ch’al rimanente io discenda; & ad isporre cominci tutto ciò, che più volte: hò detto mi tiene l'animo sospeso circa l’arte della fauola del Pastor Fido: Alche prima condurre non mi uoglio, che certe considerationi non anteponga intorno à cose attenenti à quello sì; ma però di maniera attenenti, che fuori del commune ordine, e della commune serie appaiono douersi considerare. Cosi ad un tratto solo da quelle mi uerrò isbrigando; per attendere ad altre; e terrò anchora quell'ordine in iscriuere à noi Signori, ch’io tenni in ragionare à uostra presenza. Et questo di ch’io parlo fù, ed hor sarà, il titolo del poema; il prologo, e cert’altre cose sì prime, e fuori alquanto dell’altre, come particolari. E’ dunque il Titolo del poema II PASTOR FIDO TRAGICOMEDIA PASTORALE. Questo in tre particelle si distingue, delle quali, dirittamente considerando, è la prima TRAGICOMEDIA; la seconda PASTORALE; La terza PASTOR FIDO. Potrebbesi parláre di tuttatre; parendo ogn’una di loro non poco di scrupolo hauere; conciosia che la voce stessa Tragicomedia con la sua significatione lo porta. Ma di ciò più oltre il dirne tralascio; che non uoglio essere quell’io, che dopo cotanti famosi scrittori adesso metta in campo il mio parere. Scritt’hanno pur che molto in questa materia il Sig. Giasone; il Verrato; l’Attizzato; & altri; à gli scritti de’ quali per hora mi rimetto. Passo dunque alla seconda parte del titolo, ch’è l’aggiunto di Pastorale, al soggetto Tragicomedia. Secondo quest'aggiunto un pare potersi dubitare, ch’à verun patto ciò, che nell’opra si contiene al significato della detta voce non corrisponda. Imperoche ò si prende essa voce in senso, ch’inferisca Tragicomedia di persone pastorali: ò Tragicomedia d’attioni pastorali: ò pure ancho Tragicomedia, cio è componimento d’attione mista; ma con sentimenti, e costumi pastorali. Tralascierò'l luogo; perche non meno pratense, ò campestre, ò boschereccia si deurebbe chiamare, che pastorale; atteso che in tal intrauiene: Ma di uero in alcuno de i predetti modi non si può questo poema pigliare; dunque chiara sembra la conseguenza. Hora per ritrouar pienamente il vero, assestiamoci alla ragione, all’auttorità, alla pratica di questo cauata d'auttori grandi: Definisce Virg. nella 6. Egloga il pastore dall’ufficio suo dicendo.

Pastorem Titire pingues. Pascere oportet oves.

E Platone medesimamente nel primo de Iusto descrivendoci l'arte pastorale (ilche meglio è dichiarato da quanto poi disse Virgilio) si lasciò intendere in queste parole.

Profecto pastorali arti nihil aliuil cure est, quammi id, quod custodet, oprime se habeat, in giusa che solamente quello pastore sia, e sotto cotal nome venga significato, >il quale conduca gli armenti alla pastura, & proveggia, che bene stiano. E questo uiene ad essere cosi uero, ch’altri senz'attendere alla cura d'armenti al modo sopradetto propriamente non si puo dire pastore: E se con tal nome si chiama, ò malamente si favella; ò diremo impropriamente senz'alcun fallo: che se cosi non è, Virgilio, e Platone Parlando ex professo dell’essenza del pastore, e de l'arte pastorale falsamente per le già poste conditioni ce gli herrebbono definiti. Lo stesso approvando Varrone nel 2. libro de re rustica al primo capo fece dire à quello Scrofa introdotto nel ragionamento di questa materia.

Igitur (e parlava di sopra dell’arte pastorale) est scientia pecoris parandi, ac pascendi, ut fructus quam possint ma zimi capi antur eu ea: & quello che segue: Oue è da notare quanto v’aggiunse, perch’altri non dicesse il nome di pastore di sopra definito douere essere solo de i famigli, ch’escono cogli armenti alla pastura: E d’auuertire, dico, Varrone hauer posto quelle due particelle, scientia pecoris parandi, e l'altra, vt fructus, quam possint maximi capiantur ex ea; per uolerci dare ad intendere, com'egli definaua l'arte, ò professione pastoritia spettante al pastore padrone, e che ufficio suo era sapere le predette cose per lo detto suo fine. Da quello, che s’è discorso, possiamo cauare l'attioni de i pastori, come pastori non essere altro che attendere alla greggia, comprendendo quanto suole intorno à quella occorrere; come sarebbe à dire.

Alcun saggi pastor le mandre murano Con alti legni, e tutte le circondano, Che nel latrar de’ can non s’assicurano. E quello anchora; altri cosi dicendo. Omnem operam gregibus pastorem impendere oportet,

Ire, redire, lupos arcere, mapalia sepe Cingere, mercari paleas, & pabularvictum

Quarere: Et in somma quanto ci lascio scritto Virgilio nel 3. della Georgica dell’attioni pastorali. Alle predette s’aggiungono dell'altre, che con molto verisimile s’accoppiano colle prime: com’è ritrouandosi due pastori insieme fuori per gli campi coll’armento per fuggire l'otio, e la noia si mettano à gara à cantare, e sonare la sampogna, ouero

Aliquid quorum indiget vsus Viminibus, molliq; parent detexere iuneo. Là onde reca à me non poco stupore, che s'attribuisca à gente cotale nel Pastor Fido

Ch’altri sia vago Di spiar tra le stelle, e gli elementi

Di natura, e del ciel gli alti secreti. Lequali cose basterebbono à vn Tolomeo, à vn Platone; e cosi molt’altre com'andare à sacrifici, sacrificare, far all’amore, ballare, beffare, che sò io. I costumi poscia, e concetti pastorali sono quelli, che l'essenza conseguitano della persona pastorale, & intorno à: materia pastorale s’aggirano. Hora che veduto habbiamo, quai sono le vere persone pastorali, quali lo proprie loro attioni, e quali i conseguenti costami, e concetti, ritornando alla già fatta divisione diciamo: Le persone del Pastor Fido sono di due sorte, huomini, e donne; & de gli huomini altri sono padroni, altri serui, & altri sono che nè servi, nè padroni (tutto che fossero) appariscono: Per quanto appartiene alle Donne, la cosa è chiara, cioè che per loro pastorale non viene chiamato,: sì perche tali denominationi circoscriventi la sorte del poema per li più non si tolgono dirittamente dal meno, ma dal più delle persone, che di tale qualità essendo sogliono tale anchora far lui chiamare; i, dico, per questo; come anchora perche le donne del Pastor Fido pastorelle non sono nè di nome, nè d'opre: Et se si dicesse; Ninfe queste s’appellano; si potrebbe rispondere Ninfa non voler dire pastorella: E però à niun partito per cagion loro conchiudemento 'l Pastor Fido poema pastorale potersi dire. Adunque resta, che la ragione del Titolo si prenda, come sembra douere anchora, dalle persone de i padroni, e da coloro, che se ben non appariscono ne servi, ne padroni; tuttavia sono gente da più de i familgi, e di simil’altra torma soggetta: Ma nè da gli uni, nè da gli altri (com’io stimo) puote hauere titolo di pastorale questo poema: Perche stando la definition dara del pastore, e quale di gratia delle persone del Pastor Fido era veramente pastore? certo niuna. Forse mi dirà in difesa di ciò alcuno, che quasi tutti si chiamano pastori nel poema. Rispondo, ch’altro è chiamarli, altro è, che per tali si conoscano dall'attioni veramente. Et di gratia un luogo mi s’accenni, che conuinca, e dimostri, ò Titiro, ò Montano, ò Silvio, ò Mirtllo, ò Ergasto, ò Nicandro, ò Carino, ò Vranio essere stati pastori. Oh, si chiamano pastori: & io dico di non vedere operationi, e concetti, che li dimostrino tali: E ragioneuolmente mi pare di dirlo: poiche s’alcuno chiamando un componimento Tragedia; i personaggi di quella solamente andasse dicendo, e Regi, e consiglieri, e capitani: nè mai facesse comparire attioni, costumi, ò sentenze tali, che per Regi, consiglieri, e capitani li manifestassero; addimando à chi parrebbe tal cosa ben fatta; e che secondo l'intention sua cotal poema li riuscisse Tragedia, & quelli per tali persone fossero tenuti? certo à niuno: Hor dunque chi vorrà chiamare il Pastor Fido pastorale, se'l nome solo apparisce, e non altro? Bene mi dirà alcuno, e che vorresti si facesse per cagionare tal’iscoprimento di persone pastorali? Forse che quelle tal persone introdotte conducessero armenti per iscena? Questo nò, ma bene che l’attioni loro sortissero cotai conditioni; & i ragionamenti anchora fossero di tai concetti diuisati, che se bene altri'l nome di pastore mai non vdisse, tuttauia coloro per altro non hauesse, che per huomini di vita pastorale: anzi sforzato fosse da quei ragionamenti à riconoscerli per pastori. Et in uero di tai concetti, e di tai particolari conditioni addittantici la persona de i pastori pare totalmente mancare il Pastor Fido; percioche leuati via certi pochi de nomi, come sarebbe Pastor, caprar; pecoraia; e le mandre, e gli armenti; Vn capro, ed un'agnella; & cotali cosuccie posteui anzi per ispianzo, che per altro, chi mai lo riconoscerebbe per pastorale: se pur non uogliam dire, chi per ogn'altro poema non lo stimerebbe che pastorale? Nè il leuare quelle poche parole fora cosa di noia al poema, ouero porterebbe contrasto di molto rileuo; atteso che senza punto alterare l’essenza sua, ò le sue parti, ò qualche altra cosa d’importanza, che dall’esser suo primiero lo trasformi, si può ageuolmente fare, rimettendo in loro vece parole altra cosa significanti: Per essempio quando si dice.

Non mi tacer qual è il Pastor tra nol; che importerebbe, se si mutasse, e si dicesse .

Non mi tacer qual’ è, colui tra noi; ouero cosa altra simile? Nulla per certo: Cosi stà del rimanente. Ma se vogliamo, quanto s’è detto dedurre in prattica dell’eccellentissimi Scrittori; pigliamo la terza egloga di Virgilio, il quarto Idillio di Teocrito. Chi di gratia, & bene ancho senza sapere se coloro fossero pastori, ò nò; in leggendo quei duo componimenti non li crederà, e terra fermissimamente per pastorali, e le persone introdotte per pastori? Le conditioni pastorali vi sono troppo bene espresse; & i concetti pastorali troppo bene inseriti: E cosi vuolsi fare à metterci auanti gli occhi (come si dice) le cose. Seguì (in ciò ben consigliato) queste medesime vestigia, e tenne questo medesimo stile il Sannazzaro nella sua Arcadia: onde se bene in quella non hauesse frapposto più uolte il nome di pastore, tuttavia chi fare potrebbe di non giudicarla opra pastorale? Cosi nel genere pescatorio l'Ongaro compose l'Alceo in cui non mica i nomi soli propose, ma si bene l'adornò d'attioni, costumi, e concetti pescatorij; che quantunque trattasse attione appartenente ad altra sorte di gente, pure non potremmo fare di me no di non dirla pescatoria dalle persone, costumi, e concetti pescatorij, com’io dicea. Dunque per conchiudere questa parte, le persone del Pastor Fido veramente, da quanto appare, non sono pastori; ne l’attione è pastorale. E di già s'è mostro, & si può anche sapere dalla sopra scritta definitione di che forte siano l’attioni pastorali; onde nè io. più m’affatichero a ripetere quanto s’e detto. Nel Pastor Fido si tratta vn maritaggio per liberare l'Arcadia dalla pestilenza con aggiunte d'amori, di caccie, d’inganni, di passioni amorose, d’oracoli, di sacrifici, & d'altre tante già dette cose; è chi uorrà stimare in gratia, ò nomar quest'attione Pastorale? Se fosse de’Pastori; d'altra gente (propriamente parlando) essere non potrebbe, che pastorale, e pure de i maritaggi, e per tali cause occorrenti, cioè per uia d'oracoli, di frodi, e d’amori, & simili accidenti sono ripiene le cittadi molto più; Sengo che ò sono proprie di queste, ò almeno di gran lunga più proprie loro, che del contado. Non parlo adesso ex professo de i costumi del Pastor Fido, e de i concetti; se siano pastorali, ò nò, sì perche è cosa da se stessa chiara, come perche altroue a i luoghi propri ne faro forse particolar mentione: ma tanto mi basta d'hauer detto hora per l'intitolatione di Pastorale. Sta dunque in tal guisa la terza parte del titolo: IL PASTOR FIDO. Si ritruoua composta di due uoci, sostantiua, & aggiunta: IL PASTOR, è’l sostantiuo; FIDO è l'aggiunto.

Se li riceuiamo entrambi formalmente, da che non uiene ristretto con particolare annessoui, come sarrebbe fido in amore, ò simile; non sò come questo titolo al poema si conuegna, perche bisognerebbe sotto ui si contenesse qualche fedeltà, ch’il pastore hauesse vsata in quanto pastore: che per essempio essendo padrone hauesse negotiato fedelmente co i compratori del cascio, delle lane, e sì fatte cose: ouero essendo famiglio, non hauesse ingannato il padrone; che per l'opposito Virgilio definì’l famiglio, ch'era pastore men fido al padrone, quando disse:

Hic alienus ouescustos bis.mulget in hora:

Volendoci dare ad intendere quel lo essere in istato di servo fido pastore, che cotali cose altri seruendo non cornmettea. Hora secondo questa consideratione il Titolo non appare contenere in se quel senso. ch’à lei corrisponde: Sendo che questo pastore, di cui s'incendo niuna delle cose alla fedeltà di pastore, ò padrone, ò servo appartenente habbia fatto, per cui’l titolo possa, affarsi al tessimento dell’attione di lui. Che se quel pastore uolesse significare amante & amico; pare

prendersi un nome per l'altro, e haurebbe à dirsi fido amante, come in altro poema disse giudiciosamemente l’Illustrissimo Sig. Curtio Gonzaga: e fido amico: ch’all’hora bene accoppierebbesi l’aggiunto col sostantiuo. Altrimenti ne pastore vuole dire amante, ò amico (si come ben dichiara Platone nel di sopra riferito luogo, doue difinisce'l pastore per quello ch'attende à procurare, che gli armenti stiano bene, e di pastura, e d’ogn’altra cosa) nè fido per la presente occasione li si conuiene. E se si dicesse qui nel titolo, come in tutta l'opra, ilche s’è fatto infinite uolte, quel fido stare per costante, ò perseverante in amore, ò pure pietoso verso l’amata, poscia che in ciò par che consista la fedeltà di Mirtillo, del quale nel titolo s’intende. Primieramente la fede, e la pietà sono differentissime, tra loro, in guisa che la difinitione dell’una non conuiene all’altra. E poi sono molto dubbio, se nel buon'uso della lingua per cosi fatto significato questa uoce si possa stare. Et tanto sopra quest'ultima parte ci sia à bastanza. Vengo all'Arcadia regione oue la scena si finge; dellla quale subito che sbrigato mi sia, al prologo farò passaggio. Quanto mi trauaglia circa tal capo, é che considerando io la descrittione dell'Arcadia, e de’suoi popoli, loro leggi, e costami fattaci da Pausania nel 8.lib. della sua Grecia, non comprendo come con lei convegna la presente Arcadia, nella quale si finge il Pastor Fido. Se non hauesse certi nomi antichi d’Arcadia, >i quali sono ben pochi; e se non si chiamasse il luogo per tutto’l poema Arcadia, per me non saprei punto riconoscerla per Arcadia. Hora diciamo di quella, che ci scriue Pausania. Descriuendo egli particolarmente le regioni della Grecia, & i costumi suoi nell'ottauo libro, uiene à ragionare del paese Arcado, & narra varie cose del sito suo, e suoi confini, e della successione de i suoi regi. Questo compiuto, passa alla descrittione particolare de i suoi popoli, uillaggi, e Castella, fonti, & altre cofe notabili, delle quali fa professione darcene minuto ragguaglio. Inoltre uà frapponendo di molti costumi de i popoli particolari. E questa in breue è la sommagenerale di quanto scrisse in quell'ottauo libro. Da questa potremo, appropriandola al particolare del Pastor Fido, uedere la differenza tra l'una, e l’altra. L’Arcadia del poema presente, per quanto da certi suoi luoghi habbiamo, hebbe popoli di genti cittadine, e pastoritie in buona copia; Cio si legge nel prologo.

E gli altri suoi guerrieri Popoli armò l'Arcadia con quel che segue:

Questo non hebbe l’Arcadia descritta da Pausania. E ben uero c’hebbe certi pochi pecorai, e pascitori de cavalli, d'asini, e buoi, come suole havere più, e meno ogni cittade nel suo contado: ma non già soggetti Heroici, quali s’affermano nell'Arcadia del Pastor Fido. Di questi popoli pastori si dice prima che sono Filososi, e che spiano li segreti del cielo, e della natura, come s’è riferito di sopra: Poscia si segue:

E quando piu di guerre, e di tumulti Arse la Grecia, e gli altri suoi guerrieri Popoli armò l'Arcadia, A'questa sola fortunata parte. A'questo sacro Asilo Strepito mai non giunse nè d’amica. Nè di nemica tromba.

Se considereremo questo, & i luoghi di Pausania, gli troueremo contrari. Questa parre d’Arcadia è luogo à piè dell’Erimanto in quella banda, à lato cui scorre Ladone: cosi dal poema si caua.

A piè dell'Erimanto Nobilissima caccia: e quel che segue: E che inaffiato'l paese si fosse dal Ladone, eccoui ancora il luogo

Quando

Il timido Ladon ruppe le sponde: Simile paese; à prima uista però; mette Pausania; e dice che Psofide città dell’Arcadia si ritruova poco distante dall’Erimanto, e che per quella passa il fiume Ladone: Ma però non l’hà per cosi saggia, santa, e pacifica. Mi pare, che le imponga certo tradimento fatto ad Alemeone; & risse antiche per questo da i suoi regi co i capitani Argiui. Onde se’l paese è lo stesso, l’una delle descrittioni è falsa, sendo ambedue contrarie, non che diuerse. Hebbe inoltre l'Arcadia del Pastor Fido lo Rè, ch’era insieme e Rè, e Sacerdote: Cosi altroue si dice:

Sai tù, che quì con una sola uerga

Reggo l’humane, e le diuine cosi. Ciò l'Arcadia di Pausania non hebbe. Di più u’era in quella del Pastor Fido un famoso sacrificio d’humana uittima, per certa pestilenza occorsa; >il quale sacrificio era conditionato con una legge, anzi, dirò, molte leggi, e uarie cerimonie. Di tutto questo nè pure uestigio si uede in Pausania: & è verifimile, che trattato n'hauesse, se vero fosse stato; si perche fe mentione di cose più minute, come anchora, perche nell’historia dell’Achaia racconta un fatto simile, anzi pure pau eis mutatis lo stesso. Nell'Arcadia del Pastor Fido si vuole ch'Alfeo fiume habbia l’origin sua in quella: Leggete’l prologo, doue dice:

O cara genitrice, ò dal tuo figlio Riconosciuta Arcadia.

In quella di Pausania ciò non si dice, nè pure si sogna. Riferisce ben'egli, come per essa scorre Alfeo; ma non già, ch’in essa nasca. Hor dunque se l'Arcadia del Pastor Fido hà popoli, regi, sacrifici, costumi, fiumi, e fors’altre cose differentissime da quella di Pausania, e ben di necessità, che con quella non si raffronti. Ma altri potrebbe dirmi, che l'auttore del Pastor Fido si sia seruito dell’Arcadia fintamente posta dal Sannazaro; in ciò seguendo la fama di quel grand’huomo.

Aut famam sequere.

Ciò tuttauia mi pare accrescere non pochi dubbi; poiche prima il contrario si dice, & presuppone chiaramente nell’Attizzato (cioè che si parli della uera Arcadia) e sopra tal detto, e presupposto si procura di sostenere, & difendere i costumi, & la locutione; sì che mutando questo principio tutto il suo argomento anderebbe a terra. Poscia soggiungo, che qual’intentione habbiano i più famosi spositori della Poetica nel far giudicio di detta opra (per non dir poema) del Sannazaro; & ciò che se ne possa dire in uia d’Aristotele, ciascuno il sà. Finalmente dico, che questa del Pastor Fido al mio parere non si affà nè ancho a quella del Sannazaro: ilche quando fosse uero, resterebbe l'hauerne finta una terza di suo capriccio. Hora andiamo considerando se questo sia cosi.

L’Arcadia del Sannazaro primieramente era molto seluatica , & tale che stupire facea ogn’uno à pensare, come le fere (sue proprie parole) non che gli huomiui ui dimorassero. Li Pastori in quella habitanti non erano molti come si comprendo d'alcuni luoghi; anzi che’l Sannazaro in quel racconto di attione, che durò più giorni, non introdusse se non uentinoue, ò trenta persone. Di questi pastori altro miltiere non era, che pascere armenti, e con quelli per trovar pascoli trascorer quà, e là. se uoleauo essere insieme, bisognaua, che la mattina uscissero uniti alla pastura; altrimenti rade uolte ui s'incontrauano. Andavano tal’hora per ispatio di due, ò tre giorni uagabondi, e la notte poi col gregge si ricouerauano sotto gli arbori. I costumi loro, si come le attioni, erano pastorali. Le sentenze, ò i concetti dedotti quasi sempre da materia pastorale, e rustica. Lo stile humile, e basso. Il sauer loro non si stendea più oltre, che intorno à certe offeruationi de gli effetti de i tempi dell'anno per utilità de suoi greggi: intorno alla statura de gli animali; all’età loro idonea per generare; al castrare de i uitelli; & à mill’altre cose sì fatte, che si ponno leggere nelle prose del Sannazaro. Non erano gouernati d’alcuno. E finalmente le loro femine non erano ninfe, n con tal nome s’addimandauano. Per lo contrario nell'Arcadia del Pastor Fido, ogn’una è Ninfa, ò se non è; almeno tale s’addimada. Viene retta con regia auttorità da persona Sacerdotale. Gli huomini in essa habitanti diconsi bene pastori, ma nè di sapere, ne d'opre, ne di costumi sono pastori. Più che troppo sono dotti, e sententiosi. Mai non pascono pecore, che si sappia. E senza insieme accopiarsi, ò per tempo mattina, ò pure altrimenti, sono ad ogn'hora, ad ogni batter di ciglio insieme. Si ritirano à casa la sera, e bene per tempo. Sono tanti ch’in un’attione d’un sol giorno, senza punto hauer prima pensato di ritrouaruisi, concorrono in numero di diciotto; & etiandio quattro chori, che certo per lo meno doueano essere altri quaranta; oltre la tanta moltitudine, che à uedere corse. Et in somma cotanto è delicato, e uago il paese, ch’à testimonio di chi parla, haue ombre amemissime, degne che fossero alle delitie de i campi Elisi agguagliate; antri bellissimi per le piaceuolezze di Venere; stanze meglio nate, che fatte. E quello, ch’essalta l’eccelenza del paese; oltre tutte queste cose, haue giardini. In guisa che luogo caro, e beato meritò d’essere chiamata cotal’Arcadia. Onde chi non concluderà, e l’una e l’altra essere differentissime, se tanto nelle qualità del paese, e de gli habitanti discordano? Crederò dunque, che da quello, c'hò detto fin'hora, prouato ui rimanga l'Arcadia del Pastor Fido effere distinta, e da quella di Pausania, e da quella del Sannazaro. Perche mò cosi: fatto si sia, dire non lasaprei. Altri forse direbbe, c’havesse hauuto in pensiero l'auttore di sua starsi dall’uno, e dall’altro, e fingere a suo senno altra nuoua Arcadia per poter'ancho fingere persone, attione, leggi, oracoli, & mill’altre cose a modo suo. Ma a ciò contrasta, com’io dicea, il luogo: dell’Attizzato; & l’altro oue dice notabilmente, che’l Pastor Fido mutate solo alcune cose sarebbe Tragedia. Et se pure uogliamo starci alla costoro interpretatione; par’a me, che ci nasca molto chè dubitare. Ò mi diranno, perche cosi cotesto è ch'importa finger di nuouo, e tramutare lo di già finto secondo: che pare; e piace? Rileua più di quello, che si pensa: Primieramente c’è l’ detto d' Horatio sopra ricordaro.

Aut faman sequere, con qual che segue: E poi chi sarà quegli, cui sia per essere punto difficile l’annodamento delle favole, & lo scioglimento di quelle, & in buona parte i concetti, e le poetiche inuentioni; se ogn’ hora che uorrassi nel poema, occorrendo qual che cosa bella, e difficile da annodare, ò da sciorre; si ricorrera a fingere a modo suo luoghi; persone; attioni; costumi; usanze di popoli; meze dozzine di risposte d'oracoli; leggi nuoue, nè mai piu udite; & in somma se peggio, che per machine scioglierassi? Ma, perche di ciò per hora scritto hò assai, & altroue perauentura ci sarà occasione anchora di parlarne; seguiamo quanto ci resta a considerare.

DI quanto proposi trattare, anzi ch’alla tessitura della fauola procedessi, ultimo ci resta il prologo: Intorno alquale proporrò alquante considerationi; lasciando certi minuti scrupoli forse non tanto degni d’accurata auuertenza. Appare che gli antichi poeti per due cagioni (per quanto veggiamo dalle Comedie loro) costumassero di preporre alle fauole il prologo: la prima per iscusare il poeta, e difenderlo da certe imputationi dateli da i suoi emoli, e calonniatori; per mezo delle quali scuse ueniansi poi ad acquistar’attentione, e fauore, anzi lode, & applauso dal popolo: La seconda, per dare qualche contezza delle persone, dell’attione, & del luogo intorno a cui, & in cui poco dopò quei della scena doueuano trauagliare. E ciò ragioneuole stimarono; atteso che facendosi le Comedie de'casi privati, i quali per lo più sogliono essere di non molto grido, pensarono al tutto di quelli al primo tratto douersi dare a gli spettatori qualche ragguaglio. Hora il prologo di cui parliamo non fù composto per la prima ragione: Ciò è chiaro; perche non si difende l’auttore, nè ciò cade in consideratione alcuna. Molto meno per la seconda; perche non ci reca notitia ueruna ò delle persone, ò dell’attione: Che quanto al luogo; oltre che nel poema stesso ue ne sia basteuole mentione; dice bene Alfeo d’una certa Arcadia, c'hebbe pastori; ma però non applica più oltre appropriando’l luogo all’attione; anzi non accenna a che habbia da seruire questa mentouata Arcadia. Ma forse mi potrebbe oppore alcuno, ch'una terza causa tralasciato hauessi oltre le due di sopranarrate: Cioè, che appaia molti esserssi mosi a fare prologhi per lodare Prencipi, ch'essere douessono, presentì alla rappresentatione della fauola: E però se per le due assegnate non fù composto’l prologo del Pastor Fido, forse hà luogo la terza. Alla quale oppositione rispondo, omessa non hauerla, perche souenuta non mi forse, ma si bene perche tale non riputai questo rispetto, che poteffe sottentrare al nome di cagione atta a mover’un poeta à prologare innanzi le fauole sue. Senza che dato anchora, ch'alcuni si fussero in ciò lasciati trasportare à seguir’un cotal rispetto; moderatamente l'hanno seguito, e per uia d’insinuatione più tosto, che apertamente. Nel Pastor Fido auuiene tutto’l contrario, cioè troppo scoperto, e troppo diffuso è il ragionamento delle lodi di quei Prencipi; percioche s’entra in esso a ragionare del sito, delle qualità, e delle genti d’Arcadia: poi con pretesti forse per ciò non basteuoli s’entra dirittamente nella essaltatione d'essi Prencipi, & mai più nel di prima cominciato ragionamento non si rientra; anzi ad altre cose assai meno alla persona d'esso prologo conuenienti si mette mano. Che per l’opposto, se d’alcuni s'è costumato di trapporre lode; l’hanno almen fatto con riguardo di concludere poi à proposito dell’incominciato ragionamento. Ma simil sorte di prologhi non legati co i poemi, massimamente quello del Pastor Fido (per finire questo particolare) io non posso darmi à credere che siano secondo l’arte; anzi mi par molto ragioneuole, che in tal maniera non si deurebbono fare, ò almeno da chi pur far gli si compiacesse, co i poemi stamparsi. Della qual cosa, oltre che ce lo detta la ragione stessa, ce ne dà anco efficacissimo segno in questo, di cui parliamio, il uedere, che leuandolo dal poema, non s’offende punto l’orecchia, o'l gusto dell’auditore, ò del lettore: nè in maniera imaginabile ò si muta l'essenza, ò si turba l'ordine, ò s’interrompe il filo della fauola; ò si rende men chiaro'l principo, ond’ella dipende. E sappiamo, ch’in fatti s'è leuato più d’una uolta; soppostine de gli altri; nè però meno intelligibile s’è renduta: Et in Vicenza appunto mia patria, douendosi rapresentare , fù leuato'l prologo d'Alfeo, & sopposta la persona d'Iride, che disse cose del tutto uarie, e diuerse da quelle d’Alfeo. Segue il trattare della persona introdotta da questo auttore. Nel fare di cotai prologhi s’hanno forte compiaciuto li nostri poeti d'introdure à fauellare Dei come fecero ancho de gli antichi: consumando molta parte del loro discorso in iscoprirsi per uari segni à gli spettatori. La ragione perche cosi habbiano uoluto introdurre Dei à prologare fù, che pensarono d’accostarsi più al credibile in questo modo, che in altro. Doueasi alle uolte predire qualche cosa di ciò, ch’à fare s’hauea; però u’era bisogno di persona diuina, altrimenti credenza non s'harrebbe ritrouata appo gli uditori. Secondo tal uso nel prologo presente s’introduce uno de i Dei. Intorno a questa inuentione hò due dubbi Il primo è che si potrebbe negare Alfeo essere un de i Dei; perche non sostenta la conditione diuina, & non racconta più di quello, ch'alti’huomo semplice un pò poco informato haurebbe saputo fare: Percioche qual’è non dirò quel Dio, ma quell'huomo, che si marauigliasse realmente di uedere l'Arcadia in iscena rappresentata, & dipinta per recitarui sopra una fauola: & con tant'apparato di parole vi mettesse io opera il valore di sì gran prencipessa? & pur si dice

Miracolo stupendo?

Ch’insolito valor, che virtù nova Vegg’io di traspiantar popolli, e terre? E se si rispondesse Alfeo pensaua realmente quella fosse Arcadia trasportata da luogo a luogo, non finta in iscena; replicherei cio non esser verò, perch’egli di sopra confessa di venire à vedere l’imagine di quell’Arcadia, che già solea esser libera, e bella, & hora è desolata, e serua: Cosi parla nel prologo:

Ecco lasciando il corso antico, e noto Per incognito mar l'onda incontrando Del Rè de fiumi altero,

Qui sorgo, o lieto à riueder ne uegno, Qual esser già solea libera, e bella, Hor desolata, e serua: Quell’antica mia terra ond'io deriuo: A chi supporre uolesse reale traspiantatione d’Arcadia, sarebbe mestieri anchora supporre, che la vedesse qual’e al presente, e non qual'era; per che colle conditioni passate per alcun modo realmente traspiantare non si può, sendo già del tutto smarrite per iniurie del tempo: Se dunque traspiantar si dee, colle presenti si traspianti. Ma se colle presenti; ella è desolata, e serua, dice Alfeo, & è uero. Et essendo cosi, come poi s’accommo derà all'attione che ui si finge, douendo per la fauola essere libera, e bella? Onde per ogni modo bisogna conchiudere, ch’Alfeo intendesse di uenire à uedere una scena; e d’una scena dipinta, & artificiale un Dio ne facesse tai merauiglie. Et pare in somma, ò ch’all’auttore non sia succeduto d’ispiegare il suo concetto come conueniua; ò che trasportato dalla uaghezza de i contraposti non habbia fatto pensiero sopra quelle parole: hor desolata, e serva. Si conferma il dubbio, ch’Alfeo non sostenti acconciamente la persona diuina: Poiche mostra di saper molto bene, ch’all'Italia non fa dibisogno più d'alpestre rupi per sito riparo; e che seranno augusti, e grandi i parti, e l’opre di quei prencipi: e che’l cielo lor prepara corone d’oro: cose tutte, che ricercano diuin preuedere. E poi non sà di cotale già fatto traspiantamento, ò rappresentatione, ò dipintura, & sembra stupirne tanto.

Il secondo dubbio intorno à questo Dio sarà, che seguendosi’l commune uso della descritione delle persone introdotte, Alfeo poco bene pare descriuersi: si dice:

Se per antica, e forse Da voi negletta, e non creduta fama Havete mai d’innamorato fiume Le merauiglio udite; Che per seguir l’onda fugace, e schiua De l'amata Aretusa Corse (ò forza d’amor) le più profonde Viscore della terra, E del mar penetrando: Là dove sotto alla gran mole Etnea Non sò se fulminato, fulminante Vibra il fiero gigante, Contro'l nemico ciel fiamme di sdegno; Quel son’io. Già l’udiste: hor ne uedete Proua tal, ch’a uoi stessi Fede negar non lice,

Comparisce dunque Alfeo, e pretendendo di farsi conoscere paesano de gli Arcadi, giunto in Arcadia, manifesta la sua origine, e dice d’essere figliuolo di quella. E quando si douea sforzare d'informaro altri ueracemente de i suoi progenitori, al primo tratto gl'inganna, conciosia che non d’Arcadia sia prodotto Alfeo; ma di Tessaglia il suo nascimento to riconosca: cosi dicendo Pausania nell'ultimo dell’historia Arcadica; Eius caput (parla d'Alfeo) ad Phylacen: Et questo è luogo in Tessaglia. Inoltre narra di se stesso certo amore, che portò ad Aretusa, per lo quale fu costretto di correrle dietro per lo più profunde uiscere della terra penetrando il mare per aggiugner quella. Hora dubitando; che la gente non credesse le cose successe ad Alfeo per fama conosciute esser proprie di lui, che dicea d’essere Alfeo, quando ciascun’altro di esse consapeuole riferir le potea: volle addurne pruoua, e testimo nianza tale, che dire à modo alcuno non si potesse lui non esser’Alfeo. In che dunque consistono queste pruoue? in proposta sola di quelle: Vdire ’l suo parlare. Di sopra ragionò del l'amore d'un fiume uerso Aretusa: hor dice d'esser quello, & insieme lo pruoua.

Quel son'io; già l’udiste, hor ne udete Proua tal, ch’a a noi stessi Fede negar non lice.

Qual’è la pruoua, per cui fà credere, ch'egli sia Alfeo, e quel tale fiume; ch’innamorato corse dietro ad Aretusa? & per cui lo fà credere in modo, che non è pur lecito il dubitarne? io non so vederla; quand’egli non presumesse, che il semplice detto fosse il medesimo colla pruoua. Ma finalmente uolendo Alfeo che li si credesse, e fosse tenuto per paesano, si mise a ragionare delli costumi del paese, e disse tra l'altre cose hauersi vsata in Arcadia la poesia, in guisa che

La maggior parte amica

Fù de le sacre muse amore, e studio Beato un tempo hor infelice, e vile. Ilche potrebbesi forse passare, se come in Arcadia par che tutto il resto à propria volontà sia stato finto, cosi questo anchora per finto si confessasse: Ma come intendo si difende da molti essere stati nell’Arcadia pastori di poesia intendentisi, & in gran copia: Anzi pure ciò si sostenta nell’Attizzato, cauandolo da Polibio nel quarto delle sue historie. E perche il luogo è molto ad una delle parti fauoreuole, graue non mi sarà trasportarlo quì tutto intero, come si stà appo l'auttore. Dice dunque Polibio trasferito in latino.

Musicam enim (de vera nunc usica loquor) vniuersis homimbus vtilem esse constat, Arcadibus vero etiam necessariam, neq; verum est quod Ephorus haud quaquam recte pronuntians in proœmio historiarum scribit, musican ad fallendos, & deludendos homines inuentam esse: Neque est exist mandum ueteres Cretenses, & Lacedamonios superuacuo Tibiam, ac rithmos pro tuba in bellum introduxisse, neque antiquissimos Arcadas tanto in honore, musican in eorum vebus publicis habuisse, ut in eo non solum pueros, uerum etiam adolescentes, & iuuenes vsque ad trigesimun annum necessario exerceri vellent: homines alioquin uita difficilis, atque austera: haud enim est obscurum: apud solos ferè Arcadas pueros ab ineunte atate secundum leges Hymnos canere & peana, quibus singuli iuxta patria morem genia, & horoas, & deos laudare consueuerunt: Post hac Philoxeni, & Timothei discplinis instructi cum cantibus, & chorais annuos ludos libero

patri faciunt: Pueri quidem, quos pueriles uocant, iuuenes quos ueriles. Omnis denique corum vita in huiusmodi cantionibus uersatur, non tam quod audiendis modulis delecten 'ur, quan vt se inuicen cantando exerceant. Ad hac si quis ali quid in cateris artibus ignoret, nulla a pud eos ignominia habetur; Musicam vero neque ignorare quisquam eorum potest, quia necessario discitur, neque fateri nescire, quia hoc apad eos turpissimum putatur. Postremo spectacula, ac ludos in theatris cum cantibus, & chorais singulis quibusque annis publicis sumptibus adolesentes ciuibus prabent. Qua res mibi quidem uidetur ab eorum maioribus sapientissime fuisse instituta, non delitiarum, ac lasciuia, gratia; sed cum animaduerteriut assiduos eius gentis labores in colendis agris, &, duritiem, atque asperiatem vita, praterea etiam morum austeritaten, qua ex frigiditate; ac tristitia aeris prouenit, cui nos silmiles gigni necessario oporet (non enim obscurum est plagas cœli esse, qua gentes moribus, & forma, & colere, & plerisq; disciplinis inter se dissimiles faciunt) volentes mitem, atque trasta bilem reddere naturam, qua per se ferocior, ae durior uidebatur, primo ea omnia, qua supra memoravimus introduxerunt, deinde conuentus communes, & sacrificia plurima, in quibus viri, ac mulieres congregantur, postremo virginum, ac puerorum choros; qua omnia, ad eum finem facere, ut id quod in animis hominum natura durius erat, consuetudine placaretur, & mitius fieret.

Questo è’l luogo, onde si fà nascere tanta poesia ne gli Arcadi. Certo oltre'l cauarsi di quì che gli Arcadi non erano pastori, altro hauere non si può, se non ch'erano ottimamente in musica ammaestrati, e tuttauia durauano in procurare, che la giouentù alla musica s'accommodasse, ritirandola dalla natia rigidezza, e fierezza. Quì non si fà mai mentione di compor uersi, ò di poetare in maniera pur’imaginabile. Se mo'l musico non si facesse lo stesso co'l poeta: E credo, che se imporre menzogna à Polibio non uogliamo, alcuno per dotto, ch’ei sia trarre non saprà dalle sue parole sospitione di poesia ne gli Arcadi, non che certezza tale, quale pare tuttauia quì, & altroue si afferma, come se d’altro che di poetare non parlasse Polibio. In uero più uolte hò considerato questo luogo, & sommamente marauigliato mi sono, come si caui da quello, che gli Arcadi fossero poeti, & Arcipoeti, e finalmente hò conchiuso, ò di non l'intendere io, ouero ch’altri non l’habbia uoluto intendere.

Vltimamente per fornire quanto dubbio mi rende sopra di questo prologo: si dice nel fine d’esso La cetra che per noi Vezzosamente hor canta: con quanto segue.

Questo anchora io non sò intendere quanto bene, & con l’arte si possa fare; cioè, che passi persona drammatica in quella del poeta in poesia puramente drammatica: E ui passa chiaramente Alfeo, quando dice:

Ma uoi mentre u'annuntio Corone d'oro, e le prepara il Fato Non isdegnate queste Ne le piagge di Pindo D’herbe, e di fior conteste Per man di quelle uergini canore, Che mal grado di morte altrui dan vita. Picciole offerte sì, ma però tali, Che se con puro affetto il cor le dona, Anco il ciel non le sdegna: E se dal uostro Serenissimo ciel d'aura cortese Qualche spirto non manca La cetra, che per uoi Vezzosamente hor canta

Teneri amori, & placidi himenei Sonerà fatta tromba arme, e trofei. Ma se s’apportasse iscusa di profetia, con affermar ch’Alfeo vuol predire ciò, che farà l’auttore del Pastor Fido altra uolta; (ilche però sarebbe cosa assai fredda) potrebbe replicarsi ch’Alfeo tal’hora si fà sommo profeta, tal hora si mostra ignorar'alquante cose, che doueuano esserli notissime; come di sopra fù tòcco. Et inoltre bene non istà allontanare la poesia drammatica dalla sua natura. Allontanasi, dandole la cetra, che sua non è: & significandola per quello, per lo quale mai, ch'io sappia (se uoi Signori non lo mi ricordate) nè uenne, nè potè da altri poeti essere denotata; e poesia spetialmente tragica, e comica: Per lo suono della cetra pare che s'habbia commmunemente costumato d’intendere componimenti lirici, come hinni, ode, & altre tali sorti anchora di poesie; ma non drammati della guisa sopradetta. Et per si fatti componimenti pose la lira (ch’è lo stesso nel proposito nostro con la cetra) Ouidio in quei uersi, ragionando pure d’Horatio poeta lirico. (aures, Detinuit nostras numerosus Horatius Dum ferit Ausonia carmina culta lira. E’l Petrarca di compositione lirica parlando disse.

E la Cetera mia riuolta in pianto. Siamo giunti hoggimai al termine di quanto proposi intorno al prologo. E quantunque certe altre cose, minute s'harebbono potute addurre, ho nondimeno uoluto nelle apportate fermarmi; sì perche il discorso troppo fuori di mia intentione crescerebbe, come ancho perche altri da quanto si è detto le può ageuolmente comprendere da se stesso.

HOra da che sono uscito, di quei generali titolo, prologo, e scena; seguirò quanto di più particolare, e più prossimo, alla fauola del Pastor Fido ci resta. Signori, come uoi benissimo sapete, ogni fauola soule hauere origine da cosa, che si ritruoui fuori di lei. Diciamo per essempio che l’ira d’Achille, fauola, ò soggetto del poema d’Homero, hebbe origine delle cose; ch'à lei precedettero nella guerra Troiana; le quali erano fuor di essa, poscia che’in altro tempo accaddottero, che quella non auuenne. Cosi nell'Edipo (per non partirmi dall'altro essempio communemente approuato) origine alla fauola dierono le cose di già occorse uiuendo Laio, e morendo egli, circa Edipo. Ciò fù l'oracolo; l’essere esposto; alleuato da Polibo; d'ammazzare suo padre; l’hauere per moglie sua madre; e per questo il uenire addosso de gli Thebani crudelissima pestilenza. Lo stesso hà medesimamente la favola del Pastor Fido; e uiene ad essere tutto ciò, che nel principio dell'historia raccontai; cauandolo per lo più dalla seconda scena del primo atto di detto poema. Questo e’l fondamento, la base, l'origine di quanto auuenne poscia in quel giorno, che fù liberata l'Arcadia dall’ira di Diana per mezo della ricognitione di Mirtillo. E questo anchor'io considererò; e poi passerò all’attioni di quel giorno. Sò che ne gli episodi, ò nel uerisimile altri harrebbe forse collocata questa parte. A’me altrimenti è paruto; da che l'ordine non si confonde, e l'essenza delle cose non si muta. Dunque vari dubbi stimo, che nascer possano intorno all’inuentione, ò diciam’origine del Pastor Fido. Apporterò’l testo; proponendo sopra’l luogo addotto il dubbio. Narrasi nella seconda scena del primo atto l'origine della promessione d'Amarilli à Siluio fatta per gli padri loro, & si tesse historia di certe usanze uecchie fra gli Arcadi, circa’l sacerdotio di Diana dicendosi.

In quell’età che'l sacerdotio santo, E la cura del tempio ancor non era. A'sacerdote giouane contesa, Vn nobile pastor chiamato Aminta Sacerdote in quel tempo, amò Lucrina Ninfa leggiadra à merauiglia, e bella.

Ma senza fede à merauiglia, e vana. Nell’inuentione presente si finge che’l Sacerdote di Diana potesse fare all'amore colle ninfe, e tuttauia da modo nell'impurità accostarsi all’altare per sacrificare alla Dea. Io non sò quanto bene, e conueneuolmente ciò si finga: Percioche se ne gli altri sacrifici, e sacerdotij spettanti ad altre deità la castità, e la purità di mente si ricercaua ne i Sacerdoti (& appunto nell'atto del Sacrificare) quanto maggiormente credere dourassi, che ciò sommamente, & a bello studio s’habbia da procurare nel sacrificio, e sacerdotio di Diana Dea della virginità? E per gli primi che uogliano questa purità ne i sacerdoti, ui sono li poeti. Tibullo nel 2. libro, nella prima Elegia, parlando di sacrificio pertenente à Bacco, & à Cerere, dice così, (ab aris Vos quoque abesse procul iubeo; discedat Cui tulit externa gaudia nocte uenus. Casta placent superis:) con ciò, che segue: E quell'altro poeta molto più isquisita purità giudicò douer ritrouarsi nel Sacerdote, che staua per sacrificare, quando disse:

Perque nouem noctes Venerem, tactusque uirorum In vetitis memorant.

Onde uenia ad essere somma sceleratezza nel sacerdote l'accostarsi per fare il sacrificio, sendo contaminato non d'homicidio, ò sì fatta enormità, ma solo di contatto uenereo, e bene ancho poco. Quindi è ch’i Sacerdoti di Cibele si priuauano de i genitali (come d'Ati si legge) per uiuere castamente.

Et in Atene altri si ritrouaro, che si beuettero la cicuta per rimanere senza io stimolo della carne. Anzi che si legge anchora molte femine douenti initiarsi nel sacerdotio per frenare la concupiscenza hauersi fatti letti di folgie di uitice. Inoltre chi è colui, che non sappia la purità, ch’osseruauano le Vestali sacerdotesse della Dea Vesta? Ma sentiamo lo stesso da Demostene affermante cosi nell'oratione contra Neaeram.

Sum enim pudica, & pura, & casta ab alijs puritati adversantibus, & ab hominum congressii.

E più chiaramente nell’oratione contra Timocratem:

Ego sanè sic existimo, eum, qui ad sacra accedit, & res sacras sit tractaturus, aut res ad Deos spectantes curaturus, oportere non pradictum, aut statutum numerum dierum esse castum, sed per uniuersa uita sue cursum ab huiusmodi tu upibus studijs abstinuisse.

Però se à far Aminta Sacerdote; e di Diana; che non solo non ui ua casto per tutto’l tempo di sua uita, ma neancho s'astenga da gli atti pertenenti ad amoreggiamenti, e lasciuie nel uolere sacrificare, bene stia: torno à dire; io ne stò molto dubbio. A questo medesimo non pote Platone acconsentire giamai, anzi determinò nel sesto delle leggi, ch’i Sacerdoti, e le Sacerdotesse entrando in quest'officio non hauessero meno di sessant’anni; contra pure quanto si suppone, che si facesse per l’adietro in quei uersi:

In quell’età, che’l sacerdotio santo, E la cura del Tempio ancor non era A’sacerdote giovane contesa:

Secondariamente potrebbesi portar dubbio (che dal primiero sono sbrigato) circa quanto si dice in que sti uerfi:

Volto pregando a la gran Dea, se mai Disse con puro cor Cintia, se mai Con innocente man fiamma t'accosi, Vendica tù la mia sotto la fede Di bella Ninfa, e perfida tradita.

Si finge ch'Aminta ardendo d’amore d'una Ninfa, e quella rompendogli la fede, ò per meglio dire non uolendo lui amare, & assentir à sue richieste, si dispose di uederne la uendetta; Et cosi pregò Diana, che uendicare uolesse il suo amore da quella sprezzato. Io per me ritruouo, che quando alcuno vuole impetrare gratia; à chi là può fare suole ricorere, è non à colui, alquale non aspetta la richiesta di quanto si prega: ch’altrimenti fuori di proposito sarebbe. Da Cerere la fertilità di biade; da Bacco l’abondanza del uino; da Pallade la sapienza; & da Venere, & da Cupido si prega di potere ottenere la gratia dell'amata: ò dello spregiato amore la uendetta: Et l'essempio per non andare altroue cercando, si può hauere nello stesso Pastor Fido: Amarilli entra in certa spelonca per corre Siluio in amore furtiuo, & cosi potersi liberare dalla fede à quello datta, dimandando aiuto celeste, ricorre à Venere Dea, cui spetta l'amministrare d'equità nell’amore: Queste sono le parole sue.

Bella madre d'Amore Fauorisci colei, Che'l tuo soccorso attende. Donna del terzo giro, Se mai prouasti di tuo filio il fuoco. Habbi del mio pietade: Scorgi, cortesi Dea, Con piè ueloce, e scaltro Il pastorello, a cui la fede ho data. Il Satiro, che diuellere non potea quel sasso, inuoca Pane suo Dio potente in ogni cosa; e dice. O’Pan, che tutto puoi, che tutto sei. Muouiti a preghi miei.

Cosi Giunone uolendo scommouere il mare se ne corre ad Eolo Rè de uenti, e non a Plutone. Vn altra uolta si uolle congiugnere insieme di copola carnale Didone, & Enea; & si ricorse à Venere, è non à Diana, ò Pallade.

E cosi per finirla dee passare il negotio circa’l potere dell’altre deità. Nella presente fintione riccorre Aminta per aiuto dell'amor suo à Diana, che non hà potere in quest’ufficio; & uale più tosto per contrario effetto; fìngendosi, ch'ella hauesse sempre mai in odio le cose ueneree. E chi la uolesse pure pregare, send’essa Dea della uirginità, per conseruatione di quella inuocare la potrebbe come appunto habbiamo, che fece in Ouidio Aretusa, nel 5. delle sue Trafformationi, dicendo.

Fer opem, deprendimur, inquam, Armigera Diana tua, cui sepe de disti Ferre tuos arusus, inclusaq tela pharetra

Anzi castigò, come sappiamo, seueramente la figlia di Licaone Calisto, diuota del suo coro per hauere à Gioue fatto di se copia; benche ingannata; & isforzatamente; tanto puote la cura, e’l zelo della uirginità in lei. Onde pare potersi dire della presente inuentione, che pecchi nella conueneuolezza dei fingere cose non riceuute communemente. Odesi, che questo si difende coll’auttorità di Pausania, (che di là e tratta questa favola) & è dou'egli narra l’historia di Coreso, e Caliroe. Ma in ciò sento maggior dubbio, quondo che non mi sò persuadere, che’l pescare in auttori antichi l’inuerisimilitudini, & sconueneuolezze perrapportarle à i nostri tempi sotto l’ombra loro in poemi: & massimamente drammatici; sia lodeuolè. E più dirò, che Pausania più giudiciosamente, finge, ò narra simil caso; percioche Coreso era di Bacco Sacerdote, & pregò Bacco, uendicare uolesse l’amor suo; & esso Dio seruendosi dell'armi proprie, cioè dell'ebrezza, mandò castigo acerbissimo sopra’l popolo: la qual'inuentione pare potersi meglio tolerare, ò almeno difendere, che questa. Passo ad altra sorte di dubbio, e dico circa quelle parole

E saettò nel seno Della misera Arcadia non ueduti. Strali, & ineuitibili di morte. Perian senza pietà, senza soccorso D’ogni sesso le genti, e d’ogni et ade; Vani erano i rimedi, il fuggir tardo: Inutil l’arte ,e prima che l’infermo Spesso nel’opra il medico cadea.

Sembra molto conueneuole fingendo simili fatti, fare che quegli patisca, di cui è la colpa; ò siasi stato l'auttore, o pure ancho habbia prestato consenso al fatto: Perciochc punire chi non hà in se colpa veruna, senza produrre punto di causa, per cui a punirlo si venga, è cosa troppo inguista; indegna d’huomo, non che d’un Dio.

Quì si finge punita l’Arcadia di copa non commessa, nè mai sognata, non che mandata ad effetto: E'l castigo è tale, che se tutta l’Arcadia hauesse congiuato contra la virginità della stessa Diana, forse non sarebbe seguita sì horribile pestilenza, nè si sarebbe sopra di lei moltiplicata la pena, & cosi horrende leggi, & atroci sacrifici, per non dire macelli, imposti. Onde chi dubitasse sopra’l conueniente, e’l verisimile di questo fatto, non dubiterebbe, cred’io senza somma ragione. Et in particolare quella reduplication di castigo non hà punto del verisimile, mancando la cagione. Anzi altre volte Diana mandando pestilenze, non le replicò più d’una volta; come si legge appunto in Pausania nell’ottauo della sua Grecia. Ma sia, che ciò fosse poco, ogni uolta, che non fosse stato viuo'l delinquente. Quella, sopra della quale doueasi fingere so sfogamento dell’ira di Diana, viuea; & era Lucrina: hora perche non si castigaua al primo tratto Lucrina, senza frapporui l'innocente Arcadia, e suscitare tante lagrime, tanti horrori, e tante morti fra la gente?

Succede l'oracolo. E per dire il vero nel Pastor Fido vi hà gran numero d'oracoli per poema drammatico. Nell’Eneide ch’è poema narratiuo, & si lungo, non credo ve n’habbia più di quattro, ò cinque intesi però formalmente; nel Pastor Fido ne sono per fino à sei, e fors’anco sette; annouerandogli le parole del vecchio Tirenio, che sono anch’esse come oracolo.

Oltre à ciò varie conditioni sì nel le predittioni dell’ocacolo, come ne i riti del sacrificio si trouarono; delle quali tutte succedendo di mano in mano ragioneremo. E quanto alle preditioni conditionate tra l’altre vè quella, quando si dico

Per man d'Aminta in sacrificio offerta.

Dice l'oracolo: sdegnata è la Dea; si placherà sacrificandosele ò Lucrina, ò altra vergine Arcada: ma uota, che dee essere sacrificata per mano d’Aminta: E' dunque d’auuertiro questa appendice: perche da so l’historia à ciò non si conducea, se non v’era finito aggiunta. Quindi pare ch’a molto debil filo s’attenga la fauola del Pastor Fido; percioche, se com’era’l douere alla prima si castigaua Lucrina (se pur castigar doueasi) e da chi’n tal caso saria stato conueneuole, senza cotante cerimonie d’orocoli, forse che non succedea; quanto successe, e cagionò la presente fauola. Inoltre se l'oracolo non commandaua, che si sacrificasse Lucrina per mano d’Aminta, forse (anzi di certo) ei non s'uccidea: perche la cura s'harebbe commessa à i ministri, & egli non essendo presente à quel fatto, & in procinto di sacrificare altrui, non haurebbe hauuta forse occasione d’ammazzare se stesso. Et in vero io non sò, che necessità vi fosse per la parte dell'oracolo finto, che douesse importe la morte di Lucrina per mano d'Aminta. Lucrina hauea peccato; sù; doueasi castigare: Muoia per mano d’un ministro, poiche potea farsi, & anticamente si facea: Perche non si viene à sodisfare all’ira divina, s’è morta la peccatrice, sopra cui cadea l'ira? In somma, che necessità la condanni à morire per le mani d’Aminta, non veggio. Hora per ritornare al primo proposito; il filo à cui s'attiene si gran mole di fauola par molto debole, come s’è veduto. Se mò lodeuole ciò sia, lascio, ch'altri ne dia sentenza. Mentre s'attendea la morte di Lucrina da gli astanti al sacrificio; Aminta in vece di lei repentinamente vccise se stesso; dicendosi nei racconto di tale historia.

e cosi detto

Ferì se stesso, e nel sen proprio immersi Tutto’l ferro ed essangue in braccio a lei Vittima, e sacerdote in un cadeo,

Quanto dunque à si fatta parte, fingendosi

ch’Aminta s’uccida, appare più tosto delusione dell'oracolo, che altro. S’hauea finto, che l’oracolo commandasse la morte di Lucrina; e poi si fà morir Aminta: Doueasi prima adempiere ciò, che pria fù commandato, & indi se si uolea morto Aminta, uccider poscia lui parimente. Oltre ch’è da dubitare, quanto si dia ad intendere uerisimilmente, ch'alcuno si risolua à cosi fatta impresa, come di morire in un punto, in un subito per altrui; e per una, sopra della quale egli stesso dalla sua Dea istantissimamente pregato l'hauea, & ottenuto uendetta.

Predisse l’oracolo, che per la salute d’Arcadia si douea uccidere Lucrina. Morì uiolentemente Lucrina, e pagò la pena del fallo; ma non cessò la pestilenza: dicendosi:

L’ira s’intepidì, ma non s'estinse, Che dopo l'anno in quel medesmo tempo Con ricaduta più spietata, e fiera Incrudelì lo sdegno.

Continoandofi dunque nel fingere più che mai afflitta l’Arcadia, etiandio morta Lucrina, par necessario ò di conchiudere l’oracolo non hauer saputo predire, ò’l resto della pestilenza fingersi contra ogni douere, e contra l'intentione dell’oracolo stesso; ma solo per dare materia, e dipendenza

all'attione del Pastor Fido; ch'in altra maniera nulla riuscia; douendo per ragione immediate alla morte di Lucrina cessare la pestilenza, & spegnersi l’ira di Diana. Che se mi si dicesse, che per la morte d’Aminta seguì; qual colpa di cio hauea l'Arcadia? & perche introdur, che s’intepidi, & poscia più fiera, che mai ne risorse? anzi perche badò à farsi sentire à capo l’anno? Pare che poco ò niun conto più tenere ne dovesse Diana: mentre hauendola Aminta pregata con buona ragione di uendetta, egli poi cosi fuori d’ogni proposito era uenuto ad atto furioso d’uccidere se medesimo.

L'oracolo ch’impose à gli Arcadi’l sacrificio di humana vittima, commandò anchora, che douendoli sacrificare togliessero.

Vergine, ò donna quarto Che'l terzo lustro empiesse, ed oltro a Non s’auanzasse.

Qui necessità non si scorge molto ragioneuole di questa limitatione di età nel sesso feminile. Almeno se poi ch'altro non hà, fosse cauata da cerimonia simile antica ne i sacrifici di Diana (come faria mestieri che molt’altre fossero di la tolte) forse scorrerebbe. Perche di gratia donna ò di quattordici, io di uent ‘un’anno uien

esclusa dal sacrificio? Ma non solo senza necessità appare questa legge perdotta; ma etiandio più che troppo ingiusta, che solamente le donne, ò uergini di quindici, fin’ à i uent’anni hauessero ad hauere timore della, propria uita, ch’un giorno loro non conuenisse darla in horrendo tributo alla Dea sdegnata. In somma ò douea cadere sopra tutte, o sopra niuua. Conchiudiamo dunque, che quell'esclusione necessità, o ragioneuolezza non habbia. E quando pure iscludesse le donne maritate dall’essere sacrificate; passerebbe; potendo per auuentuta inuentarsene la cagione. Non così già si facea nella region Taurica, doue si sacrificauano tutti, fossero vecchi, soffero giouani; senz’hauer riguardo uetono all’età.

Hora quello stesso oracolo, ch’impose’l crudele sacrificio, u’aggiunse di più l’infrascritta legge. Qualunque Donna, ò donzela habbia la fe d’amore Come che sia contaminata, ò rotta, S’altri per lei non muore, à morte sia Irremissibilimente condannata.

Hò già dubitato di non poche inuerisimilitudimi, cioè di qualità di uita, e costumi del sacerdote; di deita malamente usurpata; d’atrocità grande, e moltiplicata; di numero d’oracoli, e

conditioni sue, e d'altro: Hora passando ne i dubbi propri d'essa legge; par’anchora essere inuerisimile per l’altre infrascritte cagioni. Primieramente nel punir la maniera del peccato, quando si dice:

Come che sia contaminata, ò rotta.

Inaudito genere di giustitia par questo, e da non credere, che si possa ritrouare appo verun popolo; Ciò dico, perch’in quel contaminata, si deue intendere fino'parlare, ouero ascoltare semplicemente alcuno amante, come in quel luogo s’accenna:

Misera lei se risapesse il padre Ch'ella à prieghi furtiui hauesse mai Inclinate l'or ecchie, ò pur ne fosse Al Sacerdote suocero accusata.

Dimandaua Mirtillo di solo poterle dire due parole, & Ergasto li tocca la pena grande in cui potrebbe incorrere: Se dunque la pena della uita di stendea fin'alle parole; dura, & incredibil era la legge, perche i peccati non si castigano tutti con vgual pena: & suprèmo è’l castigo della morte. Onde se hauesse violato à bella posta co i fatti la detta fede, maggior pena non si uenia à ritrouaio per castigar più acerbamente il maggior delitto. Perche altro dire non possiamo in cotal fatto, se non che troppo immanità albergasse in un petto diuino.Et con che

ragione si sia varcato all’eccesso non veggio. Alle predette cose aggiugnere si ponno due altre considerationi sopra questa legge: l’una è, che per fè d'amore fede maritale s'intende: l'altra sopra quella conditione, ch’annessa è alla legge:

S’altri per lei non more.

Quanto alla prima, per cosa euidente si dee tenere, che fè d’amore altro non significhi nel poema, che fede ma ritale, come si fà manifesto in Amarilli, c’hauendo data la fede maritale à Siluio fù detta hauer peccato contra la fede: e quell'era la fè d'amore nominata nella legge: cosi dice anchora di Corisca il Satiro. Quanto dunque à cotai due uocaboli, io dubito, ch’altro non ispecifato, mai non potranno significare, quanto si pretende; atteso che Amore non è lo stesso con Himeneo. Quanto poi à quella particella della legge:

S'altri per lei non more.

Altro non sembra potersi dire, se non ch’introdotta sia solo per seruire alla fauola, perch’altrimenti Amarilli era spedita. Oltre che troppo e ingiusta, e fors’anco superflua; quando in tal caso, come di profanare la fede, cosa iniqua parrebbe, com’io predissi, il punire persona, che colpeuole non sia; e lasciar'andar senza pena colui, che

fece’l delitto. Nè suole auuenire ch’altri uoglia per altrui publicamente morire senz’occasione, e forse poco giusto, & giuditioso stimato sarebbe quel legislatore, che imponendo pena di morte, aggiugnesse uoler’assoluere il delinquente, s'altri per lui al patibolo s’offerisse.

La stessa legge, come di sopra habbiamo raccolto, venne limitata, e sua intentione dichiarata da molte appendici; lequali medesimamente furo ordinatamente registrate. Onde poiche detto habbiamo di lei, & della sostanza sua; passeremo à fauellare d’esse appendici; ò paragrafi, che uogliam dire. Fù’l primo quando si determinò; che se la sposa ritrouaua lo sposo in atto di perfidia, potesse rifiutarlo; altro però di male non auuenendò à lui, come alle donne auueniua. Conditione in uero com'io dubito troppo ingiusta; di legge, che lieuemente castighi l’huomo & sì atrocemente la donna; poiche non meno contamina; e rompe la fè d’Amore, ò maritale, che s'intenda, l’huomo, che la donna. E di tale statuto potrebbono le donne giustamente richiamarsi; come appo il Boccaccio Monna Filippa. In questa parte scorgere possiamo quella particolare intentione, con che s’è ì detto parer finta la legge, che fù di

poter condurre, e tessere, la favola del Pastor Fido: Perche se ciò non era, non venia in cuore à Corisca di persuadere ad Amarilli, quanto le persuase per lo disturbo delle nozze con Siluio. Il secondo glosaua quel membro:

S’altri per lei non muore, dicendo, non douere essere forastiero, chi morir per altri volea. In questo particolate chiedere si potrebbe che cosa quivi l’essere forastiero importasse; atteso che non morendo chi peccò, nulla più doueasi guardare allo scegliere vno, che un'altro; tutto che ciò sarebbe poco, quando la sopra scritta, conditione s’offeruasse. Carino vo Iendo morire per Mirtillo non pare e Mirtillo forastiero pure può per Amarilli. E che fosse Arcade, chi in gratia sapere lo potea; s’erano solo tre mesi, ch’era in Aradia, e mai più per lo passato quiui alcuno veduto non l’hauea in 19 anni, à i quali era giunto? Oltre che Ergasto benissimo sapea, ch’Arcade non era Mirtillo, e potea farne auuertito’l Sacerdote Montano. Onde n’auuiene di questo doppio dubbio: i1 primo, che non s' osserua quanto commanda la legge. Il secondo, che troppo negligenti si fingono i sacerdoti; perche senz’altro si mettono à sacrificare vno, che per

Arcade ò niun patto potevano riconoscere. Il terzo, & quarto paragrafi di detta legge furono, come dicemmo, che s'alcuno à morire per altrui togliea, campare per altrui offerentesi allo scampo suo non potesse; e c’havendo à morire, sacrificar si douesse nel luogo; oue fu commesso il fallo. Il che sembra per puntellare la fauola del Pastor Fido; benche più del terzo, che del quarto ciò si può dire, perche'l quarto appunto per far vedere'l sacrificio in iscena par finto: altrimenti s’à Carino riguardiamo, tant’era, se nel tempio si facea il sacrificio, conducendoui esso Carino, e per vn messo facendolo raccontare. Ma perche à far vedere al popolo il sacrificio nè ancho ciò bastaua, bifognò volgere sozzopra tutte le leggi, & mettere glose sopra glose, e dire (che fù nel quinto S.) ch' à cielo scoperto sacrar si douea: senza la qual conditione hauerebbesi hauuto à fare il sacrificio nell'antro. Il sesto vuole che taciturna la vittima si moia. Pare veramente, che sia posto solo per fare interrompere il sacrificio al parlare di Mirtillo; ch’altrimenti non succedea la disputa di Carino, e del sacerdote; perche senz'altro indugio si douea sacrificare, non aspettando altre ciancie d’un tal vechio forastiero, importuno.

E poco di grauità à legge sacra conueneuole sembra contenere la presente appendice; mentre sturbandosi il sacrificio al parlare della uittima doueasi reiterare tutta la cerimonia ogni uolta. S'à chiunque sia; c’hauesse tolto à morire per altrui fosse saltato in capriccio di far ridere la gente, e beffare la Dea, e la sua legge, e’l Sacerdote; la migliore occasione del mondo hauuta n’haurebbe; cioè col cauellar; solo quando staua per doversi sacrificare; cosa in uero à materia così importante, come Dei, e cose sacre, disdiceuole, & che col pensiero riducendola in prattica, non si può quasi ramentar senza riso. Ma di non minor ualore è’l settimo, anzi ch'appare, se bene si considera. contrario al sentimento dell'antecedente. Di sopra si disse, che chi s’offerse per altri à morte, per altrui non potea più campare. Fù detto poi; che parlandola uittima si reiteravano le cerimonie tutte, e tra l’altre di nuouo faceasi’l uolontario uoto di morire. Consideriamo quanto si dice. Costui; da cui uenia sturbato il sacrificio douea prender di nuouo il uoluntario uoto (se pur lo uogliamo dir uoto) e questo per saluar altrui. Hora mentre di nuouo prendeasi uoto; chiaro è, ch’egli, che facea il secondo

uoto, era fuori dell’obligatione già contratta per lo primo: altrimenti non sarebbe occorso rinouellarlo. S’era fuori, dunque era di sua libertà; potea sì prendere il uoto di nuouo; come non: E di ragione, se più non hauesse uoluto prenderlo, succedea di tre cose l’una: O’ che non morisse egli, nè anchor la rea; il che deludendosi l’oracolo, era sconueneuole; O'che si facesso morir la rea, il che era fuori di ragione, poiche fù assoluta una uolta: O’ ch'un’altra terza persona s’offerisce al morire: il che sarebbe stato (come dicemmo) contra la legge chiarissimamente.

L’ottauo, come gli altri, anch’esso pare mera inuentione per seruire alla scena. In cosi poco la uita di Mirtillo consistea: se’l sacerdote non fingea la presente legge (cio è di non poter sacrificare humana uittima in faccia al sole) non lo riconoscea Carino, e necessariamente moria Ma secondo, che si finge Carino essere dietro à Mirtillo; e però bisognò fingere di nuouo legge per fargli uoltare la faccia uerso Carino; forse con minore impaccio collocar si poteua Carino in parte, che mirasse Mirtillo, senza produrre appendici. E tanto più quanto la ricognitione potea seguire medesimamente con la contrasti; come

seguì. E finalmente il nono, e’l decimo, sono dello stesso tenore, che gli altri. L'uno vuole, che per altra mano cadere non possa le uittima, che per quella del maggior Sacerdote. L'altro, che li ministri minori non possano fauellare co i rei. In quello non credo si scolgerà ueruna ragione: bene vsanza in contrario si può leggere nell’Ifigenia in Tauris; doue Ifigenia ch’era la maggior sacerdotessa, di ce di far sacrificare alle ministre le humane uittime. Nè di quest'altro parimente penso ragione si sappia, ò sapere si possa. A che si uog]ia, che serua, è ben chiaro. S’Ergasto ministro minore potea favellare con Mirtillo, tutti li trattamenti di Corisca; & gli auuenimenti d’Amarilli, e di Mirtillo si palesauano per mezo suo; e’l sacrificio andaua in nulla, insieme con la ricognitione. De gli ultimi tre non dirò altro, parendo finti fuori d’ogni necessità imaginabile, ma solo per dar’occasione che senza interuallo, cioè all’hora all'hora, le nozze tra Mirtillo, & Amarilli conchiuder, & effettuar si douessero. Per le quali tutte già dette cose, hora di nuouo, & piu gagliardamente mi si fa innanzi’l dubbio, che di sopra accennai; se sia lecito fingere à suo modo senza fondamento d'historia il luogo; le persone; l’attione;

sei oracoli, una legge imaginata con 13. appendici, che siano il factotum della fauola; & un’indouino anchora seruente alla causa; & sopra cotali fondamenti ergere la fabrica d’un lungo poema drammatico; & non solo ciò; ma professare anchora, ch’egli mutate sol'alcune cose sarrebbe Tragedia. Pare certo che molto facile fariasi in questo modo il compor le Tragedie, che per altra uia sono di tanta importanza. Et in somma le sì fatte inuentioni à me hanno sampre sembrato peggio, che lo scioglimento tentato da gli antichi per le machine; mentre non sapendo sciorre le fauole, introduceano Dei, ò altra spetie di machina ciò operante. Ma quì non folo si scioglie, ma s’annoda anchora; & tutta la fauola pare condursi & formarsi per questa uia. Intorno alla quale per che maggiormente appaia la ragioneuolezza del dubbio mio, non uoglio rimanermi, fra le auttorità de gli spositori, di notar quì le proprie parole d’uno d’essi di molto grido; che seruono cosi per le Tragedie, come per le Comedie; & per l Epopee: & son tali.

Non si creda perciò alcuno, che i formatore della fauola della Comedia habbia licentia di trouare ò Città nuoue

& imaginate da lui; ò fiumi; ò monti; ò regni; ò costumi; ò leggi; ò di tramutar’il corso delle cose della natura &c. Percioche li conviene seguire l’ historia, & la uerità, se in formare la fauola auuerrà, che li facia bisogno di tali cose si come parimente conuiene a colui che forma la fauola della tragedia. & dell'epopea.

Ma procedendo innanzi: Oltre quanto s’è detto, & discorso sin'hora, sembra esserui etiandio altre cose che fanno pur dubbio intorno all’intrapresa parte di ciò, ch'antecede la fauola come sarebbe; Che'l fiume Ladone inondando portasse uia Mirtillo in culla, & lo riponesse sopra un’isoletta, conseruandolo intatto da ogni rouina. Prima non par uerisimile ch’un popoco di schena d’un’isoletta attrauersante uno fiume, o torrente sì grande, & sì rapido, in tal caso coperto non fosse dall’acque; poiche furon tali, che come si dice seco portaro.

le mandre E gli animali:

Sì che la culla ui si hauesse potuto tra tenere. Se ciò si dicesse d’un uassello, >il quale ben carico à forza di uenti fosse stato rispinto in secco, & cacciato buona parte sotto l'arene passerebbe; ma d’una culla con pochissimo

peso, ch’andaua secondo, che’l furor dell’onde trasportare la douee, pare altrimenti. Si dice in oltre, che Dameta seruo trouato Mirtillo, poiche li uenne in pensiero di sapere la uentura di lui per uia dell’oracolo, andò ad Apollo, e seppe ogni’cosa, che succedere di sinistro: E per ciò non lo ritornò al padre, ma finse di non l’hauer trouato. Non par uerisimile, ch'ad un seruo intento all'ubbidire al padrone uenisse capriccio di questa sorta: egli é da otioso più tosto. Fassi ben uerisimile per contraria che ritornasse, quanto più tosto potè, al padre, per consolarlo del rammarico, qual egli sapea, che sentiua per la perdita del figliuolo. E finalmente si dice, ch’essendosi Mirtillo acceso d'Amarilli, scoperse il suo amore ad una sua sorella; >la quale lo uessi da semina; e s’introdusse fra la compagnia d'Amarilli per mezo di detta sua sorella, nè fu da ueruna per huomo, e per Mirtillo riconosciuto: Varie cose ha qui, che se bene ui si considera, paiono contra'l verisimile. Prima, che sua sorella ardisse di condurlo seco fra lo stuolo di quelle donzelle, e non temesse, che fossero ambedue scoperti, e mallamente trattati: Atteso che potea facilissimamente imaginarsi, che Mirtillo era conosciuto

in Elide, & che nella detta compagnia sendouene di paesane poco ui harrebbe uoluto ad iscoprire ogni cosa. E forse che poscia à baciar’Amarilli non s'accostò, ma stette in disparte per celarsi, o pure baciandola à pena la toccò, & subito partì non piu ueduto da lei: Stette sempre fra quel le giouani à uiso chiaro, ch’ogn’una uedere lo potea; & era d’anni 19. (se ben mi ricorda) e saporosissimamente baciatola, come dic’egli stesso:

Poco mancò, che l’houuicide labbra, Non mordessi, ò segnassi.

Anzi che n’hebbe in premio la ghirlanda, >la quale donò poi subito con molte cerimonie à colei, che l’hauea coronato. Ma oltre di questo, cioè ch'inuerisimilmente paia condursi Mirtillo fra quelle giouani; dico ch'Amarilli forse lo douea hauere ueduto. E se ueduto l’hauea, come stà, ch'egli à quella s’accoltasse, & senz’esserne conosciuto la baciasse? ò pure se conosciuto fu da lei come non escluso per uiolatore dell’honestà sua, & dell'altre? Ma se tacque per modestia, perche, coronarlo poi dandosi uanto della più scaltra baciatrice fra tutte? Non era questo dono della corona un’inuito efficacissimo al rimanente della brigata d’offeruarlo, & di uoler per ogni modo saper chi fosse, come’auuiene

per ordinario ne i vincitori? Ma ch’Amarilli non lo conoscesse, & quando fù baciata non sapesse da lui esser baciata, non si può quasi dire, poiche cosi ella ragiona nel terzo atto alla scena terza.

I dico all’hor, che tù tra nobil coro Di vergini pudiche Libidinoso amante Sotto habito mentito di donzella Ti mescolasti, e i puri scherzi altrui Contaminando ardisti Meschiar tra finti, & innocenti baci

e quello, che segue. Onde se lo sapeua pare essere stata l'attione sua dishonesta, & pericolosa: & l'hauergli attribuita poi la uittoria; & coronatolo, & riceuuta in dietro da lui la corona esser’introdotto importunamente, rispetto all'atto del colarsi, & del dissimulare, che si pretende; alche ciascuna di queste cose era senza fallo contraria, & nociua molto.

Ma è tempo che passiamo à i dubbi sopra la Fauola stessa, nel modo che fù proposto.

DIstinse Aristotele il componimento drammatico in parte di Qualità, e di Quantità. Lasciamo per hora quelle della Quantità, & appigliamoci all’altre. Queste sono sei, cioè, Fauola, Costumi Sentenza, Locutione,

Apparato, è l'ultimo) dirollo con uoce Greca) Melopeia. Di più uolle Aristotele (per quanto appartiene al nostro presente discorso, & à dubbi, che ci ritrouiamo) che la buona fauola fosse Tutta: Grande proportionatamente: Vna: Verisimile: Non Episodica: & Ammirabile. Presupposti quest'insegnamenti, andremo considerando, come s'affacciano al Pastor Fido. Primieramente si vuole che la fauola sia Tutta. Il Tutto è composto di principio, mezo, e fine; però la fauola dee hauere principio, mezo, e fine. Principio e quello, che se bene altronde dipende, tuttauia per se stesso può stare quasi d'altro non dipendesse: In questo principio non solo si ricerca, che per se stesso possa stare, ma che sia cagione anchora, & origine di cosa, che dopo lui, & per lui naturalmente auuenga. Il Pastor Fido hà principio: nè di questo si può dubitare. Quanto c'è di scrupolo intorno ad esso suo principio è per una conditione com’io, dicea in lui richiesta; cioè, ché per esso, & da esso si faccia, e dipenda quanto poscia succede. Et di questo, che uien etiandio à condurci alla consideratione de i mezi li quali deono esser dipendenti, come si e detto, io non uo stendermi à ragionare: bastando il legger con diligenza l'historia già registrata;

& dal contenuto di essa far giu dicio dell’un’, & l’altro. Dirò dunque due parole d'intorno al fine: Conciosia che send’egli quello, dopó cui niente altro accade; pare in questo poema fuori di sua natura compariui arricchito; mentre alle ricognitione di Mirtillo può leggitimamente cessare la fauola, bastando supporre lo sposalitio, & tutto il resto; & nondimeno si pospone à quello non solo l'andata; uenuta dal Tempio d'Amarilli, e Mirtillo, ma le nouelle anchora uenute à Corisca de i successi passati, & la conuersione di lei; >la quale punto non hà che fare col uero principio, ò co i ueri mezi, ò col uero fine di questo fauola.

Vuole per seconda conditione Aristotele, acciò bella riesca la fauola, che sia grande, ma non però d’ogni grandezza, sol di quella, ch’à lei si proportiona; in guisa che s’attenda la sua bellezza da due cose; da grandezza proportionata; e da leggiadra ordinanza delle sue parti. Supposta questa conclusione, dubitiamo del Pastor Fido. E, primieramente non si potrebbe negare, se la semplice grandezza facesse bello il poema, che questo non fosse oltre modo bello; poiche non è grande, ma per poema drammatico è grandissimo; Ma i termini, che circoscriuono

la grandezza lodeuole sono quelli, che rittocano in dubbio questa sua lo de; poi che e troppo lungo apparisce, & che un siano anchora le parti mal ordinate. La lunghezza per piu ragioni suole nascere ne i poemi: O perche la fauola non sia una: ò perche l’attione in se stessa quantunque una sia molto lunga: O perche gli episodi siano troppi; O finalmente, perche la spiegatura si sia tirata souerchio in lungo; come non poche fiate veggiamo farsi da i poeti trattenentisi in uaghezze, in descrittionti, e simili cose. Di tutti questi capi, per gli quali riesce troppo lungo un poema, buona parte pare ha uerne il Pastor Fido perche cresciuto pare più che troppo per la doppiezza di fauola, di cui à suo luogo ragioneremo: & per l'immensa mole de gli episodi: & per la qualità della spiegatura. Et di gratia chi non dubiterrebbe, che fosse più tosto tanta materia d’Episodi per un poema Epico, che drammatico? per un poema di molti giorni, che d’un solo? E che dico d’un solo? d'un’ambito di Sole sopra la terra? Sono gli Episodi tanti, e sì lunghi; che solamente lo sceglierli tutti foranoioso. Quinci io ne ramniemorero alcuni con alla sfuggita. Vi sono le cose tutte di'Sìluio, Linco, e Dorinda, Siluio ua à caccia; disputa d'amore

con Dorinda; corre quà, e là dietro à cani, ammazza un terribilissimo Cinghiale; trionfa; ferisce di nuouo uscito di casa Dorinda stimatala un lupo; se n'accende all’improuiso; tutto che l'odiasse poco à dietro à morte; diuenta dottissimo in Amore; la sposa; & la fa sua donna in quello stesso giorno, guarendola di una molto graue ferita. Tutte cose per quali fornire non sembra à bastanza una settimana quasi, non che un sol giro di Sole sopra la terra. Nell’historia poi di Mirtillo u'è lo scoprire l’amor suo ad Ergasto; l’andata d'Ergasto à Corisca per Mirtillo; il ritrouare Mirtillo, da poiche era corso.

Al fiume, al poggio, Al prato, al fonte, a la palestra, al corso,

per ritrouarlo; la narratione dell’amor di Mirtillo; il rapportarla à Corisca; le trame di lei con Amarilli; l'essere presa dal Satiro; & egli schernito: i balli: il giuoco della cieca fatto d'Amarilli: l’esser presto Mirtillo: il racconto delle sue passioni amorose: il cicalamento d'Amarilli, e di Corisca: le nuoue frodi di costei con Amarilli, e Mirtillo: le dicerie di Mirtillo disperato: d'occultarsi nell’antro: l'esserui dentro chiuso dal Satiro insieme con Amarilli: l'esser auisato il Sacerdote dal Satiro; la presa de gli

amanti: la disputa di Nicandro, & Amarilli: gli suenimenti, e rinuenimenti; l’essere costei sententiata à morte, l'offerirsi al morire di Mirtillo in uece di lei. la pugna d'ambedue: l'apparecchio al sacrificio di Mirtillo: le lunghe filatterie di Carino: il disturbo del sacrificio: la contesa caduta fra’l Sacerdote, e costui: la dichiaratione dell’oracolo per uia di Tirenio, l'andarsi al tempio per congiugner in matrimonio Mirtillo, & Amarilli: il successo dello sponsalitio: la uenuta loro dal tempio: l’incontro di Corisca: & il perdono da lei finalmente pregato, impetrato: e tanti altri diuisamenti: li quali sono stati compartiti in sì lunghi soliloqui, che credo di questi soli ne n'habbia dodici à numero di uersi mille, e più; in messi; condoglienze; descrittioni; & altre sì fatte cose. Se mò la serie di questi accidenti verisimilmente possa occorrere in un giro di Sole; se questa sia la grandezza ricercata d'Aristotele, io stò in gran dubbio; poiche non solo non par moderata, ouero eccedente di poco la statura ordinaria; ma trappassar di molto l'eccesso. La spiegatura poi, che fù l'ultima cagione, per cui dissi crescer le favole oltre i confini ragioneuoli, sembra anch'essa molto lunga. Il tempo, che si consuma in recitarla lo manifesta;

che dicesi communemente render lo spettacolo suo scommodissimo, anzi noioso. Ond’è forse che douendo recitarsi quest'ultima fiata in Mantoua alla presenza della Serenissima Regina d’Hispagna fù questo poema (si può dire) d’una mala maniera circonciso: conciosiache senza punto sconsertare cosa pur minima della favola, ch’importante fosse; li si leuarono versi intorno al numero di 1600. stimati otiosi. Et se sieno tali ò nò, oltre l'argomento che reca l'effetto stesso, pare poter’anchora più confermarci la serie medesima d’essi versi levati, di cui farò qui particolar mentione, perch’altri da se volendo li possa considerare. Nel primo atto, nella prima scena da quel verso

Che s’havess’io cotesta tua sì bella: inclusiue sino à quello: Una ninfa sì bella, e sì gentile. exclusiue, che intenderò cosi ogni volta senza più speficare altro: e da quello. Lino di pur se sai. sino à quello. Come vita non sia, e da quello. Folle garzon lascia le fere, et ama; sino à quello. Poi che lasciar non vuoi le selue almeno. Nella seconda scena, da quello. Ma grider an per me le piagge, e i monti sino a quello. Mirtillo amor fù sempre un fier tormento, e da quello. Ed io più innanzi ricercar non oso; sino à quello. Vorrei morir al men, si che la morte: e di quello. Misera lei, se risapesse il padre. sino a quello. Ma se ti guardi il ciel cortese Ergasto. Nella terza scena, da quello. Tal’hor meco ragiono ò s’io potessi. sino a quello. Cosi sdegno, e destre, odio, de amore. e da quello. S’altro ben non hauessi, altro trastulo. sino a quello. Cosi nella città uiuon le donne. Nella quarta scena, da quello. E che la mia fin quì l’obligo solo. sino a quello. Titiro fà buon cuore, Nella quarta scena da quello. Che’n sua natura placido, e benigno. sino a quello. Dunque d’ogni suo fallo, e tua la colpia e da quello. Di se tutto presume, e del suo volto. sino a quello. Me no uedrà, nè provera Corisca. Nel secondo atto scena prima, da quello. Dolci sì, ma non grati. sino à quello. Già fornito il su’ arringo hauea ciascuna. Nella seconda scena da quello. Mentr’io, che l'amo tanto in uan sospiro: sino a quello. Ma non sent’io trà queste selue un corno. e da quello. Chi crederia, che’n si soaue aspetto, sino a quello. Ninfa qui uenni à ricercare Melampo. e da quello. Ascolta bella ninfa, tu mi usi. sino a quello. Ninfa non più parole. Nella terza scena, da quello. Ti seguirò compagna. sino a quello. Ma con chi parlo? ahi lassa. Nella quinta scena. da quello: Felice pastorella. sino a quello Ma uedi là Corisca. Nella sesta scena da quello. Non ti bastaua hauer mentito il core. sino a quello. Amanti hor non son questi i uestri nodi? Nel terzo atto scena prima. da quello Tu torni ben, tu torni. sino a quello. Ma se le mie speranze hoggi non sono. e da quello. Lo’ altri non m'inganna. sino a quello. Ma qui mandommi Ergasto, oue mi disse. Nella terza scena. da quello. Ch’i t’ami, e t’ami più de la mia uita. sino a quello. Deh bella, e cara, e sì soaue un tempo. e da quello. A chi parlo infelice à un muto marmo? sino a quello. Se dianci t’hauess’io. e da quello. Tu mi chiami crudele immaginando. sino a quello. (Già no’l nego) è peccato. e da quello. Quella sana pietà, che dar potrei. sino a quello. Viui dunque se m'ami, e da quello. Tù sè troppo guardinga, se cotali, sino a quello. Non hò veduto mai la più ostinata. e da quello. Tal’ io gran tempo infermo , sino a quello. Tanto è possente amore, e da quello. Caro Mirtillo, e come l’orsa suole. sino a quello. Però saggio è quel core. e da quello. Però, che la bellissima Amarilli. sino a quello. O’bella impresa, ò ualoroso amante. e da quello. Infelice quel core. sino a quello. M’è più dolce il penar per Amarilli. e da quello. E se gioir di lei. sino a quello. O’core ammaliato. e da quello. E cortese, è gentile. sino a quello. Ascolt ami Mirtillo. e da quello. Come l'ombra del corpo. sino a quello, À te stà comandare. e da quello. Proval solo una volta. sino a quello. In somma io son fermato. Nell’atto quarto. seconda scena. da quello. S'io fossi un fiero can, come son Linco. sino a quello. Ma dimmi oue trouasti. e da quello. Quiui confusa in fra la spessa turba. sino a quello. Quante volte bramai. e da quello. Quante volte d’acorrerui, e di fare. sino a quello. Quand’egli di squamosa, e dura scorza. e da quello. Che più superba ogn’hora. sino à quello. E dopo hauerla impetuosamente. Nelle terza sena da quello. Deh cortese pastor non ti sia graue. sino à quello. A Dio cari pastori. Nella quinta scena da quello. Che’l ueder sol cattiua una donzella. sino à quello. Se la miseria mia fosse mia colpa. e da quello. Che ben giusto sarebbe. sino à quello. Ma troppo, oime, Nicandro. e da quello. Ch’assai più ageuolmente hoggi potremo, sino à quello Come dunque innocente? e da quello. Ninfa che parli? frena: sino à quello. Ninfa non ti lusingo, e parlo chiaro. e da quello. Drizza ghi occhi nel cielo. sino a quello. O sentenza crudele. Nella sesta scena da quello. O fanciul glorioso, Che sprezzi per altrui la propria uita. sino a quello O fanciul glorioso, Per cui le ricche, piagge. e da quello. O fanciul glorioso, Come presago di tua gloria il cielo. sino a quello. O fanciul glorioso, Come il ualor con la pietate accopi: Nella settima scena da quello. Haurai dunque pietà di chi t’inganna? sino a quello. Troppo felice, ed honorata fora. Nella ottaua scena da quello. Ma che tempi dissi’io? più tosto asili. sino a quello. Hor uà tù, che ti uanti. e da quello. Oper me fortunato. sino à quello Hor venga in proua, uenga. Nella nona scena da quello. O fanciul troppo sauio. sino à quello. Siluio lascia dir Linco. e da quello. O bellissimo scoglie. sino à quello. Ma tu Siluio cortese. e da quello. E voi strali di lui, che’l fianco aperse. sino à quello. Deh Linco mio non mi condur ti prego. Nel quinto atto prima scena da quello. Gli è uero Vraino, e troppo ben per proua. sino à quello. Nè sò qual altro in questa età canuta. e da quello. Ma qual fù la cagion, che fè lasciarti. sino à quello. Ma tempo e gìa di ricercar Mirtillo. Nella ottaua scena da quello, Narri tù sogni, o pur sognando ascolto? sino a quello. O se uedessi l’allegrezza immensa. e da quello. Ma goder di colei, per cui morendo. sino à quello. E tu non ti rallegri? e tu non senti. e da quello. O se tu hauessi. sino à quello. Non posso più Corisca

Et arriuano questi uersi leuati, com’hò predetto, oltre 16oo. che la fauola tutta era intorno à 6700. Di maniera che, s’altri uolesse prendere essempio dall'Aminta, essendo ella in torno à uersi 19oo. troppo notabile sarebbe la differenza. Anzi se uero è, come insegna il Sig. Angelo Ingegneri gentilhuomo, com’io dissi di gran letteratura, & riputatone, che la pastorale non deurebbe eccedere uersi 2500. il Pastor Fido per poco uien'à contenere la grandezza di tre poemi. E tanto sia per la consideratio ne circa la grandezza. Ma passiamo alla terza conditione della fauola. Di questa farò poche parole, perche la cosa è da se molto piana. Vuole Aristotele nelle fauole l’unità; di che maniera

la ricercasse, in cotai parole poi dichiarossi.

Oportet igitur, ut in alys imitatricibus. una imitatio unius est, sic & fabulam, quoniam actionis imitatio est, & unius esse, & huius totius & partes con stare rerum sic, ut transposita aliqua, aut ablata diuersum reddatur, & moueatur totum; quod enim cum adest, aut non adest, nihil facit, quod appareat, id nec pars quidem est.

Nel Pastor Fido due senza dubbio sono l'attioni contenute, e spiegate; ma altri dice tre; & non forse in tutto fuor di ragione. L’auuenimento di Mirtillo, & Amarilli per l'una. Quello di Siluio, & Dorinda per l’altra. Et quello di Corisca la sua conuersione, per la terza. Hora le parole d'Aristotele fanno il dubbio apertissimo: Perche douendo questo tutto della fauola stare in guisa, che

Transposita aliqua, aut ablata diversum reddatur, & moueatur.

Trasposto ò lasciato l’innamoramento di Dorinda, e Siluio, & tutti i luoghi, doue insieme parlano; resta il poema illeso, anzi niente smosso dal suo ben’essere. E cosi medesimamente adiuiene trasposte, ò lasciate moltissime cose di corisca, & in particolare la sua conuersione; perche in somma

disse'l uero Aristotele, quando soggiunse. Quod enim cum adest, aut non adest nihil facit, quod appareat: id nec pars quidem est.

In conformità del quale com’hanno parlato sempre gli huomini piu eruditi, cosi ultimamente l'academia nobilissima della Crusca ha affermato ch'il poema che non ha l'unità non solo non è ottimo, ma non è buono; che tali sono le loro stesse parole. Et se uoi Signori per iscusa m’apportaste perauuentura gl’inesti; Io ui direi prima ciò non hauer luogo in Aristotele, che si sarebbe riso di questo inestare. Poscia soggiugnerei, che se cotal fuga ualesse a moltiplicar l’attioni, si potrebbono formar'i poemi acconciamente d’otto, e di diece; perche l’innestar è poco, oue le persone si facciano della stessa contrada, ò professione; ò d’altre tai somi glianze fra loro. Vò dire, ch'ageuolissimo parrebbe l'inestarle, ò imbrogliarle insieme in qualche maniera. Nè se voleste seruare gl’inesti collo scudo di Terentio; la salua apparirebbe di molta stima; douendoci calere molto più dell'auttorità d’Aristotele, & di tanti altri ualentissimi scrittori, che d’un semplice non dirò poeta, ma traduttore dell’altrui Comedie Greche.

Et chi uorrà, contrapporre un capriccio di Terentio ad un leggitimo & essentiale insegnamento d'Aristotele farà a mio credere paragone ridicolo. Oltre che vna anchora si potrebbe stimare l’Andria, promouendosi solamente l’attione di Carino, senz’altro finimento, che nella fauola comparisca: e percontrario tre distinti auuenimenti non già pinossi, ma compiutamente forniti appaiono nel Pastor Fido ò due senza fallo, come più uolte habbiamo di sopra fatto uedere. Facciamo hora passaggio al uerisimile cosa di tanto momento nelle fauole, che fuori di quello figure senza disegno sogliono apparire, e tanto piu sproportionate, e brutte alla uista, quanto errori più manifesti in quello si sono commessi. Che cosa sia uerisimile dichiarò il Filosofo nel proprio capitolo; & però anch'io tralascierò di ragionarne più oltre, solo dirò con le sue parole; che. Verisimile est dicere qualia fieri debent, & possunt. Et per entrare alla breue nel Pastor Fido in un gran fascio le dubitationi mi si fanno incontro. Ma per far capo da qualche d'una; Inuerisimile, ò uogliam dire non molto al uerisimile conforme, pare la scena, per l’attione finta in quella: Atteso che'l luogo preso per iscena si suppone molto frequentato; sendo

questa la strada, che tiraua dritto al tempio, e in cui si ritruouò quel giorno tanta gente. Diciotto sono gl’interlocutori; & quattro chori non meno di quaranta persone douean rileuare. E tanto più chiaro mi pare, che publica fosse, quanto secondo’l desiderio d’ogn’uno, e questo, e quello s’abbattea ageuolmente in chiunque cercaua: Segno che’l luogo era publico, & di molta frequenza, com’hoggidì son le piazze. Anzi che Vranio, e Carino (cosa che maggiormente à ciò credere m'induce) Vranio, dico, & Carino peregrini, che com’è costume de’passaggieri doueano far il uiaggio per la strada più commune, e maestra; per quella uennero à cercare di Mirtillo, e s’abbatterono poi ancora in tutte quelle torme di genti, ch’era no intorno al sacrificio. Inoltre dice Mirtillo di questo luogo:

Luogo à tutti sì noio, e si frequente. Hora stando la scena in questi termini; con poca uerisimilitudine par che ui si sia accommodata la fauola. E di gratia quanto uerisimilmente potrassi condurui Corisca, cioè donna, ch'in publico dica tante, e sì fatte ribalderie? e come i Satiri, & altri à parlare soli tante cose e d’amori, e di uendette, e di stratagemi? anzi essequire uarie facende senza timore d’essere spiati,

ò sentiti d’alcuno? le donzelle à tutte l’hore à trattare d’amore? ad ascoltare amanti? far balli, e giuochi? e da se senza punto di rossore fare all’amore co i giouani, chiedendo cose ò da altro tempo, o d'altro luogo più soletario, & secreto? Et in somma, per finirla, persona nobile à gridare come pazza per sentire un'Echo? E ciò sia tocco quanto alla scena. Ma quanto alla fauola: dicesi che Mirtillo uenne à sapere solamente in quel giorno, che Amarilli à Siluio era promessa. Pure altroue si dice poi, che pubicamente la fede s’era data, in guisa, che non si puo stimare che’l grido; & ben’ancho grande non fosse sparso per tutte quel le contrade: Epoi Mirtillo vuol'esser quel solo, che cio non sappia? Che publicamente si fosse celebrata la promessa, lo protesta Linco dicendo.

Da lei dunque la fede Non riceuesti tu solennemente?

Sò benissimo, da scusa di Mirtillo: Disse di non saperlo, perch’era nuouo habitatore, & habitatore de i boschi. Di queste due cagioni ogn’vna par fuori el verisimile: Eran tre mesi, che dimoraua in Arcadia, & in tre mesi mai nouella uerunna di ciò sentita non haurà da persona? fosse stato egli sempre sepolto. Amante tutto fuoco, qual'era Mirtillo, starà ne i boschi occulto

à guisa di fera? à che fine? Non fu mai persona più curiosa dell'amante; un'hora gli sà mill’anni à sapere dell'amata sua. Et tra l'altre conditioni, c’haue la curiosità de gli amanti, un'è questa, di far diligentissima inquisitione. Se l'amata cerca l’amore altrui: s’è da marito: come, e quando sta per maritarsi; & in somma cose simili spettanti allo stato, conditione, & pensieri di lei. Onde non par da credere, che Mirtillo se ne stesse tanto à bada senza informarsi. Ne punto il primo inuerisimile di questo luogo pare aiutato da quanto si fà dire à Mirtillo, cioè, ch’egli per non dare altrui sospetto, non osasse cercare, s’era vero, ch’Amarilli, si maritaste, & in

chi: perch'altri potrebbe dire, Qual sospetto? di che? gran cosa certo fra pastori il dimandare d’un maritaggio. Anzi si può quasi supporre, che bisognaua per ogni modo che lo sapesse, poich'era stata la promessa, (come fù detto) publica, e da lei s’attendea la salute dell’Arcadia da quell’horribile macello; si che d’altro quasi non douea quiui ragionarsi, da chi si fosse. Dicesi, che Corisca era dilettissima compagna d’Amarilli. Non par uerisimile, che d’honesta donzella compagna sì domestica fosse una sfacciatissima meretrice, per tale da molti del

paese conosciuta. Et chi vuole uedere di che finezza era costei in cotal’arte legga nel primo atto la terza scena, di cui luogo particolare non apporto, per essere tutta piena d’infinite ribalderie Inoltre legga la quinta scena, oue ragiona il Satiro; e consideri l'opre sue. Che Corisca conoscesse Amarilli di saluto, ò in altro modo, passi; ma cotanta familiarità, cotanta fidanza non sembra punto uerisimile, che ui fosse. Corisca uenne presa dal Satiro per la chioma; e sendo à forza da quello tirata, la detta chioma si spiccò dal capo d’essa Corisca di maniera, che molto stranamente cadendo’l Satiro; sorte se ne dolse; quasi fracassato la uita tutta si fosse; dicendo egli.

Oime dolente, ahi lasso, Oime il capo, oime il fianco, oime la schiena; O’ che fiera caduta; à pena i’ posso. Mouermi, e riuelatmene.

Peggio non direbbe, se li fosse stato rotto qualche grosso, e nerboruto legno sopra la schiena. In somma cotanta rouina verisimile non pare in questa caduta: poiche ciò suole auuenire, quando quello, che si trahe, stà bene affisso a qualche luogo, e che per gran forza del corpo, che poggia in contraria parte, d’indi si diuelle: Ma quella chioma si com'era posticcia,

e non potea starsi attaccata a luogo alcuno del capo, che resistenza facesse; cosi nè anco sì fiera caduta douea cagionare. E qui si dè auuertire quanto poco bene comparisca, & tolerabil sia questa inuentione all'occhio dello spettatore: posciache non può se non istomacare il uedere Corisca fuggire, & tornare più volte in iscena senza chioma in habito feminile. E con che occasione tornò in palco? Sendo ella sì fieramente accesa di Mirtillo se ne viene a mandare ad effetto quanto promesso hauea a Mirtillo, & Amarilli per mezo del giuoco della cieca: & a discorrer con amendue, senza che punto sen'auueggia alcun di loro, con sì leggiadra presenza. Persuade Mirtillo ad altro amore, anzi quasi pure al suo proprio chiamandolo anima sua, se ben facea sembiante che ciò vscito li fosse senza molto auuedersene. Certo strana vista essere douea; percioche ò Corisca era di capelli corti come huomo, ò pure affatto spiumata, e pelata sembrando quella rasa tauola d’Aristotele, con che dinotò già l’anima nuda d’ogni scienza. Se diciamo’l primo, è male, se l'altro peggio; posciache più che troppo sconcia, e brutta pare in donna simile dispositione di capo. Anzi mi stupisco, che

sendo se ne accorta costei, e forse itasene a casa, quando mandò Lisetta a ritrouar Coridone, acconcia non si hauesse in maniera meno sto macheuole, ouero con bende auuolgendosi'l capo, ò rimettendo nuova chioma in vece della perduta. Andò Amarilli insieme con certe altre ninfe a far giuochi in quella strada publica, che per iscena s’e finta. Non par uerisimile (tutto che questo giuoco sia stato introdotto anchora auanti'l Pastor Fido dall’auttore della Mirtia, stampata già in Parma sotto'l titolo di Martia,) non par verisimile, dico, che andassero senz’occasione a giocare alla cieca in luoghi publici. Et forse, che non douea hauerne de i più opportuni di quella nell'Arcadia per tale descritta, & lodata, qual’altroue si disse. Parlato ch’hebbe Mirtillo ad Amarilli, & hauuta la risposta, si parti. Restò ella, e cominciò a lamentarsi d'Amore, con molte parole. Par più tosto verisimile, che senza badare in istrada a parlere d’un amore illecito, & a lei vietato; (che non sò come pur s'hauea posto a rischio d’udirlo sendoui pena la vita) si fosse andata per Corisca; con disegno, se la trouaua di accappar qualche nuouo consiglio intorno la presente occasione; se nondimeno si fà

rimaner’à far’una tal sua diceria molto lunga. Dà Corisca ad intendere, ad Amarilli, che Siluio amaua certa sua fante. Inuentione, che par souerchio lontana dal verisimile; troppo bene sapendo la natura di Siluio Amarilli, poi ch'era egli noto ad ogn’uno per giouane freddissimo in amore, e disprezzatore delle donne, & seguace solamente delle caccie. E forse douea sapersi anchora l'amore, che li venia portato da Dorinda; e che pure la disprezzaua, nella maniera, che nel poema si legga. In somma per ogni modo Amarilli credere non, lo douea; ma era forse mestieri fargliele credere per assestar l’altre cose, che si fanno seguire. Hauendo Corisca dato ad intendere ad Amarrilli, che Siluio era per giacere colla sua fante, le die l’hora, in che ciò auuenire douea. Non sò chi uerisimile ui sia, ch'ella andasse per trouarlo à quell’hora. Sembra più credibile, che sapesse della caccia, che facea Siluio quel giorno; atteso ch’era cosa come publica, essendo per vccidere quel cinghiale, che facea tanti danni. Solo il grido la douea hauere informata, non che diligenza in cercane. E però potea benissimo con maggior verisimile niente credere, di quanto le disse Corisca. Oltre che è da notare

quell’antro parer finto in istrada publica poco verisimilmente por seruigi si fatti. Anzi che s’era luogo, punto famoso; com’esser tale s'è già detto per testimonio di Mirtillo; ritratto colà non s’harrebbe Siluio per godere colei; ricercandosi in tali affari luoghi lontani, & riposti. Amarilli pria ch’entrasse nell’antro volle anda re a far orationi al tempio. Non par uerisimile; perche se affatto, come si finge, lo credette; di subito (che non molto le disse Corisca douere stare Siluio à venire) s'harebbe cacciata nell’antro: potendo ben'ella sospettare; se vi framettea tempo, di non perdere quell’occasione. S'imagina Corisca di far’andare Coridone nell'antro stesso, quando vi fosse andata Amarilli; e poscia condurre i ministri del tempio, e dar compimento al suo trattato. Tal risolutione sembra poco uerisimile in Corisca, ch'era cosi astuta, & fraudolente. Percioche come potea condursi ad effetto questa sua trama, se’l tempo certo non hauea, nel quale ui fosse ò nò Amarilli, ch’era ita al tempio? Chi uolea indouinare; s'ella fosse tornata, ò nò? bisognaua tenerle dietro spia per poterlo sapere: ch’altrimenti se Corisca andaua in persona à vedere, se v’era; correa pericolo ch’in tanto uenisse

Coridone, e la trouasse colà entro; ò uogliamo dire le ui trouasse ambedue, e'1 trattato restasse vano. Ma diamo anchora, che riuscito le fosse il primo disegno; & poscia uenuti il ministri; auuenia però di due cose l'una; ò costoro, nell’antro sarebbono stati ritrouati in diversi luoghi; con pochisimo sospetto appo giusto giudice: ò s’auueniua che Coridone ito fosse, oue era Amarilli; conosciuta lei non essere Corisca, egli di già partito, ò Amarilli fuggita se ne sarebbe; onde beffato rimaneua il sacerdote, e fallito il disegno. Ma poniamo anchora caso, che fossero stati presi; quindi che ne succedea altro di male; se non il raccontar perch’oga’uno colà si fosse condotto? E troppo creduto harebbe'l sacerdote, non essendoui sospetto pur minimo d'amore fra questa copia. Sì che in fatti lo strattagema da si scaltro ingegno inventato, se si considera bene, par'anzi friuolo, che importante. Corisca femina ripiena di cotanta malitia con molto studio procura di far trauedere Mirtillo; e si fattamente perciò di tiene astuta; che da se stessa chiede corona; quasi maggior ingegno di mostrare non si potesse. Fù quando li diè ad intendere, che Amarilli per vil pastorello se douea colà entro ritirare: e gliele

persuase; e fece appiattarlo vicino all'antro per accertarsene. Poscia con tutto il sottile suo auuedimento, benche amando grandemente, Mirtillo, non seppe imaginarsi; che cio veduto, egli, ò si sarebbe vcciso da se stesso per so dolore, come le disse più uolte; ò harrebbe vcciso il riuale, & cosi stato saria costretto à fuggire di quei paesi. In ogni maniera dunque Corisca venia in rischio di perdere per la stessa via, che procuraua d’ottenere, quello, di ch’era tanto bramosa. Se ne và nell’antro Amarilli: & nell'entrare dice varie cose, chiamando’l nome di Mirtillo. Non par uersimile, ch'in istrada, in occasione di prestezza, e di silentio, cicalasse tanto; & fuori d’ogni proposito uolesse dare di se sospetto à chiunque per sorte vdire la potesse. Entra Mirtillo anch'egli, per risoultione fatta, nella spelonca. Nell’entrare chiacchiera gran pezzo. Amarilli non sente cosa ueruna. Egli si nasconde; & non è veduto da lei, nè dal Satiro soprauegnente. Non par uerisimile, che non, fosse sentito da Amarilli, ò nel ragionare, ò nel caminare per la spelonca, se forse non era lunga qualche migliaio, & ritorta; ed ella fin’entro alle uiscere del monte penetrata. Nè sembra potersi dire, che Mirtillo entro nel principio dell'antro, & quiui si mise; perche il Satiro l’harerebbe ageuolmente veduto; ò egli’l Satiro, & impedito gl’il chiudere dell’antro; sì che punto seguito non sarebbe, di quanto poscia seguì. Chiuse dunque l’antro il Satiro sterpendo con un pezzo di legno trovato à caso una balza di monte. Fù per tanto vna sì fatta rouina di far cadere a terra una rupe; nè per quanto si sappia, Mirtillo ch'era forse poco adentro cosa ueruna sentì. E pur’ogn’uno si può imaginare lo strepito, che douette fare. Et riuolse cosi gran petrone con un pezzo di tronco d'elce, che non molto grosso douea essere, a quanto imaginare si può, tutto che forse a ciò fare bastata non sarebbe una quercia di quelle annose, stando ancho, qual egli dicea, il sasso molto fisso nel monte. Chi vuole uedere l’immensa fatica, che vi si ricercaua, legga quanto quì soggiugnerò di sua bocca: disse cosi

O come è greve, ò come. E ben affisso: quì bisogna il tronco. Spinger di forza, e penetrar sì dentro; Che questa mole alquanto si diuella. Il consiglio fù buono, anco si faccia. Il medesimo di quà; come s’appoggia: Tenacemente: è più dura l’impresa. Suellerlo, nè per uito anco piegarlo. Forse il mondo è quì dentro, ò pur mi manca Il solito vigor, stelle peruerse, Che machinate ?

Ma diamo che lo moùesse, & facesse cadere dal suo luogo: Come auuenne poi, che nel semplice cadere, il sasso in guisa s’accommodasse, che senz'altr’opera metterui turasse l’antro sì bene, ch’altri vscire non ne potesse? certo ciò non pare verisimile; se come di molta discretezza, & intendimento si finse di sopra il Ladone, cotale non si finge qui anchora sì fatta rupe. Furono presi Mirtillo, & Amarilli, & ambo al tempio condotti; ma per diverse strade. Par necessità poco verisimile: A che proposito di gratia? se ciò non hauesse commandato qualche legge, ò mistero. Ma fù’l mistero, direbbe forse alcuno, perche poteste procedere la fauola, come di molt’altre cose anchora s’è fatto; ch’altrimenti difficile occasione sarebbe nata di condurla al suo fine; e qui da tale separatione s’è cagionata sa diceria d'Amarilli con Nicandro. Non si tosto giunse Amarilli innanzi al sacerdote, ch’incontanente alla morte fù condannata. Ciò non si fà verisimile; perche à i rei, c’hanno commesse le maggiori scelerità, che ci sieste, dassi tempo un giorno; & tall'hora più; & à costei niente? Senza vdire

sua ragione uien condannata? strana giustitia sembra questa. Et forse, che per fuggire quel passo cosi duro, non'haurebbe confessato il sucesso del fatto, come si staua? E doue, mai s’udi ch'alcuno à morte si condannasse, senza sapersi a pieno il misfatto, ch'egli hà commesso? E dicesi pure.

Fù quasi in un sol punte. Accusata, conuinta, condennata.

Nasce sospetto, che l’auttore, non le habbia fatto confessare il fatto, come forse douea, perche ne succedesse quel fine, che poi succede; altrimenti la cosa era spacciata. Ma consideriamo ancho questa parte come si sia felicemente condotta. Mirtillo è preso; Amarilli è presa; si tratta ch’el la adultera sia; nè Mirtillo, nè Amarilli confessano, perche uero non era; ne il sacerdote gl’interroga; il quale oltre ciò, che s’è già discorso, hauea ancho di farlo cagione tanto maggiore, quanto il Satiro gli hauea palesato, che nell'antro erano Corisca, e Mirtillo; tuttauia si ritrouaro Mirtillo, & Amarilli. Potea dunque dubitarsi ò di stratagema, ò d'altro, in sì fatto caso: ò almeno era mestieri prenderne marauiglia, & uoler risaperne il uero. Oltre che Mirtillo per ogni modo douea farsi innanzi al Sacerdote; e confessargli

'l fatto, mettendo à partito il giuditio suo; >il quale ageuolmente alla morte d’Amarilli corso non sarebbe con tanta fretta: anzi considerato bene il caso, & essaminate le persone, succeduta ne saria la liberatione di lei: Ma ogli si stette mutolo: & l’ardore, & l’ardire passarono tosto in fredezza, & in fingardaggine. Vuole per lei morire; e non osa raccontando la uerità liberare lei, e se stesso da quel periglio? Amarilli finalmente per quanto si uede uolle confessare, ma poi non confessò cosa ueruna del fatto. Recò in testimonio della sua innocenza certa ninfa, nè più oltre procedette. Confesso d'hauer gran dubbio. Perche di gratia in caso di morte, & morte obbrobriosa, non par laua chiaramente? perche non si lascia ua intendere? innanzi à Nicandro hauea pur già detto, che le pesaua il morire? E qui si torna à uedere di qual lega era il giudice. Costei allegaua Corisca per testimonio della sua innocenza, & egli sopra questo badò tanto, quanto à sua discretione li parue; & quando per termine di ragione douea andare pesato; & informarsi ben bene di costei, ch'era allegata per testimonio; si lascio à rompi collo cader'in una sentenza ingiustissima della morte d’un’innocente.

Condannata che fù Amarilli, & stando di già per essere condotta al sacrificio, Mirtillo s’offerse di morire per lei; e tra loro nacque grande contesa, perche Amarilli à niun partito uolea; ma dapoi ch’era stata cosi dal sacerdote sententiata intendea morire. Questa contesa non pare molto uerisimile in donna, che per l'adietro s'era mostrata, come s’è detto, molto uolonterosa di uiuere: per ch'à dire'l uero il morire non è mica cosa di sì poco rileuo. Carino ritenne il Sacerdote, che uolea sacrificare Mirtillo, e uolle sapere il perche del fatto, & li fù dato risposta di quanto chiese. Fuori del uerisimile pare cotal'informatione datali; non si facendo credibile, che quegli che reggea le diuine, & l’humane cose in un sacrificio di tanta importanza s'abbassasse à rendere ragioni dell’attioni sue, e della sua giustitia, e racontarle ad un vecchio forastiero, ignoto, negletto, & isgridato per pazzo, & importuno. Volendo Carino saluare Mirtillo, fà mille contrasti, & giurimenti inuolti di maniera che parea affermare cose contrarie. In caso di tanta importanza dubito non tengano del uerisimile cotali sue dicerie; parendo, che si douesse immantenente narrar’il fatto chiaro, come già era succeduto; & in ogni

modo quanto prima procurar di saluarlo, non che di modo badare, che lo sgridarono per pazzo, mentre in uero sembraua infingersi, come se la uita di Mirtillo saputa non hauesse. Doue è d’auuertire, che quell’hauer riconosciuto Dameta doppo lo spatio di 19. anni, tiene tanto poco del uerisimile, che niente più, in un uecchio, che ueduto l'hauea già tanto tempo solo una uolta, & à cui douea per diffetto d'eta mancare una cosi buona memoria, quale pare douersi ricercare in huomo, che vecchio doppo spatio di 19. anni si uoglia ricordare d’uno, che già uide vna sol uolta. Siluio ammazzò un teribilissimo cinghiale poco uerisimilmente. Hercole persona di cotanta forza u'hebbe sì che fare, che l'ammazzare un sì fatto animale gli fù posto per una delle dodici fatiche sì famose: E poi un giouinetto molle di sedeci, o diecisett’anni l’ammazzerà, per cosi dire, per ischerzo? Dorinda offesa di graue ferita fà lunga diceria; ilche pare contra ogni uerisimile. E chi ueduto hà feriti; ò puato ferite; lo può ottimamente sapere. Anzi in tale stato, & in cotanto dolore, ch'isuenire la fece; fingesi (com’io dubito) con poca verisimili rudine, ch’in un momento si sani, & uenga à tanto, che Siluio la sposi, e la faccia sua donna; per quanto habbiamo da Linco nella settima scena dell'atto quinto. Ch'ella mò fosse all’hora in pessimo stato, e che sol nel uederla si stessero attoniti.

E con tremante cuor’huomini, e donne.

il luogo stesso ce ne fà fede: e lo riconferma l'altro nella scena settima del quinto atto; oue s’introduce, ch’il ferro della saetta era sì profondato, che possibile non fù di spiantarlo; ben che si faccia poi in un'istante con non so qual’herba souuenuta à Siluio dopo l’hauer prima cianciato tanto, & tormentatala

Senza fatica, ò pena La man seguendo ubbidiente uscirne. E si soggiunga. Tornò il uigor nella donzella, come Se non hauesse mai piaga sofferta.

& era ben dibisogno d’usar tale maniera, se strada uoleasi fare à quell'altro gentil concetto dell’esser poi subito stata ferita da Siluio d'altra piaga, & descriuer la loro diuersità con queste gratiose parole.

L'una saldando si fà sana, e l’altra Quanto si salda men, tanto più sana.

Trascorso il largo campo del Verisimile succede la quinta proprietà del la fauola, & è che siano di tal modo contesti gli Episodi fra loro, chel nesso ò verisimile, o necessario sia. Nel

Pastor Fido prima se consideriamo l’attione di Dorinda, e Siluio inestata, nesso veruno leggitimo contiene con la fauola principale; atteso che si leua ogni cosa senza molestare punto l’attione di Mirtillo, & per ogni modo succeder può senza l'aiuto dell’inestata. Parimente in quell’altra di Corisca n'hà gran parte; che poco, ò nulla hà che fare con questa e sopra'l tutto la conuersione sua. Adunque par’affai chiaro, che questi tre auuenimenti ò diciamoli inestati, ò per altra uia ridotti insieme, non tengano nesso leggitimo fra loro. Vi sarebbe per secondo da considerare se le particelle di ciascuna attione, & massimamente quelli dell'attione di Mirtillo habbiano anch’elle fra loro questo nesso pure da Aristotele ricercato: Ma’tal consideratione saria assai lunga: Quinci io me n’ispedirò con accennarne un particolare ò due, rimettendo il resto all’altrui giuditio. Nell’attione di Mirtillo u’è’l soliloquio di Amarilli da poi scopertole da lui’l suo amore, & partitosi: che all’hora si finge hauer di ciò lungamente ragionato, & à caso essere stata udita da Corisca, ch’era poco lunge nascosta, con la qual cosa, che tiene assai del freddo, & dell inuersimile, si pretende di connetter’il rimanente di quei successi.

In quella di Siluio u'è la caccia, e’l trionfare di quel cinghiale intrecciato con la ferita di Dorinda per mezo dell'uscita di Siluio, & del cicalamento intrauenuto con Echo. Lequali cose se necessariamente, ó uerisimilmente s’acconcino col successo, io stò molto dubbio. Necessità non ui scorgo: E più di uersimilitudine parrebbe hauere, che Siluio stato si fosse in gioia con li compagni, ch’uscito in palco solo, & senza cagione con tanto poco decoro. Ma per non generare com’hò predetto molta più noia, che frutto; & perche alcuna cosa à ciò conferente, s’è forse detta nel Verisimile, à questa parte si ponga fine. Assegna per sesta proprietà Aristotele alla fauola tragica il terribile, e’l miserabile. Possiamo per contrario conchiudere la comica hauere’l piaceuole, & il ridicolo; Et la mista, quale si vuole, che sia la Tragicomedia, un misto di terribile, e miserabile, piaceuole, e ridicolo. Cosi mi pare appunto che si uenga à sentire nelle difese della Tragicomedia; anzi che nè altrimenti si può cauare cosa che dalle dette diuersa sia; nè intorno à questo io per hora intendo di far parole. Veggiamo dunque se nel Pastor Fido ui hà cotal misto: E di tanto mi pare lui mancare, quanto hò sentito sempre più abondar

del contrario; cio è d’una proprietà semplice Tragica, ch’è’l terribile, e’l miserabile. Percioche i ridicoli, i piaceuoli casi non sò ritrouare quali si siano; parmi bene ch'ogni cosa tenda principalmente all’atrocità. Anzi qual cosa più terribile, & miserabile s’aspetta, quanto ciò ch’alla persona di Mirtillo appartiene? Di uero se questo per ischerzo, o per cosa mista si reputa, io non sò di che natura debba essere il serio, & il semplice. Et che in Mirtillo non cada terribilità, & commiseratione tragica sembra a niunmodo potersi dire; quando, auuegna che la terribilità ad effetto compiutamente ridotta non uenga, ciò in Aristotele nulla gioua: Si perche: dice egli nel secondo della Fisica al testo 56. Quod est parum distans, tanquam nihil distare uidetur; si anco perche in particolare il terribile, & il miserabile tragico senza fallo per questa sola propinquità uiene ad esser perfetto secondo lui. E chi di gratia non hà letto nel capo della buona costitutione della Tragedia, ottima esser quella; quando aliquis facturus, cum agouisset, non fecit? Non ci dà egli l’essempio anchora di Merope, che douendo ammazzare Cresfonte suo sigliuolo, riconosciutolo, se n’astenne? Non la chiama constitutione ottima di Tragedia?

Certo se quello è caso tragico, & ottimo, ui dee essere’l terribile, e’l miserabile, altrimenti dottrina falsa, e uana sarebbe questa. Et se il terribile, & il miserabile semplice, e non misto u'hà in quello; haurà ben parimente in questo di Mirtillo, che poco diuersificato è nello stesso genere di constitutione? Onde parebbe restar poi chiaro quello che dianzi proposi, cioe che supposta la mistura tragicomica; questa non sia, ne si scorga nel Pastor Fido; ma si bene il terribile, e miserabile tragico. Intorno alle due proprietà rimanenti cioè settima, & ottaua, altro per hora dir non m’occorre, se non che quanto alla passione hauente forza d'ammazzare, come si dice, richiesta d'Aristotele per la Tragedia, cosi pura tragica par ritrouaruisi (come conoscer si può da quanto s'è discorso) che malageuolmente si può negare. Ma poiche habbiamo assai minutamente considerata questa prima parte della qualità, passiamo alle rimanenti, & diciamo de i Costumi. Vattro cose proposi douersi considerare circa le parti della Qualità nel Pastor Fido; la Fauola; Costumi; la Sentenza; e la Locutione. Considerato habbiamo intorno alla Fauola; hora seguitiamo à i costumi. Questi tre conditioni uogliono hauere; (oltre l’esser migliori, ò peggiori; secondo che tragici, o comici sono;) tre dico, oltre quella; & sono; Conueneuolezza al sesso; all’età: alla natione: & finalmente alla conditione di ciascheduna persona: Similitudine: & Equalità. Tanto ci lasciò scritto Aristotele a i suoi luoghi nella Poetica. Hora le di lui uestigia, come di sopra fatto habbiamo, tuttauia seguiremo, perche quanto di reo sembra ad essere ne i costumi delle persone del Pastor Fido tutto a questi tre capi si riduce. E per uenire al particolare, Siluio, (direm poscia de gli altri) uiene finto cacciatore grande, e famoso, e sommamente prattico in tale mistiere; come si predica nel quarto atto, alla sesta scena: poi all’ottaua, uedendo un lupo, e cercando di uolerlo ammazzare, si scorda delle proprie, e uere arme da cacciatore, lequali hà al fianco, e pensa ucciderlo co i sassi, li quali per la strada uà brancolando.

E' persona reale, ricca, e le sole speranze del padre: Et nel secondo atto, alla seconda scena si finge ristretto in casa di modo, ch’à sua uogiia disporre non possa di cosa uile; come d’un capro, ò d’un’agnella; massimamente in caso ragionevole, come nella ricuperatione

del suo Melampo, cane à lui caro sopr’ogn'altro. Come persona reale s'introduce nel primo atto in istrada accompagnato da gran moltitudine di gente: E poscia nel quarto, alla scena ottaua, si fà uscire, senza bisogno ueruno, solo & à gridare come un pazzo in uia publica. Religioso s'introduce, & con molta uogla di uisitare gl’Iddij nel tempio; non dimeno poco poi diuiene disprezzatore, anzi bestemmiatore di quelli. Hà dato publica fede per lo matrimonio, che placare douea Diana chiamata da lui sua sola Dea; e pur se n’infinge; anzi nel quarto atto la bestemmia, dicendo verso Diana.

E tu, che lascorgesti, E tu, che l’essaudisti. Nume di lei più infaust o, e più funesto.

Inoltre confessa Venere per Dea, poi bestemmiando, di molte ingiurie, e uillanie carica anchor lei. Come dissi per tanto zelo di religione era cosi uoglioso di girsene al tempio, & hauea detto.

Nè si comincia ben, se non dal cielo: Poi ad un semplice cicalamento di cose uane, & secondo essolui inhoneste, buona pezza si trattiene, anzi tra poscia d’andarui. E’ semplice , sì che con sà cose si sia amore: pure nel quarto atto s’à tanto del dotto, & del

prattico ne i traffichi amorosi quanto quiui si legge. Abborisce tali ragionamenti; ma tuttauia gli ascolta, e vuole sapere per uia d'interrogatione da Dorinda, che cosa sia questo Amore, sendouene’l minor bisogno, che mai si ritrouaffe: & le uà proponendo anchora buon campo per cicalare amorosamente. Di nimico sì fiero d’Amore diuiene tosto sì suiscerato amante, che'l più perfetto mai non uide il regno amoroso; ch'è quello di cui Aristotele riprende Euripide; & è luogo al parer mio irreparabile. Tutto che fanciullo si fà molto di se presumere, e si finge per quanto apparisce nel poema assai uano: Et tuttauia in parte di quello uà molto pesato, e fà piu che troppo del prudente, & in particolare quando hà saettato’l lupo, & riconosciutolo. Finalmente per fornire la consideratione sopra i costumi di lui, si fà molto al padre disubbidiente; poiche Montano uolea dargli moglie, & esso a tutto suo potere ciò rifuggiua, per seguir’indarno quel, che nulla rileuaua per la salute d'Arcadia: Et a questa sua disubbidienza paiono contrastar due cose; la prima il fingerlo religioso molto: per che chiunque è tale non suole disubbidir al padre; la seconda, che nell’Attizzato si afferma quei pastori d'Arcadia,

fra l'altre doti loro, esser’ubbidientissimi. Hora passiamoci a Mirtillo. Giouane modesto, e discreto si finge: La modestia; oltre che poco è di giouani propria, per quanto Aristotele vuole nella Retorica, non par’anchora in lui mantenersi eguale: Conciosia che alcune uolte apparisce freddeza, & alcun'altre diuiene sfacciataggine. S’inamora d’Amarilli; non si contenta esserne acceso, che scuopre l'ardore; & à chi poi? ad una sua sorella uergine; e perche? per uoler esser aiutato in questo suo accidente amoroso da lei; e fino à tanto ardisce, che si mescola trà le donne in gonna feminile; e giuoca; e la bacia, & n’è coronaro: Vn'altra fiata tutto addolorato, tutto uoglioso dell’amore d’Amarilli brama hanersela innanzi; e poterle fauellare: Nasce l'occasione; & egli se ne stà freddo, & immobile, come tronco inanimato: sì che à Corisca conuenne spignerlo in braccio all’amata dicendosi.

Prendila da pochissimo, che badi Ch’ella ti corra in braccio? O'lasciati almen prendere: sù dammi Cotesto dardo, e nulle incontra sciocco.

Inoltre, com’alle uolte è tutto freddo tutto ghiaccio, non osa parlare à pena di cose più, che ragionevoli, & da huomo discretto: cosi poscia si lascia

uscire di bocca quelle parole, che sono nell'ultima scena del quinto atto. O’ mio tesoro. Ancor non son sicuro, ancoi’i’ tremo, Nè sarò certo mai di possederti, Per fin che ne le case Non se’ del padre mio fatta mia donna; Questi mi paion sogni. A’dirti’ l vero; e mi par d'hora in hora Che’l sonno mi si rompa; E che tu mi t’inuoli anima mia: Vorrei pur ch’altra proua. Mi fosse homai sentire, Ch’el mio dolce vegghiar non è dormire.

Non pare potersi dire più alla scoperta, nè richiedere donna con maggiore ingordigia. Et Amarilli tutto che di cuore l’amasse, conobbe l’immodestia, & ne lo tassò; dicendo.

Ben se’ tu frettoloso.

E ciò per quanto appartiene à i costumi suoi. Montano è padre di famiglia; vecchio; persona regale; sacerdote; tutto pieno di grauità; & di molte altre importantissime conditioni dotato; e pure garrisce come vn fanciullo con Titiro; anzi nè molto pensoso da douero si mostra della salute d’Arcadia: spera ne i sogni ha’l male presente; & con la sua auttorità può rimediarli, facendosi ubbidire al figliuolo; e scioccamente rimette ogni cosa al tempo: si farà con tempo: e più vuole che sì tenga per huomo, cui molto caglia la salute d'Arcadia. In somma tanto poco mantiene sua dignità, ch'in istrada publica; alla presenza della gente; in maestà di sacerdote sacrificante si mette a contendere, con vn vecchio huomo di niun rileuo; forastiero; non punto da lui conosciuto; & da i ministri riputato importuno, & pazzo & à contender' in modo, ch’esce quasi de i gangheri. Titiro è vecchio tratta su’l serio, e si mette a fare una affettatissima descrittione della rosa; cosa, che douea in tutto essere aliena da i pensieri dalla professione, & dal negotio di quel punto, se per uecchio rimbambito non volea esser tenuto. Altrone oppresso dal dolore per la morte creduta di sua figliuola in vece di correre al tempio per la salute di lei, si trattiene spargendo madrigali, quasi'l fatto non sia di lui. Ne vale a dire, che rimase dall'andarui, per quello, che li disse il messo, perche l’affetto douea in ogni modo trasportarlo, & conduruelo. Linco istitutore di Siluio è vecchio; discreto; religioso; ma per ribambire nelle cose amorose, mentre v’essorta Siluio, con tanti giri trattenendosi più tosto in uaghezza da huomo spensierato; che seriamente discorrendo, & con fundamento di

cosa tanto importante, quant'erano quelle nozze. Nicandro ministro sacerdotale con poca conueueuolezza sembra ragionarsi, poi ch'esso anchora in caso di dolore, com’era quello ch’auuenne nella presa d’Amarilli, gentilmente tal’hora madrigaleza; anzi si mostra maligno. La misera donzella uariamente si scusa, & egli che ueduto punto del fatto non hauea, le oppone gagliardissimamente, e uenendo essa all'atto del giuramento con più che troppo superbia la risiuta, & oue pura consolatione usare doueua, & con desterità procurar di non le accrescer dolore, usa con tanta asprezza, che per la disperatione conceputa isuenimento ne segue. Ne qui parimente la scusa sua può molto salvarlo, poiche douea usare con lei ogn'altra maniera, che quella che tenne, dovendo per ogni modo mostrare & più prudentia, & piú discretezza con Amarilli. Dorinda presupporre si dee giouane più tosto nobile, ch'altrimenti: & donzella. Pur si finge cosi sfacciata, che non arrossa in publica uia alla presenza d'un seruo, & del uecchio Linco parlare (rimossa ogni uergogna) di cose amorose: travestirli, & mescolarsi, come incognita, in luogo, & à spettacolo publico tra infiniti huomini; cosa da persona sciolta, e di partito; e finalmente dimandar baci in istrada à Siluio, & offerirgli le mammelle. Queste sono sue parole.

A me poma non mancano potrei A te darne di quelle, che son forse Più saporite, e belle, se i miei doni Tu non hauessi à schiuo.

Pare che peggio non fosse per dire una meretrice, non che giouane modesta, e uergine timorosa dell'honor suo. Amarilli puossi paragonare all’Ifigenia d'Euripide; teme la morte.

Quella, che fù pur dianzi Si da la tema del morire oppressa.

Et poscia in un subito altro non vuole che morte; nè può patire indugio; offerendosi di morire per lei Mirtillo. Di questa inequalità non dirò altro, senonne, che souuengano altrui le parole d’Aristotele intorno alla predetta Ifigenia. Corisca femina sfacciata è troppo audace non solo di que l'audacia, che tengono le meretrici, ma dell’audacia uirile. Et in una parola costei nel poema e un'Idea d'abominatione; cosi apunto uien’osseruato, & detto di essa da colui, che nouellamente hà scritto quei discorsi contra le donne. E alle mani col Satiro, & uiene perseguitata per ogni luogo da quello, anzi due fiate la prende, & essa con inganni se ne fugge, & ardisce d'indi à poco tornare à trattenersi buona pezza nell’istesso luogo. Donna imbelle; atta solo à gli ruffianesmi, & lasciuie d’amore; non temendo il Satiro, mostro potente, che suelle i monti, & è solo nato alla forza, rapina, crudeltà. Di sì famosa meretrice si conuerte da se stessa, e diuiene la miglior donna, la più casta, la più honesta, e la più rimessa nelle uanità di questo mondo, che mai si trouasse. In qual modo in Aristotele si possa sostenere cotal mutatione io di nuouo replico non uedere; oltre che, si come da un de'nostri Academici ancho s'aggiunse, secondo gl’insegnamenti di quel Filosofo non è cosa men tolerabile ne i poeti, che’l far, che persona scelerata sortisca buono, e felice fine. E tuttauia s’è compiaciuto l'auttor del Pastor Fido di favole lo sortisca costei non solo scelerata, ma infame. Vltimi sono i costumi del Satiro. Si finge mostro, seluaggio, rozzo, amante di Corisca, ma corrucciato con essolei; anzi disposto se la poteua hauere nelle mani di farne crudelissimo stratio. Cosi mostro seluaggio, e rozzo, com’e discorre tanto cittadinescamente, che nulla più, contra la ragione; l’espresso diuieto d'Horatio.

Siluis deducti caueant me iudice Fauni Ne ueluti innati triuijs, ac pene forenses Aut nimiun teneris iuuenent versilus unque.

Che'l Satiro faccia del salace, & del dicace, passi; ma ne i termini; cioè rozzamente, & alla rustica, meschiatoui qualche scintilla, non dirò d'urbanità, ma di cosa quella redolente, come giuoco, e mordacità leggiere nascenti dal fatto, in che per all'hora si truoua. Et questo seguitò’l Tasso nel suo Satiro. Che quanto à me chi uorrà condurlo nelle camere delle donne, & nelle scuole d'Amore, facendolo discorrere de i lisci, e de i belletti, & acconciature di teste, & de i precetti d’Amore, con tanta cura, quanta ne ueggiamo nel Pastor Fido, non sò quanto lo farà conueneuolmente. Hà rissa mortale con Corisca, & le promette prendendola di farne stratio grande: La prende; poi bada alla uendetta con infinite chiacchiere, send’egli mostro, com’io dicea, tutto dato alla crudeltà, & alla fierezza, & che poco per uerisimile douea cercare la ragione; tuttauia scherzano insieme con ragioni, come se da un mostro, ad un’huomo differenza non fosse. Cosi nel medesimo modo procede quando giudicatala esser nell’antro, quello chiuse con disegno di far’intendere sua ragione al Sacerdote. E tanto detto sia de i Costumi.

LA Sentenza com’ogn’una dell’altre parti della Qualità à uarie conditioni soggiace anch'ella; e tanto più quanto in fronte assai souente portando'l costume di chi parla, & con esso costume affacendosi, ò nò, secondo l’occasioni, conueneuole, & non con- veneuole comparisce. Ma certo fra per altre sue conditioni importanti ui hà questi; che send'ella, com'hò predetto, cosi prossimana al costume, tale, quale sara’l costume apparir deo la sentenza. Inoltre send'ella ritrouata sì per amplificare; come per diminuire; monere gli affetti; dichiarare l’animo; e somiglianti cose, ch’insegna à propri luoghi Aristot. bisogna per ogni modo guardarsi, cosi dalla superfluità; come dal diffetto, doue ne fosse bisogno; e sì dal trasportare il concetto, oue non è mestieri; come dal seruirsi di ciò, che tal'hora e noci no à quanto uogliamo ò prouare; ò spiegare; & che se non importa il contrario, almeno indebolisce, & oscura il ragionamento, & le pruoue, & amplificationi. Hora si come io hò particolarmente dubitato d'intorno à i costumi, cosi potrei andare addattando gli stessi dubbi, ò gran parte, d’intorno à tutte quelle sentenze, che di essi costumi espressine sono, e per cosi dire, con essi hanno connessione, & necessariamente

participano de i loro diffetti; ma ciò tralasciò di fare per non esserne mestieri appo gl'intendenti. Et s’alle uolte io ne toccassi, sti missi fatto ò per annodare le cose da dirsi; ò per risuegliare in ciò la memoria dalle già dette. Et nel ritirarmi ad alcuni concetti del Pastor Fido lo farò scorrendo di scena in iscena. E per cominciar dalla prima; diciamo. Linco (e ciò fu pur ancho tocco ne i costumi) trattando Siluio di andare al tempio li risponde, che non è hora, e cosi prende occasione di persuaderlo ad amare. In questa sua persuasione Linco si seruì tra gli altri di certo concetto degno più tosto di qualche Filosofo Platonico, che di basso pastore; anzi per conditione quasi servo, dicendo:

E che sentiraai tù, s’amor non senti Sola cagion di ciò, che sente il mondo?

Questo luogo istesso trattò innanzi il Tasso, e certo com’io credo assai più felicemente, il quale non abbandonandosi tanto sopra la Filosofia, ma tessendo ragionamento di concetti communi, & gratiosi; come della dolcezza de i figliuoli; dell’età; e di cose simili, aggiuntaui quella sua par ticolare idea di fauella tanto conueneuole; e propria à giuditio d'ogn’uno della poesia pastorale; ci lascio bellissimo

essemplare d’una persuasione all’amare. Doue si può notar, ciò che accresce infinita uaghezza al ragionamento suo, ch’alle ragioni di Dafne tal'hor Siluia risponde non certo contendendole, ò risiutandole à capo, à capo; ma in guisa piaceuole procurando da quelle schermirsi; cosi mostrando, come dir si fuole, per qualche cosa hauere la lingua; ond’è che molto piu contento lascia’l lettore di quello, che fà Siluio, il quale in poema cosi ridondante si mostra aridissimo nel risponder’à Linco. Seguitando Linco la sua persuasione; da Siluio gli uiene risposto cosi.

Nè sì famoso mai, ne mai si forte Stato sarebbe’l domator de mostri Dal cui gran fonte il sangue mio deriua Se non hauesse pria domato Amore:

Questa risposta uiene molto da lunge da quello, di che ragionauano, & è tale, che perauuentura più tosto pare interserita per far che seguisse Linco à ragionare, che per esserne alcun bisogno. Vò dire che sotto il superfluo della Sentenza sembra potersi riporre. Oltre che non sò per me quanto vera si sia, non mi souuenendo mai d'hauer’udito nominar Hercole per idea d’Heroe, che domasse Amore. Quando di gratia domò egli Amore? se non deggio più tosto dire,

quando non fù egli sottoposto, anzi calpestata la gloria sua dalle femine, & da ogni sorte d’amore illecito? E di ciò non ne sono forse le carte piene? Io posso errare, ma dubito sommamente, che sia questo concetto non sol souerchio, ma non uero; e nociuo; Poi che immantinente presta etiandio occasione a Linco di dire.

ancor non saì, Che per piacer ad Onfale, non pure Volle cangiar in feminili spoglie Del feroce Leon, l’ hispido tergo, Ma della claua noderosa in uece Trattare il fuso, e la conocchia imbelle

Ma con tutto ciò molto anchora nociuo pare quest'altro concetto alla persuasione pretenduta per Linco: perche potea anzi douea Siluio, che facea parole, quando meno importaua, rispondergli all'hora, e dirli; s'Amore conduce gli huomini ancho per altro generosi, a sì bassi , uili, & odiosi uffici, non me ne ragionar più a modo ueruno, che non sia uero mai, ch’a sì fatte indignità io soggiacia. Dichiara Linco questo suo concetto d'Hercole, & per approuare quanto dicea, uiene all’agguaglianza del ferro; soggiugnendo.

E come il rozzo, ed intrattabil ferro Temprato con più tenero metallo. Affina sì, che sempre più resiste, E per uso più nobile s’adopra. Cosi vigor indomito, è foroce, Che nel proprio ualor spesso si rompe; Se con le sue dolcezze Amor il tempra Diuine all’opra generoso, e forte;

Oue si dee auuertire, che la comparatione stare potrebbe, se’l comparato fosse vero; ma io dubito, che non sia vero, che’l ferro per farlo forte all’opre si mescoli con altro metallo. E la tempra sua in ciò non consiste. La qual cosa, come che tocchi per accidente al poeta; conciosia ch’ei non sia nè fabro, nè altro simil’artefice, come dice Aristotele, tuttauia quando corresse il mio dubbio, disdirebbe, che prouando, ò amplificando si fossero narrate cose communemente, & manifestamente hauute per false. Si finge inoltre disperato, tutto che non molta fratellanza tenga la disperatione con la modestia; come chiarissimo appare in Orlando, e Rodomonte. Chi lo vuol uedere disperato legga la seconda scena del primo atto; la sesta scena del terzo: & l’ottaua dell'istesso terzo: nonpertanto benche sia cosi chiacchiera diffusissimamente, & con ordine; fà dell’historico, inguisa, che tesse narratone, ch’appare più tosto ben bene premeditata per mano d’Oratore, c'hauesse l'animo più, che tranquillo, e composto, ch’uscita improusamente

da un disperato. Di cio n’è testimonio la prima scena del secondo atto: oltre tant’altri luoghi, che sono per lo poema. E pure per lo più suole essere, che i disperati habbiano poche parole, concise, riuolte più a fatti, che otiose. Oltre che se comporteuoli giudicare douranno si i lamenti, porteranno poi dubbio le parole imitili, il lungo cicalamento ripieno di madrigali, & adorno dì dilettosi concetti: Perche un’huomo disperato in par lando non bada molto ad ordinare il filo del ragionamento; ma spesso l’interrompe, & lascia molti membri concisi. Cosi ne anco pon mente allo suogliere de i concetti; ouero al uestire i quelli; trasportandolo l'affetto, ne permettendoli cotanto conoscimento; come da i buoni maestri è insegnato; & a uoi Signori ne dee souuenire. Lascio quanto pago restì lo spettatore giudicioso, ò il lettore, mentre credendo sentire una uera imitatione d’un disperato, sente una dissipita raccolta di madrigali. E s’egli è uero ciò c'hanno i predetti lasciato scritto del bene imitare gli affetti, e gli effetti col uerso, cioè ch’adoprare ui si debba hora durezza, & asprezza, hora facilità, è piaceuolezza, & altri somiglianti modi, come tante fiate fece Virgilio per accommodarsi a ciò, ch'imitaua; se (dico) uero è questo, per ogni modo poca imitatione sembra poter si ripescare nel Pastor Fido: quando tra l’altre cose espresse per imitare Mirtillo disperato; ui sono Madrigali di cotal sorte:

Cruda Amarilli, che col nome ancora D'amar, ahi lasso amaramente insegni, Amarilli del candido ligusto. Più candida, e più bella, Ma de l'aspido sordo E più sorda, e più fera, e più fugace; Poiche col dir t’offendo, I’mi morrò tacendo. Ma gridera per me le piagge, e i monti, E questa selua, à cui Si spesso il tuo bel nome Di risonare insegno, Per me piangendo i fonti. E momorando i uenti Diranno i miei lamenti, Parlerà nel mio uolte La pietate, e’l dolore: E se si a muta ogn’altra cosa, al fine Parlerà il mio morire, E ti dirà la morte il mio martire. & altroue: Ah dolente partita; Ah fin de la mia uita. Da te parto, e non moro? e pur i prouo La pena de la morte, E sento nel partire Vn vivace morire, Che da uita al dolore, Per far che moia immortalmente il core. & altroue: Vdite lagrimosi Spirti d’Auerno, udite Noua sorte di pena, e di tormento: Mirate crudo affetto In sembiante pietoso. La mia donna crudel più de l’ inferno, Perch’ una sola morte Non può far sazia la sua ingorda uoglia, E la mia uita e quasi Vna perpetua morte, Mi comanda, ch’i uiua, Perche la uita mia, Di mille morte il dì ricetto sia, & altroue: Com’affettato infermo, Che bramò lungamente Il uietato licor, se mai ui giunge Meschin beue la morte, E spegne anzi la uita, che la sete; Tal'io gran tempo infermo, E d’amorosa sete arso, e consunto. In duo bramati fonti, Che stillan ghiaccio da l'alpestre uina D'un’indurato core, Hò beuuto il ueleno, E spento il uiuer mie, Più tosto, che’l desio. & altroue: Prima, che mai cangiar uoglia, ò pensiero Cangerò uita in morte: Però, che la bellissima Amarilli Cosi, com’è crudel, com’è spietata, E sol la uita mia, Nè può già sostener corporea salma Piu d'un cor, più d’un alma. & altroue: M’è più dolce il penar per Amarilli, Che’l gioir di mill'altre: E se gioir di lei Mi uieta il mio destin, hoggi si moia Par me pure ogni gioia. Viuer io fortunato Per altra donna mai, per altro amore: Nè uolendo il potrei, Nè potendo il uorrei E s'esser può, ch'in alcun tempo mai Ciò uoglia il mio uolere, O possa il mio potere, Prego il cielo, ed amor, che tolto pria Ogni uolor, ogni poter sia.

e de gli altri ue ne sono, ma troppo saria lungo il raccorgli; e cosi ne i ragionamenti dell’altre persone introdotte nel poema in occasione poco, anzi nulla opportuna di comparire sotto la propria forma, quasi niente si sono arrossati. Nella quarta scena dicendo Titiro quanto siano gli oracoli oscuri, soggiugne questo concetto in conformatione di quanto parlaua.

le parola loro Sono come il coltel, che se tu’l prendi In quella parte, 0ue per uso humano La man s’adatta, à chi l’adopra è buono Ma chi’l prende oue fere, è spesso morte.

Sentenza in uero oltre l’essere falsa, fredda, & di niun momento, poco poi esplicante ciò di che parlaua Titiro. Inoltre hauendo Montano narrato quel suo sogno à Titiro; ei li risponde, e dice.

Son ueramente i sogni De le nostre speranze, Più che del auuenir uane sembianze, Imagini del dì guaste, e corrotte Da l’ombra della notte: Li replica Montano. Non è sempre co’ sensi L'anima addormentata Anzi tanto è piu desta, Quanto men trauiata Dalle fallaci forme Del senso, all’hor che dorme

Sembrano concetti da Filosofo Animastico, non da Pastore. Riferisce Mirtillo, che certa uergine Megarese proponendo un giuoco de i baci poco honesto; disse:

Prouiam hoggi tra noi cosi da scherzo tempo Noi le nostr’arme, come Contra gli huomini all'hor, che ne fie L’userem da douero.

Certamente sentenza molto disdiceuole in bocca d'una uergine, cui la modestia, e l honestà nel ragionare, e non toccano la lasciuia, e la petulantia, per cosi dire. Se proposto hauesse'l giuoco solamente, forse ualerebbe alquanto in iscusa il costume di quei paesi; ma l’hauer’aggiunto concetto sì poco honesto par macchiare il decoro uirginale, & non poco. Dice Mirtillo, che baciando Amarilli poco mancò non le mordesse le labbra: (ra odorata,

Ma(cosi dic'egli) mi ritenne ohime l’au Che quasi spirto d'anima diuina Risuegliò la modestia E quel furore estinse.

Io non ueggio qual cosa habbi’à fare il fiato della bocca, perch’in alcuno si risuegli la modestia; più non udij cotal proprietà del fiato. Et comunque sia; il Tasso nell'Aminta simile concetto spiegò altrimenti, e come stimo con maggior lode senza cacciarui l'aura odorata; parlaua del baciare Aminta.

Ne l’api d’alcun fiore Coglion si dolce il mel, ch’all’hora io colsi Da quelle sresche rose; Se ben gli ardenti baci, Che spingeua il desire à inhumidirsi, Raffrenò la temenza, E la uergogna, ò felli Più lenti, e meno audaci.

Nella seconda scena Dorinda chiede l'amor suo a Siluio, & esso gliele concede. Quì Siluio potea partire, & astringerla à dargli'l suo cane, atteso che la caccia l’aspettaua, & egli poco uolontieri udia le chiacchiere d’amore; tuttauia soggiugne.

Ascolta bella ninfa, te mi uai Sempre di certo Amor parlando, ch'io Non sò quel ch’e si sia, tù vuoi ch’i' t'ami, E t’amo, quanto posso, e quanto intendo, Tù dì ch’io son crudele, e non conosco Quel che sia crudeltà, ne sò che farti.

Concetto com'hò già detto, che non par conueneuole a i costumi di Siluio; nè all’occasione di quel punto; & totalmente souerchio, poiche indi nacque infruttuosa diceria, e ben lunga. Siluio riceuuto'l cane si parte nella terza scena: Dorinda lo vede, nè molto cura di seguirlo; ma stando ferma in palco prorompe in quelle voci:

E’ questo il guiderdon Siluio crudele, E’ questa la mercè, che tù mi dai Garzon ingrato? habbi Melanpo in dono, E me con lui,che tutto, Pur ch’à me torni, i’ti rimetto, e solo De tuo’ begli occhi il sol non mi si neghi Ti seguirò compagna Del tuo fido Melampo assai più fida, E quando sarai stanco, T’asciugherò la fronte E soura questo fianco, Che per te mai non posa, haur ai riposo. Porterò l’armi, porterò la preda, E se ti mancherà mai fere al bosco, Saetterai Dorinda, in questo petto L’arco tuo sempre essercitar potrai, Che sol come vorrai Il porterò tua serua, Il prouerò ua preda; E sarò del tuo stral faretra, e segno; Ma con chi parlo; Ahi lassa; Teco, che non m’ascolti, e uiate’n fuggi, Ma fuggi pur, ti seguirà Dorinda Nel crudo inferno ancor, s'alcun'inferno Più crudo hauer poss’io Della fierezza tua, del dolor mio.

Questa sentenza io stò in dubbio, che chiamar si possa quasi tutta souerchia. Perche s'egli s’era ito, a che dire ciò, che nulla più rileuaua, come di gire à caccia con esso lui; di portarli la preda, e l’arco; d’asciugarli la fronte; di douerli esser riposo, e segno per l'arco suo, & simili uaneggiamenti? Fra quali si puo ancho far memoria particolare di quello, oue dice :

in questo petto L’arco tuo sempre essercitar potrai

Perche s’ella indosso non hauesse hauuta qualche arme à colpo, come dicono, d'archibugio, in una fiata spedito si sarebbe l’essercitio dell’arco, & queste sembrano impertinentie. Amarilli nella quinta scena andando à diporto per contrada riuolto all’ombre di certe selue dice:

I già co' campi Elisi Fortunato giardin de’ semidei La vostr’ombra gentil non cangerei.

Non pare ch’Amarilli giouanetta, in cuì non si puo verisimilmente presuppore scienza di sì fatte cose; atta fosse a dire di questi campi Elisi, & che sieno fortunato giardin de semi dei: e quello che legue.

Nel fine della scena sesta. Sendo Corisca fuggita dalle mani del Satiro, egli si traueste da poeta, & Astrologo. Da poeta, quando dice.

Ecco poeti. Questo è l’oro nativo, o l’ambra pura Che paramonte voi lodate. e quel che segue Da Astrologo fauoloso, quando dice Certo. Non fù mai si famosa, nè sì chiara La chioma, ch’è la sù con tante stelle Ornamento del ciel, come se questo. Con ciò che segue.

Nel terzo atto scena prima parlando Mirtillo di se stesso già caro ad Amarilli, hor fattole odioso; dice:

Ma non son’io già quel, ch’un tempo fui Sì caro à gli occhi altrui.

Parmi di molto non comprendere il sentimento di questo concetto, perchioche non intendendo Nirtilo d’altro amore, che di quello d’Amarilli, non sò quanto à proposito di sè lo possa tirare; atteso che fauori tali hauuti da lei non hauea, che li potessero far'entrare in pensiero, che molto caro fosse stato ad Amarilli. Perche s'ei la baciò; ella non lo conobbe nè per huomo; nè per amante; ò no’l volle conoscere. Se forse non ritrasse lo sguardo in Elide sdegnosamente, come fece in Arcadia; ella stessa li risponde altroue, che quanto fece per modestia fù, e non che sì fattamente caro li fosse stato, quale pare che dipinga egli à se stesso. Nella terza scena Amarilli hauendo preso Mirtillo pensando, che si fosso Corisca, chiedendo, che la sbendasse, dice.

E fà tosto cor mio, Ch'io uò poi darti il più soaue bacio C'hauessi mai.

Et cosi medesimamente in molti altri luoghi, ch’io per hora tralascio, si fà del simile; i quai concetti a Donzella honestissima (ouero Amarilli si fosse, ò qualunque altra) non paiono affarsi; perche tiene troppo del lasciuo questa douitia de' baci. Nella stessa terza scena Mirtillo ragionando con Amarilli della grandezza dell’amor suo, dice :

In troppo picciol fascio Crudelissima Ninfa Stringer tù mi comandi Quell’immenso desio, che se con altre. Misurar si potesse, Che con pensiero humano, A pena il capiria, ciò che capire Puote in pensiero humano.

Questa sentenza par tropp’oscura, & com'un’imbroglio di metafora, e di bisticcio da non usar con sua ninfa, & in occasione, che ricercava somma chiarezza. Poco poi mostrando la necessità dell’ardor suo dice:

Mira quante uaghezze ha’l ciel sereno, Quante la terra, e tutte Raccogli in picciol giro, indi vedrai. L’al tra necessità del'ardor mio.

Tropp’oscura per difetto pare questa anchora, perche non s'applica chiaramente ad Amarilli mancando altra cosa, la quale à ciò pare che soggiugnere si douesse per far’iscorrer l'illatione, Dice Dorinda, che itasene alla caccia stette

Confusa infra la spessa turba. De'uicini pastori, Ch’eran concorsi alla famosa caccia. Questa sentenza par molto nociua, ò diciam contraria à quanto poco sotto si dice; sono le sue parole: No’l sò perche me’n uenni Per non esser veduta innanzi a tutti.

Se non uolea esser ueduta, come si cacciò ella sta la turba, e non più tosto ui stette à mirare di lontano? Nella quinta scena u'è quell’ammassamento di sentenze alterne, che par: si noioso, c'hò uedato non potersi tolerare in lettura, non che in rappresentatione: & per ciò non badando à qualch'essempio non lodeuole, che forse potrebbe addursi, questo cicale cio hebbe luogo tra le cose recise.

N. Dunque tu sol, che t’ingannasti accusa A. M’ingannai si, ma nell’inganno altrui. N. Non si fà inganno, a cui l’inganno, e caro. A. Dunque m'hai tù per impudica tanto? N. Ciò non sò dirti: a l’opra pure il chiedi. A. Spesso del cor segno fallace è l’opra. N. Pur l’opra sol, e non il cor si uede. A. Con gli occhi dela mente il cor si uede N. Ma ciechi son, se non gli scorge il senso A. Se ragion nol gouerna ingiusto è il senso. N. E ingiusta è la ragion, se dubbio è il fatto. A. Comunque sia, sò ben, che’l core ho giusto. N. E chi ti trasse altri, che tù nel’atto? A. La mia semplicitade, e'l creder troppo. N. Dunque al’amante l’honestà credesti? A. A l’amica infedel, non à l’amante. N. A qual amica? a l’amorosa uoglia? A. A la suora d’Ormin, che m’ha tradita. N. O dolce con l’amante esser tradita. A. Mirtillo entrò, che no'l sepp’io nell’antro. N. Come dunque u’entrasti? Ed a qual fine? A. Basta, che per Mirtillo io non u'entrai. N. Convinta sei, s’altra, cagion non rechi. A.Chieda sua lei del'innocenza mia, N. A lui, che fù cagion de la tua colpa? A. Ella, che me tradì fede ne faccia. N. E qual fede può far, chi non hà fede? A. Io giurerò nel nome di Diana. N. Spergiurato pur troppo hai tu con l’opre. Nicandro dice con Amarilli, che rammaricandosi, trasferia la colpa del suo fatto nel cielo. Ninfa che parli? frena, Frena la lingua da souerchio sdegn0 Trasportata là, dove Mente devuta à gran fatica sale. Non incolpar le stelle: Che noi soli a noi stessi. Fabri siam pur de le miserie nostre. Poco sotto par che dica il contrario, quando cosi pronuntia; Tutto quel, che c'incontra O di bene,ò di male

Sol di là sù deriva: e ciò che segue. Del ragionamento di Coridone altro non uò dire, perche da quel, c‘hò detto à sofficienza di lui si può far giuditio, & dubitare, che souerchio sia, & tedioso, s’altro fù mai. Lo stesso dire si può del cicalamento di Linco, Dorinda, e Siluio nell’ultima scena.

Nel quinto atto, nella prima scena di se ragionando Carino dice: Vranio mio se da quel dì, che meco Passò la musa mia d’Elide in Argo, Hauessi hauuto di cantar tant’agio Quanta cagion di lagrimar sempr’ hebbi Con sì sublime stil forse cantato Haurei del mio Signor l’arme, e gli ho nori: Che non hauria de la Meonia tromba Da invidiar Achille, e la mia patria Madre di Cigni sfortunati, andrebbe Già per me cinta del secondo alloro: Ma hoggi e fatta (o secolo inhumano) L'arte del poetar troppo infelice: Lieto nido, esca dolce, aura cortese Bramano i cigni: e non si uà in Parnase Con le cure mordaci; e chi per sempre Col suo destin garrisce, e col disagio Vien roco, e perde il canto, e la favella.

Nel qual fauellare par, che l’auttore non si ricordasse, c’hauea introdotto un pastore, e non da se stesso ragionaua. Sembra (per dirlo liberamente) scoprirsi chiaro ch’ei fosse in estasi! Nella seconda scena hauendo’l messo esposto in parte quanto era intrauenuto circa la persona d'Amarilli prorompe in certo concetto della fama dicendo.

Se tante lingue hauessi, e tante ucci Quant’ occhi'l cielo, e quante arene il mare. Perdian tutte il suono,e la famella Nel dir'à pien le uostri loddi immense. Figlia del cielo eterna. E gloriosa donna, Che l'opre de mortali al tempo inuoli, Accogli tù la bella historia, e scriui Con letre d'oro in solido diamante L’alta pietà de l’uno, e l’altro amante.

>il quale concetto pare doppiamente danneuole, & perche distorna dall'attentione, e per lo soggetto; poi ch'in bocca di uil seruo, e come una ueste di scarlatto addosso à un facchino. Nella quinta scena altercano Montano, e Carino à lungo, & si a lungo; ch’io non oso que registrar le loro dicerie: >il qual contrasto oltra misura noioso, e souerchio par riuscire, potendo si forse ancho per altra uia più credibile, e più leggiadra uenir'al fine, che si ricercaua, come far si uede in Heliodoro, dal quale per poco sembra questa inuentione tolta di peso. Carino parlando con Dameta dice.

Non ti ricordi tù, quando nel tempio De l'olimpico Gioue, hauendo quiui Da l’oracolo hauuta Già la risposta, e stando Tù per partire: i mi il feci incontro Chiedendoti di quello Che ricercaui i segni, e tu li desti. Con quel che segue. Non mi souuiene hauer letto, che

Gioue hauesse oracalo nel tempio di cui qui si ragiona; e però se quanto dice Carino in dubbio non reuoco, mi sarà almeno gratissima l’auttorità di quarto egli afferma. Nella scena ottaua Ergasto descruie un bacio dato da Mirtillo ad Amarilli dicendo.

E per segno d’amor Mirtillo à lei . Vn dolce sì ma non inteso bacio, Non sò se dir mi debba, o diede, o tolse: Saresti certo di dolcezza morta. Che purpurai che rose? Ogni colore, o di natura, o d'arte Vincean le belle guancie: Che uergogna copriua Con vago soulo di beltà sanguigna: Che forza di ferite Al feritor giongeva: Ed ella in atto ritrosetta, e schiua Mostrava di fuggire Per incontrar più dolcemente il colpo; E lasciò in dubbio, se quel bacio fosse O’rapito, ò donato. Con sì mirabil arte Fù concedeto, e tolto, e quel soaue Mostrarsene ritrosa Era un nò che ueleua; un’atto mista Di rapina e d’acquisto , Vn negar si cortese, che bramaua Quel, che negando daua, Un vietar, ch'era inuito Si dolce ad assalire, Ch’à rapir, chi rapina, era rapite. Vn restar, e fuggire, Ch’affrettaua il rapire: O dolcissimo bacio.

>il quale racconto come pare oltre ogni misura drammatica lungo, & assai freddo anchora; cosi giudiciosamente fù compreso anch’esso nella circoncisione. Oltre lequali cose v’è quel detto di Ergasto quando soggiunse.

Non posso più Corisca Vò dritte dritto A trouarmi uno sposa. Che se si trattasse tra gazettanti parrebbe sommamente à proposito per Butattino.

SEgue la Locutione; intorno alla quale io non proporrò molti dubbi, per due ragioni: L'una, perche sò questa esser l'ultima parte considerabile nel poeta; & per cio posta ancho da Aristotele per infima in ordine trà queste di cui parliamo. L'altra, perche à ritrovar se la locutione del Pastor Fido meriti lode, bisognerebbe prima costituire qual locutione se li coeuenga: Et ciò par non solo malageuole, ma impossibile; conciosia cosa, che mentre si vuole hauer fatta mescolanza dell'attione tragica, & della comica, saria mestieri hauer’ancho mescolate lo loro idee: ma all’una pertiene, com’ognun sà, quella del magnifico; & all'altra; come ci dinota Oratio, & li più famosi spositori d’Aristotele, anzi egli stesso; pertiene quella del tenue; & queste due, secondo la ragione, & secondo Demetrio, mescolar non si puono; però io non vedo come poter dirittamente procedere in questa consideratione. Nè qui mi si ricordi il presupposto che si fà nel Verrato d’intorno alla mescolanza del magnifico & del polito; percioche stando questo c’habbiamo detto, non pare che tal sua imaginatione porti seco nè ualido fundamento nè auttorità conueneuole. Meno mi si dica essere dalle genti cotal locutione stimata bella; perche prima al uolgo io non parlo, ma à gl’intendenti: Poscia soggiungo tale beltà potersi considerare con doppio modo; l’uno è riguardando i concetti, & periodi in se stessi separatamente, & quasi à dir'in astratto: l’altro riguardandogli come post’in poema drammatico; & tali che debbano affarsi allo stato, all’età, a i costumi, & ad ogn’altra simil parte delle persone introdotte. Nel primo modo vi può hauer delle cose fornite di uaghezza, come per essempio la spiegatura de i madrigali di Mirtillo mezo disperato; & cosi di Dorinda ferita; la descrittione della rosa, & dell’altre anchora. Ma chi le considera come dette, & ornate da coloro; & in quei tempi; & in quei propositi; non può lodarle; perche in tal modo fredde, & indecenti riescono. Dice Titiro non douersi tener le donzelle lungamente senza marito, sendo simiglianti alle rose? & con tal pretesto fà vna descrittione sì lunga della, natura della rosa, che rende gran satietà. Carino cercando di Mirtillo; & la cagione palesando dell'esser venuto in Arcadia; vi trappone un lamento de i disaggi de i poeti sfortunati, ch’è importuno e vanissimo. Ergasto volendo dir ch’Amarilli fù da Mirtillo baciata, entra in una girandola di parole descriuenti quel bacio, che da molti leggendola vien’abborrita. Et di simili n'hà moltissime, le qual’io uolontieri tralascio, come parimente il considerar'il babbo, & mamma; il gnaffe; gli habituri; il teste; & qualch'altra uoce di questa fatta, per non esser più lungo, nè aggiugner dispute. Ma non tacerò già un dubbio tale, che comunque si sciolga, a mio credere non può non recar profitto: Li Signori Academici della Crusca, censurando il maggior poema di Torquato Tasso, notarono fra l'altre cose, alcune cacofonie, ò male sonorità di uoci congiuate, al numero di uenti,

ò là intorno; se ben mi ricorda; com è dire al fide al fier che canuto man tremante risolti a ignoca bunbano barono Vibr’e il & simile

Hora io vò tra me argomentando in questo maniera. O' tal’ oppositione è valida; ò nò. Se dirianio che no, par seguire che s’imputino suoi Signori ò di poco intendenti, ò ci cauillosi. Se diciamo che sì; io dubito che nel medesimo caso sia il Pastor Fido; anzi che tanto più sia efficace l’oppositione contra di lui; quanto il poema del Tasso è lungo, & obligato alle rime; & questo in sua comparatione è breue, & per lo più libero. Aggiungasi, che solamente scorrendolo partiti potersone trouar molto maggior numero; come ciasconno da se stesso potrà osseruare, bastando a me di far qui memoria di venti, ò trenta, affinche dien’occasione d’auuertir l’altre.

narr’e ride. leggiti m’amor bellism’Amarilli amorissim’Amarilli doleissim’Amarilli crudelissim’Amarilli anim’ amorosa pietosissim’amante giunge gli homeri amant’al tempio pomp’al piano miseria’ humano Ecco ch’Arcadia, che con la culla. Lagrim’amare quint’intendo. gloria arride. sentimento intorno anim’immonda. uero Vranio discopert'il tutto. tutt'i tuo tutto te’l dono. d'imic’e cara. d'ind’odorata. sordida Dea. canut’etate. Et ciò basti per la Locutione.

ULtimi furo tra le parti della Qualità l’apparato, & la Melopeia, de i quali poco habbiamo che dire, ò dubitare, poiche nè molto anchora al poeta appartengono; pure quanto all'apparato, primieramente pare disdire, che si conduca la cieca in palco bendata, e non si faccia piu tosto bendare in iscena; oltre che’l giuoco poco felicemente si conduce à fine non restando mai presa ninfa uerana, fuor che certo tronco. Cosi non saprei come preparare li potesse quel capo da Corisca con chioma sì fattamente, che per qualche poco resistesse à uiolenza fattali nel tirare, & cagionasse leggiadro effetto in palco. Ne minor dubbio porta quel far cader di quella ruppe acconciamente, & in guisa, che non appaia tela distessa sopra quattro pezzi di legno, com’un balcone, turar quel foro. Cosi quell’impaccio dell’Echo porta simil dubbio, poiche queste ripercosse di uoce in iscena ogni uolta riescono assai magra, e freddamente; e paiono non ripercosse di uoci imitanti l'Echo naturale, ma pure risposte di persona, che sia dietro la cortina; & quì di ciò tanto più potrei ragionarne, quanto che l’inuendono di quest'Echo e fuori dell'ordinario, & assai strana contenendosi la risposta nella fine del uerso misurata con detto uerfo. Ma lascio di dirne più oltre, perche altri hà notata simile inuentione à bastanza. Cosi nel ferire Dorinda bisogna douendosi effettuarlo, chi non vuole cagionare danno, ò disordine, trouar peritissimo arciero, se si pretende però d'ingannare lo spettatore. E tanto sia intorno le parti del la Qualità. Passiamo à quelle della Quantità,

POi c’habbiamo trattato le parti della Qualità è douere, che passiamo, & in poche parole, conforme alla materia, ci spediamo di quelle della Quantità. Di quattro parti, che riposo Aristotele nella Quantità, una solamente ne proporrò, ch'à dubitate mi muoue; & questa s’è il choro nella consideratione del quale tanto piu sarò breue, quanto l’inuentione sua nel Pastor Fido non è molto conforme à quella de gli antichi; anzi più tosto egli à fantasia dell’auttore sembra introdotto. Dico dunque di detto choro (e parlo di quello, ch'e in fine de gli atti) di non saper molto intendere se stia nella scena à tutta la rappresentatione; ouero partendosi uenga appunto fra un'atto, e l’altro à cantare quella sua canzona: E sia si di questi due qual si uoglia ogn’uno dà cagione di dubitare di poca uerisimilitudine, e conueneuolezza. Percioche se’l choro si ritruoua presente à tutta la fauola, non può parere se non molto strano, che s’ordiscano tanti trattamenti, & cosi trauagliosi, sino di morte, sopra persone notissime, & costoro stiano presenti al tutto, & uenendo l’occasione di palesare qualche cosa, o d'intromettersi nell’attione, come già nell'antiche s’è fatto si tacciano; o lascino succedere ogni rio, & atroce disordine.

Ma se’l choro uiene à cantare ogn'hora, che s’è finito l’atto; questo anchora con poco ò nullo uerisimile pare farsi: poiche non è credibile che i medesimi cosi di mente, & in ispirito appunto in quel tempo, che fornisce l’atto ueugano, e sappiano fauellare à proposito di quanto senz’esserui essi, eta occorso. E però molta difficoltà sembra che ui sia; conceduti anchora al Pastor Fido opra pastorale tai chori. Dico concedutigli; perche ci hà molti, l’oppenione de i quali tengo per molto probabile, ch’à niun partito nelle pastorali ammettono chori, stimando che siano fuori di quei verisimile, col quale pur entrano nelle Tragedie: Perche sendo i pastori, e le genti rusticane persone, che tengono più del soletario ch’altro, e per gli loro essercitij l’uno, dall’altro s'allontanano non pare in pastorali cotai chori leggitimamente habbian luogo, si come nelle Tragedie l’uso hà portato, che strano bene per la frequenza delle Città, e delle piazze. Et per discendere un po più à particolar dubbio nei, chori del Pastor Fido; dirò del primo; che molto non intendo quanto s'accomodi alla fauola, poiche si parla del la prouidenza, e si diriccia il ragionamento à Dio. Pare che sendo la fauola etnica si douesse dricciare à Gioue,

& non al nostro uero, & onnipotente Dio. Nè si può dire, che di Gioue finto Dio de i gentili gentili intenda, perch’egli non era sourà’l fato, come si dicea dal Choro; anzi pur’esso come gli altri falsi Iddij nel fato secondo l’antiche fauole inuolto, come talhora si può legger nei poeti, e massime tra Greci in Homero. Contiene il secondo choro tre sorti di concetti, ch’io non sò qual catena gli portrebbe stringere insieme; perche il concetto del romper fede, quello dell'amore all'oro, e la lunga descrittione de i baci sembrano cose oltre modo uarie, e di uerse & tali, ch’io udì dir una fiata, che sarebbono attissime per lo giuoco de gli spropositi; com’ancho dopo tutte queste non ui discerno conchiusio ne ò connessione d’alcunmomente. Finalmente il quarto (che gli altri due tralascio) pare introdotto per puro garreggiamento coll'Aminta, com’etiandio altri luoghi, ch'io tacerò, perch’ogn’intendente da sè può offenuarli; ne i quali tutti io dubito affai, ch’il Pastor Fido rimanga à dietro. E quando egli sia cosi saria perauuentura stato il migliore non entrar in cotal zimbello.

E Tanti sono i miel principali dubbi intorno à questo poema; senza

qualch’altro che forse potrebbe aggiugnersi. Li quali; ò Signori; io in compiacimento uostro, & non senz'hauerne hauuto quì in Padoua honorato consiglio; mi risoluo di publicare: sperando, com'à principio l'amico nostro ci disse, che possano riuscire non ingrati à gli studiosi: Et hora maggiormente, che si uedono a gara gli huomini comporre ò appastricciar pastorali; chi mescolandoui due, ò tre compiute attioni; chi riempiendole d'alti; & filosofici concetti; chi appicandoui qualche giunta; & chi, per fornirla, recandosi à gloria in questi, & simili particolari di parer simia del Pastor Fido. Là onde sia utilissimo l'andar et essaminando se buoni, o rei sieno sì fatti pensieri. Al qual’essame hauerò almeno suegliate VV. SS. se alla promessa del rispondermi non uorranno mancare. Il che però da persone tanto erudite, & due delle quali sono nel l’Illustrissima, & uertuosissima Academia Cornara, ò de'Ricourati, non dee temersi. Nondimeno comunque segua; di due cose le prego: l’una, che uogliano confermare prontamente, (occorrendo) la verità del fatto da me narrato nell’introdottione; il qual’alcuno potrebbe perauuentura tener per finto; benche uerissimo sia; & oltre VV.SS. a molt’altri in Padoua noto.

L’altra, che se nel filo del ragionamento io fossi scorso in qualcosa, che troppo paresse tener del uiuace; sappiano, & cosi sappia ogn'uno, ciò non esser auuenuto per animosità, ò altro simil affetto; ma sì per l’età mia giouenile; come per quel calore, che parlando, e scriuendo suol’ordinariamente accender'i disputanti se ben'amicissimi, quali noi. E tutto ciò, che potesse dar’occasione di sospettar’il contrario, desidero, che s'habbia per non detto, & per non iscritto.

IL FINE INDICE DE’ capi principali. Introdottione ent. 5 Contesi del Nores, & del Guiarini, & loro considerationi. 6 Intentione dell’auttore in questo discorso 10 Ordine, & metodo, co i quali egli procede 12 Stendimento historico del Pastor Fido, & della sua legge. 12 Titolo di quel poema, & suoi dubbi 25 Consideratione delle persone veramente pastorali, & di quelle del Pastor Fido; & loro attioni, costumi, e concetti. 25 Consideratione del luogo dell’Arcadia secondo altri, & secondo il Pastor Fido. 30 Ciò ch’importi ne i poemi il finger di nuovo, & il tramutar le già finte cose 34-52 Prologo del Pastor Fido, & sue essame. car. 34 Luogo di Polibio dichiarante la vera conditione del gli Arcadi. 38 Essame delle cose succeduto innanzi la fauola rappresentata nel Pastor Fido. 42 Dubbi in particolare sopra la legge del Pastor Fido, & sue appendici. 49 Consideratione della fauola drammatica secondo Aristotele. 54 Dubbi sopra quella del Pastor Fido. 55 Sopra la conditione, che sia Tutta. 55 Sopra la conditione, che sia Grande. 55 Versi leuati dal Pastor Fido in Mantoua. 67 Sopra la conditione, che sia Una. I Sopra la conditione che sia Versimile. car. 62 Qual’è il Verisimile poetico in Aristotele. 62 Sopra la conditione pertienente al nesso de li Episodi. 71 Sopra la conditione Terribil’, e Miserabile. 72 Sopra la condition della Passione. 73 De i costumi, & loro conditioni, & essame. 73 Della Sentenza. 78 Della Locutione. 87 Dell’Apparato. 59 De i Chori. 90 Conchiusione dell’opra. 91 IL FINE Il Registro A B C D E F G H. Tutti sono fogli. Errori occorsi nello Stampare. a car. 5. di distruggitori leggi distrugitoridi 6. che più le prime che che più sommasse le prime 8. guidici giudicij 11 dubitando Vagliamo dubitato Vagliami 12 par di Qualità parti di qualità 16 inondo ent ò ne hebbe inondò .Entrò n’hebbe 16.18. disauentura disauuentura 18. Titirro Titiro 19. tiro tirò 21. incanta lè cerra incanta li certa 22. udir ridir 26. Parlando dell’ parlando del’ 28. dell’ d’ 31. potremo parre potremmo parte 33. n con ne con 35 souenuta souuenuta 36 popolli popoli 38. Proua dooea profunde Proua douea profonde 39. , neq; . Neq; 40. mo mò 41. Commmunemente communemente 42. finge finge 44. filio Caliroe quondo figlio Calliroe quando 45. ineuitibili inevitabili 46 uè d’bistoria u’è d’historia 52. sampre sempre 53. uno nna douee succedcre un una douea mallamente succedere malamente 54. semprc sempre 58. de trastulo ed trastullo 61. corisca Corisca 63. uerunna ueruna 67. strattagema stratagema 69. infotmarsi informarsi 70. sacrifirio sacrificio 73. Costumi; I costumi; 76. con tanta cotanta 82. Oom’ Com’ 84. ua riuolto tua riuolta Oltre a questi ue ne sono alcuni altri nelle postille, quali si rimenttono a giuditiosi lettori.